martedì 30 settembre 2008

Si può, in Italia, essere democratici senza essere antifascisti?

Le idee - Fini e il fascismo
di Paolo Bagnoli *)
Le recenti dichiarazioni di Gianfranco Fini sul fascismo salotino in risposta a quanto dichiarato da Gianni Alemanno ed Ignazio La Russa, al di là del merito della partita apertasi all’interno della destra un tempo missina, pongono una questione di notevole rilevanza su cui occorre porre attenzione. La questione in oggetto è la seguente: si può, in Italia, essere democratici senza essere antifascisti? Naturalmente, per noi, no; ma mentre Fini, le cui affermazioni peraltro non sono state niente di eclatante avendo richiamato i valori della Costituzione definendoli “antifascisti” e, quindi, è per via indiretta che ha collegato la Carta della Repubblica all’antifascismo. Visto, tuttavia, qual è il dibattito nel suo partito si tratta, sicuramente, di un atto che riveste un significato politico da non trascurare. Infatti, sia Alemanno che La Russa ritengono che per essere democratici non occorra il presupposto dell’antifascismo.

L’intento dei due è chiaro: fascismo ed antifascismo hanno pari dignità storica, morale, culturale e civile; si può essere fedeli alla Costituzione, e quindi democratici, senza dover passare per l’antifascismo. Ergo: della Costituzione, e quindi della democrazia italiana, si deve dare una lettura “afascista”. Non solo, ma Alemanno propone che nella Costituzione vi sia anche l’anticomunismo: trattandosi di una furbesca scemenza è anche difficile dare una risposta seria. Non è un caso che la vedova di Giorgio Almirante abbia ricordato come suo marito “diceva sempre: non rinnegare e non restaurare. ”Ed il sindaco di Roma ed il ministro della difesa non vogliono rinnegare, là dove Fini sembra, invece, intenzionato a recidere una volta per tutte i legami tra Salò ed il suo partito. A fronte della bacchettata ricevuta sulle mani i due hanno imbastito goffe ed imbarazzate correzioni che non hanno corretto niente: il problema è ancora lì, sul tavolo della politica e su quello della storia e che – ma il solo doverlo ricordare è fastidioso – il passato non passa mai, per niente e per nessuno. Rispetto ad esso, tuttavia, si possono cambiare i giudizi e l’atteggiarsi, ma ciò che è stato non può cambiare.

Dentro la ratio profonda e genetica del passato che non passa sta l’insopprimibile motivo politico delle radici antifasciste della democrazia italiana. Se questo passato dovesse passare ciò significherebbe che avremmo un’Italia senza ragione di riconoscere come antifascisti quei motivi che Fini ha additato caratterizzanti come tali la Costituzione repubblicana. Vorrebbe dire disperdere il senso della Repubblica, di questa Repubblica che rappresenta, anche per la lunga coeva stagione di miseria della politica, la conquista civile più alta e moderna che l’Italia abbia realizzato nella sua storia dopo il Risorgimento; ma, possiamo dire, una conquista per molti aspetti di ben altro significato rispetto a quello, di grande rilevanza s’intende, rappresentato dall’unità ed indipendenza nazionale, perché dalla soluzione sabauda nacque il fascismo, dalla caduta del fascismo e dalla cacciata della monarchia, è nata la democrazia e quindi un popolo finalmente sovrano.

Con la Repubblica l’Italia ha agguantato quella modernità che, nonostante tutte le gobbe del Paese, le ha permesso di crescere, svilupparsi, diventare europea; essere ciò che prima non era mai riuscita ad essere. E certo che non sono mancati i momenti difficili – solo alcuni riferimenti: la discriminazione politica e religiosa, i tentativi di colpo di Stato, il terrorismo assassino, l’aspro disagio meridionale – ed oggi questi continuano solo si pensi alla forza sul territorio della malavita organizzata ed agli attacchi di cui è oggetto lo Stato laico, ma ciò è consegnato, come ogni altra questione legalitaria, economica o civile che sia, alla lotta politica ed alla capacità dei soggetti della politica democratica di essere all’altezza del loro compito. La loro endemica debolezza mette certo a rischio la capacità di tenuta della Repubblica di cui il fenomeno Berlusconi costituisce il marchio certificante; una crisi che lascia intravedere già il percorso di un processo che un eventuale passaggio dall’antifascismo all’afascismo agevolerebbe, ossia la nascita di una “repubblica presidenziale” di profilo populista e mediatico. Vale a dire l’esatto contrario del fondamento, appunto antifascista, della Repubblica nata dalla Resistenza.

