martedì 29 novembre 2011

Ambiente - Conferenza Onu sul clima, le proposte degli ecologisti

Il 28/11 a Roma conferenza stampa della onlus A Sud. Verso il vertice di Durban, l'allarme degli attivisti: "Dopo Copenaghen e Cancun si rischia un altro fallimento: Stati concentrati sulla crisi, media in silenzio e nessuna volontà politica"

 

Si tiene lunedì 28 novembre a Roma l'incontro "Verso la Conferenza Onu sul clima di Durban / Sud Africa", organizzato dall'associazione A Sud, onlus per l'ecologia e la cooperazione, e Rigas (Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale). E' quanto si apprende da una nota. Si terrà una conferenza stampa alle 10.45 presso la Fnsi, via Vittorio Emanuele II n. 349. Saranno presentate le proposte dei movimenti sociali e delle associazioni sul clima, proprio in vista di Durban.
    Dal 28 novembre al 10 dicembre si terrà a Durban, Sud Africa, la 17° Conferenza Mondiale Onu sul clima. Lo ricorda A Sud in una nota. "È ormai innegabile - scrivono - che gli stravolgimenti climatici sono la più grande minaccia che pende sul futuro dell'umanità. A dirlo sono i climatologi, la comunità di ricercatori, gli accademici. La responsabilità di questa profonda crisi che coinvolge aspetti ambientali, sociali ed economici è dell'uomo. Sono gli attuali modelli di consumo, produzione e consumo ad aver causato la distruzione ambientale che il pianeta sta vivendo negli ultimi decenni e che è alla base dell'impazzimento del clima".
    "Dopo gli ultimi due vertici Onu sul clima, tenutisi nel 2009 a Copenaghen e nel 2010 a Cancun e finiti con un colossale quanto annunciato fallimento, l'appuntamento sudafricano è destinato purtroppo ad avere le stesse sorti. Complici - a giudizio dell'organizzazione -, l'attenzione internazionale rivolta sulla crisi economica, il silenzio dei media e la palese mancanza di volontà politica dei governi emersa già durante gli scorsi summit".

    Di fronte alla gravità della minaccia rappresentata dagli stravolgimenti climatici, prosegue A Sud, "divengono fondamentali tanto il ruolo della società civile nell'elaborare proposte alternative, quanto quello dei media, nell'alzare il livello di attenzione attorno alla problematica garantendo alla società civile il diritto ad una corretta e adeguata informazione su temi di tale rilevanza".

Rinasce la politica?

Parliamo di socialismo -a cura della Fondazione Pietro Nenni - http://fondazionenenni.wordpress.com/

di  Giuseppe Tamburrano

 

Con il governo Monti si profila se non una separazione una sapiente distinzione tra la tecnica della gestione e la politica della progettazione.

    E' stata l'unica soluzione perché la politica – quella di Berlusconi – ha dimostrato ampiamente la sua inerzia gestionale: la lettera della BCE data da molti mesi e la risposta del governo si è fatta attendere e quando è stata formulata è stata redatta in termini estremamente generici ed elusivi sia sul tema della crescita che del debito. Sarà colmato questo vuoto di gestione? E sarà soprattutto ripristinato il primato della politica?

    Ora abbiamo uno staff che è tutto gestione per le specializzazioni e le attitudini dei ministri: la politica, che attraverso molte contorsioni si è ritratta da un suo coinvolgimento diretto sia pur minimo o al limite simbolico, la politica che farà? Solo prove di gruppi per nuove mini aggregazioni che non incideranno grosso modo nei risultati elettorali? O con un colpo d'ala ritroverà le ragioni autentiche del suo operare e del suo essere? E cioè mentre il governo governa, la politica si autoriforma ponendo mano a significativi cambiamenti del suo universo che – non lo dimentichiamo – in democrazia è il "sovrano".

    E' una felice opportunità questa offerta dal governo Monti poiché la "separazione" tra tecnica e politica permette al Parlamento di discutere di politica: la legge elettorale – inutile pensare che la Corte costituzionale accolga il referendum -, la modifica dei regolamenti parlamentari, la riforma del bicameralismo perfetto, il numero dei parlamentari, che consenta di operare tagli e risparmi sugli emolumenti e sui vitalizi (problema già sollevato da Fini), di ridimensionare l'espansione edilizia, di ridurre numero e retribuzioni dei collaboratori, di contenere l'uso delle auto blu, e last but not least, di introdurre regole di decenza nel finanziamento pubblico dei partiti.

    E non credo di aver esaurito il cahier de doléances .

