mercoledì 30 marzo 2011

CONTRO IL NUCLEARE - CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA - CONTRO IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Acqua pubblica Trecentomila in piazza a Roma (Adnkronos) 'Un grande successo di popolo. Un risposta forte a chi vuole privatizzare l'acqua e riportare il nucleare in Italia'. Cosi' le oltre 70 associazioni del comitato 'Vota Si' per fermare il nucleare' esprimono la loro soddisfazione per la manifestazione di oggi a Roma. SÌ AI REFERENDUM CONTRO IL NUCLEARE CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA CONTRO IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO LAVORO E DIRITTI a cura di rassegna.it Sciopero generale anche per cambiamento politico Il segretario Fiom ha parlato alla Sapienza in un'assemblea in preparazione della mobilitazione del 6 maggio Lo sciopero generale vuole cambiare la situazione, contrastare Confindustria, contrastare le imprese, ma vuole anche cambiare il quadro politico, perché abbiamo bisogno che la politica torni a occuparsi di come si produce, dove si produce, come si combatte la precarietà". Lo ha detto Maurizio Landini, segretario generale Fiom Cgil, nel suo intervento nell'assemblea nazionale verso lo sciopero generale del 6 maggio che si è tenuta alla Sapienza oggi pomeriggio, venerdì 25 marzo. "Dobbiamo giorcarcela fino in fondo - ha proseguito Landini - perché questa partita deve essere vinta. E per vincerla dobbiamo certamente sconfiggere il Marchionne di turno, ma abbiamo bisogno anche di cambiare questo governo e cambiare questa politica, e dobbiamo dirlo con chiarezza". Poi Landini ha descritto la situazione in essere da un punto di vista più strettamente sindacale: "Non solo è avvenuta l'azione della Fiat a Pomigliano e Mirafiori, ma c'è stato il contratto separato nel pubbico impiego, nella scuola, nel commercio. Siamo di fronte ad un attacco che non ha precedenti", fino al punto che "aziende, come Fiat, possono oggi arrivare a scegliere se applicare il contratto nazionale o non applicarlo". In vista dello sciopero generale, dice ancora Landini, "dobbiamo avere piena consapevolezza che il 6 maggio dobbiamo svuotare i luoghi di lavoro",serve "capacità di unire", anche perché "la democrazia è sotto attacco nei posti di lavoro". Emigrazione italiana Donne e democratiche Il 18 marzo scorso è partita la Conferenza delle Donne Democratiche del PD in Svizzera, guidate dalla bindiana Anna Rüdeberg, che vuole "la valorizzazione dei Gruppi Donne all'interno di ognuno dei 29 Circoli del Partito Democratico della Svizzera e all'elezione della delegata delle Donne alla Segreteria del PD in Svizzera". All'incontro hanno partecipato, oltre alla Rüdeberg, Silvia Costa, europarlamentare, e Laura Garavini, deputata del Pd eletta in Europa con il potente supporto dell'ITAL-UIL di Dino Nardi che è l'attuale vicepresidente del CGIE (e che fu anche esponente di spicco del PSI fino al violento scontro con il segretario di allora, Angelo Ferrara). La situazione in Italia e in Europa è stata al centro delle preoccupazioni espresse da Laura Garavini e Silvia Costa, che hanno portato i saluti di Rosy Bindi e di Roberta Agostini, coordinatrice nazionale di Donne Democratiche. Non si segnala alcuna particolare presa di posizione sulle continue e pesanti interferenze ecclesiastiche a danno della laicità dello Stato, che pur rappresentano uno dei maggiori fattori di regressione sociale registrata nella condizione femminile durante questi anni di Seconda repubblica. IPSE DIXIT Lottano contro la fame - «Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgenti di vita per milioni di vite umane che lottano contro la fame!» – Sandro Pertini Sei ore, un anno - «I deserti della Terra ricevono dal Sole in sei ore più energia di quanta l'umanità ne consumi durante un anno.» – Gerhard Knies

mercoledì 23 marzo 2011

"Viva l'Italia!" anche in emigrazione

SÌ AI REFERENDUM

CONTRO IL NUCLEARE
CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA
CONTRO IL  LEGITTIMO IMPEDIMENTO       


Centocinquant'anni fa l’Italia era divisa e poverissima. Oggi compete con i Paesi più sviluppati. La rinascita è avvenuta grazie alla vittoria delle forze antifasciste giunta dopo due grandi tragedie belliche.

di Gianni Farina *)

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II ha proclamato il Regno d’Italia. Il 17 marzo 2011 in Italia si è celebrata la Festa nazionale per ricordare 150 anni da quella data storica.

    È stato il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, a volere fortemente rimarcare l’anniversario, invitando per il 2 giugno (Festa della Repubblica) 26 capi di stato europei, oltre a Stati Uniti, e Russia.

    Per questa importante occasione il Presidente della Repubblica ha ricordato gli italiani all’estero, poiché alla lista dei Paesi invitati ha aggiunto anche quelli dove vivono le comunità italiane più numerose.

    L’ostilità della Lega sull’indizione del 17 marzo Festa nazionale ha rivelato la fragilità dello spirito nazionale di una parte consistente degli attuali governanti.

    Bene ha fatto, quindi, il Capo dello Stato a sottolineare che “ricordare lo stato uinitario non è uno spreco di tempo né di denaro, è un investimento per il domani, per favorire la soluzione dei problemi che sono dinanzi a noi. Non c’è retorica - ha affermato - nel recuperare con fierezza il valore dell’unità e dell’indivisibilità nazionale con Nord e Sud uniti per il progresso”.

    Iniziate a Reggio Emilia con l’alzabandiera in occasione del compleanno del tricolore italiano, nato proprio nella città emiliana nel 1797, le celebrazioni si svolgeranno fino a novembre 2011 in Italia e nel Mondo.

    Ricordare i 150 anni dell’Unità d’Italia ci permette di riflettere sulla storia del nostro Paese: i grandi passi avanti realizzati in un secolo e mezzo, da quando l’Italia era divisa e poverissima, ad oggi, che compete con i Paesi più sviluppati; le due grandi tragedie belliche e la rinascita che ne seguì grazie alla vittoria delle forze antifasciste; il fasto della cultura del cinema e dell’arte, ma anche le divisioni e le contraddizioni economiche che accrescono il divario Nord-Sud.

    Invito anche i connazionali all'estero ad abbandonare a partecipare simbolicamente ai festeggiamenti dell’Unità d’Italia, esponendo la bandiera italiana sul balcone, ascoltando l’Inno di Mameli, telefonando oppure scrivendo una mail ad amici e familiari per ricordare la lotta e il sacrificio dei protagonisti del Risorgimento italiano: Garibaldi, Mazzini, i patrioti della repubblica romana e delle cinque giornate di Milano, Carlo Pisacane e i trecento "giovani e forti", caduti  combattendo per la libertà e la democrazia. Viva l’Italia!

*) Deputato del PD, eletto nella Circoscrizione Estero.
       

Il dibattito a sinistra

Il dibattito a sinistra - I

Base ineludibile della democrazia

Per quanto l’agonia possa essere non proprio breve, ci sembra che la fase in discesa di questo centro-destra sia iniziata e con essa anche quella di Berlusconi. Non sarà una fine indolore e preoccupa che chi dovrebbe, per funzione, essere l’alternativa, nei fatti non lo sia.

di Paolo Bagnoli

Da quando Silvio Berlusconi è venuto prepotentemente alla ribalta politica del nostro Paese le discussioni per comprendere il fenomeno che rappresentava – e continua peraltro a rappresentare – così anomalo come anche le recenti inquietanti vicende dimostrano, ha impegnato giornali, scrittori, intellettuali di vario tipo spaccando culturalmente un Paese che aveva, invece, bisogno di ritrovarsi non tanto nella categoria della “condivisione”, che a dire il vero non si capisce cosa voglia dire se non composizione della lotta politica per evitare di farsi troppo male, quanto nell’etica repubblicana; ossia, in quei valori che, al di là delle collocazioni di schieramento e di militanza politica, legittima l’insieme della vita democratica.

    L’errore nella valutazione è consistito nel fatto che, per una lunga fase, si è ritenuto che, in quanto leader di uno schieramento di destra, Berlusconi fosse, da chi in esso non si riconosceva e vi si poneva in senso alternativo, l’emblema di una nuova destra nata sullo sfaldamento delle forze storiche della democrazia italiana, caratterizzata dai nuovi approdi degli eredi di Almirante.

    In effetti le cose non stanno così. La dissociazione di Fini e la rottura del Pdl ci dicono che esiste una differenza profonda tra lo stesso centro-destra e il berlusconismo. Il centro-destra, infatti, ambiva a rappresentare una politica, non condivisibile, talora eversiva nei confronti della Repubblica e di quanto la ha generata, falsamente liberale e improvvisata nell’esercizio del governo, ma pur sempre uno schieramento che, benché raffazzonato e di basso livello di classe dirigente, esprimeva una intenzione politica. Il berlusconismo no; il centro-destra era, ed è, il mezzo con il quale Berlusconi persegue l’affermazione del disegno valoriale che egli ritiene di rappresentare e, per tali motivi, costituisce un fattore assai più grave della sua stessa coalizione. Le vicende ultime, squallide e arroganti, lo confermano con palmare chiarezza.

    Silvio Berlusconi, avendo a motivazione e fine della propria ragione politica solo se stesso, rappresenta la coniugazione politica di vizi, facilonerie, ottimismi fasulli, testimonianza di potenza e di una superegoità con la quale, secondo l’interesse suo proprio, egli pilota lo schierament0o politico di cui è dominus indiscusso anteponendo un proprio costume non solo alla elementarità dei comportamenti morali, ma pure alla sostanza propria dell’operare politico. In tal senso è fonte ed esempio di mala educazione collettiva non solo perché simula e dissimula a piacimento, ma in quanto, invece di perseguire l’interesse collettivo – che è un fine sempre politico – è solo interessato a trarre, dalla posizione che occupa, e per quanto i suoi ingenti mezzi riescono a muovere, una risoluzione in senso personal-privatistico.

