mercoledì 20 aprile 2011

A CIASCUNO LA SUA LEGA !

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo
  
di Dino Nardi
Vicepresidente del CGIE

 
In questi giorni i soliti "nostri" della Lega Nord, dimenticandosi per un momento dei "terrun", se la stanno prendendo con gli immigrati magrebini ed africani: dal "föra de ball" del mite Umberto Bossi (Ministro delle Riforme per il Federalismo), al "Bisogna respingere gli immigrati, ma non possiamo sparargli. Almeno per… ora" come dire:  carichiamo i moschetti ma aspettiamo a tirare il grilletto, del cauto Roberto Castelli (Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti). Per finire (per ora, forse) a quanto affermato, a tamburo battente, dall'imprudente europarlamentare leghista Roberto Speroni (suocero del capogruppo della Lega Nord alla camera dei Deputati, Marco Reguzzoni, per la serie "Parentopoli leghista") e cioè "noi siamo invasi, c'è gente che viene in Italia senza permesso violando tutte le regole. A questo punto vanno usati tutti i mezzi per respingerli, eventualmente anche le armi".
    Ebbene, mentre questo accade in Italia, in Svizzera nel Cantone Ticino, abbiamo un'altra Lega, la Lega Ticinese, il cui leader Giuliano Bignasca, avendo stravinto nelle recenti elezioni del Cantone Ticino, riuscendo ad eleggere due ministri su cinque (in dieci anni, grazie alla sua politica contro i frontalieri italiani e gli accordi bilaterali Svizzera/Unione Europea, ha più che raddoppiato i consensi elettorali), le prime cose che ha detto sono state contro il Ministro Tremonti per lo scudo fiscale, contro i frontalieri italiani (circa 45'000) in Ticino e contro l'Unione Europea.
     Senza dimenticare che questo "Bossi" elvetico è anche quello che ancora in tempi recenti voleva costruire lungo il confine tra Ticino e Lombardia un muro alto quattro metri come quello degli israeliani e che ha affrontato le ultime vittoriose elezioni ticinesi accordandosi con l'altro partito populista di destra elvetico, l'UDC (niente a che fare con il partito di Pierferdinando Casini, naturalmente). Ovvero il partito dei manifesti elettorali provocatori  antistranieri come quello, per esempio, del "Bala i ratt" di una campagna razzista contro i frontalieri lombardi (i ratt), accusati di venire in Svizzera a rubare il formaggio, cioè il lavoro ed i soldi.
    Evidentemente ognuno deve fare i conti con la sua Lega: i "terrun", i magrebini e gli africani (e, più in generale, tutti noi italiani purtroppo) con la Lega Nord e, a sua volta, i leghisti nostrani della Lombardia e dell'Alto novarese (e, più in generale, tutti noi italiani purtroppo) con la Lega dei Ticinesi. Il tutto a conferma di quanto ebbe a dire Luciano De Crescenzo nel film cult "Così parlò Bellavista" e cioè che nel mondo "si è sempre meridionali di qualcuno"!
 
 
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
 
Nucleare, avevano ragione i socialisti
 
Nel referendum del 1987 gli italiani all'80% votarono per il blocco
 
di Roberto Fronzuti *)

 
La tragedia seguita al terremoto che ha mietuto decine di migliaia di vittime in Giappone, ripropone alcuni interrogativi riguardanti l'energia nucleare. I limiti della tecnologia, i pericoli, le conseguenze seguite al danneggiamento delle centrali nucleari, sono sotto gli occhi di tutti.
    Le future generazioni di giapponesi, pagheranno le conseguenze di scelte che si sono rivelate inadeguate e improvvide. Il terremoto, il maremoto, sono certamente eventi di carattere eccezionale, che in ogni caso bisogna mettere in conto, in modo particolare, quando si parla di nazioni quali il Giappone e l'Italia, notoriamente ad alto rischio sismico.
    Il non aver previsto tutti i possibili risvolti di questi eventi naturali ma prevedibili, ha portato ad un'immane catastrofe. Alla luce della tragedia che ha funestato il Giappone, occorre dire che i Socialisti Italiani sono stati "facili profeti, quando a metà degli anni '80 si opposero strenuamente al nucleare, fino al punto di impegnare tutto il proprio peso politico, nella battaglia referendaria dell'8-9 novembre 1987, portata avanti insieme ai Radicali. Gli italiani bocciarono il nucleare con una maggioranza mai vista: l'80%.
    Purtroppo, i partiti d'ispirazione risorgimentale furono messi fuori causa dalla cosiddetta indagine Mani pulite; fra questi i Socialisti che al tempo avevano un peso rilevante, essendo la seconda componente politica alla guida del governo di Centrosinistra. In un mio recente editoriale ho parlato di "espropriazione del Psi".
    Purtroppo l'aver mandato a casa una classe dirigente preparata, per colpa di pochi, ha portato l'Italia alla situazione attuale, governata com'è da una classe politica inadeguata.
    Il presidente della Dc Aldo Moro assassinato dalla brigate rosse, in un discorso al Parlamento, pronunciò in difesa di un deputato del suo partito, la frase: "Per colpa di pochi, si processa un'intera classe politica".
    Purtroppo, l'Italia, è stata retrocessa in tutte le classifiche a livello mondiale; negli ultimi quindici anni è senza crescita economica. Paga lo scotto di essere stata governata da una classe politica non all'altezza della situazione.
    La riproposizione del "nucleare" è una delle chiare dimostrazioni dell'approssimazione con la quale siamo governati, mentre scienziati come Rubbia sono stati costretti ad emigrare in Spagna per realizzare una "centrale solare".
    Noi non sposiamo aprioristicamente tesi di destra o di sinistra; vorremmo, come la gran parte degli italiani, essere governati con serietà.
    L'Italia, per la sua configurazione geografica, è ricca di risorse naturali che possono produrre energia.
    Occorre solo avere capacità progettuale e lungimiranza, per non lasciare alle generazioni che vivranno nei futuri millenni le scorie radioattive.
 