    Dunque partiti e Parlamento, coinvolti nell'esame e nell'approvazione delle iniziative del governo, possono riportare ordine e equilibrio nelle strutture e nel funzionamento della nostra democrazia partitica e parlamentare. Sarebbe il ritorno della politica, la grande assente. E' una speranza, un auspicio. Resta il dubbio: saranno capaci questi partiti di riformarsi e riformare la democrazia o, come sembra, prevarrà il loro costume a dedicarsi ai piccoli e grandi riaggiusta menti. Non prevarranno manovre oblique di gruppi e di consorterie per non perdere le quote di potere che la scomposizione del berlusconismo e probabilmente della "sinistra" renderanno vagante e vacante?
 
 

LAVORO E DIRITTI - a cura di rassegna.it

Settimana tragica sul lavoro

 

Nove morti in meno di sette giorni. Le vittime in una cartiera, in cantieri edili e cave. Napolitano: "Nessun cedimento nell'impegno per la sicurezza". Cgil: numeri impressionanti. L'impegno del ministro Fornero: tema centrale nell'azione del governo

Nove morti in meno di sette giorni. L'ultima è una commessa di Oristano: Maria Cristina Allegretti, 36 anni, schiacciata da un distributore automatico caduto da un camion. E, sempre il 25 novembre, un operaio romeno di 53 anni, Ioan Tohanean, è deceduto a Roma in un cantiere dell'Anagnina mentre stava accatastando pannelli di legno. E' rimasto schiacciato dai pannelli che gli sono caduti addosso.

    Poco prima dell'alba dello stesso giorno, una violenta detonazione ha svegliato gli abitanti di Lallio, un comune alle porte di Bergamo. La caldaia di una cartiera, la Ca.Ma., è esplosa causando la morte di Rosario Spampinato, un operaio di 50 anni che lascia una moglie e due figli.

    L'incidente è avvenuto attorno alle 4 e 30 e il corpo dello sfortunato lavoratore è stato ritrovato solo alle 6 e 15. Ai soccorritori gli operai sopravvissuti (otto addetti al turno di notte, dove si concentrano i pericoli maggiori per la sicurezza, come dimostrano i dati dell'Inail) hanno descritto un'esplosione simile a un bombardamento. Tanti residenti in zona, svegliati nel sonno, sono accorsi in strada impauriti, pensando sulle prime allo scoppio di una bomba o ad un terremoto.

    Pochi giorni fa, il 22 novembre, sono morti quattro lavoratori nell'arco di una singola giornata. E l'indomani, 23 novembre, Renzo Fratter, un commerciante di legname di 47 anni, ha perso la vita a causa delle gravi ferite al volto in seguito allo scoppio di uno pneumatico. L'incidente è avvenuto a Pramaggiore, in provincia di Venezia. Fratter stava riparando il cerchione della ruota che aveva rimosso, ma lo pneumatico, surriscaldato dalla saldatrice, gli è esploso in faccia.

    Giovedì 24, invece, il 32enne Simone Zenoni è caduto da otto metri di altezza mentre effettuava dei lavori su un impianto fotovoltaico da poco installato sul tetto di un'abitazione di Armeno (nel comune di Verbania).

    Il susseguirsi quasi ininterrotto di morti sul lavoro ha richiamato l'attenzione del presidente della Repubblica. Secondo Giorgio Napolitano non è ammissibile "alcun cedimento" nell'"impegno di tutti affinché la sicurezza e la dignità del lavoro abbiano quella valenza primaria che la Costituzione pone a fondamento della Repubblica".

    "Con il nuovo morto sul lavoro nel bergamasco si chiude una settimana drammatica. Un numero impressionante di lavoratori hanno perso la vita in questi giorni per cause che la Magistratura deve accertare rapidamente, colpendo le responsabilità". Questo il commento del segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere. Per il dirigente sindacale, con l'incidente che si è registrato nelle scorse ore nel bergamasco, "si conferma che la prevenzione e i controllo sono l'emergenza su cui fare leva per combattere effettivamente i rischi nei luoghi di lavoro". Secondo Scudiere, le parole del ministro del Welfare Fornero, "fanno ben sperare perché, a differenza del governo precedente, sembra voler affrontare il tema dal verso giusto. Senza quel portato di propaganda ma, al contrario, con l'intenzione di voler ridimere e risolvere i problemi senza annunciarli e, come è spesso accaduto in passato, in qualche caso crearli".

    Il ministro Fornero ha dichiarato che il tema della sicurezza sul lavoro "deve rimanere e resterà centrale nell'azione del governo. È un mio impegno".