    Detta per le spicce Berlusconi riduce l’esercizio massimo del potere a egoismo conclamato, affermato e perseguito in virtù di quella dote di furbizia che agli italiani, siamo sinceri, piace tanto. La sostanza della sua politica consiste solo nell’imporre quanto gli torna comodo offrendosi come soggetto positivo del modo migliore con cui si può essere veri italiani. Egli è l’espressione più vera e credibile della malattia morale che affligge l’Italia dall’inizio degli anni ’90 e, purtroppo, una constatazione solo politicistica o di tecnica politica da parte delle varie opposizioni, non ha permesso di mettere a fuoco la questione che è, invece, fondamentale, per cercare di risalire la china dello sfarinamento della democrazia italiana. La questione culturale precede, quindi, quella politica ed è a essa propedeutica.

    Quale possa essere il futuro dell’Italia è difficile dire; ma certo, per quanto l’agonia possa essere non proprio breve, ci sembra che la fase in discesa di questo centro-destra sia iniziata e con essa anche quella di Berlusconi. Non sarà, tuttavia, una fine indolore e preoccupa che chi dovrebbe, per funzione, esserne l’alternativa, nei fatti non lo sia, ben oltre le parole, le firme, gli slogans e le proteste di vario tipo che agita.

    E’ nella dinamica della storia che anche questa vicenda prima o poi finisca, ma nessuno può solo azzardare quale pagina si troverà l’Italia dopo aver girato quella ingloriosa dei tempi presenti. Una cosa è certa: dalla crisi materiale, anche se molto faticoso e non senza prezzi salati, ci si può riprendere in tempi ragionevoli; non è così per quelle morali e questo è un dato assai preoccupante poiché la morale è, nei sistemi democratici, la base ineludibile della democrazia.    

Il dibattito a sinistra - II

Fondazione Nenni: "Socialisti apolidi"

Anche se non esiste un partito che si possa definire lontanamente socialista, esistono tanti socialisti

Diciamo subito chi siamo e che cosa vogliamo. Siamo socialisti che si riconoscono nella storia del PSI. Oggi siamo socialisti apolidi o, per usare la definizione di Silone, “socialisti senza partito”. Vogliamo contribuire alla rinascita di un socialismo all'altezza dei tempi.

    Mentre nei paesi europei sopravvivono partiti con il nome antico del socialismo, in Italia è scomparsa anche la vecchia casa dei socialisti. Ma se non esiste un partito che si possa definire lontanamente socialista, esistono tanti socialisti; molti si ignorano o militano altrove. Questo vuoto va riempito, ma il nuovo socialismo può essere costruito solo su un terreno vergine.

    Vogliamo dialogare su questa speranza offrendo informazione, cultura e soprattutto idee ai socialisti singoli o associati che non si sono rassegnati. E che vogliono rimettersi in piedi e intraprendere la nuova lunga marcia verso il “sol dell'avvenire”.

Potete trovarci e dialogare con noi iscrivendovi al blog della Fondazione Nenni all'indirizzo: http://fondazionenenni.wordpress.com    

L'ex procuratore militare di Pinochet Alfonso Podlech non deve lasciare l'Italia

Interrogazione parlamentare


L'on. Fabio Porta (PD) ai Ministri degli Esteri e della Giustizia.

Vorrei dare voce allo sconcerto e all’allarme dei parenti e dei molti italiani di sentimenti democratici che vivono in Sud America per la concessione della libertà provvisoria ad Alfonso Podlech da parte del Tribunale per il riesame di Roma.

    Podlech è stato al tempo del golpe del generale Augusto Pinochet procuratore militare e in tale veste ha pronunciato sentenze che hanno inciso sulla libertà e sulla vita di migliaia di persone, colpevoli solo di essere oppositori del regime militare. In particolare, egli emanò un «ordine di rilascio» di Omar Roberto Venturelli, un sacerdote d’origine italiana molto impegnato nella difesa degli indios senza terra, un ordine che significò concretamente la consegna del sacerdote nelle mani dei torturatori. Di Venturelli, che seguendo il consiglio del padre, emigrato dalla provincia di Modena, si era costituito volontariamente come segno della sua innocenza, non si è saputo più nulla.

    Podlech, diventato nel frattempo un famoso avvocato, è stato arrestato nel 2008 su ordine del giudice Garzon mentre transitava nell’aeroporto di Madrid e successivamente estradato in Italia su richiesta dei giudici di Roma. I suoi difensori più volte hanno fatto istanza di scarcerazione, ma la richiesta è stata sempre respinta, fino all’inaspettato pronunciamento di qualche giorno fa, motivato con il fatto che non sussisterebbe il pericolo di fuga. Eppure, per il 5 aprile era già fissata la requisitoria del pubblico ministero e per la fine di aprile si attendeva la sentenza. Perché tanta precipitazione?

    La probabile fuga dell’imputato, infatti, renderebbe più difficile l’accertamento dei fatti e vanificherebbe l’attesa di verità e giustizia che da decenni perseguono parenti e movimenti democratici cileni.

    Non posso fare a meno di sottolineare l’obiettiva coincidenza tra questa vicenda e la visita a Roma del nuovo presidente del Cile Sebastian Pinera, di orientamento conservatore. Tanto più che uno zio ultranovantenne di Pinera, già vescovo della città dove Venturelli è stato incarcerato, ha traversato l’Atlantico per testimoniare a favore di Podlech.

    Ho presentato, assieme all’on. Tempestini e Miglioli e agli altri deputati del PD eletti all’estero, un’interrogazione al Ministro della Giustizia per chiedere che sia verificata la regolarità delle procedure seguite per la concessione della libertà provvisoria. La stessa cosa ha fatto l’on. Miglioli, che proviene dalla zona d’origine del padre di Venturelli. Ho anche chiesto al Ministro degli Esteri di rappresentare alle autorità cilene l’interesse del governo italiano ad una regolare e completa applicazione della sentenza nei confronti di Podlech, qualunque essa sia.

    Nello stesso tempo credo sia opportuno che l’opinione pubblica italiana sappia e segua con attenzione gli sviluppi del processo, che prima di essere un caso giudiziario, è un delicato punto di principio e di difesa della libertà e della democrazia. Con evidenti ricadute in paesi dove i nostri connazionali hanno pagato anche con la privazione della libertà e con la vita le conseguenze delle dittature militari che si sono susseguite.

On. Fabio Porta
Deputato del PD, eletto nella Circoscrizione Estero    

DAI BACIAMANO ALLE BOMBE?


Riceviamo e volentieri pubblichiamo
L'Italia è pronta a partecipare con mezzi, basi e uomini per la soluzione della crisi in Libia. Questa l'indicazione che emerge dal Consiglio dei ministri straordinario di ieri (18 marzo). Bobo Craxi (responsabile esteri del PSI) ha commentato: "Qualsiasi cambio repentino di posizione politica dovrebbe essere assunto con un voto parlamentare, tanto più se esso cancellasse lo status quo ante nei rapporti con la Libia".

“Nella diversificazione del voto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla vicenda libica sono emersi tutti i limiti della politica estera degli europei”. E’ quanto afferma il responsabile esteri del Psi, Bobo Craxi.

    “La prudenza tedesca e il piglio interventista anglo-francese”, spiega Craxi, sono la fotografia di questa divisione, che non è altro che una diversa interpretazione dei moti che stanno scuotendo il Nord Africa. La posizione italiana, mi auguro si mantenga in una giusta e corretta via di mezzo: qualsiasi cambio repentino di posizione politica dovrebbe essere assunta con un voto parlamentare, tanto più se essa cancella lo ‘status quo ante’ nei rapporti con la Libia. Si tratta di non venir meno ai nostri doveri nei confronti delle Nazioni Unite e, al contempo, di non apparire, in questa fase, più ‘realisti del Re’: sarebbe disprezzabile. La nostra attuale debolezza internazionale non giustifica un’assenza di protagonismo politico sulla vicenda mediterranea: essa non si riconquista soltanto con la concessione delle basi”, conclude Craxi, “ma con una concreta iniziativa di carattere politico”. Starà poi a Gheddafi evitare il peggio.     


Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Superare la crisi. Ora!

L'Europa continua a dimostrare grandi difficoltà nel mettersi alle spalle la crisi finanziaria ed economica

di Gianni Pittella *)

L'Europa continua a dimostrare grandi difficoltà nel mettersi alle spalle la crisi finanziaria ed economica. Se la risposta in termini di regolamentazione e supervisione finanziaria, come dimostrato dalla recente creazione  delle 3 autorità europee di supervisione finanziaria, bancaria e assicurativa, é stata all'altezza della situazione  non si può dire lo stesso per le risposte offerte in termini di rilancio economico.

    Questa schizofrenia nella risposta europea alla crisi che vede da un lato le istituzioni europee impegnate nella ridefinizione delle regole per i mercati finanziari e per la disciplina finanziaria degli Stati membri e dall’altro la quasi totale assenza di proposte e strumenti per la definizione di politiche sociali, diventa sempre più stridente perché ingiusta ed inadeguata allo stesso tempo. Ingiusta perché i tagli alle politiche sociali significano far pagare due volte la crisi a quei cittadini, a quei lavoratori e a quelle piccole imprese che hanno già subito le conseguenze economiche della recessione ed inadeguata perché non in grado di rispondere in modo sostenibile agli obiettivi di crescita di lungo termine, di creazione di occupazione, di inclusione e coesione sociale.

    Questa debolezza rischia di allontanare i cittadini dal grande progetto dell'integrazione europea. Vi è il rischio che si saldino dinamiche di un ritorno a protezionismi nazionalistici con dinamiche di localismi miopi, allontanando l'Europa non solo dal nobile processo della sua integrazione e del suo allargamento, ma soprattutto dalla necessità della costruzione un sistema economico sociale giusto inclusivo e competitivo che sappia rispondere alle sfide della globalizzazione, dell’immigrazione e dell’invecchiamento demografico.