Non è quindi vero che, almeno in Italia, si possa essere democratici, ma non antifascisti. Può essere vero il contrario; diciamolo con un paradosso volutamente provocatorio: le Brigate Rosse erano e sono certamente antifasciste, ma non democratiche!Comunque nel costituendo nuovo partito della destra che nasce intorno a Berlusconi, La Russa ed Alemanno potranno gloriare con il presidente del consiglio quanto fatto da Italo Balbo in Libia – già, ma allora perché, è stato promesso a Gheddafi un assegno risarcitorio tanto grande? – e, nella maggioranza governativa, trovarsi in buone e cordiali relazioni con la nipote del duce e Mario Borghezio che non ha perso l’occasione per difendere la Rsi.

Vedremo come andrà a finire, ma la vicenda non ci sembra al termine. Perché, magari, non attendersi anche un nuovo libro da Giampaolo Pansa?

Qualcuno storicamente autorevole ha, intanto, già detto la sua. Il professor Roberto Vivarelli (“La Stampa, 9 settembre 2008), autore qualche anno orsono di un libretto critico-memorialistico, in cui rivendicava la scelta di Salò che compì in età giovanissima incoronandola di senso dell’onore e di amore verso la patria, ha rilanciato la propria tesi: il rispetto verso coloro che aderirono alla chiamata repubblicana di Mussolini in buona fede e che non si sono macchiati di episodi criminali personali. Il problema, tuttavia, non è questo: è il giudizio storico-politico su cosa ha rappresentato Salò, cosa ha prodotto e quale idea d’Italia fosse al servizio. E’ questo giudizio che vorremmo sentire: in fondo anche Fini non lo ha espresso in maniera esplicita pur se è oggettivo riconoscergli un cammino significativo. Il presidente della Camera potrebbe affermarlo, al limite, anche senza parole andando a rendere omaggio alla bandiera del CVL decorata di medaglia d’oro al valor militare in memoria di tutti coloro che sono caduti nella lotta al nazifascismo. Il ragionamento che il professor Vivarelli ripropone di Salò con come “epitome del fascismo ma suo epifenomeno” convince fino ad un certo punto; può essere o non essere così, i giudizi sono liberi ed egli ha sicuramente ragione quando afferma che il fascismo non nasce con l’8 settembre e che “dietro c’è la responsabilità di quasi l’intera comunità nazionale”; ma ci pare giustificativo ed auto assolutorio affermare che il “trauma dell’8 settembre riguarda una certa tradizione italiana per cui il valore da difendere era molto più una certa idea di fedeltà alla patria, che non il fascismo in se stesso. ” Guarda caso, però, che qualcuno ci dovrebbe dimostrare come si poteva andare a Salò prescindendo dal fascismo. Il professor Vivarelli porta l’esempio di Valerio Borghese, “mai stato fascista”; ebbene, se così è, non perse l’occasione per rifarsi!

Il tempo dirà come le cose evolveranno, ma riteniamo che a Fini non basti più bacchettare; ora deve accelerare il passo se non vuole che i fantasmi in camicia nera continuino ad inseguirlo. Essendo un praticante del diving dovrebbe avere i polmoni capaci di resistere.

*) Ordinario Dottrine Politiche all'Università di Firenze, direttore dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana, già senatore della Repubblica nelle fila del PSI

martedì 23 settembre 2008

Bravi ragazzi, continuate così

La Catena di San Libero
Bravi giovani e giovani meno bravi
di Riccardo Orioles *)
1. Bravi
1. Bravi
Un avviso di garanzia ai sensi dell'articolo 656 del Codice Penale è stato inviato ieri dalla Procura di Catania al direttore del quotidiano locale La Sicilia, Mario Ciancio. La decisione dei magistrati catanesi sarebbe motivata dalla "notizia", pubblicata con grande evidenza dal quotidiano catanese nel maggio scorso, di un presunto tentativo di rapimento perpetrato da zingari all'uscita di un supermercato.

Nel particolare clima di quel momento - si osserva negli ambienti della Procura etnea - una "notizia" del genere una (per altro priva di ogni riscontro) avrebbe potuto facilmente dar luogo a incidenti anche molto gravi, particolarmente ai danni di elementi della comunità rom; è pertanto da ritenersi largamente violato il disposto dell'art.636 che vieta la "pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico".