1 5 0 - Laicamente

Laicità dello Stato, libertà religiosa, diritti degli immigrati – questi i temi all'ordine del giorno per i protestanti italiani, che sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 22 novembre scorso al Quirinale. Occasione dell'incontro il convegno "Il protestantesimo nell'Italia di oggi. Vocazione Testimonianza Presenza", organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia, cui hanno partecipato Chiti, Staderini, Pezzotta, Orlando e Mussi.

di Paolo Naso

 

Il 22 novembre un'ampia rappresentanza di evangelici italiani è salita al Quirinale dove, alla presenza del Capo dello Stato, ha presentato il convegno "Il Protestantesimo nell'Italia di oggi. Vocazione Testimonianza Presenza" svoltosi nel pomeriggio dello stesso giorno presso il Senato della Repubblica.

    Con questa iniziativa che si inquadra nelle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità, gli evangelici hanno inteso qualificare la loro presenza nello spazio pubblico italiano, come ha detto il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, pastore Massimo Aquilante, dichiarando che gli evangelici italiani, mentre affermano "il principio della distinzione delle competenze e dei ruoli tra lo Stato e le confessioni religiose", credono nella "possibilità di un dialogo e di un confronto" tra le comunità di fede e le istituzioni.

    E' un'idea di laicità che va oltre la semplice separazione tra la sfera di competenza dello Stato e quella di pertinenza delle comunità religiose, e che delinea uno spazio pubblico sempre più partecipato e pluralista.

    La strada è tutta in salita e piena di ostacoli. Per la sua storia civile e religiosa, l'Italia – la sua classe politica, il sistema della comunicazione, molti intellettuali – non è affatto pronta a riconoscere e tanto meno ad ascoltare le voci di tradizioni teologiche, religiose e spirituali diverse da quella storicamente maggioritaria.

    Le generalizzazioni sono sempre da evitare ma vi è ampia evidenza mediatica del fatto che per la maggior parte dei cattolici e dei "laici" italiani la Chiesa cattolica costituisca l'unica e verace espressione del sentimento religioso nazionale. Le altre confessioni, comprese quelle più radicate nella storia del Paese come ebrei e valdesi, costituiscono minoranze "accidentali", sconnesse e distanti da quella fede mainstream che viene fatta coincidere con la tradizione e l'identità cattolica.

 

La presenza evangelica nello spazio pubblico intende forzare i recinti di questo assunto infondato e incapace di cogliere le dinamiche sociali del tempo di post-secolarizzazione che si vive anche in Italia. Sono in molti ad osservare, infatti, che negli ultimi anni è cambiata anche la scena religiosa nazionale e che riferimenti e discorsi religiosi oggi riscuotono un interesse crescente.

    Ma quello che stiamo vivendo non è affatto un ritorno al passato degli oratori affollati e dei rintocchi rassicuranti delle campane. E' piuttosto il tuffo in uno scenario nel quale le dinamiche della post-modernità condizionano anche l'universo della religione e determinano interessi e comportamenti nuovi, magari confusi e ambigui ma certamente diversi e distanti da quelli tradizionali.

    Il pluralismo è un tratto di questo tempo post-secolare nel quale lo spazio pubblico si affolla di protagonisti, nuovi simboli e nuove tradizioni. Pluralismo di idee religiose, di modelli di spiritualità, di etiche, di teologie, di espressioni della fede. Censurato, minimizzato, deprecato, questo pluralismo cresce sotto traccia e una società sarà compiutamente democratica e laica soltanto se saprà prenderne atto e modificare coerentemente la sua auto rappresentazione. Nella società post-secolare, insomma, pluralismo religioso e democrazia nell'accesso allo spazio pubblico sono assai più strettamente interconnessi che in passato.

    Scorrendo l'agenda ecumenica di questi giorni possiamo rilevare che in questi giorni sono in calendario importanti convegni sulla bioetica (Udine) e sulla pace e la giustizia (Milano); negli stessi giorni altri ancora gli evangelici raccoglieranno firme nell'ambito della campagna "L'Italia sono anch'io" per i diritti degli immigrati. E' in questa forma che gli evangelici italiani intendono contribuire al dibattito pubblico del Paese: da "laici" che sanno distinguere tra Chiesa e Stato da una parte, e da credenti che sentono la responsabilità di testimoniare pubblicamente la propria fede dall'altra. ( nev 45/2011 - adl )

 

 

IPSE DIXIT

E quindi siamo impacciati - «C'è il tema della finalità riconciliativa delle procedure democratiche. Se affidate all'invettiva dei media diventano procedure di contrapposizione, diventano l'inveramento della politica schmittiana, non della politica democratica: il trionfo del rapporto tra nemici. Ciò che rende fondamentalmente impossibile la coesione e la condivisione. E che fa prevalere l'ostilità nei confronti del nemico al posto della responsabilità davanti al problema. C'è un problema, ne dovremmo essere responsabili, lo imputiamo a un nemico e – inveendo contro il nemico – assolviamo al nostro compito politico e raccogliamo consensi attorno all'invettiva piuttosto che intorno alla soluzione. Col risultato che, quando poi si avvicina il momento di gestire la soluzione, noi sappiamo solo gestire l'invettiva e quindi siamo impacciati.» – Giuliano Amato

mercoledì 23 novembre 2011

Quando l' Avanti! salvò il partito

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

La battaglia del "neofita" Nenni all' Avanti! contro due "ex" (Serrati e Mussolini) per difendere l'esistenza e la libertà del PSI