*) Direttore dell' Eco di Milano e provincia

Per Pisapia - Care e cari Milanesi

Per Pisapia 1
 
di Felice Besostri
Senatore della Repubblica per Milano nella XIII legislatura (1996-2001)

 
Quest'anno raggiungeranno il diritto di voto i nati dei primi 5 mesi del 1993, non saranno gli unici a votare per la prima volta, se andranno a votare, ma è una data simbolo perché sono passati  18 anni dall'ultima elezione, in cui i socialisti non presentarono un proprio candidato a Sindaco. Sostennero Piero Borghini, esponente di una sinistra mai nata in Italia, che in nome di Berlino 1989 si fosse lasciata alle spalle, für ewig (per sempre), Livorno 1921. Viene, a noi socialisti di oggi, una triste tenerezza a leggere le cronache di quei giorni con i risultati di un referendum interno tra i quasi 4.000 iscritti di allora ( Corriere della Sera, 15 aprile 1993) e con il mago dei numeri degli eredi del PCI, Stefano Draghi, che profetizzava le possibilità di una vittoria della Sinistra con una probabilità di 8, forse anche 9, su 10. Se non avessero scelto un candidato sbagliato come Nando Dalla Chiesa e non avessero deciso di espellere dalla Sinistra i socialisti, cioè quelli che avevano fatto grande Milano e che avevano tanti nomi e volti diversi, non solo quello di Mario Chiesa.
    Sappiamo come è andata a finire, da 18 anni Milano è governata dalla destra e la città forse è da bere, ma non certo da respirare: siamo fuori da tutti i parametri della qualità dell'aria. La Milano, già capitale morale ed economica d'Italia è diventata la capitale delle bronchiti croniche e del precariato.
    Negli indici della qualità della vita Milano è precipitata al 54° posto e il fatto di occuparlo insieme a Roma non è una consolazione. Dovessimo fare un bilancio del crescente influsso politico della Lega basterebbero questi dati: il degrado della Capitale del Nord e Roma, invece, che diventa Capitale d'Italia con norma costituzionale.  Non è tempo di nostalgie o di rimpiangere occasioni perdute, ma di impegni e proposte, grazie al fatto che il candidato Sindaco del Centro Sinistra, Giuliano Pisapia, ha richiamato più volte come modelli e fonte di ispirazione le Giunte a direzione socialista, quelle di Caldara e Filippetti all'inizio del secolo scorso e da Greppi( il Sindaco della ricostruzione) e Cassinis (il Sindaco della Metropolitana) ad Aniasi e Tognoli nel secondo dopoguerra, nonché le grandi città europee con sindaci socialisti democratici, Berlino, Parigi, Zurigo, Ginevra e Barcellona, per nominarne alcune.
    Il partito socialista è stato fondato a Genova, ma la sua fondazione politica ed intellettuale è milanese.
    A Milano era edita la Critica Sociale, di Milano la Società Umanitaria e milanesi di adozione due grandi personaggi del socialismo italiano: Filippo Turati e Anna Kuliscioff. Turati era un lombardo, ma Anna russa di origine ebraica e formata all'Università di Zurigo. Quanto diversa e accogliente era Milano! Senza le ansie e le paure per lo straniero: ritrovare la fiducia in se stessa e la capacità di dare speranza ai giovani e tranquillità agli anziani devono essere i primi obiettivi di una nuova Milano. Qui e non altrove può nascere una nuova Italia con Palazzo Marino al centro dell'iniziativa: non più dependance delle ville di Arcore o dei residence di via Olgettina.
    Milan l'è un gran Milan, lo capiscono tutti, anche i non milanesi di origine, che sono la stragrande maggioranza degli abitanti di questa città, ma come fare quando la storia pare essersi interrotta bruscamente con il Pio Albergo Trivulzio nel 1992 e la memoria si fa pesante? I pochi nomi fatti di persone, riviste e scuole di formazione professionale nelle righe precedenti, forse gli stessi nomi di sindaci socialisti, non evocano più nulla agli abitanti di Milano nati dopo il 1975, l'anno di nascita dei diciottenni del 1993 o che si sono trasferiti a Milano negli ultimi vent'anni, provenendo anche da altre lingue e culture: eppure i cittadini comunitari hanno diritto teorico di voto alle elezioni amministrative e quindi si dovrebbe parlare anche a loro. In una campagna elettorale di pochi mesi (si vota il 15 maggio per il primo turno) è difficile rimontare i ritardi e non abbiamo, parlo sempre dei socialisti milanesi, i mezzi finanziari per massicce campagne di stampa e pubblicitarie per una propria lista, ma siamo presenti in quelle collegate a Giuliano Pisapia. Possiamo, però, sempre fare capire ai nostri concittadini, che conoscono l'Europa e possono fare confronti, che, se nel complesso l'amministrazione è migliore, i trasporti pubblici più efficienti e teatri e istituzioni culturali al primo posto nelle priorità cittadine, questo dipende anche da un sistema politico dove il polo progressista e di sinistra è, di norma, costituito da un partito socialista democratico.
    Viaggiando per l'Europa, di cui geograficamente e storicamente e ora, grazie all'Unione Europea, anche istituzionalmente facciamo parte e faremo  parte prescindendo dalle farneticazioni leghiste, possiamo costatare che le diverse convinzioni religiose, come non averne alcuna, non influiscono sulle scelte politiche e programmatiche dei cittadini, mentre in Italia la difesa della laicità delle istituzioni è necessaria. I due figli di Filippo Turati e Anna Kuliscioff, entrambi socialisti e miscredenti, sono diventati il ragazzo un abate e la ragazza una suora di clausura: Milano è capace di questi miracoli e di storie che si intrecciano e alla sua rinascita dovrebbero contribuire credenti solidali e laici egalitari. Vestita diversamente e con diversi colori di pelle, la fiumana di popolo, rappresentata nel famoso quadro, significativamente di proprietà del Comune di Milano, "Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo, si deve rimettere in moto con lo stesso sguardo limpido e con la stessa determinazione nel volto per una città che rappresenti tutti i suoi cittadini, che non lasci nessuno da parte e offra a ciascuno la possibilità di esprimere il meglio di sé. 
 