    Per avere un quadro chiaro rispetto a questa dinamica divergente delle risposte che l'UE sta dando nel tentativo di uscire dalla crisi può essere utile fare una rapida panoramica degli strumenti e delle politiche più rilevanti attualmente in via di definizione - riforma della governance economica  e strategia EU2020 - con l'obiettivo di individuarne i limiti e le potenzialità.

    La Governance economica parte con un pregiudizio di base, quello della necessità del consolidamento finanziario come obiettivo primario e separato rispetto a quello dello sviluppo, della crescita e dell’occupazione. Il nuovo patto di stabilità con i meccanismi correttivi automatici non offre alcun riferimento alla necessità di un'analisi della qualità della spesa pubblica, di una distinzione tra spese per investimenti produttivi e protezione sociale – che dovrebbero essere valutati a parte o "contabilizzati" in modo differente - e la spesa corrente o improduttiva. Questo è chiaramente un limite grave per le conseguenze potranno prodursi nel tempo.

    Il sistema della governance economica, tutto centrato sul consolidamento finanziario e la disciplina di bilancio trova il suo contraltare nella Strategia EU 2020 che dovrebbe costituire il percorso tracciato dall’Europa e gli Stati membri per creare crescita sostenibile e occupazione. Notiamo subito pero che, mentre il pacchetto della governance è basato su meccanismi vincolanti e sanzioni severe, la strategia per lo sviluppo economico è basata su un semplice sistema di coordinamento non vincolante tra gli Stati membri e, soprattutto, senza specifiche adeguate risorse finanziarie. Invece a livello europeo cosi come a livello nazionale e territoriale gli obiettivi fissati dalla strategia EU2020, dovrebbero ricevere un attenzione molto maggiore.

    Non dimentichiamo infatti che la strategia EU2020 resta il perno più avanzato su cui far leva per spingere la Commissione europea, il Consiglio e i governi nazionali verso delle politiche economiche e sociali più equilibrate, che possano costituire un alternativa a politiche di risanamento e consolidamento finanziario cosi rigide da impedire ogni possibilità di investimenti e crescita facilitando dinamiche quasi recessive con bassi livelli di reddito e consumo che renderanno ancora più difficile per gli Stati membri far fronte alla crisi dei debiti sovrani e ripagare il loro debito pubblico. Il compito del Parlamento europeo é proprio quello di sottolineare questo errore di impostazione e visione politica e modificare il cammino.

*) Europarlamentare (Gruppo "Socialisti e Democratici"), Vicepresidente vicario del Parlamento Europeo 



LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it

Cgil, riparte la corsa della cassa integrazione

L’allarme del sindacato: a febbraio 400mila dipendenti in ferie forzate, +17% su gennaio. Cresce sia la cig straordinaria sia quella in deroga. Effetti sulla busta paga, -1.258 euro. "Urgono interventi straordinari di riconversione industriale"

Dopo un primo flebile calo registrato a gennaio, la cassa integrazione ha ripreso a crescere, mettendo a segno a febbraio un aumento congiunturale del +17,2% con aumenti pesanti sia per la cassa straordinaria sia per quella in deroga. Dietro questi dati ci sono 400mila lavoratori coinvolti dai processi di cassa, con oltre 123mila in cassa in deroga, che nei soli primi due mesi dell’anno hanno già perso poco più di 500milioni di euro, pari a 1.258 euro netti in meno in busta paga. È quanto emerge dalle elaborazioni dei dati Inps da parte diffuse il 17 marzo dall’osservatorio cig del dipartimento Settori produttivi della Cgil. Il rapporto del sindacato fa parte di un dossier sulle ragioni dello sciopero generale del 6 maggio incentrato proprio sui temi del fisco e del lavoro.

    “Archiviati i primi segnali di ripresa, evidentemente non rappresentativi di una inversione di tendenza, occorre urgentemente far ripartire il volano della crescita”, rileva il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, rilanciando le proposte del sindacato alla base dello sciopero del prossimo 6 maggio. “Servono interventi sui redditi da lavoro e da pensione così come è necessario far uscire dalla crisi le migliaia di aziende in cassa integrazione straordinaria e le centinaia che si trovano in amministrazione straordinaria, perché non vi siano licenziamenti”.

    Alla luce dei dati di febbraio della cig, inoltre, “tornano di attualità, come un macigno, i numeri sull’occupazione maturati nella crisi del 2010, dove solo attraverso la cig ci sono stati oltre due milioni di lavoratori parzialmente sospesi, senza contare quelli in mobilità o in disoccupazione ordinaria e ridotta”. La Cgil chiede quindi al governo “un intervento straordinario per favorire i processi di riconversione industriale sostenendo e incentivando le innovazioni, a partire da un passo indietro del governo sulle rinnovabili per evitare rischi certi sulle imprese e sull’occupazione”.

    In ordine di “gravità”, gli aumenti anno su anno da riportare riguardano i settori: commercio (+27,2%), legno (+22,2%), trasformazioni minerali (+74,5%), alimentare (+96,1%), edilizia (+197%), metallurgico (+58,1%), estrazioni minerali (+259,5%). I settori che presentano un maggiore volume di ricorso alla cigd sono quello del commercio (11.70.459 ore) e il meccanico (12.292.143 ore) che resta il settore con il maggiore ricorso. Le regioni maggiormente esposte con la cigd da inizio anno sono la Lombardia con 8.036.769 ore, il Veneto con 6.081.561 ore e l’Emilia Romagna con 3.439.384 ore. Ma anche nelle regioni meridionali si segnano forti aumenti, la richiesta di cigd in Basilicata incrementa sui primi due mesi dello scorso anno del +7.695,8% mentre la Calabria del +2.738%. Tornano ad aumentare i contratti di solidarietà (+15,5%) che rappresentano il 18,6% del totale dei decreti.

       

martedì 15 marzo 2011

IN BREVE

 - a cura di rassegna.it 

Giappone
Terremoto tra i 10 più violenti da 150 anni

Il terremoto di magnitudo 8,9 che ha colpito il Giappone è fra i dieci più violenti avvenuti negli ultimi 100-150 anni, ossia da quando esistono gli strumenti per calcolare l'energia liberata dai terremoti. Lo ha detto il presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Enzo Boschi. Dopo il violentissimo sisma il governo nipponico ha proclamato lo stato di allarme e chiuso 11 centrali atomiche. In una si registra un aumento di radiazioni e 6000 cittadini sono stati evacuati. Intanto in Italia gli ambientalisti tornano a farsi sentire.




Italia in crisi
Meno ricchi e reddito medio in calo

Ci sono meno ricchi in Italia. "Il Sole 24 Ore" ha anticipato oggi i dati delle dichiarazioni dei redditi raccolti dal dipartimento delle Finanze per il 2009. La crisi sembra infatti aver colpito anche i redditi alti, quelli sopra i 200.000 euro, che sono diminuiti del 7 per cento. Solo lo 0,71 per cento dei contribuenti ha dichiarato cifre sopra i 200.000 euro mentre quelli con più di 70.000 euro si sono ridotti di 3.000 unità. 19.000 il reddito medio. Giovani senza lavoro in aumento.




Draghi
La mafia frena lo sviluppo

Le cosche mafiose sono ben infiltrate In Lombardia. E in Puglia e Basilicata sono costate, nell'arco di trent'anni, una perdita di Pil di venti punti percentuali. Il prezzo da pagare è alto, sia in termini di peggiore convivenza civile, sia per il mancato sviluppo economico. È l'allarme rilanciato dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi. "Contrastare i tentativi d'infiltrazione, inibiscono la crescita e piegano le speranze dei giovani onesti".




Pil rivisto al rialzo
+1,5% sull'anno

Il Prodotto interno lordo italiano nel quarto trimestre del 2010 è aumentato dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente e dell'1,5 per cento rispetto al quarto trimestre del 2009. Lo rileva l'Istat, in base a dati corretti per effetti di calendario e destagionalizzati.




Incidenti lavoro
3 feriti gravi a Cuneo, Pavia e Parma

Uno dopo l’altro. Anche oggi, 11 marzo, non si arrestano gli incidenti sul lavoro. A Paesana, in provincia di Cuneo, un addetto di 47 anni è stato colpito da una scarica elettrica da 70mila volt. A Cilavegna, nel pavese, un edile di 53 anni è precipitato da un ponteggio. A Noveglia di Gravago, in provincia di Parma, un taglialegna è stato travolto da un grosso ramo mentre potava una pianta. I tre operai sono ricoverati in condizioni molto gravi.




C-Day
Sabato in piazza per la Costituzione e la scuola

Manifestazioni a Roma, in molte città italiane ed europee. "Sarà una grande mobilitazione tricolore". Tutti contro il governo, con una copia della Carta e la bandiera. Gli studenti tornano a difendere la scuola pubblica. La diretta dalle 14.      

Socialisti in lutto - Giuseppe Manfrin (1925-2011)

Partigiano, segretario di federazione, responsabile della "Stampa e Propaganda" del Psi negli anni ‘70, memoria storica del socialismo italiano dopo la diaspora.

È mancato domenica scorsa Giuseppe Manfrin. Era nato a Rovigo il 23 luglio del 1925.
    Partigiano e segretario di federazione, era stato responsabile della sezione Stampa e Propaganda del Psi negli anni ‘70, vicepresidente dell’Associazione Amici dell’Avanti! e memoria storica del Partito Socialista Italiano anche e soprattutto dopo la diaspora.

    Manfrin aveva conservato documenti, appunti, fotografie di oltre un secolo di storia socialista e per L’Avanti! della domenica aveva curato una seguitissima rubrica settimanale, dove si ricordavano i fatti salienti del partito attraverso le biografie di compagni conosciuti e celebrati, ma anche dei tantissimi dimenticati che pure avevano fatto grande il Psi.

    La sua era una rievocazione spesso sorprendente e mai banale, alimentata da una passione politica che non si era mai spenta. Manfrin spesso riusciva a riportare alla luce fatti inediti, grazie  anche al suo grande archivio.