"La decisione della Procura di Catania - ha dichiarato poco più tardi il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Franco Nicastro - è ineccepibile e abbiamo già provveduto a titolo cautelativo a sospendere dall'Ordine il nostro iscritto Mario Ciancio. Non si pubblicano con leggerezza notizie così gravi e completamente prive di ogni supporto giornalistico".

"A questo proposito - ha aggiunto Nicastro - voglio congratularmi con i ragazzi del sito universitario Step1 (http://www.step1magazine.it/) che sono stati i soli a comportarsi da giornalisti in quest'occasione, andando immediatamente a cercare le fonti sul campo e denunciando quindi l'assoluta inconsistenza dell'accusa, formalizzata adesso anche dalla piena assoluzione dei due giovani zingari ingiustamente accusati. Bravi ragazzi, continuate così".

2. Meno bravi
Sant'Angelo di Brolo è un comunello di quattromila abitanti nell'interno della provincia di Messina e il miglior modo di arrivarci è, o almeno era una volta, la motocicletta; e precisamente la Bianchi 125 su cui mio padre, molti anni fa, andava a raggiungere la scuola di montagna dove insegnava, con me bambino accovacciato sul serbatoio e alberi e fiori che sfilavano allegri ai margini della trazzera. Il paese, che allora era molto povero, era composto quasi esclusivamente di bambini e donne, la maggior parte degli uomini essendo a quell'epoca emigrati in Belgio, in Germania o al nord; mandavano, ogni mese, quasi tutta la paga nelle "librette" delle famiglie rimaste a casa e per questo inghiottivano molti duri bocconi dai tedeschi, dai belgi, dai "non si affitta a meridionali".

E' uno dei posti del mondo a cui voglio bene. L'ho rivisto per caso l'altro giorno, alla tivvù. Niente di straordinario, per fortuna: era solo il tiggì regionale e non era una notizia d'importanza. Pare che le autorità abbiano deciso di mettere da quelle parti un campo provvisorio per emigranti (algerini, tunisini, neri, gente sopravvissuta a stento al mare estivo e ai suoi annegamenti).

E, siccome anche Sant'Angelo di Brolo ormai avrà pure lui i suoi bravi fascisti, qualcuno ha organizzato una piccola manifestazione contro gli emigranti: "Non li vogliamo qui!", "Fuori da casa nostra!", "Via gli stranieri!".

I cartelli e le grida (queste ultime non troppo forti, da razzisti alle prime armi) erano quelli regolamentari, e così pure le interviste che i giornalisti del Ministero andavano prendendo in giro. La gente, davanti al microfono, parlava con timidezza, un po' per la non-abitudine, un po' per la vecchia buona educazione montanara; ma insomma, sia pure senza gridare, diceva quel si voleva che dicesse.

Solo qualcuno, fra i giovani, cercava di fare la faccia feroce, ma senza riuscirci poi tanto. Il tiggì andava, e io rivedevo la moto di mio padre, e i santangiolesi di allora, e quella povera scuola degli anni Cinquanta.

*) Riccardo Orioles, giornalista antimafia, fondatore assieme a Giuseppe Fava de "I siciliani", è un punto di riferimento nel panorama delle firme giornalistiche in Sicilia impegnate a contrastare la mafia e la corruzione. - www.riccardoorioles.org / www.sanlibero.it

Come si può altrimenti parlare di socialismo?

Il dibattito a sinistra
Il PS e la sinistra italiana
Per chi si professa di sinistra e socialista in modo particolare, il problema è quello di salvare l’idea stessa di sinistra. Come si può altrimenti parlare di socialismo?

di Paolo Bagnoli
A qualche mese dalla ricostituzione del partito socialista, in un congresso pieno di speranza e di emozionante attesa, non abbiamo visto quello che avremmo desiderato: vale a dire collegare strettamente la questione socialista con quella della sinistra. Non ci sembra pensabile, infatti, che il partito socialista possa ritenere di risorgere, se pur attraverso un processo che non può che essere lungo e travagliato, se non assumendo in sé la questione più generale della rinascita della sinistra italiana cui deve concorrere quale soggetto protagonista. Se così non è, sarà difficile che ci sia futuro; ci sarà altro ed il socialismo italiano, al di là di ogni intenzione e ragione, dovrà rimandare a chissà quando l’appuntamento con la vicenda storica del Paese.