 
Per Pisapia 2
 
CAMBIARE MILANO SI PUO'
 
Martedì 19 aprile 2011, alle ore 21.00
al Circolo De Amicis, di via De Amicis 17 - Milano
 
Compagni, compagne, amici, amiche, ricordo a tutti l'appuntamento di martedì 19 aprile 2011, alle ore 21.00 presso la sede del Circolo De Amicis, di via De Amicis 17 a Milano con l'iniziativa CAMBIARE MILANO SI PUO', organizzata e promossa dalla rete dei circoli milanesi di ispirazione socialista e libertaria (tra cui il Circolo Carlo Rosselli) a sostegno della candidatura a sindaco di Giuliano Pisapia e della LISTA MILANO CIVICA PER PISAPIA SINDACO.
    La serata prevede di sviluppare una riflessione di ampio respiro sulla città, partendo da un confronto puntuale tra le molte realizzazioni delle grandi amministrazioni a guida socialista del XX secolo e la pochezza dei risultati ottenuti dalle giunte di Destra (berlusconiane e leghiste) che hanno governato Milano in quest'ultimo ventennio. 
    Ci sarà naturalmente anche un articolato intervento di Giuliano Pisapia, nonchè la presentazione dei "nostri" candidati nella Lista Civica per Pisapia Sindaco: Alberto Anzalone e Giuliana Nuvoli.
Sarà - io ritengo - una serata interessante, alla quale mi auguro vogliate intervenire, perchè penso sia importante assicurare all'iniziativa una bella riuscita, con una presenza numerosa e con un dibattito vivace.
    Del resto, come avrete senz'altro potuto cogliere anche dai segni palesi di nervosismo con cui la Destra sta cercando di esasperare il prossimo voto amministrativo milanese, caricandolo di valenze politiche esasperate, la sensazione che sta crescendo è che la vittoria di Pisapia possa essere effettivamente un obiettivo a portata di mano.
    In gioco c'è evidentemente il futuro di questa città, cui è data la possibilità di uscire da un ventennio di amministrazione decisamente gretta ed opaca.
    Ma non v'è dubbio che quel che succederà a Milano, come spesso è accaduto nella storia antica e recente di questo Paese, possa avere valenze politiche di portata ben più generale.
    Per questo è bene impegnarsi. E l'iniziativa di domani sera può rappresentare un segnale utile ed importante.
 
Francesco Somaini
Circolo Carlo Rosselli - Milano

Sindacato - Verso lo sciopero generale

Cgil: "Vogliamo un altro paese" - L'assemblea nazionale dei delegati fa il punto della situazione: dall'occupazione ai contratti, fino allo sciopero del 6 maggio. "La crisi morde, il governo non fa niente: prepariamo una grande mobilitazione per dire che si deve cambiare"
 
Lo sciopero generale del 6 maggio, il problema dell'occupazione e della contrattazione. Questi i temi al centro dell'assemblea nazionale dei delegati della Cgil, che si è svolta oggi (sabato 16 aprile) a Roma presso l'auditorium della Conciliazione. E' quanto si apprende da una nota. Prima di tutto, il sindacato di Corso Italia ha voluto ricordare Vittorio Arrigoni: l'assemblea si è aperta con un minuto di silenzio in memoria del volontario pacifista ucciso a Gaza. La Cgil ha quindi espresso solidarietà ai magistrati di Milano, dopo la comparsa dei volantini che recitano: "Via le Br dalle procure".
    Poi si è passati ai temi politici e sindacali. Oltre 2.000 delegati e delegate, provenienti dai luoghi di lavoro più importanti del paese e da tante leghe dei pensionati, si sono confrontati sui punti della piattaforma sulla quale è stato convocato lo sciopero generale. Il segretario organizzativo, Enrico Panini, ha illustrato il senso dell'assemblea nell'intervento introduttivo. Lo scopo, ha detto, "è quello di dare voce a quanti ogni giorno operano sui posti di lavoro, vivono nel territorio, e si trovano a fare i conti con una crisi che morde quotidianamente nella carne e con un governo che non vuole intervenire. Anzi assume provvedimenti che vanno in una direzione esattamente opposta a quella che serve per risolvere i problemi".
    "L'unica cosa che non paga, mai, è la rassegnazione" ha proseguito, ricordando i risultati ottenuti in un periodo caratterizzato dai continui attacchi al diritto del lavoro e alla democrazia. Importanti risultati rappresentati innanzitutto dalla 'riconquista' per circa tre milioni e mezzo di lavoratori pubblici del diritto di poter eleggere, democraticamente, i propri rappresentanti. "Si rafforza - secondo Panini - la battaglia della Cgil perché sui temi della democrazia sindacale e della rappresentatività si definiscano nuove regole".
    Sul fronte contrattuale, qualche giorno fa è stato raggiunto un "bel risultato" con il rinnovo unitario del contratto di Poste Italiane, che rappresenta "una battuta d'arresto nella sequenza di accordi separati degli ultimi mesi". Altra conquista per tutta la società civile è la grande partecipazione alle manifestazioni di questi giorni per la difesa della dignità delle donne, della cultura, della Costituzione, per l'acqua pubblica, la pace e per dire basta con la precarietà, e che dimostrano che "pur in piena crisi, c'è vitalità e voglia di cambiare".
    Adesso la Cgil preparerà con cura lo sciopero generale. Tante le iniziative e assemblee in programma in vista del 6 maggio. La sfida, ha concluso Panini, è "l'affermazione concreta che cambiare si può e che cambiare si deve; che non può essere sempre e tutto sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati, che si può uscire da questa crisi difendendo i diritti, imponendo una politica sociale ed economica più giusta".
    ll segretario generale, Susanna Camusso, ha spiegato che il confronto di oggi "è un'occasione per riflettere sulle nostre rivendicazioni e sulla piattaforma alla base dello sciopero e costruire il clima necessario per la fase finale di preparazione". L'iniziativa assume importanza particolare perchè arriva alla vigilia della presentazione ai sindacati del Def, il documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri mercoledì scorso.
    "Significa quindi - ha aggiunto Camusso - mettere a confronto la nostra piattaforma con le scelte del governo, rafforzando così le ragioni dello sciopero". La politica di Tremonti "è di nuovo una scelta di depressione economica per il nostro paese, non si affrontano infatti, questioni come il fisco, il lavoro, e gli investimenti. Vogliamo che la classe dirigente - infine - si assuma le proprie responsabilità per portare il paese da un'altra parte".
 

mercoledì 13 aprile 2011

PROMEMORIA REFERENDUM

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Il 12 e il 13 giugno 2011 si terrà in Italia il referendum, con quattro quesiti per abolire la norma sul legittimo impedimento, sul sistema di affidamento e costo dei servizi idrici, considerato un significativo passo verso la privatizzazione dell'acqua, e quella per il ritorno dell'Italia all'energia nucleare.

