giovedì 15 novembre 2012

LA VITTORIA DI OBAMA

LA VITTORIA DI OBAMA - 1


I poveri con Obama, i ricchi con Romney


Elezioni Usa: un Paese diviso. Gli elettori con redditi inferiori ai 50mila dollari hanno votato in maggioranza per Obama, quelli con più di 100mila dollari per Romney. L'economia è stato il fattore determinante nel voto. "Con Obama vincono politiche per crescita economica", è stato il commento a caldo del New York Times.


(Adnkronos) - Barack Obama ha rinnovato gli appelli all'unità del paese dopo le divisioni elettorali, ma la sua vittoria non mostra un paese unito. Dall'analisi del voto emerge come gli americani con i redditi più alti, ma anche medi, abbiano votato per Mitt Romney e quelli con i redditi più bassi per Barack Obama. La linea della divisione passa sul reddito di 50mila dollari, poco più di 39mila euro: gli elettori con redditi inferiori hanno votato in netta maggioranza per il democratico, il 60% contro il 38%. Ma Romney ha vinto tra gli elettori con redditi dai 50mila dollari in su.

    E l'economia è stata il fattore determinante della scelta degli elettori a favore di Obama. Quattro elettori su 10 si sono detti convinti che l'economia è migliorata. Per il 59% degli intervistati all'uscita dai seggi la principale preoccupazione è quella della disoccupazione, e tra questi elettori Mitt Romney ha registrato un certo vantaggio, il 51% contro il 47% per Obama che invece ha conquistato i maggiori favori degli elettori per quanto riguarda la politica estera e le questioni sociali, come la riforma sanitaria. Ma a giocare contro Romney è stato soprattutto il fatto che oltre la metà degli elettori ha espresso la convinzione che, se eletto, il repubblicano avrebbe portato avanti politiche in favore dei ricchi. Solo il 34% degli elettori ha creduto alle promesse di Romney di politiche a sostegno principalmente del ceto medio. Discorso opposto per Obama: il 43% degli elettori ha detto, all'uscita dai seggi, che il presidente difende gli interessi del ceto medio, il 31% ha detto che promuove politiche in favore dei poveri - appena il 2% ha espresso la stessa convinzione riguardo a Romney - e solo il 10% pensa che il presidente favorisca i ceti più ricchi

    Secondo il New York Times, la vittoria di Obama "è un forte sostegno alle politiche economiche che enfatizzano la crescita economica, la riforma sanitaria, l'aumento delle tasse e una riduzione bilanciata del debito". È quanto si legge in un commento del New York Times che sottolinea come, anche sul fronte sociale, la rielezione di Obama è una forte sterzata "in favore di politiche moderate sull'immigrazione, aborto e matrimoni gay". Ma – come spiega Angelo Baglioni, docente di Economia Politica all'Università Cattolica di Milano, a Labitalia, "nel dibattito preelettorale americano c'è stato un grande assente, il tema del debito pubblico degli Usa, un dato scomodo su cui sia Obama sia Romney hanno glissato. Ormai il debito pubblico si aggira attorno al 100% del Pil, mentre il disavanzo pubblico è attorno al 10% del Pil. E adesso che la campagna elettorale è terminata, Obama dovrà fare i conti con questi dati, perchè un bel giorno i mercati finanziari, al contrario di quello che avviene oggi, potrebbero decidere che il debito pubblico Usa non è più sostenibile e chiedere il conto".

    La situazione del debito pubblico Usa, dice il professore, "è più grave mediamente di quella europea, eppure non sembra essere un tema all'ordine del giorno, ma dovrebbe esserlo, come accade in Europa, anche se gli Usa dispongono di autonomia monetaria".