La sinistra italiana sta vivendo momenti oltremodo difficili. Per affrontarli si richiede uno sforzo di ragionamento che coniughi, sostanzialmente, due fattori: il senso della criticità del reale e le motivazioni dell’intenzione cui segue la scelta politica. Vogliamo dire che occorre pensare avendo il senso del tempo presente e di quelli futuri alla cui costruzione si vuole concorrere. Occorre cioè rifuggire dalla tentazione di risolvere nella “politica politicata” questioni di grande rilevanza senza che ciò, tuttavia, rimandi ad un futuro più o meno prossimo la soluzione del problema ed, in primo luogo, occorre naturalmente aver chiaro quale esso sia.

Noi crediamo che oggi, per chi si professa di sinistra e socialista in modo particolare, il problema primario e pregiudiziale sia quello di salvare l’idea stessa di sinistra – se ciò non avviene, infatti, come si può parlare di socialismo? - e su questa portare il suo contributo ed il suo impegno, all’opera di ricostruzione e riposizionamento nel panorama politico del Paese, sia definendo idealmente e culturalmente la propria posizione, il senso di essa in relazione alla rappresentanza sociale che si vuole esprimere, i modi e le forme con le quali caratterizzarsi nella lotta politica, le relazioni possibili con l’insieme dei soggetti sociali e politici con i quali si possono eventualmente realizzare intese ed alleanze. Occorre, cioè, rielaborare un’idea di sinistra che contribuisca alla definizione di un “pensiero compiuto” del Paese visto, appunto da sinistra – per chi scrive da posizioni di “sinistra socialista” - prima ancora che governato anche dalla sinistra. In altri termini, occorre recuperare una autonomia di funzione, di valori e di rappresentanza quali lievito di una ragione che discende direttamente dalla storia del movimento operaio dei due secoli che ci stanno alle spalle e che rappresenti, in sé, un’alternativa non solo e tanto alla destra, poiché ciò è nella naturalità delle cose, ma a quanto l’attuale capitalismo determina per correggerne le gravi storture sociali, civili e culturali che stanno decomponendo il tessuto profondo della società secondo derive veloci camuffate da modernizzazione.

In un mondo nel quale le ingiustizie e le differenze sociali si allargano sempre più, le libertà e la democrazia perdono di valore e sono inevitabilmente a rischio; i processi di incivilimento regrediscono e le logiche del profitto e della disumanizzazione dei rapporti e delle condizioni sociali rischiano di essere accettate come un qualcosa di inevitabile; come un prezzo obbligatorio da pagare.

A cosa, però? Purtroppo all’acuirsi delle differenze di classe, all’instabilità del lavoro, all’allargamento delle sfere concernenti i diritti dell’individuo in quanto persona, a ritenere che la vita degli uomini sia regolata solo dal profitto per cui tra “vivere” e “sopravvivere” alla fine non c’è differenza alcuna, a ritenere che le tutele sociali conquistate nel corso di lunghi anni, talora a prezzo di aspre lotte, siano un qualcosa che non solo le società attuali non possono permettersi, ma che sia addirittura antistorico porsi il problema rispetto al presente, alla rinuncia ad essere protagonisti della propria esistenza e ad avere un futuro.

Oggi, per salvare la sinistra, le sue ragioni e quelle del socialismo, è dalla consapevolezza di tutto ciò che occorre ripartire; certo che esiste anche altro, ma questi ci sembrano i fondamentali. E’ chiaro che rispetto a tale quadro vi possono essere e ci sono proposte diverse dovute alle diverse riconosciute culture della sinistra, ma prima delle diversificazioni è necessario fissare il presidio di valore dei problemi che, chi si colloca a sinistra, deve affrontare in un fase della vita italiana che sconta la ventata dell’inutilità dell’essere di sinistra; una ventata che ha permesso alla destra di possedere una forza senza pari anche perché senza contrasti e vera opposizione parlamentare. La consapevolezza di tutto ciò sembra, tuttavia, un problema che a sinistra non è condiviso; la smania governista della “politica politicata” vive in ampi settori di essa; il problema sembra essere solo quello di ricomporre una relazione di centro-sinistra con il partito democratico come se i tempi ulivisti od unionisti fornissero ancora modelli validi non solo per battere la destra, ma per assicurare processi riformatori acuti capaci di rompere le concatenazioni perverse indotte dal capitalismo globalizzato e da una democrazia concepita senza la gente.

