giovedì 3 marzo 2011

LAVORO E DIRITTI

LAVORO E DIRITTI - I
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Il regno sommerso

Bar e alberghi sono il grande regno dell'evasione fiscale. Il sommerso vale almeno il 16% dell'economia italiana. Nelle strutture ricettive si arriva al 57%. Cifre alte anche per colf e badanti.

Il record spetta a bar e alberghi, dove l'evasione si aggira attorno al 56,8% e supera i servizi domestici di colf e badanti (al 52,9%). Poco più giù l'agricoltura (31,1%) e il commercio (al 21,7%).

    Sono gli ultimi dati forniti 18 febbraio agli esperti della commissione per la riforma fiscale istituita lo scorso dicembre dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

    In totale, la stima del sommerso è compresa in una forbirce dal 16,1% al  17,8%.
    I risultati dei quattro tavoli tecnici per la messa a punto della riforma dovrebbero arrivare a fine aprile. Slitta dunque di un mese il calendario informale dei lavori che, pur senza fissare una data precisa, aveva sempre fatto riferimento alla fine di marzo per le relazioni finali dei singoli gruppi cui seguirà la stesura del documento sul quale costruire le proposte di riforma.

    La nuova tempistica - secondo quanto emerso nel corso dei lavori della commissione - sarebbe il risultato del confronto che il ministro Tremonti ha avuto con i responsabili dei quattro tavoli tecnici. La scelta è di approfondire il tema sommerso seguendo non "in verticale" le diverse branche di attività, bensì per sezioni "orizzontali", come il tema della semplificazione, che è uno dei nodi chiave per evitare che normative troppo complesse favoriscano fenomeni di massiccia elusione.    


LAVORO E DIRITTI - II
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Sì alla patrimoniale, ma senza improvvisazioni

Intervista all'economista Maria Cecilia Guerra

"Un intervento ordinario sui patrimoni, con lo scopo di alleggerire le tasse sul lavoro. Senza evasione sarebbe meno urgente". La situazione delle nostre finanze pubbliche non consente riduzioni delle tasse.

di Enrico Galantini

All’improvviso, come un acquazzone estivo nel cuore dell’inverno, è scoppiata nel nostro paese la questione “patrimoniale”. È bastato che ne parlassero Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo, ma soprattutto Walter Veltroni al Lingotto, che nel paese è stato un fiorir d’interventi. Giornalisti, economisti, commentatori, ciascuno ha detto la sua. Fino a Silvio Berlusconi, bisognoso di parlar d’altro rispetto ai suoi noti problemi. Poi, come succede spesso in questi casi, finita la fiammata della polemica, l’argomento è stato lasciato cadere. Ma non per noi, che sul tema – sul quale del resto la Cgil insiste da tempo –, vogliamo continuare a battere. E per questo abbiamo chiesto alla professoressa Maria Cecilia Guerra, che insegna Scienza delle Finanze nell’Università di Modena e Reggio Emilia, di parlarne con noi. Partendo proprio dalla definizione.

Galantini: Professoressa, che cos’è esattamente una patrimoniale?

Guerra: Nel dibattito dei giorni scorsi si sono confusi concetti molto diversi. La patrimoniale è un’imposta commisurata al patrimonio. Il concetto di patrimonio tiene assieme gli immobili, i terreni, ma anche la ricchezza finanziaria, e potrebbe essere esteso (o meno) anche agli immobili delle imprese. Generalmente si pensa una patrimoniale come legata al possesso del patrimonio, però la s’intende anche un’imposta legata al patrimonio nel momento della sua cessione, cioè nel trasferimento degli immobili, o anche al momento della successione, cioè quando viene trasferito per causa di morte. Il modo proprio però di parlare di patrimoniale è il primo. Ma il motivo per cui il dibattito oggi è confuso è soprattutto perché si confonde un’imposta di tipo ordinario con un’imposta straordinaria.

Galantini: E che differenza c’è tra le due?