    Collaboratore fedelissimo de L'Avanti della Domenica. Manfrin verrà ricordato tra i socialisti come un compagno intelligente, appassionato e tranquillamente fedele alle proprie idee, nel bello e nel cattivo tempo.

Vai al sito deL'Avanti della Domenica: www.avantidelladomenica.it      

Finocchiaro: "Sì al confronto, no alle bugie"

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


GIUSTIZIA: FINOCCHIARO, "QUESTA RIFORMA NON C'ENTRA CON BICAMERALE E NON VELOCIZZA PROCESSI".

"E' evidente che il PD non si sottrarra' al confronto in Parlamento sulla riforma costituzionale della giustizia proposta dal Governo. Ma il centrodestra eviti le bugie e la propaganda: l'impianto di questa riforma non c'entra nulla con le norme che erano contenute nel testo della Bicamerale,  che erano inserite - tra l'altro - in un contesto piu' largo di riforma costituzionale complessiva, e non accorciano di un giorno i tempi dei processi. E la responsabilita' del fallimento della Bicamerale non e' certo ascrivibile al centrosinistra ma a Silvio Berlusconi".  Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato.

"Noi siamo consapevoli che la giustizia italiana - prosegue Anna Finocchiaro - ha bisogno di riforme ma sappiamo anche che l'urgenza e' la velocizzazione dei tempi, la riorganizzazione delle sedi, l'informatizzazione. Tutte cose che potrebbero essere affrontate con leggi ordinarie e non attraverso una lunga riforma costituzionale che non e' certo una priorita' per i cittadini italiani. Invito quindi il centrodestra e il Governo ad evitare una propaganda faziosa e bugiarda. La riforma del Governo ha un forte impianto ideologico sbagliato che non ci convince. Ma proprio per questo non ci sottrarremo al dibattito in Parlamento e presenteremo le nostre proposte la cui logica e la cui impostazione non hanno nulla  a che vedere con quelle presentate dal Governo".

MEMORIA STORICA

RICORDAANDO PLACIDO RIZZOTTO

Durante la seconda guerra mondiale prestò servizio nell'esercito sui monti della Carnia con il grado di caporale prima, di caporal maggiore poi e infine di sergente. Dopo l'8 settembre Placido Rizzotto si unì ai partigiani delle Brigate Garibaldi, confluite poi nel Comando Unico della Repubblica Libera di Ampezzo. Aderi alla componente socialista guidata da Giovanni Cleva (presidente del CLN) e Candido Grassi (nome di battaglia: "Verdi").

    Rientrato a Corleone al termine della guerra, iniziò la sua attività politica e sindacale. Ricoprì l'incarico di segretario della Camera del lavoro di Corleone, fu esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e della CGIL.

    Venne rapito dalla mafia la sera del 10 marzo 1948, mentre si recava da alcuni compagni, e ucciso per il suo impegno a favore del movimento contadino d'occupazione delle terre.

    Il pastorello Giuseppe Letizia vide di nascosto gli assassini e per questo venne assassinato con un'iniezione letale fattagli dal boss (e medico della mafia) Michele Navarra, mandante del delitto.

    Le indagini sull'omicidio furono condotte dall'allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Vennero arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammisero di aver preso parte al rapimento in concorso con Luciano Liggio.

    Placido Rizzotto è una pietra miliare sulla strada dell’affermazione dei diritti dei lavoratori, contro le vessazioni di un sistema criminale e mafioso che ha sempre sostenuto privilegi ed ingiustizie.

    "Le sue scelte di vita e il suo operato rappresentano il percorso da seguire per quanti vogliono vivere da persone libere da qualsiasi forma di sfruttamento e prevaricazione e per quanti, familiari di boss compresi, vogliono riscattare in termini di dignità e di radicale cambiamento le proprie vite da collusioni e crimini mafiosi”, ha affermato il sen. Giuseppe Lumia durante la commemorazione di Placido Rizzotto, a Corleone, nell’anniversario del suo assassinio. 

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L'utopia di una penisola che non c'è

"Italia e migrazione in Svizzera" è il titolo di uno dei reportage in programma su ReteDue in occasione dei 150 anni dalla nascita dell'Italia come stato unitario.

Sonja Riva, corrispondente da Roma per la radio svizzera, ha intervistato a Zurigo ragazze, ragazzi ed esponenti della società civile di lingua italiana, mettendo in luce l'angolatura "migrante" sul nostro Paese in una stagione nella quale l'immagine dell'Italia all'estero è decisamente in ribasso per le ben note vicende mediatico-giudiziarie dell'attuale premier.

    La trasmissione, che ha riscosso molto interesse e numerosi apprezzamenti, è disponibile in audio sul sito di ReteDue. Si tratta di un racconto sotto forma di reportage, attraverso vari incontri con italiani di generazioni diverse, che vivono a Zurigo.

    Svariate provenienze, ed estrazioni sociali differenti, per tracciare attraverso tante storie personali un’immagine dell’Italia di ieri e di oggi.

    Lungo il filo dei ricordi, d’identità sociali e culturali sospese o di doppie identità, Sonja Riva tesse l'arazzo "migrante" di una "penisola che non c’è". Lo fa con cipiglio critico, ma tutto sommato benevolo per un'esponente della stampa esterea di questi tempi.

Per ascoltare (o riascoltare) la trasmissione clicca qui:
http://retedue.rsi.ch/home/networks/retedue/laser/2011/03/10/migrazione-in-CH.html#Audio

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Comunicare oltre il confine

Un progetto per gli ottanta milioni di emigrati di origine italiana

Comunicare oltre il confine
DAL 150° DELL’UNITA’ D’ITALIA AD EXPO 2015
un progetto per gli ottanta milioni di emigrati di origine italiana
 
MARTEDI’  15 marzo 2011 ore 11,30
SALA STAMPA DI PALAZZO MONTECITORIO
Via della missione 4 - Camera dei Deputati – Roma
 
L’esposizione dell’iniziativa e dell’applicazione per iPad iPhone iPod avverrà con il supporto della televisione a TRE D senza uso di occhiali speciali.       



LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it

La patrimoniale non va bene?
Aspettiamo un'altra idea.

Tutti guardano il dito (la patrimoniale) e non la luna (il debito pubblico). Così, chi boccia la patrimoniale non si sente in dovere di proporre un'alternativa valida su come abbattere la nostra montagna debitoria.

di Roberto Tamborini
http://www.nelmerito.com/

Nelle settimane scorse si è acceso l'ennesimo fuoco di paglia intorno a intenzioni vere o presunte d'introdurre una "tassa patrimoniale" alla scopo di aggredire il debito pubblico del nostro paese, e spingerlo su un sentiero di discesa. Tutti hanno guardato il dito (la patrimoniale) e non la luna (il debito pubblico). Così, chi ha bocciato la patrimoniale, non si è sentito in dovere di proporre un'alternativa valida su come abbattere in maniera sollecita la nostra montagna debitoria.

    Come tutte le imposte, anche la cosiddetta patrimoniale ha vari pro e contro, di cui potete trovare un resoconto anche nella nostra rivista. Si tratta dunque di materia complessa, ma nel nostro paese c'è l'aggravante, anzi il virus letale, della fortissima carica ideologica e demagogica che sprigiona questo strumento fiscale. Per cui, su questa strada, non si riesce a fare un passo avanti.

    Il mio intervento non e però nello specifico della proposta. Ma sullo scopo che si prefigge, che invece è scomparso dalla scena. La gestione del debito pubblico sarà il primo e soverchiante vincolo e problema che graverà sulle politiche economiche dei governi occidentali per molti anni. E l'Italia, lo sappiamo anche se non ce lo diciamo con la dovuta determinazione, resterà in cima alla lista dei paesi a rischio. Vorrei provare a dare un quadro della situazione, e qualche richiamo al senso di realtà.

    Secondo Eurostat, l'Italia ha chiuso il 2010 con un rapporto debito/PIL del 119%, in risalita dagli anni precedenti. Le nuove norme del Patto di stabilità e crescita (PSC), introdotte l'autunno scorso per rassicurare gli investitori sulla volontà di riportare sotto controllo i debiti sovrani dei paesi euro, ci richiederebbero un piano di rientro di 1/20 all'anno dell'eccesso del debito/PIL sulla fatidica quota 60%. Dunque si tratta di 1/20 di 59 punti di eccesso, ossia circa 3 punti di PIL all'anno.

    La dinamica tendenziale del debito/PIL può essere ricondotta a poche variabili: il tasso d'interesse medio sul debito esistente, il tasso di crescita nominale del PIL (crescita reale + inflazione), il saldo primario del bilancio pubblico (gettito fiscale totale - spesa totale al netto degli interessi). Se il tasso d'interesse è maggiore della crescita nominale, il debito/PIL tende a crescere. Per stabilizzarlo o per farlo scendere, occorre creare un avanzo fiscale primario (spendere meno o tassare di più) e mantenerlo per un numero sufficiente di anni. Il tasso d'interesse a lungo termine (titoli di stato decennali) nel corso del 2010, in media è stato del 4% (1,3% sopra quello tedesco), con una punta del 4,2% (1,7% sopra quello tedesco). La crescita nominale annuale media 2000-08 (cioè prima della crisi) è stata del 4,2% (1,4% reale + 2,8% inflazione). Le previsioni della maggior parte degli istituti, per i prossimi due-tre anni, sono inferiori, sia dal lato reale che da quello dell'inflazione. Sempre nel 2010, il saldo primario della pubblica amministrazione è stato leggermente in surplus, 0,7% del PIL. Questo è il quadro che possiamo definire dello status quo, riassunto nella tabella seguente.