Se si ritiene che la sinistra – e, ripetiamo, con essa il socialismo - possa rinascere con capacità autonoma e profilo alternativo solo sul modulo della rivincita del governo, si fa un grande errore e si dimostra di non aver compreso la gelida replica della realtà che ci viene dal voto: quel modello di governo di centro-sinistra è stata cancellato e sepolto; offrire al partito democratico la disponibilità per rimetterlo in piedi per sconfiggere Berlusconi non solo è illusorio, ma nega il presupposto stesso della lezione che alla sinistra tutta, socialisti e comunisti, viene dal voto: mancanza di consapevolezza di se stessa e dei propri valori, sostanziale subalternità non solo a logiche che sembravano avere il profilo del realismo.

Pensiamo che il partito democratico non disdegnerà le profferte per una colleganza esterna, ma il tutto finirà per vivere dentro l’angusta logica di un governismo per di più senza governo. Oggi un processo serio di ricostruzione della sinistra non può che esprimersi nell’opposizione; se necessaria anche al partito democratico. Infatti, anche le scelte per gli enti locali per il cui rinnovo si voterà l’anno prossimo non avrebbero senso per le forze di una sinistra autonoma e larga, qualora vi fossero condizioni politiche e programmatiche per farle, se profilate nella logica dei vecchi centro-sinistra: vorrebbe dire non aver compreso quello che è successo e non voler essere se stessi.

Ricostruire una sinistra italiana all’altezza del compito significa pensarla in termini larghi nei quali ognuno dei singoli componenti faccia la sua parte, rifuggendo dalla suggestione delle formule secondo le quali si è, volta a volta, uniti e plurali, radicali, movimentisti o riformisti e chi più ne ha più ne metta; significa pensarla secondo canoni di autonomia culturale e di proposta politica; attenti alle questioni di governo secondo il principio di responsabilità verso la comunità nazionale che non viene meno stando all’opposizione; non assillati dalla necessità del governo, ma pronti a non tirarsi indietro, ad ogni livello, non perché si deve fare blocco contro la destra, ma perché le condizioni delle alleanze sono possibili.

Non è facile costruire una sinistra larga, ma occorre partire da quello che c’è e da chi ci sta senza pensare a ricette già pronte; queste non ci sono, ma solo l’intenzione comune di rinascere per essere una soggettività politica che si ponga di coniugare democrazia, libertà e giustizia sociale permetterà di trovare pure le forme che concretizzino l’avvio del processo. A Montecatini abbiamo sperato che questo fosse il primo campo di applicazione per il rinato partito socialista. Continuiamo a pensarlo, ma il tempo corre e la speranza non basta.

*) Ordinario Dottrine Politiche all'Università di Firenze, direttore dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana, già senatore della Repubblica nelle fila del PSI

Napolitano: "Dobbiamo ancorarci alla Costituzione"

Ipse dixit - in collaborazione con Logos Quotes
La cosa migliore - «Quando ci sono due versioni contrastanti di una storia, la cosa migliore è credere a quella in cui le persone danno il peggio di sé». - Harry Allaen Smith

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Quirinale
Napolitano: "Dobbiamo ancorarci alla Costituzione"
Il Presidente Napolitano a Venezia: "Si pone l'esigenza di un rinnovato, consapevole ancoraggio alla Costituzione. Della Carta del'48 si deve registrare la tenuta e la vitalità. L'unità e indivisibilità della Repubblica principio non negoziabile".

"Si pone oggi l'esigenza di un rinnovato, consapevole ancoraggio alla Costituzione: esigenza che appare tanto più forte quanto più si avverta un pericolo di disorientamento della comunità nazionale, per l'indebolirsi della sua coesione e del suo tessuto ideale e civile". Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Venezia nel corso del suo intervento al Convegno 'La Costituzione domani nel 60° anniversario della Carta fondamentale della Repubblica'.

"La Carta del '48 - ha aggiunto il Capo dello Stato - è sotto questo profilo una riserva preziosa su cui far leva, purché ci si impegni innanzitutto a 'bucare il velo d'ignoranza che la circonda': facendone conoscere e studiare il testo, facendone cogliere le virtualità e gli stimoli critici. E' un impegno che deve assolutamente continuare, ben oltre il 60° anniversario della Costituzione repubblicana".

"Della Carta del '48 - ha proseguito il Presidente Napolitano - si deve però innanzitutto registrare - e questo non è un omaggio rituale - la tenuta e la vitalità di fronte all'urgere e al compiersi del processo di grande trasformazione e modernizzazione che l'Italia ha conosciuto nei decenni successivi.