    Per quanto riguarda il lavoro, aggiunge Baglioni, "gli ultimi dati sulla disoccupazione negli Usa sono stati abbastanza incoraggianti: la disoccupazione è scesa infatti sotto l'8%, cosa che non accadeva dal 2009". "E anche se per gli Usa si tratta comunque di una disoccupazione altissima, perché prima gli americani erano abituati a una media intorno al 5%, c'è da dire -precisa l'esperto- che Obama si è trovato di fronte a un quadriennio molto difficile, in cui c'è stata anche una crescita molto bassa (+2%) rispetto ai livelli di crescita prima del 2008".

    La sfida sul piano dell'occupazione, dice ancora Baglioni, "si giocherà sulla capacità di aumentare il carico fiscale sui redditi più alti e viceversa di alleggerire la pressione fiscale sui redditi più bassi, favorendo piani di welfare e di assistenza per le fasce più deboli". Poi ci sarà da intervenire sulla formazione del capitale umano, "sulla scuola pubblica - precisa Baglioni - che notoriamentre non è in buone condizioni, ed è di basso livello".

    "Improbabile", invece, un 'dietro front' sulla riforma sanitaria, la cosiddetta 'Obama Care', sostiene ancora Baglioni. "La cosa più difficile da far passare per Obama -conclude- sarà proprio l'aumento del carico fiscale sui redditi più alti. Lì c'è un problema vero, perché la Camera rimane in mano ai repubblicani che certo si opporranno. Il tutto potrebbe anche essere rimandato di due anni, a dopo le elezioni di mid term, sempre che -avverte l'economista- vincano i democratici. E si rischia un blocco anche sulle politiche di riduzione del debito e sulle politiche espansive dell'occupazione".

 

 

LA VITTORIA DI OBAMA - 2


Gli auguri dell'Italia


Napolitano: "Dovremo superare insieme una grave crisi economica globale".


ROMA - "E' un piacere poterle indirizzare le più calorose congratulazioni e i più fervidi auguri miei personali e dell'Italia per la rielezione a presidente e per l'avvio del suo secondo incarico". Lo ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama.

    "Mi consenta anche di manifestare ammirazione - ha continuato il capo dello Stato - per l'alto senso di responsabilità con cui i due candidati hanno fatto seguire immediatamente all'annuncio del risultato espressioni di reciproco riconoscimento e di comune impegno a operare per l'unità della nazione".

 

"Il popolo americano ha affidato a lei l'ulteriore mandato per la soluzione dei suoi problemi e innanzitutto per il superamento di una grave crisi economica globale come quella che stiamo insieme vivendo. Il popolo americano e il popolo italiano - ha rilevato il Presidente Napolitano - hanno bisogno della più solida amicizia tra i nostri due paesi e della più stretta cooperazione tra Stati Uniti ed Europa perché possa avanzare nel mondo la causa della pace, della democrazia e dei diritti umani. Il mondo ha bisogno di un forte apporto dell'America per la costruzione di nuovi equilibri e per uno sviluppo sostenibile nella sicurezza e nella giustizia da cui nessun popolo e nessun paese siano esclusi".

    "In questo spirito - ha concluso Napolitano - accolga anche i miei voti di serenità e benessere personale per lei e per la sua consorte". (Inform)

 

 

LA VITTORIA DI OBAMA - 3


IL REALISMO DELLA SPERANZA


di Renzo Balmelli 


L'Empire State Building nel cuore della Grande Mela illuminato a giorno con i colori americani e il blu dei democratici, la gioia di Times Square, icona di Nuova York, la folla in festa di Chicago, quartier generale dello staff presidenziale, la foto-vittoria con l'abbraccio alla moglie Michelle replicata milioni di volte su twitter, resteranno tra le immagini più significative del trionfo personale e politico di Obama; trionfo reso ancor più eloquente dalla condizioni oggettivamente difficili in cui è stato ottenuto. Come i sondaggi lasciavano prevedere è stata una sfida all'ultimo voto, poi conclusa però con una maggioranza netta in cui hanno finito col prevalere la personalità e la freschezza del leader democratico, ancora capace, nonostante le traversie e le delusioni del primo mandato, di trovare le parole giuste per (re)infondere speranze a un Paese che, come altri, sente i morsi della crisi.