    In base alla regoletta ricordata sopra, risulta evidente che il mantenimento dello status quo non è compatibile con la riduzione del debito/PIL, sempre che non vi sia invece una leggera spinta all'aumento. La ragione è che il contributo alla riduzione del debito/PIL dato dalla crescita nominale è, nella migliore delle ipotesi, interamente divorato dal pagamento degli interessi; il rimanente contributo proveniente dall'avanzo primario è di entità trascurabile. Il fatto è che se il nostro debito/PIL non comincia a scendere, il quadro clinico può peggiorare. Infatti il tasso d'interesse sul nostro debito dipende, tra l'altro, dal "premio di rischio" (il famigerato spread) chiesto dagli investitori rispetto ai paesi virtuosi (la Germania). Se il nostro debito/PIL si allontana da quello tedesco, anziché avvicinarsi, il nostro tasso d'interesse salirà, dando un'altra spinta al rialzo al debito/PIL. Insomma scatterebbe un letale circolo vizioso.

    Ora, proviamo a chiederci, nello scenario della tabella 1, quanto dovrebbe essere l'avanzo primario per realizzare il piano di rientro richiesto. Risposta: 3,5% del PIL il primo anno, con un piccola riduzione di un decimale ogni anno seguente. Il risultato è dato da un modello (1) che tiene conto del fatto che la riduzione del debito/PIL rispetto a quello tedesco abbassa il nostro tasso d'interesse (circa mezzo punto l'anno), ma che anche la Germania, partendo da un debito/PIL di oltre il 70%, adotti il piano di riduzione richiesto dal PSC. Per l'Italia stiamo parlando di una manovra netta da 54 miliardi, da conficcare come un cuneo nei nostri conti pubblici per numerosi anni. Segnalo che il modello, ottimisticamente, non considera l'ipotesi che questa manovra abbia effetti negativi sulla crescita tendenziale. Se pensiamo al grosso sforzo che è stato chiesto al paese (e al suo Ministro dell'economia) per raggranellare l'attuale 0,7% di avanzo primario, abbiamo un'idea della situazione estremamente problematica in cui ci troviamo. Siccome l'Italia è il paese meno peggio tra i più rischiosi, e quindi figuriamoci gli altri, nessuna persona di buon senso può credere che il nuovo PSC verrà mai applicato seriamente, trattandosi dell'ennesima verniciatura della facciata di un edificio mal costruito, buttata lì in fretta e furia per sedare l'opinione pubblica tedesca. Ciò nonostante, le cifre che ho fornito dicono che comunque l'Italia dovrà dare un segnale robusto di riduzione del debito/PIL.

    Anche Francesco Giavazzi ha scritto che l'approccio unicamente fiscale al problema dei debiti sovrani è un errore (2). La vera soluzione è più crescita (reale) per tutti. La crescita è sempre una buona cosa, una medicina per tanti mali. Ma pochi si chiedono: quanto dovremmo crescere? Ho riutilizzato lo stesso modello di prima per calcolare quale crescita tendenziale nominale sarebbe necessaria per realizzare il piano del nuovo PSC lasciando invariato l'attuale avanzo del bilancio primario, cioè senza ulteriori sacrifici fiscali: il risultato è 6%. Se prendiamo per buono il margine superiore di tolleranza dell'inflazione della BCE, 2,5%, il PIL del nostro paese dovrebbe crescere mediamente il 3,5% l'anno per parecchi anni.

    Sono ormai trent'anni che il nostro paese (e il resto dell'Europa "matura", per la verità) non è più in grado di esprimere un trend di crescita di questa entità. In tutta franchezza, è un'ipotesi che possiamo seriamente prendere in considerazione? Certo, non esiste un destino ineluttabile che la impedisca, ma per realizzare un tale obiettivo occorrerebbe - tra molti altri ingredienti sociali, politici ed economici di cui non si vede traccia - una manovra fiscale iniziale di riduzione delle entrate di entità tale che difficilmente potrebbe trovare compensazione dal lato delle uscite, almeno per il periodo di tempo necessario a dar frutti sulla crescita tendenziale. Il contesto internazionale, soprattutto quello europeo che offre lo sbocco principale del nostro export, difficilmente potrà aiutare. Nel frattempo, i conti pubblici potrebbero peggiorare e dovremmo implorare e sperare che la Commissione europea e gli investitori accettino la nostra promessa-scommessa sull'ennesimo rinvio della riduzione del debito/PIL. Sperimentiamo così ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, uno dei peggiori difetti della cocciuta insistenza euro-tedesca sul controllo dei conti pubblici per mezzo di tetti e vincoli: vengono inibite le politiche virtuose che hanno costi nel breve periodo ed effetti benefici nel lungo periodo.

    Se non si vuol abbattere il debito con interventi fiscali straordinari, mirati e concentrati nel tempo, restano programmi meno ambiziosi, per usare il linguaggio della Commissione europea. Non a caso, il Ministro Tremonti continua a parlare di riforme a costo zero, come per esempio la riforma dell'articolo 42 della Costituzione; Giavazzi ha rispolverato l'abbattimento delle tariffe minime di notai e avvocati; e altre cose del genere. Con qualcosa in più di crescita, un po' più d'inflazione della media europea (ma che pagheremmo dal lato competitività), forse con qualche piccolo sacrificio fiscale in più, magari a carico degli enti locali grazie alla provvidenziale Rivoluzione Verde, un 1% di debito/PIL in meno all'anno è alla nostra portata, così che fra cinque anni saremmo di nuovo alla casella di partenza del 2000. Insomma, il classico tirare a campare, sperando nella buona sorte e di non venir castigati. Qualcuno ha idee migliori?

 

    1. R. Tamborini, The new Stability and Growth Pact, Dipartimento di Economia, Università di Trento, 2011.
    2. F. Giavazzi, Perché il Piano Merkel è un errore, La Voce, 2010, http://www.lavoce.info  

Il terremoto in Giappone - Torna l'incubo nucleare

Dopo il violentissimo sisma, che ha causato 1200 morti, il governo nipponico ha proclamato lo stato di allarme e chiuso 11 centrali atomiche. In una si registra un aumento di radiazioni. 6000 cittadini sono stati evacuati.

Con il terremoto più forte della storia del Giappone torna anche l'incubo nucleare. L'allarme è partito nella tarda mattinata di oggi quando l'ente che gestisce la centrale nucleare di Fukushima ha comunicato che il sistema di raffreddamento del reattore è andato in panne in seguito ai danni subiti per il fortissimo sisma. Un allarme ulteriormente accresciuto poi dalla decisione del Governo giapponese di proclamare lo stato di emergenza nucleare, con la conseguente chiusura di 11 centrali, tra cui quella di Onagawa, dove si era sviluppato un incendio in uno dei reattori.

    Intorno alle 13, il sito internet dell'Asahi shinbun scriveva che "se le operazioni in corso per far abbassare la temperatura non dovessero andare in porto, potrebbero esserci danni a cinque muri in cemento armato che imprigionano il materiale radioattivo e quindi fuoriuscite".

    Poco dopo la notizia della decisione di evacuare 2000 residenti (presto diventati 3000 e poi 6000) nei pressi della centrale di Fukushima che sorge alle porte dell'omonimo capoluogo provinciale, nel nord est del Paese, in una delle zone più colpite dal sisma (il più forte della storia giapponese, che di terremoti è ricchissima).

    E infine, intorno alle 18.30, la notizia di un rialzo del livello delle radiazioni presso l'impianto nucleare numero uno.

    Inevitabile a questo punto il panico per l'incubo nucleare. Un incubo quasi rimosso dopo Chernobyl e molti anni di apparente tranquillità ma che il devastante terremoto giapponese ha ridestato.

    E in Italia, dove si è recentemente riaperta la partita tra favorevoli e contrari, si è subito innescata una serie di reazioni soprattutto nel fronte anti atomico. La prima è quella di Greenpeace che in una nota ha espresso la sua "preoccupazione per i danni che il terremoto e lo tsunami possono aver provocato agli impianti nucleari, nonché alle altre industrie pericolose come le raffinerie di petrolio e di prodotti chimici".

   L'associazione ambientalista ha poi sottolineato che "anche se vengono spenti immediatamente, i reattori devono essere raffreddati e servono grandi quantità di acqua per evitare il rischio di surriscaldamento e fusione". Per questo Greenpeace continuerà a monitorare una situazione che è in rapida evoluzione. "Ci auguriamo che le indagini sugli impatti agli impianti nucleari e sui rischi per la popolazione e l'ambiente - ha detto ancora l'associazione - vengano condotte in modo indipendente e comunicate al pubblico".

    Preoccupazione è stata espressa anche da Alfiero Grandi, Presidente del Comitato "SI alle energie rinnovabili NO al nucleare". Per Grandi l'allarme generatosi in Giappone "è la conferma che le centrali nucleari sono pericolose. Durante il funzionamento - ha osservato Grandi - come dimostrano studi recenti, le centrali rilasciano radioattività che fa aumentare le leucemie nei bambini e nel caso di eventi interni o esterni, come in Giappone, le centrali diventano pericolose per il rischio di incidenti. Il Governo italiano - ha aggiunto il presidente del comitato anti nucleare - farebbe bene a ripensarci e a bloccare l'avventura nucleare in cui vorrebbe precipitare l'Italia, zona notoriamente esposta a terremoti ed altri rischi idrogeologici".

    Per Legambiente, anche se il rischio Chernobyl viene escluso dagli esperti (in particolare in Italia dal Cnr), la situazione resta preoccupante, "perché anche il rilascio di piccoli contaminanti mette a repentaglio la salute umana". Ciò detto, "è difficile immaginare il livello di distruzione che un terremoto di queste dimensioni potrebbe causare in Italia - ha aggiunto Cogliati Dezza, presidente di Legambiente- e quali potrebbero essere le conseguenze se avessimo centrali sul nostro territorio". Anche per questo motivo, conclude l'associazione, "ci auguriamo fortemente che l'Italia riveda il suo masochistico programma nucleare".

    Intanto, un paio di ore dopo il massimo allarme, la prefettura di Fukushima gettava, letteralmente, acqua sul fuoco affermando che il livello d'acqua nel reattore nucleare della centrale di Fukushima sarebbe stato sufficiente per coprire e raffreddare le barre del combustibile atomico. Allo stesso tempo però la struttura veniva consegnata all'esercito nipponico.