IN POCHI SANNO CHE… 

Secondo la legge in vigore, come accade con le elezioni, alla chiamata referendaria possono partecipare anche i cittadini italiani residenti all'estero. Questi potranno scegliere se votare all'estero, o votare in Italia. Quanti vorranno scegliere quest'ultima opzione, dovranno rispettare la scadenza del 14 aprile (giovedì prossimo), data entro cui dovranno aver comunicato per iscritto la propria scelta, recandosi all'Ufficio consolare operante nella propria circoscrizione di residenza o inviando l'apposito modulo.

 

Tutte le informazioni per il voto fuori dall'Italia sono disponibili sul sito del ministero degli Esteri.

I 4 referendum

a) affidamento servizi idrici: "'abrogazione dell'art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria»" (leggi testo completo).

 

b) costi dei servizi idrici: abrogazione del comma 1 dell'art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», limitatamente alla seguente parte: «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito».

 

c) ritorno al nucleare: abrogazione parziale dei seguenti testi normativi, recanti disposizioni in materia di nuove centrali per la produzione di energia nucleare:

decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», limitatamente alle seguenti parti:

 

art. 7, comma 1, lettera d: «d) realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare; »;

 

legge 23 luglio 2009, n. 99, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonchè in materia di energia», limitatamente alle seguenti parti:

 

art. 25, comma 1, limitatamente alle parole: «della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare,»; (leggi testo completo)

 

d) legittimo impedimento: abrogazione dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, e dell'art. 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante «Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza», quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 13-25 gennaio 2011 della Corte costituzionale.

 

Verso la catastrofe perfetta?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
  
Oltre le prossime elezioni
 
di Ugo Intini
 
Gli strateghi dell'opposizione dicono in pubblico che il berlusconismo è finito e si confortano in privato con una considerazione certamente verosimile: ammesso che il centro destra possa vincere alla Camera, la presenza di un terzo polo gli impedirebbe comunque di vincere al Senato, così che, anche nella peggiore delle ipotesi, Berlusconi dovrebbe comunque passare la mano.
    Forse, magari a differenza del centro destra, non hanno calcolato una eventualità assolutamente possibile: quella della "catastrofe perfetta". La sua cronaca potrebbe apparire un romanzo di fantapolitica stile horror, ma non lo è affatto. Eccola.
    Il governo Berlusconi, tra rattoppature e espedienti, tira avanti sino alla scadenza naturale. Si vota perciò nella primavera del 2013. I sondaggi danno l'opposizione (senza Casini) in lieve maggioranza, ma Berlusconi, con una campagna elettorale costosa e abile, recupera terreno e vince alla Camera sul filo di lana, perdendo però, come previsto,al Senato. Parlamento ingovernabile e immediatamente da sciogliere? Forse, ma non si può, perché il capo dello Stato è nel suo ultimo semestre e pertanto ha perso il potere di scioglimento. Anzi. Proprio il Parlamento "sospeso" e inattendibile uscito dal voto deve immediatamente eleggere, in estate, il nuovo presidente della Repubblica. Ed ecco che qui ci si accorge dell'imminente "catastrofe perfetta".
    Camera e Senato hanno sempre contato esattamente lo stesso nel nostro sistema bicamerale, perché le leggi devono essere approvate nella stessa formulazione da entrambi i rami del Parlamento. Ma non è così per l'elezione del presidente della Repubblica,dal momento che qui la Camera conta il doppio, avendo il doppio dei parlamentari rispetto al Senato. Ciò non ha mai costituito un problema, perché più o meno la composizione politica di Camera e Senato è sempre stata sostanzialmente la stessa.
    Adesso però la situazione è cambiata. A causa del sistema elettorale manicomiale inventato dagli apprendisti stregoni della seconda Repubblica, il Senato può avere, eletto con regole diverse, una maggioranza antitetica a quella della Camera. Ciò che è puntualmente accaduto. E qui esplode il paradosso. Ci si accorge infatti che Berlusconi, poiché ha vinto alla Camera e perso al Senato, non può formare un governo, è vero, ma è perfettamente in grado di farsi eleggere presidente della Repubblica.
    Le cifre parlano chiaro. Grazie al sistema manicomiale sopra ricordato, con l'1 per cento dei voti in più (42 cento contro 41) ha ottenuto il 55 per cento dei deputati. E' vero che al Senato è sotto di dieci e che ci sono anche i rappresentanti delle Regioni, ma ha 31 deputati di maggioranza bastano largamente. Il centro sinistra strepita e grida al golpe. I giuristi osservano che una Camera non può contare il doppio dell'altra nella decisione più delicata del Parlamento (essendo per di più la meno rappresentativa, perché la sua maggioranza è tale solo grazie all'artificio del "premio").
    Qualcuno minaccia di non partecipare all'elezione del presidente della Repubblica, sostenendo che la più alta carica dello Stato risulterebbe dopo una simile elezione completamente delegittimata. Ma non c'è niente da fare, i numeri ci sono, i deputati del centro destra, non eletti ma "nominati" dal capo (lo stesso per la verità accade a sinistra) lo votano senza discutere e Berlusconi diventa presidente della Repubblica.
    A questo punto, la catastrofe perfetta ha colpito anche il vertice dello Stato che, per di più, si trova neanche a farlo apposta, a guidare le istituzioni nel caos e nel vuoto più assoluto: senza governo e con due presidenti delle Camere di segno politico opposto. Cercherà il Berlusconi appena incoronato di favorire un governo di transizione e unità nazionale? Oppure scioglierà le Camere nel buio più fitto, avviando una campagna elettorale da guerra civile? Oppure, secondo una tecnica ormai sperimentata, tenterà (questa volta dall'alto del Quirinale) di sfilare uno per uno dieci senatori al centro sinistra, in nome della "responsabilità"? Questo è il capitolo successivo del romanzo di fantapolitica. Sempre, comunque, di genere horror.
    In mezzo alla più grave crisi economica, politica, morale e adesso anche internazionale del dopoguerra, anche questi scenari vanno evocati, perché sono perfettamente possibili. Grazie alla inettitudine e irresponsabilità di una classe politica che si è avventurata in riforme elettorali e istituzionali sempre più imprevedibili e balzane.
 