La Carta ha saputo presiedere a un tale processo, accompagnarne anche le molteplici tensioni, grazie, tra l'altro, alla saggezza e lungimiranza di formulazioni che vennero pensate in modo da poter risultare non chiuse ma idonee al recepimento di istanze e sollecitazioni poco o per nulla prevedibili al momento della definizione di quel testo".

"Quel che ci interessa - ha inoltre affermato il Presidente della Repubblica - è come far vivere in questa fase storica la Costituzione repubblicana, in rapporto a domande della società e attese dei cittadini che non hanno finora trovato sbocco. Esse richiedono sforzi ulteriori sul piano dell'analisi e dell'interpretazione del dettato costituzionale, scelte di riforma o di più conseguente attuazione di norme insoddisfacenti o rimaste lettera morta".

"L'unità e indivisibilità della Repubblica - ha concluso il Capo dello Stato - resta valore storico e principio regolatore fondamentale, di certo non negoziabile, che dubito possa avere operato da 'narcotico', come qualche volta si è detto, ma che non è stato colto - molti sono gli esempi che lo confermano - nella sua inscindibilità dall'impegno, sancito nello stesso articolo 5 della Carta, a 'riconoscere e promuovere' le autonomie locali, ad adeguare la legislazione 'alle esigenze dell'autonomia e del decentramento'.


lunedì 15 settembre 2008

Oggetto: Fascismo

Ipse dixit
COME FUNZIONA LA DITTATURA FASCISTA
«Un francese, o un inglese, o americano, può difficilmente farsi un'idea esatta di quello, che è oggi la vita pubblica in Italia. Chi si trova sicuramente accasato nelle istituzioni democratiche non pensa che istituzioni diverse hanno retto fino a mezzo il secolo XIX, quasi tutti i paesi dell'Europa. Riesce a stento a comprendere che un popolo possa vivere sotto altre forme di Governo, senza ribellarsi, o senza essere barbaro o vigliacco».
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Gaetano Salvemini
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SE QUESTO E' UN UOMO
«Ha forse diritto di vivere? / Non è lì perché lo calpestino, urtino, battano? / Vaga per il Lager come un cane randagio. / Tutti lo scacciano, ma il suo riscatto è il crematorio».
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Canzone del Lager


A cura di Internazionale - Prima Pagina
L'ombra di Mussolini
In occasione dell'anniversario dell'8 settembre 1943, il giorno dell'armistizio tra l'Italia e le forze alleate durante la seconda guerra mondiale, sarebbe stato più logico aspettarsi parole di elogio verso gli antifascisti da parte del ministro della difesa Ignazio La Russa. L'esponente del Popolo della libertà, invece, è stato benevolo anche con i combattenti fascisti. Il suo intervento ha scatenato una nuova polemica sul fascismo. La sinistra ha accusato La Russa di tradire i valori della costituzione. Rivolto ai suoi critici, invece, il ministro ha parlato di "razzismo culturale".

Süddeutsche Zeitung, Germania
http://www.sueddeutsche.de/politik/648/309584/text

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Politica culturale
Il nuovo dibattito
intorno al fascismo
Alla base del giudizio sull'essenza di ogni totalitarismo, ma del fascismo in modo particolare, sta una questione attuale, che ci riguarda sempre di più nell'odierna costellazione post-nazionale, caratterizzata da massicci moti migratori: il discrimine tra "persona" e "non-persona".

di Andrea Ermano
E' in corso all'interno del mondo cattolico, ma non solo in esso, una battaglia delle idee che ha come oggetto il fascismo. Una delle maggiori testate cattoliche italiane getta un dubbio in tal senso sul maggior partito italiano, membro influente del Partito Popolare Europeo. Il cattolicissimo sindaco di Roma sottolinea, in tutta risposta, la diversità del fascismo (mussoliniano) rispetto al male assoluto delle persecuzioni razziali (hitleriane). Certo, ci furono ovviamente delle differenze, ma Mussolini e Hitler rimasero alleati fino alla fucilazione del primo cui seguì di qualche giorno il suicidio del secondo.

Qualcuno ha paventato che queste polemiche tra cattolici finiscano per egemonizzare anche l'opposizione. Altri pensano che il dissidio non si comporrà e che la sinistra cattolica veleggia ormai verso forme di fede evangeliche e quindi laicheggianti. Remo Cacitti, formatosi alla Cattolica di Milano e grande studioso di storia protocristiana, ha appena pubblicato con Corrado Augias una Inchiesta sul Cristianesimo nella quale certo non si tace sulla torsione "imperiale" (Costantino e Teodosio) che trasforma il cristianesimo in uno strumento di potere esposto alla deriva totalitaria.