    Quindi situazione sotto controllo? Secondo Paolo Clemente, responsabile del Laboratorio prevenzione rischi naturali e mitigazione effetti dell'Enea "è presto per capire il tenore dell'allarme in merito alle notizie diffuse finora dal Giappone", ma "non è il terremoto il motivo per dire no al nucleare" perché "oggi siamo in grado di costruire impianti nucleari ed edifici che resistono a terremoti così violenti".

    Nella notte è giunta però la notizia di un'esplosione verificatasi nella centrale nucleare Fukushima N°1, a 250 km da Tokyo, nella quale venerdì si erano registrate radioazioni superiori ai limiti di guardia (di qui il decreto di evacuazione per un raggio di dieci chilometri emanato dal governo).

    La televisione Nhk ha diffuso le immagini di una fumata bianca sopra la centrale che sarebbe stata causata da una potente esplosione. La gabbia esterna di contenimento di uno dei reattori risulterebbe essere stata polverizzata, afferma la televisione giapponese.

    Per riassumere la situazione altamente drammatica nel paese del Sol levante un corrispondente di SkyTg24 ha raccontato un di un sintomatico episodio accaduto in trasmissione nella tv di Stato giapponese. Un giornalista avrebbe parlato di un fuggi fuggi da parte degli addetti della centrale e subito dopo si sarebbe sentita una voce fuori campo dire chiaramente: «Questa è una notizia che non andava letta». Alla popolazione non ancora evacuata dalle zone limitrofe all'impianto le autorità hanno chiesto di rimanere in casa e non aprire nè porte nè finestre.

    Intanto sale continuamente il numero dei morti causati dal terremoto e soprattutto dallo tsunami che si è abbattuto sulle coste giapponesi: l'ultimo bilancio parla di mille e duecento vittime, ma sembra purtroppo destinato ad aumentare.       


IPSE DIXIT

Senza nome

«Spesso si fa coincidere l’otto marzo con l’incendio di una fabbrica di camicie di New York in cui morirono 146 persone, soprattutto giovani donne immigrate dall’Italia e dagli shtetl dell’Europa orientale.

    In realtà l’incendio avvenne il 25 marzo 1911, pochi giorni dopo la prima manifestazione internazionale delle donne, e i due fatti rimasero così collegati fra loro che li si associa entrambi all’Otto marzo.

    Il cimitero di Evergreen, al confine tra Brooklyn e i Queens, dove i Newyorkesi hanno eretto un monumento di pietra, un bassorilievo dedicato alle ultime sei vittime dell’incendio, mai identificate e sepolte in una bara comune a causa dello strazio dei corpi causato dalle fiamme. Dopo cento anni, grazie alla dedizione di un ricercatore, Michael Hirsch, le vittime sono state identificate e, in occasione del centenario, il nome di ciascuna di esse sarà letto nella cerimonia di  commemorazione.» – Pia Locatelli

I nomi di sei ragazze
morte il 25.3.1911

Yetta Berger(18 anni, immigrata austriaca)
Catherine Uzzo(22 anni, immigrata italiana)
Annie Nicholas (18 anni, immigrata ebrea russa)
Rose Oringer (19 anni, immigrata austriaca)
Rose Liermark (19 anni, immigrata russa)
Molly Gerstein (17 anni, immigrata russa)      

giovedì 3 marzo 2011

E intanto a Catania, capitale di una certa Italia...

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

di Riccardo Orioles

“Buffone! Farai la fine di Ceaucescu!”. Bah. Intanto, Gheddafi rischia di farla davvero, la fine di Ceaucescu. Chi gliel' avrebbe detto quest'estate, ai tempi delle tende beduine (a Roma) e del bungabunga?

    Io, che sono un uomo prudente, al posto di Berlusconi mi fionderei nella più vicina caserma dei carabinieri, mi chiuderei in cella da me e come favore personale chiederei di essere messo nella camera di sicurezza più interna: non si sa mai. Ma lui è un tipo avventuroso, come Ceaucescu e come Gheddafi.

    Speriamo che, a differenza di Gheddafi, non sia anche – quando verrà il momento suo – un pazzo sanguinario, di quelli che buttano bombe sulla folla. Di noi tutto sommato si usa poco: Brescia, piazza Fontana, Italicus, Bologna... ma erano altri tempi, si dice, è cambiato tutto; persino al G8 di Genova, dove pure c'era da stangare un bel po' di sovversivi, un po' di torture magari, ma di bombe niente.

    In compenso siamo azionisti di un bel po' delle bombe di Gheddafi:
    Fiat, Berlusconi, Unicredit, Eni, Ansaldo, Impregilo, hanno tiranneggiato la Libia (e i poveri emigranti che ci passavano) con Gheddafi. Non a caso in queste ore a Milano la borsa trema. Ma che importa: domani è un altro giorno.

    Obama ricostruisce l'America, cerca di riportarla, di riffe e di raffe, dalla parte dei popoli, dov'era un tempo. Perché Obama è un patriota, al suo paese ci tiene. Qua, per salvare l'Italia – di cui onestamente non ce ne frega  niente -  ci affidiamo non dico a Fini ma a Luca Barbareschi.

    Va bene. Gli operai non esistevano, e invece ci sono eccome, e nelle piazze s'è visto. Non c'erano le donne, buonine fra tv e chiesa, e invece sono state proprio loro a dare il primo scossone decisivo.

    Nemmeno  il popolo c'è più, contanò solo i mille Vip che “Io so' io e voi nun siete un cazzo”.
    Vedremo. Lo vedremo il giorno dello sciopero generale.
    Ché ormai la strada chiarissimamente è  questa: bloccare ogni trattativa (bene Flores e Camilleri: fermare il Parlamento) e fare, come la Cgil farà, lo sciopero generale.

    Contro Mubarak (cioè Berlusconi), contro i suoi finanzieri (cioè Marchionne), contro i suoi sgherri e mercenari, cioè i mafiosi. Questo non è più regime di massa, nessuno dei suoi gerarchi è più un interlocutore. E' una dittatura di minoranza, sempre più impaurita:

trattiamola come tale.

* * *

Torniamo a Catania, che io la naja la faccio qui e guai se mi beccano a non fare bene la sentinella. Nel caso Catania – di cui sapete ormai tutto – c'è una novità importante e forse decisiva. Mentre dieci giorni fa eravamo ancora alle polemiche, alle denunce e alle giustificazioni, adesso siamo alla fase degli attacchi personali e violenti, senza mediazioni.

    In soldoni: il giudice A accusa il giudice B di essersi soverchiamente intrattenuto con mafiosi. Porta prove e argomenti, e infine saltano fuori pure le foto. Ma perchè A ce l'ha tanto con B? Per fatto personale, ovviamente. E donde viene questo fatto personale? Perché lui, giudice A, in realtà è un immorale, un vizioso, un mostro; l'ha detto un conoscente di un tale che l'ha sentito dire da un talaltro; ed ecco perché  attacca  B inventandosi Catanie, casi Catania, giudici e mafiosi.

    Bene. E chi lo dice (in linguaggio forbito, convenevole e professionale, poche bellissime righe da scuola di giornalismo)? Il giornale di Feltri o quello di Belpietro? No: direttamente Repubblica.

    Che ha una tradizione bellissima, di lotta per la libertà e la democrazia, in Italia, e anche contro la mafia a Palermo; ma a Catania ha una tradizione precisa di accordi - di contenuti e d'affari - con padron Ciancio. Queste sono notizie, amici miei, e come tali le diamo.

    Immaginate che a Milano nel 1946 il Corriere  avesse attaccato - non politicamente, ma insinuandogli qualche delitto comune - Ferruccio Parri, e avrete un'idea di cosa stiamo vivento, in questi giorni, noi dell'antimafia a Catania e quanto siamo incazzati e quanto determinati a fare  i conti.

* * *

Perché a Catania, e in Sicilia, e in Italia, e dappertutto, l'antimafia esiste, non è una barzelletta. Non “una certa antimafia”, non l'”antimafia di carriera”, ma l'antimafia mia,  di Scidà o dei militanti del Gapa -  vent'anni di dedizione totale e di battaglie, dando tutto se stessi. E anche, porco diavolo, l'antimafia “autoreferenziale e inutile” dei ragazzi di Palazzolo, di Modica, di Ucuntu, ai quali è stato autorevolmente e recentemente spiegato, da qualche genio, che in realtà non servono a un cazzo.

    Va bene, impariamo anche questo, ragazzi. Nel mondo c'è anche 'sta gente ciarliera: a volte fa qualcosa di buono, ma raramente, e te lo fa pagare con una tonnellata di cazzate per ogni grammo di cose buone.

    Voi non v'impressionate, tenetevi stretto quel grammo (se riuscite a trovarlo) e per il resto fregatevene e andate avanti.

* * *

Le righe che restano le dedichiamo volentieri  (ma senza gridare al
lupo) alla solidarietà, in questo caso a Condorelli. Buon giornalista, perbene, alle volte un po' ingenuo (come quando s'è lasciato usare contro l'antimafia cioè, qui e ora, contro Scidà), ma bravo certamente, uno che prima o poi avremo accanto; è stato licenziato ingiustamente e noi, non per la prima volta nè perchè qualcuno ce lo chieda,  stiamo con lui.  Ma senza confonderci con le “solidarietà” d'occasione di chi, in passato, s'è rifiutato per esempio di solidarizzare con un Marco Benanti.

    Noi, giornalisti sempre e non solo quando ci conviene, questa solidarietà l'abbiamo data in passato a Benanti, a Finocchiaro, a Giustolisi, a Mirone, a Savoca, a Rizzo, a Lavenia, a  Scapellato – e chiediamo perdono a quelli che stiamo dimenticando ora, ma che certo non abbiamo dimenticato quando ce n'era bisogno.

    Raramente ne abbiamo ricevuta noi, e mai nessuno dei nostri ragazzi.
nisti dell'antimafia, fa parte del nostro mestiere.
Ma questo, per noi “professionisti dell'antimafia, fa parte del nostro mestiere.