 
 

Vite senza nomeDichiariamo il lutto nazionale
 
di Marisa Nicchi (SEL)
 
Dispersi nel mare uomini, donne, bambini che hanno avuto la sventura di nascere in Eritrea, Somalia, terre di violenza. Non saranno più un problema per il Governo italiano. Non si discuterà di come distribuirli tra le regioni, non usufruiranno della protezione internazionale, non dovranno chiedere ed attendere mesi per ottenere lo status di rifugiati. Sono vite senza nome, non saranno nemmeno un numero preciso.
    Sono partiti secondo la guardia costiera italiana, da Zuwarah, sulla costa libica, con un barcone di 13 metri che si è ribaltato tra le onde. Quei profughi eritrei e somali fino a qualche mese fa venivano respinti grazie agli accordi con il dittatore Gheddafi che ora bombardiamo in una guerra che sta riproducendo altri profughi. E' molto probabile che quelli del barcone affondato siano stati torturati, poi venduti come merce di scambio tra trafficanti e polizia libica ad uso della minaccia di invasione pronunciata dal dittatore. Di invasioni apocalittiche ancora non se ne vedono, vediamo tanta umanità sofferente proveniente da terre devastate dalle guerre, dagli stenti come quella somala-eritrea. A causa di tali disperate condizioni la fuga non si ferma, solo la morte può farlo definitivamente.
    Così è accaduto, in mare, di fronte alla Guardia Costiera, in acque SAR di competenza maltese. Sono affogati con il dubbio che si poteva far di più e meglio. E' inaccettabile. Pensiamo per un attimo se in quel mare ci fosse caduto un nostro affetto. L'immedesimazione è un buon esercizio per curare quel distacco dalla realtà che produce cinismo. Meritavano di vivere in pace, di non dover fuggire, di lavorare, andare a scuola, di poter tornare a sorridere, di non veder spezzati i propri legami. Meritavano soccorso e accoglienza umana. Ora possiamo solo dichiarare il lutto nazionale, dare loro un funerale simbolico portando pane e rose in quel canale di Sicilia che sommerge tanta morte disperata senza nome.
 
 
 
Migranti
a cura di rassegna.it
 
Migranti, no di Berlino ai permessi temporanei
 
Italia e Francia trovano l'intesa per il pattugliamento comune. Ma la Germania avverte: i visti di Maroni violano Schengen. A largo di Pantelleria arrestati tre scafisti: avevano gettato in mare 40 persone. Naufraghi salvati dalla capitaneria di porto.
 
Solo 48 ore di tregua. Poi, appena il mare è tornato calmo, sono ripresi gli sbarchi di migranti provenienti dal nord Africa. E dopo la tragedia del barcone rovesciato con quasi 400 persone a bordo, è dell'8 aprile la notizia che 40 tunisini sono stati gettati in mare dagli scafisti nel tentativo di fuggire alla Guardia costiera che li aveva intercettati a poca distanza dall'isola di Pantelleria (Trapani). I migranti sono stati soccorsi, mentre le due motovedette si sono messe all'inseguimento del barcone, raggiunto dopo tre miglia. Arrestati i tre uomini, i naufraghi sono stati salvati dalla capitaneria di porto.
    Intanto c'è l'accordo sul pattugliamento congiunto tra Italia e Francia. "Abbiamo concordato al necessità di sviluppare un'azione comune, un gruppo di lavoro congiunto per prendere iniziative per bloccare le partenze dei clandestini dalla Tunisia". Così annuncia il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, al termine dell'incontro con l'omologo francese Claude Gueant. L'intesa con Parigi, spiega Maroni, prevede che le iniziative rientrino negli "accordi fra Italia e Tunisia che prevedono il pattugliamento congiunto delle coste sia aereo che navale".
    Ma dalla Germania arriva un altro colpo al tentativo di trovare una politica comune europea. La decisione dell'Italia di accordare permessi temporanei ai migranti tunisini è "contraria allo spirito di Schengen". Lo annuncia Jens Teschke, portavoce del ministero dell'Interno di Berlino. Il governo tedesco solleverà la questione lunedì 11 aprile alla riunione ministeriale Ue di Lussemburgo. Teschke ha voluto precisare che la Germania ha accolto negli ultimi anni molte più domande d'asilo di quelle accolte dall'Italia, almeno "sei volte tanto", annunciando che il suo paese rafforzerà i controlli agli aeroporti e alle frontiere.
    Con la partenza nella notte della nave 'Flaminia' a Lampedusa non ci sono praticamente più migranti: sull'isola restano soltanto 72 persone nel centro di accoglienza dell'isola e, secondo quanto si apprende, dovrebbero essere rimpatriati nei prossimi giorni. I 72, infatti, sono arrivati nell'isola dopo la firma dell'accordo tra il ministro dell'Interno Roberto Maroni e l'autorità tunisina, con un barcone con a bordo complessivamente 104 persone. Una trentina é stata rimpatriata ieri e questi ultimi lo saranno nei prossimi giorni.
 