    Qualcosa tuttavia è cambiato nell'umore e nell'approccio dell'elettorato. Rispetto a quattro anni fa, quando Obama centrò la Casa Bianca sulle ali dell'entusiasmo, questa volta prevale piuttosto l'impressione che più del cuore poté la ragione, che il voto sia stato più di testa che di pancia nella consapevolezza che i prossimi quattro anni potrebbero risultare decisivi per concretizzare quell'America generosa, tollerante, ma soprattutto più equa con chi soffre e vive all'ombra del benessere.

    Nel privilegiare la continuità, gli Stati Uniti hanno intuito attraverso una profonda riflessione che affidarsi a un imprenditore prestato alla politica qual è Romney poteva essere un azzardo in questa fase cruciale. Dopo tutto l'ex senatore del Massachusetts resta legato agli ambienti di Wall Street e dell'alta finanza, non certo famosi per il loro spirito filantropico, dai quali non ha mai saputo e voluto prendere chiaramente le distanze. E proprio in quest'ottica occorre rilevare che la scelta americana, scelta consolante per quanti condividono e credono nella forza delle idee progressiste domiciliate a sinistra del panorama politico, ci riguarda tutti.

 

Washington ha smesso l'ambizione di essere il gendarme del mondo, ciò non di meno ogni cambiamento alla Casa Bianca influisce sulla politica planetaria, sull'economia, sugli equilibri internazionali, sugli scenari militari. Ma non può non influire - come molto opportunamente osserva Dario Fo - anche sulla cultura, sulla comunicazione e, più in generale, sulle vicende di una società che sta cambiando in modo a volte turbolento, lasciandosi alle spalle sacche di povertà, di drammatico sottosviluppo, di prevaricazione dell'uomo sull'uomo che non possono più essere tollerati. In quest'ambito, sebbene il secondo mandato contrariamente a quanto si crede non sia una passeggiata, Obama, ormai sgravato dal peso della rielezione, avrà maggiore agio nell'affrontare i dossier più spinosi rimasti sulla sua scrivania in modo da consolidare i capisaldi del suo programma che spaziano dalla costante ricerca delle soluzioni negoziate alla capacità di riunificare non soltanto gli Stati Uniti, ma anche le capitali più ritrose al dialogo, sotto la bandiera dalla pacifica convivenza.

    Nel succedere a se stesso quel "giovanotto abbronzato", come ebbe a definirlo un ex premier italiano, tiene aperta la porta ai sogni, non sempre destinati a morire all'alba, ma senza pretendere, con saggio realismo e una buona dose di pragmatismo, di avere la bacchetta magica per realizzarli. Con la sua rielezione, che vista l'importanza della posta in palio non è esagerato definire epocale, l'America nuova ha ad ogni buon conto avuto la meglio su quella vecchia a riprova che lo yes we can, pur senza cullare illusioni smodate, resta, sì, un obbiettivo faticoso da realizzare, ma comunque possibile.

    Tanto che, a sentire Obama fresco di rielezione nel discorso di ringraziamento rivolto alla Nazione, il "meglio deve ancora venire", affermazione che è già entrata nella galleria delle frasi famose. Nello studio ovale sanno, però, che servono coraggio, determinazione e magari anche un pizzico di "faccia tosta" per fare in modo che la promessa non rimanga soltanto un bell'auspicio.

 

 

 

IPSE DIXIT


Il Sacro G. - «Per concludere, potremmo dire che il punto G somiglia sempre di più al mito del Sacro Graal: tutti ne parlano, tutti fanno ipotesi sul luogo dove potrebbe essere custodito, ma nessuno sa in realtà cosa sia e, soprattutto, dove si trovi.» – Giuliana Proietti


Fine del patriarcato - «Siamo alla fine del patriarcato. Gli uomini hanno ancora potere, ma non autorevolezza» – Luciana Castellina