23 febbraio 2011

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LAVORO E DIRITTI

LAVORO E DIRITTI - I
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Il regno sommerso

Bar e alberghi sono il grande regno dell'evasione fiscale. Il sommerso vale almeno il 16% dell'economia italiana. Nelle strutture ricettive si arriva al 57%. Cifre alte anche per colf e badanti.

Il record spetta a bar e alberghi, dove l'evasione si aggira attorno al 56,8% e supera i servizi domestici di colf e badanti (al 52,9%). Poco più giù l'agricoltura (31,1%) e il commercio (al 21,7%).

    Sono gli ultimi dati forniti 18 febbraio agli esperti della commissione per la riforma fiscale istituita lo scorso dicembre dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

    In totale, la stima del sommerso è compresa in una forbirce dal 16,1% al  17,8%.
    I risultati dei quattro tavoli tecnici per la messa a punto della riforma dovrebbero arrivare a fine aprile. Slitta dunque di un mese il calendario informale dei lavori che, pur senza fissare una data precisa, aveva sempre fatto riferimento alla fine di marzo per le relazioni finali dei singoli gruppi cui seguirà la stesura del documento sul quale costruire le proposte di riforma.

    La nuova tempistica - secondo quanto emerso nel corso dei lavori della commissione - sarebbe il risultato del confronto che il ministro Tremonti ha avuto con i responsabili dei quattro tavoli tecnici. La scelta è di approfondire il tema sommerso seguendo non "in verticale" le diverse branche di attività, bensì per sezioni "orizzontali", come il tema della semplificazione, che è uno dei nodi chiave per evitare che normative troppo complesse favoriscano fenomeni di massiccia elusione.    


LAVORO E DIRITTI - II
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Sì alla patrimoniale, ma senza improvvisazioni

Intervista all'economista Maria Cecilia Guerra

"Un intervento ordinario sui patrimoni, con lo scopo di alleggerire le tasse sul lavoro. Senza evasione sarebbe meno urgente". La situazione delle nostre finanze pubbliche non consente riduzioni delle tasse.

di Enrico Galantini

All’improvviso, come un acquazzone estivo nel cuore dell’inverno, è scoppiata nel nostro paese la questione “patrimoniale”. È bastato che ne parlassero Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo, ma soprattutto Walter Veltroni al Lingotto, che nel paese è stato un fiorir d’interventi. Giornalisti, economisti, commentatori, ciascuno ha detto la sua. Fino a Silvio Berlusconi, bisognoso di parlar d’altro rispetto ai suoi noti problemi. Poi, come succede spesso in questi casi, finita la fiammata della polemica, l’argomento è stato lasciato cadere. Ma non per noi, che sul tema – sul quale del resto la Cgil insiste da tempo –, vogliamo continuare a battere. E per questo abbiamo chiesto alla professoressa Maria Cecilia Guerra, che insegna Scienza delle Finanze nell’Università di Modena e Reggio Emilia, di parlarne con noi. Partendo proprio dalla definizione.

Galantini: Professoressa, che cos’è esattamente una patrimoniale?

Guerra: Nel dibattito dei giorni scorsi si sono confusi concetti molto diversi. La patrimoniale è un’imposta commisurata al patrimonio. Il concetto di patrimonio tiene assieme gli immobili, i terreni, ma anche la ricchezza finanziaria, e potrebbe essere esteso (o meno) anche agli immobili delle imprese. Generalmente si pensa una patrimoniale come legata al possesso del patrimonio, però la s’intende anche un’imposta legata al patrimonio nel momento della sua cessione, cioè nel trasferimento degli immobili, o anche al momento della successione, cioè quando viene trasferito per causa di morte. Il modo proprio però di parlare di patrimoniale è il primo. Ma il motivo per cui il dibattito oggi è confuso è soprattutto perché si confonde un’imposta di tipo ordinario con un’imposta straordinaria.

Galantini: E che differenza c’è tra le due?

Guerra: La differenza fondamentale tra imposta ordinaria e imposta straordinaria di solito è che la seconda è più “salata”, dovendo far fronte una tantum alla necessità di un prelievo eccezionale, mentre la prima può essere gestita con un livello di aliquota assolutamente più sopportabile ed entrare come strumento importante nell’insieme degli strumenti necessari per un sistema fiscale. L’imposta straordinaria viene proposta da alcuni osservatori come rimedio possibile alla difficoltà cui stiamo andando incontro con un debito pubblico così elevato. Io non mi sento di condividere questa impostazione perché un’imposta patrimoniale, per quanto prelevata con aliquote rilevanti, sarebbe solo un palliativo per il nostro debito pubblico: potrebbe portarlo al 105-110 per cento, ma per arrivare al 70-80 per cento dovrebbe essere una patrimoniale prelevata con aliquote così alte da rischiare di costringere il proprietario a dover liquidare il patrimonio al solo scopo di pagare l’imposta. È quindi una proposta che non mi sembra né risolutiva né opportuna. Diverso è invece affrontare in termini non elettoralistici il discorso di una patrimoniale ordinaria nel nostro paese. Perché il tema ha suscitato tutto questo vespaio? Perché è ovvio che se un partito politico dice di voler introdurre la patrimoniale, è molto facile infilzarlo dal punto di vista elettorale, visto che oggi una nuova imposta, quale che sia, viene malvista. La gente non vuole avere altre imposte. Il problema infatti non si deve porre in questi termini. Il problema è di vedere se si può tentare un prelievo patrimoniale che sostituisca, introducendo più razionalità, altre imposte.

Galantini: Quindi nell’ambito di una riforma…

Guerra: Certo. Questo deve essere chiaro a tutti. Oggi non si è più credibili se si dice: toglierò o ridurrò una qualsiasi imposta. Questo non lo si può più fare (ovviamente sto parlando di una misura di qualche rilievo, che possa essere percepita). Perché la situazione della nostra finanza pubblica non ce lo permette, almeno non nel breve periodo. Allora tutto il paese dovrebbe porsi il problema se si può redistribuire, distribuire meglio, il prelievo rispetto a come esso è adesso. È solo in questo ambito che ha senso studiare se esiste la possibilità oggi di introdurre un prelievo patrimoniale.

Galantini: È il famoso discorso di spostare il prelievo dal lavoro alle rendite e al patrimonio…

Guerra: Esatto. Oggi tutti ammettono che c’è un onere eccessivo sul lavoro. Nessuno lo nega. Ma se si vuole ridurre il peso delle imposte sui lavoratori, non possiamo raccontarci delle storie, bisogna trovare entrate da qualche altra parte. La proposta che viene sempre tirata in ballo, ma che non è ancora approdata a nessun esito operativo, è quella di intervenire sulle rendite finanziarie. Anche qui bisognerebbe chiarire la terminologia. Non si tratta di rendite, si tratta di redditi finanziari: interessi sui depositi, interessi sulle obbligazioni, plusvalenze sui titoli. Sono redditi come tutti gli altri ma tassati assai di meno. Non stiamo parlando delle grandi speculazioni. Quello è un discorso del tutto diverso. Però sui redditi finanziari andrebbe comunque fatto un intervento, perché oggi sono tassati troppo poco. Quindi l’ipotesi di uniformare la tassazione sui redditi finanziari al 20 per cento sarebbe un’ipotesi importante. Ed è sicuramente una misura che va messa in conto, anche se non è che da lì verrebbe chissà quale gettito. Anche questo va detto.

Galantini: E qui entra in gioco la patrimoniale…

Guerra: Sì, una tassazione sul patrimonio potrebbe essere importante per due ragioni. Primo perché il patrimonio è abbastanza stabile e quindi potrebbe dare luogo a un gettito continuativo, con aliquote abbastanza contenute. Secondo, visto che il patrimonio è distribuito in modo molto diseguale nel nostro paese, ancora di più di quanto non lo sia il reddito – e già questo è distribuito male –, la patrimoniale avrebbe anche un effetto redistributivo. Certo un’imposta patrimoniale sarebbe poi importante poterla legare alla componente immobiliare a livello locale. Il fatto che non ci sia più l’Ici sulle prime case è un problema serio. I proprietari delle case sono i soggetti che più usufruiscono dei servizi comunali e in tutti i paesi del mondo occidentale esiste a livello municipale un’imposta – il tributo per eccellenza dei Comuni – che serve a finanziare i servizi e che viene prelevata anche sui proprietari delle case. Del resto il recente decreto sul federalismo, dichiarato irricevibile dal presidente della Repubblica per le modalità con cui è stato approvato, ma che verrà riproposto alle Camere, si arrampica sugli specchi per aggirare questo problema proponendo una patrimoniale – ché di questo si trattava – la quale, non potendo pesare sui proprietari di prime case, va a pesare sulle seconde case (che perderanno però il prelievo sul reddito) e soprattutto sugli immobili delle imprese e dei lavoratori autonomi. E questo proprio da parte dei partiti che tuonano sull’opposizione accusandola di voler introdurre la patrimoniale.

Galantini: Una bella contraddizione…

Guerra: Vede, in generale un prelievo patrimoniale non è facilissimo da costruire, per questo bisognerebbe poter affrontare il tema in modo sereno, perché è chiaro che andrebbe pensato in modo tale da colpire tutti i patrimoni, non solo quelli immobiliari.

Galantini: Si potrebbe fare come fa la Francia, (anche se sembra che Sarkozy voglia togliere quella imposta), come del resto suggerisce la Cgil…

Guerra: Sì, il fisco francese ha un’imposta chiamata “sulle grandi fortune”. Detto per  inciso, sono molti anni che Sarkozy dice di volerla togliere, un po’ come il nostro governo che da molti anni vuol togliere l’Irap ma poi non la toglie mai… Sì, si potrebbe pensare a un’articolazione d’imposta come quella, che colpisce tutti i patrimoni, anche quello finanziario, e che comincia a essere prelevata su patrimoni superiori a una certa soglia. Che nel caso francese è molto alta e quindi l’imposta non dà un gettito particolarmente significativo. Ma certo si può discuterne. Ripeto: quella che manca è la possibilità di una discussione serena su questo che non è e non deve essere un tabù. Non si parla di un’imposta patrimoniale in aggiunta alle imposte che ci sono già. Si parla di un trasferimento del prelievo dal lavoro e, se vogliamo, anche dall’impresa, verso altri cespiti, che possono essere meno rilevanti per la crescita del paese, che interferiscono meno con la produzione di reddito di quanto non facciano le forze di lavoro. Una volta d’accordo con questa impostazione, ci si può occupare di come articolarla concretamente e di come risolvere il problema più grosso, quello degli accertamenti.