Guerra: La differenza fondamentale tra imposta ordinaria e imposta straordinaria di solito è che la seconda è più “salata”, dovendo far fronte una tantum alla necessità di un prelievo eccezionale, mentre la prima può essere gestita con un livello di aliquota assolutamente più sopportabile ed entrare come strumento importante nell’insieme degli strumenti necessari per un sistema fiscale. L’imposta straordinaria viene proposta da alcuni osservatori come rimedio possibile alla difficoltà cui stiamo andando incontro con un debito pubblico così elevato. Io non mi sento di condividere questa impostazione perché un’imposta patrimoniale, per quanto prelevata con aliquote rilevanti, sarebbe solo un palliativo per il nostro debito pubblico: potrebbe portarlo al 105-110 per cento, ma per arrivare al 70-80 per cento dovrebbe essere una patrimoniale prelevata con aliquote così alte da rischiare di costringere il proprietario a dover liquidare il patrimonio al solo scopo di pagare l’imposta. È quindi una proposta che non mi sembra né risolutiva né opportuna. Diverso è invece affrontare in termini non elettoralistici il discorso di una patrimoniale ordinaria nel nostro paese. Perché il tema ha suscitato tutto questo vespaio? Perché è ovvio che se un partito politico dice di voler introdurre la patrimoniale, è molto facile infilzarlo dal punto di vista elettorale, visto che oggi una nuova imposta, quale che sia, viene malvista. La gente non vuole avere altre imposte. Il problema infatti non si deve porre in questi termini. Il problema è di vedere se si può tentare un prelievo patrimoniale che sostituisca, introducendo più razionalità, altre imposte.

Galantini: Quindi nell’ambito di una riforma…

Guerra: Certo. Questo deve essere chiaro a tutti. Oggi non si è più credibili se si dice: toglierò o ridurrò una qualsiasi imposta. Questo non lo si può più fare (ovviamente sto parlando di una misura di qualche rilievo, che possa essere percepita). Perché la situazione della nostra finanza pubblica non ce lo permette, almeno non nel breve periodo. Allora tutto il paese dovrebbe porsi il problema se si può redistribuire, distribuire meglio, il prelievo rispetto a come esso è adesso. È solo in questo ambito che ha senso studiare se esiste la possibilità oggi di introdurre un prelievo patrimoniale.

Galantini: È il famoso discorso di spostare il prelievo dal lavoro alle rendite e al patrimonio…

Guerra: Esatto. Oggi tutti ammettono che c’è un onere eccessivo sul lavoro. Nessuno lo nega. Ma se si vuole ridurre il peso delle imposte sui lavoratori, non possiamo raccontarci delle storie, bisogna trovare entrate da qualche altra parte. La proposta che viene sempre tirata in ballo, ma che non è ancora approdata a nessun esito operativo, è quella di intervenire sulle rendite finanziarie. Anche qui bisognerebbe chiarire la terminologia. Non si tratta di rendite, si tratta di redditi finanziari: interessi sui depositi, interessi sulle obbligazioni, plusvalenze sui titoli. Sono redditi come tutti gli altri ma tassati assai di meno. Non stiamo parlando delle grandi speculazioni. Quello è un discorso del tutto diverso. Però sui redditi finanziari andrebbe comunque fatto un intervento, perché oggi sono tassati troppo poco. Quindi l’ipotesi di uniformare la tassazione sui redditi finanziari al 20 per cento sarebbe un’ipotesi importante. Ed è sicuramente una misura che va messa in conto, anche se non è che da lì verrebbe chissà quale gettito. Anche questo va detto.