Francamente, non credo che si tratti di un colpo a salve. Penso che il confronto continuerà, probabilmente in modo sempre più esplicito. Perché alla base del giudizio sull'essenza di ogni totalitarismo, ma del fascismo in modo particolare, sta una questione attuale, che ci riguarda sempre di più nell'odierna costellazione post-nazionale, caratterizzata da massicci moti migratori: il discrimine tra "persona" e "non-persona".

Per comprendere il senso profondo del discrimine tra "persona" e "non-persona" è utile riflettere dapprima sulla classica distinzione tra vita "umana" e vita "nuda", sulla quale si sta svolgendo un'altra grande battaglia culturale a tutto campo, tra laici e integralisti.

Orbene, la scorsa settimana, in calce alla rubrica "Ipse dixit", abbiamo rimarcato tra la "nuda" vita e la vita "umana" come una distinzione molto importante, anche allo scopo, dicevamo, di evitare i numerosi sofismi che muovono dalla cosiddetta "difesa della vita". Basti pensare qui a quanti malati di Aids muoiono in Africa ogni giorno in nome, appunto, della "difesa della (nuda) vita", in perenne lotta contro il profilattico.

In realtà, se si difende la vita umana e per esempio si approvano i trapianti, si deve allora ammettere il criterio della morte cerebrale. Altrimenti, se si difende la nuda vita (cioè in molti casi la vita artificiale, mostruosamente generata dall'accanimento terapeutico), allora è conseguenziale escludere il criterio della morte cerebrale, ma anche vietare i trapianti, al prezzo tragico e paradossale di condannare molti pazienti alla morte... in nome della "difesa della (nuda) vita".

Il criterio della morte cerebrale significa che, se l'elettroencefalogramma è piatto e quindi non c'è attività mentale, allora non c'è vita umana. "Pensiamo a Terry Schiavo, il caso americano che ha infiammato le cronache internazionali perché, dopo grandi polemiche, la sua vita artificiale fu interrotta", notava il professor Veronesi la settimana scorsa: "Ebbene, all'autopsia il cervello di Terry è risultato completamente devastato per cui è dimostrato che la ragazza non vedeva, non sentiva, non provava né fame né sete, né null'altro".

Ecco, i difensori della (nuda) vita dovrebbero spiegarci come si possa assimilare la vita umana a quella per esempio di un'ape che succhia del miele. All'ape può essere staccato di netto l'intero addome senza che essa mostri neppure di accorgersene. L'ape continuerà a succhiare il miele, e questi fuoriuscirà dal tronco del corpo mozzato.

Il sottile senso di orrore che proviamo dinanzi a questo resoconto scientifico è forse connesso all'assenza di umanità che la nuda vita proietta su di noi, assenza di sensibilità e percezione, assenza di dolore e piacere, assenza d'intellezione e volontà, di consapevolezza e coscienza, di entusiasmo e di rimorso.

Sulla via della classica distinzione tra la "nuda" vita e la vita "umana", fin qui tratteggiata, il paesaggio cambia repentinamente nel transito dalla prospettiva bio-etica a quella bio-politica.

Uno dei maggiori filosofi contemporanei, Giorgio Agamben, va imperniando da più di un decennio la propria indagine sugli enigmi della "nuda vita di fronte al potere sovrano". La riducibilità della persona umana a nuda vita offre al potere un'eccedenza di sovranità fondata sulla possibile revoca dei diritti tale da svuotare le categorie di cittadinanza, democrazia e sovranità popolare, afferma Agamben.

Molte volte nella storia è accaduto che certi diritti fondamentali siano stati revocati ad intere categorie di persone. Il caso classico, come ci ricorda Mario Vegetti nel suo bellissimo studio "Il coltello e lo stilo", risale al 322 a.C. quando il luogotenente imperiale Antipatro espulse i lavoratori ateniesi dal novero della cittadinanza in quanto dediti alla fatica delle braccia, considerata degna di uno schiavo ma non di un uomo libero. Dopodiché la storia pullula di teorie classificatorie secondo cui gli schiavi possiederebbero un natura sub-umana.