Galantini: Un’ultima domanda. Se non ci fosse più evasione, ci sarebbe comunque bisogno di introdurre una patrimoniale per ridisegnare il carico fiscale nel paese?

Guerra: Se non ci fosse l’evasione potremmo abbattere in modo considerevole il prelievo fiscale su chi oggi paga le tasse. E questo sarebbe un elemento di riduzione dell’onere dell’imposta ma anche di sua redistribuzione, perché non è che tutti evadono in modo eguale. In particolare i lavoratori dipendenti e i pensionati evadono poco anche perché non possono farlo: il prelievo viene fatto alla fonte. Se la lotta all’evasione avesse successo, insomma, sarebbe meno impellente il passaggio a una tassazione patrimoniale. Ma ciò non toglie che, nell’ambito di una revisione del nostro sistema fiscale – di cui c’è bisogno non tanto  perché nell’ispirazione difondo non vada bene, ma perché è stato oggetto di interventi ripetuti che ne hanno deformato il progetto iniziale e hanno introdotto delle distorsioni –, nell’ambito di questa discussione si può, io credo si debba, discutere in modo del tutto laico anche del coinvolgimento del patrimonio a contribuire all’imposizione.    

Ci riguarda: Quello che succede sulla sponda sud del Mediterraneo ci riguarda

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

di Franca Di Lecce
direttore del Servizio rifugiati e migranti della FCEI

La drammatica e dura repressione di questi giorni in Libia, dove è scoppiata la rivolta contro il regime di Gheddafi, rimette in primo piano, e in modo dirompente, la questione dei rapporti Italia-Libia, ma anche i rapporti tra Libia e comunità internazionale. Lo scenario del Mediterraneo è mutato radicalmente in poche settimane e questo richiederà senza dubbio un ripensamento profondo e radicale delle politiche finora portate avanti dall'Italia e dall'Unione Europea anche in tema di immigrazione.

    Rivolte di piazza, feriti, morti, scontri, mercenari africani probabilmente reclutati dal regime per sparare sulla folla, defezioni nell'esercito di chi si rifiuta di assecondare la ferocia del tiranno e si unisce ai manifestanti, queste sono le immagini e le notizie che vengono dalla Libia, corrono veloci e ci raggiungono come ammonimento perché nessuno possa dire “io non sapevo”.

    L'Italia da anni rivendica il ruolo strategico della Libia nell'area mediterranea e i rapporti privilegiati di cooperazione con il dittatore africano. Il nostro Paese non è soltanto uno dei principali partner commerciali della Libia, ma anche il maggiore esportatore di armamenti, senza dimenticare che un quarto del petrolio italiano viene fornito dalla Libia.

    La Libia è diventata da anni un punto di passaggio quasi obbligato per i migranti che dalle regioni periferiche dell'Africa o anche dell'Asia vogliono raggiungere l'Europa e l'Italia, un partner strategico nella “lotta all'immigrazione clandestina”, come si legge nel “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” con la Libia che il Senato, dopo un iter velocissimo, ha approvato quasi all'unanimità, il 3 febbraio 2009. Il trattato, siglato il 30 agosto 2008 da Berlusconi e Gheddafi, è il risultato di 10 anni di negoziati dei diversi governi che si sono succeduti nel nostro Paese. I diritti umani sono sempre restati a margine, se non del tutto esclusi, dall'agenda diplomatica di entrambi i paesi. Il Governo e il Parlamento italiani non sembrano essersi preoccupati di questo durante i negoziati e in sede di ratifica dell'accordo, nonostante le gravi violazioni dei diritti umani dei migranti in Libia siano ampiamente documentate: torture, detenzione arbitraria, espulsioni, violenze, arresti indiscriminanti, abusi verso donne e minori.

    Gli effetti del trattato sciagurato li abbiamo visti: persone in fuga da guerre e povertà sono state respinte in Libia come pacchi scomodi di cui disfarsi rapidamente. Molte di quelle persone respinte dal governo italiano hanno tentato ancora di raggiungere l'Europa cambiando rotta e da mesi sono sequestrate dai trafficanti nel deserto del Sinai.

    Oggi il popolo libico è in rivolta, chiede libertà, riforme e una vita dignitosa, mentre il tiranno tira dritto e afferma di resistere e andare avanti fino alla morte.

    Ma sappiamo bene che non è solo questione di immigrazione: l'aspirazione alla libertà di popoli oppressi si intreccia drammaticamente con gli interessi politici ed economici, con i silenzi e le complicità di tutta la comunità internazionale, e le posizioni che essa prenderà saranno il banco di prova anche delle nostre democrazie.

    Mentre l'ONU chiede la fine immediata delle violenze e della repressione, e attraverso l'Alto Commissario per i Diritti Umani, Navy PiIllay, un'inchiesta internazionale sulle violenze libiche e giustizia per le vittime, noi chiediamo con forza in queste drammatiche ore che il Governo Italiano esprima senza indugi una netta condanna della brutale repressione in Libia e che pretenda la cessazione degli attacchi alla popolazione civile. L'Italia, che da anni gioca un ruolo strategico nei rapporti tra la Libia e l'Unione Europea, deve chiedere l'immediata e incondizionata fine della violazione dei diritti umani, insieme alla sospensione della fornitura di armi e munizioni.

    Quello che succede sulla sponda sud del Mediterraneo ci riguarda e ci interpella e auspichiamo che l'Italia possa trovare il coraggio di invertire la rotta, anche cambiando strategia sull'immigrazione per iniziare un confronto costruttivo che può avvenire solo a partire dal riconoscimento che la dignità umana è inviolabile e che va data accoglienza dignitosa alle persone in fuga da persecuzioni, guerre e povertà.

    Abbiamo oggi la grande opportunità di voltare pagina, se non cadiamo nella trappola della strategia della paura: agitare lo spettro dell'invasione di migliaia di migranti in arrivo sulle nostre coste è disumano, oltre che inutile e dannoso, e serve a chi in questi anni ha fatto affari con i dittatori. Abbiamo la grande opportunità e la responsabilità di sostenere e stare accanto a chi in Algeria, Tunisia, Yemen, Libia e in altri paesi, rompendo il circuito della paura, ha sfidato la dittatura per chiedere il diritto di vivere in dignità (nev-notizie evangeliche 08/11).    


IPSE DIXIT
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Oh, là - «Ho visto qualcosa che mi è parso il contrario dei nostri cataloghi. . . vacche al pascolo mi guardavano con l’aria di dire: “Oh, là c’è qualcosa nel mondo.”» – Gianni Celati


Sciopero generale

La Cgil si prepara

La segreteria confederale ha il mandato del direttivo per proseguire la mobilitazione, "incluso il ricorso allo sciopero generale". Sarebbe il quinto con il governo Berlusconi, il primo con Susanna Camusso alla guida del sindacato.

Contro gli accordi separati, per un fisco più equo e per una diversa politica economica e industriale del governo: con queste richieste la Cgil si prepara allo sciopero generale o, in ogni caso, a proseguire nella mobilitazione. Lo ha deciso il direttivo di Corso Italia, non senza destare qualche sorpresa, dopo due giorni di discussioni (22 e 23 febbraio) a porte chiuse. Il Parlamentino ha approvato il documento politico con 83 sì, nessun voto contrario e 20 astensioni, consegnando così alla segreteria il via libera formale per "decidere i tempi e le modalità di prosecuzione delle iniziative di mobilitazione, incluso il ricorso allo sciopero generale".

    Va però chiarito che "tecnicamente" lo sciopero non è stato ancora proclamato, al contrario di quanto farebbe pensare una lettura disattenta dei giornali. Il direttivo ha accettato la proposta del segretario generale, Susanna Camusso, che aveva chiesto la possibilità di decidere quando e come andare allo sciopero generale. È un po' come quando il governo chiede al Parlamento la delega per una legge complessa (come il federalismo fiscale): una volta approvato il provvedimento "quadro", vanno scritti e licenziati anche i singoli decreti. In questo caso la segreteria, ottenuto il consenso del direttivo, dovrà decidere tempi e modi dello sciopero. Per questo la data ancora non è stata stabilita.

La segreteria potrà accettare la richiesta della minoranza - che vuole lo stop subito, al massimo entro aprile - oppure allungare i tempi, decisione su cui peserà anche il clima politico.

    Restano fissate le iniziative delle singole categorie, in particolare quella del 25 marzo quando si fermeranno la scuola e dal pubblico impiego. Oltre all'impegno della Cgil in altre iniziative come quella per il 17 marzo per l'unità d'Italia, le "marce per il lavoro" (sabato in Veneto la prossima tappa) e le assemblee per democrazia e rappresentanza sindacale.

    Sarebbe, questo, il quinto sciopero generale da quando è in carica il governo Berlusconi. Il primo fu nel 2008, poi due volte nel 2009 (dopo l'accordo separato sul modello dei contratti), l'ultimo l'anno scorso. E la prima volta della Cgil guidata da Susanna Camusso.

    La discussione nel direttivo del 22 e 23 febbraio, secondo quanto si apprende negli ambienti di Corso Italia, è andata oltre gli steccati congressuali, quelli della divisione in due anime contrapposte. Con un quadro politico-sindacale degradato, fino all'ultimo strappo sul pubblico impiego, la semplice mobilitazione senza sciopero non basta più anche a categorie come il commercio e i chimici, che finora avevano frenato. Sembra prevalere, dunque, l'idea della "spallata" per sostenere le richieste di chi vuole un governo che pensi al lavoro e alla crisi e non ai guai giudiziari del premier. (M.M. - www.rassegna.it)