 

mercoledì 6 aprile 2011

Disastri

LAVORO a cura di rassegna.it


Camusso, sciopero contro il disastro economico


"Si capiscono sempre di più le motivazioni dello sciopero generale del 6 maggio. Il paese è sull'orlo del disastro economico. Cresce la diseguaglianza". Secondo il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, "di giorno in giorno si capiscono sempre di più le motivazioni dello sciopero generale che abbiamo indetto per il 6 maggio. Questo è un Paese davvero sull'orlo del disastro economico in cui cresce la diseguaglianza, in cui l'inflazione senza la crescita rappresenta un nuovo pericolo, in cui di fronte ai problemi dell'energia si preferisce mettere il piano nel cassetto invece di pensarne un altro, cioe' nulla si fa per il Paese". Camusso ha risposto così a una domanda sullo sciopero generale indetto per il 6 maggio a Piacenza, prima dell'inizio delle celebrazioni per il 120 compleanno della locale Camera del Lavoro: "Insistiamo nel dire che il nostro sciopero è un gesto di responsabilità per richiamare politica e classe dirigente sul fatto che il Paese ha bisogno di scelte e la prima scelta e' il lavoro". Le linee della piattaforma anticrisi su fisco e lavoro, e sugli altri temi al centro della protesta, vengono affinate in questi giorni dalla segreteria confederale e dai diversi dipartimenti. In questo senso va considerata la proposta di prevedere una tassa dell'uno per cento sulle ricchezze e sui grandi patrimoni. Una imposta straordinaria, ipotizzata sul modello francese, per fronteggiare la crisi, che si applicherebbe sui redditi superiori agli 800 mila euro e destinata a sostenere l'occupazione e gli ammortizzatori sociali (anche per i precari e i giovani) e a cancellare gli odiosi tagli alla spesa pubblica, dalla scuola alla ricerca, dall'assistenza alla sanità, dai trasporti alle pensioni, e via elencando. Con un gettito che, da una imposta dell'uno per cento, sarebbe di circa 18 miliardi (praticamente una finanziaria alternativa a quella del governo Berlusconi-Tremonti), oppure da una tassa più soft dello 0,50 per cento, un incasso aggiuntivo per lo Stato comunque sufficiente a massicci interventi di politica sociale.


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DIRITTI a cura di rassegna.it Msf e Amnesty: "Il governo è un disastro" Le due organizzazioni umanitarie accusano l'esecutivo Berlusconi: "Le condizioni sanitarie a Lampedusa sono inaccettabili, al di sotto degli standard minimi". E ancora: "E' una crisi creata dal governo e che poteva essere evitata, non c'è un piano". Accuse al governo per la gestione e la mancata prevenzione dell'emergenza migranti che sta investendo l'Italia. Sono arrivate oggi, quasi nello stesso momento, da due organizzazioni umanitarie famose nel mondo: Medici senza frontiere e Amnesty International. Secondo l'organizzazione medico-umanitaria indipendente Medici senza frontiere (Msf) le condizioni igieniche e sanitarie "di accoglienza per i migranti che arrivano a Lampedusa sono inaccettabili. Deve essere garantita un'assistenza adeguata". A oggi, nel porto di Lampedusa, "per circa 3.000 migranti sono in funzione 16 bagni chimici, due cisterne d'acqua mentre le autorità forniscono 1.5 litri di acqua potabile al giorno per persona. Queste condizioni sono bel al di sotto degli standard umanitari, che prevedono 20 litri di acqua al giorno per persona e una bagno ogni venti individui". Lo ha dichiarato Kostas Moschochoritis, direttore generale di Msf Italia: "E' difficile credere che siamo in Italia, in un Paese del G8! Le condizioni di vita sull'isola sono peggiori di quelle che troviamo nei campi rifugiati in cui Msf lavora nel mondo". Dal 14 febbraio, "un team di Msf è presente a Lampedusa e fornisce, in collaborazione con le autorità sanitarie locali, assistenza medica ai migranti e ai richiedenti asilo che sbarcano sull'isola". In queste ore il Governo italiano "sta procedendo al trasferimento, via nave, dei migranti da Lampedusa verso centri di identificazione e altre strutture in Puglia, Sicilia e in altre localita' italiane. Msf e' preoccupata delle condizioni igieniche sull'isola e nei vari centri che potrebbero trovarsi in una situazione analoga di sovraffollamento". "Le cattive condizioni igieniche - avverte la responsabile di Msf in Italia, Barbara Maccagno - potrebbero facilitare l'insorgere di malattie infettive", e per questo è necessario che, non solo a Lampedusa ma anche nei centri dove saranno trasferiti i migranti, siano assicurate "condizioni di accoglienza e accesso a cure mediche adeguate". Ad accusare il governo italiano, è anche Amnesty International. L'emergenza immigrazione a Lampedusa è infatti "una crisi creata dal governo e che poteva essere evitata". Lo ha detto Giusy D'Alconzo, dirigente di Amnesty Italia, che questa mattina ha tenuto una conferenza stampa proprio a Lampedusa assieme a Charlotte Phillips, del segretariato internazionale di Amnesty a Londra, e ad Annelise Baldaccini, dell'Ufficio Politiche europee Amnesty a Bruxelles. "Siamo impressionati dal fatto che il governo non abbia risposto adeguatamente e dalle condizioni misere in cui sono tenuti i migranti", ha detto Phillips. Secondo i dirigenti dell'Organizzazione umanitaria, "la risposta è stata lenta, soprattutto considerato che a Lampedusa si tratta di numeri piccoli rispetto ai flussi di profughi che in questi giorni vengono fronteggiati dai Paesi confinanti con la Libia e cioè l'Egitto e la Tunisia". Phillips ha affermato che verso le due nazioni nordafricane si sono dirette in questi giorni 400mila persone e che sarebbe necessaria una solidarietà dell'Europa verso il Cairo e Tunisi per contribuire alla gestione di questi profughi. D'Alconzo ha parlato di "condizioni al di sotto degli standard internazionali dei diritti umani, diritti non dei migranti, ma della persona", e ha sottolineato che i tunisini di Lampedusa "non ricevono un'informazione adeguata sulla loro destinazione nésu quello che li attende né sulle procedure legali e la possibilità di chiedere asilo". Inoltre, secondo Amnesty, il governo italiano "non ha un piano preciso e questo si porta dietro un uso incomprensibile della detenzione. Non si conosce la natura dei campi che si stanno allestendo in Italia, un Paese che si sta abituando a respingere, ha paura di accogliere e dove i migranti sono vittima di diffamazione perche' vengono presentati come criminali". Baldaccini ha auspicato "un'autocritica dei tutti i Paesi europei per gli accordi di riammissione di cittadini terzi, stipulati con la Libia e con la Tunisia, improntati sul blocco dei flussi piuttosto che sul rispetto dei diritti umani. Gli esponenti di Amnesty hanno poi sottolineato la "straordinaria solidarietà" dimostrata dagli abitanti di Lampedusa.