Una volta che il potere abbia avuto la forza di definire "schiavi" degli esseri umani, chi se la sente di escludere che gli schiavi non vengano poi ulteriormente ribatezzati "api", "formiche" o, al limite, "scarafaggi". Da questo punto alla privazione d'ogni diritto nella "nuda" vita il passo è breve. Ben si vede bene il tema oltrepassi ogni considerazione, pur doverosa e necessaria, dei problemi bio-etici connessi alla medicina, per investire questioni bio-politiche di portata generale.

Nel suo percorso di ricerca Giorgio Agamben prende le mosse da una categoria del diritto romano arcaico, l'uomo "sacer". Quest'espressione, che risponde alla valenza negativa della nozione di "sacro" in latino, significa all'incirca: esecrabile, detestabile, maledetto. "Homo sacer" designava una persona non esplicitamente condannata a morte, ma che poteva essere ammazzata da chiunque, senza che tale uccisione fosse considerata dalle autorità un omicidio in senso giuridico.

L'uomo esecrato, il "maledetto", è la figura giuridica di una vita umana (bios) dichiarata uccidibile, cioè spogliata di ogni sacralità, ridotta a vita nuda (zoe) esposta all'arbitrio sovrano.

Se da un lato, nei grandi incidenti di percorso, chiamiamoli così, del pensiero occidentale, la figura della "pubblica maledizione" fonda l'antropologia del nemico, del barbaro, della donna e dello schiavo, e poi ancora dell'infedele, dell'eretico e della strega, l'apice abissale di tutta la vicenda che Agamben ripercorre "da Aristotele ad Auschwitz" culmina nel campo di sterminio nazista.

E tuttavia il campo di sterminio non si presenta più soltanto come un luogo di morte assoluta, ma anche come sede di un esperimento impensato "in cui i confini fra l'umano e l'inumano si cancellano".

Attenzione, però, non stiamo disquisendo di cose avvenute sessant'anni fa, che alcuni vorrebbero dichiarare morte e sepolte: il Lager nazista - insiste Agamben - si ripresenta sempre più "come il paradigma biopolitico nascosto della modernità". E ogni tentativo di ripensare lo spazio della polis - tanto più nell'epoca della globalizzziazione e della sfida cosmopolitica - pone la necessità di ricomprendere la distinzione classica tra vita umana e vita nuda. - (1. continua)

venerdì 5 settembre 2008

Vita artificiale o umana?


Ipse dixit

Vita artificiale o umana? - «La definizione di vita [umana] è venuta a fine '900, quando è stata identificata la vita biologica [umana] con il pensiero: se l'elettroencefalogramma è piatto, non c'è attività cerebrale e dunque non c'è vita [umana]. ... Pensiamo a Terry Schiavo, il caso americano che ha infiammato le cronache internazionali perché, dopo grandi polemiche, la sua vita artificiale fu interrotta. Ebbene, all'autopsia il cervello di Terry è risultato completamente devastato per cui è dimostrato che la ragazza non vedeva, non sentiva, non provava né fame né sete, né null'altro.». - Umberto Veronesi

Cosa buona e giusta - «Donare gli organi è una cosa buonissima e la Chiesa lo ha sempre sostenuto. Certo la questione è delicata perchè, come si sa, gli organi devono avere ancora dei segni di vita per essere espiantati...». - Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute

L'Ipse dixit di oggi - Redigendo l'Ipse dixit abbiamo scelto di qualificare tra parentesi quadre, nella citazione del professor Veronesi, il sostantivo "vita" con l'attributo "umana" e ciò per chiarire una distinzione spesso trascurata, ma importante. E' chiaro che il professor Veronesi, riferendosi alla "definizione di vita" in rapporto alla misurazione delle attività cerebrali tramite encefalogramma, si riferisce esclusivamente alla vita umana e non per esempio a quella animale o men che meno a quella vegetale.
La distinzione è importante per evitare i sofismi sulla "difesa della vita". O si difende la vita umana e allora per esempio si lodano i trapianti. E quindi si conferma la validità del criterio della "morte cerebrale". Oppure si difende la vita in generale (inclusa quella vita artificiale che viene mostruosamente possibilitata dall'accanimento tecnico), ma allora si debbono condannare i trapianti.
Ovviamente, questo ha ricadute anche sull'intera discussione bio-politica, a partire dal dibattito sull'interruzione di gravidanza e le precauzioni anticoncezionali.
Qui la nostra tesi è questa: quando drammaticamente la scelta verte tra la dignità in actu della donna in quanto persona reale da un lato e la dignità in potentia di una struttura embrionale priva di vita cerebrale dall'altro, allora l'ultima parola spetta alla donna. - La red dell'ADL