Galantini: E qui entra in gioco la patrimoniale…

Guerra: Sì, una tassazione sul patrimonio potrebbe essere importante per due ragioni. Primo perché il patrimonio è abbastanza stabile e quindi potrebbe dare luogo a un gettito continuativo, con aliquote abbastanza contenute. Secondo, visto che il patrimonio è distribuito in modo molto diseguale nel nostro paese, ancora di più di quanto non lo sia il reddito – e già questo è distribuito male –, la patrimoniale avrebbe anche un effetto redistributivo. Certo un’imposta patrimoniale sarebbe poi importante poterla legare alla componente immobiliare a livello locale. Il fatto che non ci sia più l’Ici sulle prime case è un problema serio. I proprietari delle case sono i soggetti che più usufruiscono dei servizi comunali e in tutti i paesi del mondo occidentale esiste a livello municipale un’imposta – il tributo per eccellenza dei Comuni – che serve a finanziare i servizi e che viene prelevata anche sui proprietari delle case. Del resto il recente decreto sul federalismo, dichiarato irricevibile dal presidente della Repubblica per le modalità con cui è stato approvato, ma che verrà riproposto alle Camere, si arrampica sugli specchi per aggirare questo problema proponendo una patrimoniale – ché di questo si trattava – la quale, non potendo pesare sui proprietari di prime case, va a pesare sulle seconde case (che perderanno però il prelievo sul reddito) e soprattutto sugli immobili delle imprese e dei lavoratori autonomi. E questo proprio da parte dei partiti che tuonano sull’opposizione accusandola di voler introdurre la patrimoniale.

Galantini: Una bella contraddizione…

Guerra: Vede, in generale un prelievo patrimoniale non è facilissimo da costruire, per questo bisognerebbe poter affrontare il tema in modo sereno, perché è chiaro che andrebbe pensato in modo tale da colpire tutti i patrimoni, non solo quelli immobiliari.

Galantini: Si potrebbe fare come fa la Francia, (anche se sembra che Sarkozy voglia togliere quella imposta), come del resto suggerisce la Cgil…

Guerra: Sì, il fisco francese ha un’imposta chiamata “sulle grandi fortune”. Detto per  inciso, sono molti anni che Sarkozy dice di volerla togliere, un po’ come il nostro governo che da molti anni vuol togliere l’Irap ma poi non la toglie mai… Sì, si potrebbe pensare a un’articolazione d’imposta come quella, che colpisce tutti i patrimoni, anche quello finanziario, e che comincia a essere prelevata su patrimoni superiori a una certa soglia. Che nel caso francese è molto alta e quindi l’imposta non dà un gettito particolarmente significativo. Ma certo si può discuterne. Ripeto: quella che manca è la possibilità di una discussione serena su questo che non è e non deve essere un tabù. Non si parla di un’imposta patrimoniale in aggiunta alle imposte che ci sono già. Si parla di un trasferimento del prelievo dal lavoro e, se vogliamo, anche dall’impresa, verso altri cespiti, che possono essere meno rilevanti per la crescita del paese, che interferiscono meno con la produzione di reddito di quanto non facciano le forze di lavoro. Una volta d’accordo con questa impostazione, ci si può occupare di come articolarla concretamente e di come risolvere il problema più grosso, quello degli accertamenti.

Galantini: Un’ultima domanda. Se non ci fosse più evasione, ci sarebbe comunque bisogno di introdurre una patrimoniale per ridisegnare il carico fiscale nel paese?

Guerra: Se non ci fosse l’evasione potremmo abbattere in modo considerevole il prelievo fiscale su chi oggi paga le tasse. E questo sarebbe un elemento di riduzione dell’onere dell’imposta ma anche di sua redistribuzione, perché non è che tutti evadono in modo eguale. In particolare i lavoratori dipendenti e i pensionati evadono poco anche perché non possono farlo: il prelievo viene fatto alla fonte. Se la lotta all’evasione avesse successo, insomma, sarebbe meno impellente il passaggio a una tassazione patrimoniale. Ma ciò non toglie che, nell’ambito di una revisione del nostro sistema fiscale – di cui c’è bisogno non tanto  perché nell’ispirazione difondo non vada bene, ma perché è stato oggetto di interventi ripetuti che ne hanno deformato il progetto iniziale e hanno introdotto delle distorsioni –, nell’ambito di questa discussione si può, io credo si debba, discutere in modo del tutto laico anche del coinvolgimento del patrimonio a contribuire all’imposizione.