L'Analisi- Nuova governance Ue, si può fare di più

Il Consiglio europeo ha definito i contenuti e le procedure che caratterizzeranno la nuova governance dell'Unione europea (UE) e dell'Unione monetaria europea (UME). È un passo molto positivo ma ancora non basta. di Marcello Messori, nelmerito.com 1. Recependo gran parte delle proposte elaborate da vari organi europei nel mese precedente, alla fine della scorsa settimana (24 e 25 marzo) il Consiglio europeo ha definito i contenuti e le procedure che caratterizzeranno la nuova governance dell'Unione europea (UE) e dell'Unione monetaria europea (UME). Oltre al "semestre europeo", avviato all'inizio di quest'anno grazie a una precedente decisione del Consiglio della UE (settembre 2010) e finalizzato a concertare le politiche nazionali di bilancio prima del loro varo da parte dei singoli stati-membri, i principali pilastri di questa nuova governance saranno almeno cinque: (i) la revisione del "Patto di stabilità e crescita" (PSC), che ripristina la centralità della soglia del 60% per il rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo (PIL) e disegna i meccanismi di correzione da adottare per i debiti nazionali in eccesso; (ii) la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, che sono valutati sulla base di un insieme di indicatori quantitativi e di specifiche analisi qualitative e che possono richiedere il varo di piani di correzione entro orizzonti temporali definiti; (iii) il Patto per "l'euro plus" (PEP), che mira a ridurre i divari di competitività fra i paesi dell'UME - compresi quelli della UE aderenti su base volontaria – mediante politiche di coordinamento in aree di competenza nazionale; (iv) il rilancio del mercato interno, basato sul riavvio dei processi di liberalizzazione dei servizi e sulla semplificazione burocratica di molte attività di impresa; (v) le modifiche del meccanismo di stabilizzazione dei debiti sovrani degli stati-membri in difficoltà, che innalzano il tetto quantitativo del sostegno finanziario erogabile dal futuro Fondo permanente (MES) e che rendono possibile l'acquisto di titoli pubblici di nuova emissione. Vari elementi di tali pilastri dovranno superare il vaglio del Parlamento europeo, che detiene un potere di co-decisione e può quindi introdurre modifiche significative. Per rispettare le scadenze temporali disegnate dal Consiglio europeo a ottobre del 2010, almeno quattro dei cinque pilastri dovranno comunque essere approvati in via definitiva entro l'estate del 2011. 2. Ritengo che i risultati di lungo termine, sanciti dalle decisioni del Consiglio europeo della scorsa settimana, vadano al di là delle più ottimistiche previsioni. Appena un anno fa, la deflagrazione della crisi greca spingeva molti commentatori a dubitare della stessa sopravvivenza di un'area monetaria priva di un adeguato coordinamento fiscale; e ancora qualche mese fa, la rigidità delle posizioni tedesco-francesi in tema di revisione del PSC e di coordinamento macroeconomico sembrava destinata a vanificare la realizzazione delle proposte elaborate - nella seconda metà del 2010 - dalla Commissione europea e da un gruppo di lavoro guidato dal Presidente del Consiglio europeo van Rompuy. Oggi ci ritroviamo invece con nuove istituzioni di governance (cfr. sopra, i punti (i)-(iii)), che gettano le basi per un efficace coordinamento delle politiche fiscali e delle politiche macroeconomiche nazionali; per di più, queste istituzioni tendono verso un equilibrato compromesso fra flessibilità (valutazioni sia quantitative che qualitative) e rigore (sanzioni quasi-automatiche sia ex ante che ex post) e sembrano in grado di rafforzare l'impatto del "semestre europeo" sulle scelte di bilancio dei singoli stati-membri. Tale quadro positivo è, però, minato da un grave limite di breve-medio termine che rischia di azzerare i progressi compiuti. Affinché l'attuazione delle decisioni del Consiglio europeo non sia punitiva e controproducente rispetto ai paesi più fragili dell'UME, è necessario che vi siano un rafforzamento e una rapida generalizzazione della crescita economica nell'area europea; e un presupposto essenziale per il verificarsi di quest'ultima eventualità positiva è che si pervenga a un'efficace soluzione della crisi del debito sovrano dei paesi periferici. Al riguardo, le recenti scelte del Consiglio europeo sono però molto deludenti. In particolare, le modifiche del MES rischiano di accrescere la vulnerabilità dei paesi periferici dell'UME e di condannarli, così, a una prolungata fase di recessione. Prova ne sia, del resto, la reazione dei mercati finanziari che, nei giorni immediatamente successivi al 24 e 25 marzo, hanno penalizzato i titoli portoghesi e greci e hanno reso inevitabile un nuovo intervento di salvataggio da parte dei meccanismi temporanei di stabilizzazione dell'area dell'euro (l'EFSF) e dell'UE (l'EFSM). Le considerazioni, che seguono, cercano di fornire qualche elemento a sostegno delle tesi fin qui esposte. 3. La revisione del PSC è stata imposta dallo scarso rigore nell'attuazione del precedente Patto, che non ha funto da argine efficace rispetto alla crisi del debito sovrano in molti stati-membri periferici. L'elemento cruciale della revisione consiste nella rinnovata rilevanza attribuita al tetto del 60% nel rapporto fra debito pubblico e PIL. Se il tasso di crescita non è sufficientemente elevato, l'introduzione di una correzione annuale, pari al 5% dell'eccedenza media nel precedente triennio fra l'effettivo rapporto debito/PIL di ciascun paese e la soglia richiesta del 60%, impone però un vincolo più severo per l'insieme degli stati-membri con debito eccessivo rispetto alla vecchia e permanente regola di aggiustamento (correzione annuale pari ad almeno lo 0,5% del PIL). Pertanto, nel caso in cui i paesi con debito eccessivo continuino a registrare tassi di crescita molto modesti o addirittura negativi, specie nei primi anni di attuazione il nuovo vincolo risulterebbe punitivo; e la sua adozione avrebbe un'alta probabilità di innescare una recessione generalizzata nell'area euro con l'effetto di creare un circolo vizioso fra caduta del PIL e necessità di sempre più forti correzioni del debito pubblico. Apparentemente tali possibili effetti negativi sono mitigati dalla decisione, fortemente caldeggiata dall'Italia, di ponderare l'entità della correzione annuale, richiesta a ogni stato-membro con debito eccessivo, mediante la valutazione di altri fattori rilevanti. Si tratta, per esempio, di: l'entità del debito privato di ciascun paese, la struttura temporale delle scadenze del suo debito pubblico, il grado di invecchiamento della sua popolazione, la sostenibilità del suo sistema previdenziale. Fino a che non saranno definite con precisione le modalità di questa ponderazione, risulta però impossibile valutare se l'introduzione di simili fattori aggraverà o migliorerà gli squilibri di bilancio dei diversi stati-membri e, di conseguenza, accrescerà o diminuirà il rischio di una recessione generalizzata nell'area. Sia il coordinamento macroeconomico che il PEP mirano a ridurre i divari di competitività fra gli stati-membri. In particolare, il coordinamento macroeconomico spinge i singoli paesi dell'UE ad attenuare i propri squilibri interni ed esterni; e prevede, in caso di inadempienza, l'apertura di una procedura di infrazione e la conseguente definizione di un piano correttivo. Qualora il paese inadempiente appartenga all'area dell'euro e si riveli incapace di innescare processi di aggiustamento, esso va soggetto a rilevanti sanzioni pecuniarie. Viceversa il PEP, che si applica – forzosamente - ai soli paesi dell'UME e – su base volontaria – a qualsiasi altro paese dell'UE, richiede il raggiungimento di svariati obiettivi: la compatibilità fra dinamiche salariali e andamento della produttività, l'aumento del tasso di partecipazione al mercato del lavoro, la ridefinizione di istituti contrattuali per la flexsecurity, la sostenibilità delle finanze pubbliche, la sostenibilità delle spese sanitarie e previdenziali, la stabilità finanziaria, il recepimento nazionale di regole fiscali europee, e così via. Ne risulta che, seppure con modalità e intensità diverse, sia il coordinamento macroeconomico che il PEP impongono agli stati-membri (specie dell'UME) di attuare rilevanti riforme strutturali; ed è quasi banale sottolineare che i costi sociali e politici di tali riforme sono inversamente correlati al tasso di crescita economica. 4. Le precedenti considerazioni confermano la necessità di fornire una soluzione di breve termine alla crisi del debito sovrano di molti paesi periferici dell'UME, che non ne comprometta il potenziale di crescita di medio periodo. L'esperienza dell'ultimo anno ha mostrato che ciò risulta impossibile se: (i) i salvataggi vengono attuati caso per caso, con modalità discrezionali e alla "venticinquesima ora"; (ii) le condizioni del salvataggio sono punitive in termini di oneri finanziari e di processi di aggiustamento imposti; (iii) i meccanismi di intervento europei sono inadeguati sotto il profilo della dotazione patrimoniale e delle garanzie offerte dai singoli stati-membri; (iv) la continuità nelle modalità e nelle regole di salvataggio non è garantita; (v) i finanziamenti dei fondi europei godono di trattamenti preferenziali (seniority) e, quindi, 'spiazzano' quelli privati; (vi) tali fondi non sono autorizzati ad acquistare titoli pubblici degli stati-membri sul mercato secondario che è, così, riservato ai privati e alla Banca centrale europea. Le decisioni, assunte dal Consiglio europeo la scorsa settimana, rafforzano ognuno di questi sei punti. Così come gli attuali fondi temporanei (EFSF e EFSM), anche il futuro fondo permanente (MES) effettuerà salvataggi caso per caso e in modo discrezionale; il MES imporrà ai paesi in difficoltà, che richiedono il suo aiuto, regole di aggiustamento più severe rispetto a quelle oggi adottate dall'EFSF e dall'EFSM e potrà – in particolare – adottare regole punitive rispetto ai detentori degli stock dei relativi titoli pubblici; esso non potrà contare su una garanzia congiunta da parte di ciascuno degli stati-membri dell'UME, ma sarà dotato di un capitale effettivamente versato e di garanzie pro-quota secondo procedure ancora poco chiare; diversamente dall'EFSF, esso godrà di seniority e potrà acquistare titoli del debito sovrano di stati-membri soltanto sul mercato primario. Per giunta, il MES diventerà operativo solo dalla metà del 2013; e, almeno per il momento, le garanzie dell'EFSF non hanno fruito di nessun aumento così che tale meccanismo non ha accresciuto il suo potenziale di finanziamento. In un quadro del genere, non c'è da stupirsi che i mercati finanziari abbiano ripreso a speculare contro il debito sovrano dei paesi periferici. Vi è, invece, da stupirsi delle scelte politiche. E' ragionevole che, dopo gli insperati progressi compiuti sul piano della governance, i paesi 'forti' dell'UME non siano disposti a costruire meccanismi razionali di stabilizzazione del debito pubblico europeo? E' possibile che questi stessi paesi non si rendano conto che i costi attesi di un progetto sistematico di stabilizzazione del debito sovrano sono inferiori ai costi derivanti dal salvataggio dei loro sistemi bancari nazionali, in caso di fallimento di uno degli stati-membri periferici? Il problema non è certo tecnico: le soluzioni, offerte in letteratura, sono svariate. Perché fermarsi all'ultimo miglio?