 

di  Giuseppe Tamburrano

 

Il 1922 Nenni, redattore capo dell' Avanti! , è solo da un anno iscritto al PSI proveniente dalle file repubblicane. Nell'ottobre di quell'anno alcuni dirigenti socialisti guidati da Serrati, direttore del giornale (il PSI era reduce dalla scissione con i riformisti di Turati, Matteotti e Kulisciof) si recano a Mosca per trattare la fusione con il Pcd'I con la mediazione di Zinoviev.

    La "fusione" è un vero e proprio assorbimento del PSI (l' Avanti! era destinato alla componente comunista e sarebbe stato diretto da Antonio Gramsci): più che una unificazione, una "liquidazione sottocosto del PSI", come la definisce Nenni che si pone alla testa del Comitato di difesa del partito e fa sull' Avanti! una intensa campagna contro la fusione.

    Serrati, che è il direttore del giornale, tempesta da Mosca perchè Nenni si dimetta dall' Avanti! e cessi la campagna autonomista. Invia, tramite Fioritto, segretario del partito, un ukase : "Ti ordino di sottometterti al CC e al direttore dell' Avanti! ".

    Nenni non se ne dà per inteso.

 

Viene convocato un congresso straordinario che si tiene a Milano nell'aprile del 1923. E al congresso di Milano la grande maggioranza è con Nenni contro la "fusione".

    Mussolini mette fine al contrasto: fa arrestare e Serrati, il 1° marzo 1923 quando questi rientra in Italia dalla Russia, e il giorno dopo anche Nenni, che si fa diciotto giorni di cella. Ma poi la campagna dell' Avanti! prosegue. Nenni ormai ne è il direttore.

    Certamente Nenni non avrebbe vinto senza l' Avanti! che diventò la sua creatura preferita, forse più dello stesso partito. Se avesse vinto Serrati – che, sconfitto, entrò nel Pcd'I – il Partito socialista italiano sarebbe scomparso.

 

Pubblicato sul numero speciale dell' Avanti! della domenica del 15.11. 2011

1 5 0 - Nuovi Cittadini italiani

IPSE DIXIT

Affrettati lentamente! - «Pedro, adelante con juicio.» - Alessandro Manzoni

Tatto - «Il tatto nell'audacia consiste nel sapere di quanto spingersi troppo avanti.» - Jean Cocteau
 

 

Intervento del Presidente Napolitano all'incontro dedicato alle ragazze e ai ragazzi di "seconda generazione".

di Giorgio Napolitano

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Saluto i tanti ragazzi seduti qui in sala, in particolare quei giovani che hanno scelto di diventare cittadini italiani nell'anno del 150esimo della nostra Unità, non appena diventati maggiorenni. E saluto quei minorenni, cittadini italiani fin dalla nascita, che hanno tenuto comportamenti eccellenti così da meritare l'insegna di Alfiere della Repubblica che tra poco consegneremo. Questa udienza segnala l'importanza che si creino rapporti solidali tra ragazzi di differente origine, tra ragazzi di varia età e provenienza, tra giovani persone con talenti diversi, già espressi o ancora da far emergere.

    Pure nei giorni così complessi e impegnativi che stiamo vivendo ho voluto confermare questa udienza che si colloca significativamente all'interno delle celebrazioni del 150esimo anniversario della fondazione dello Stato nazionale unitario italiano. Sono infatti convinto che i bambini e i ragazzi venuti con l'immigrazione facciano parte integrante dell'Italia di oggi e di domani, e rappresentino una grande fonte di speranza.

    Il filmato che abbiamo visto all'inizio con le interviste ai piccoli scolari e ai giovani della seconda generazione, la testimonianza di Abdel Hakim Jellaoui, la bella interpretazione di Alexander Romanovsky, le vittorie di una squadra, quella di ginnastica ritmica, che unisce atlete - voglio sottolinearlo - tutte italiane anche se di origini diverse, ci hanno confermato nell'opinione che la nostra è diventata una comunità nazionale nella quale i figli di immigrati contano non solo come numeri, ma anche per le capacità che esprimono. Si tratta di una presenza che concorre ad alimentare quell'energia vitale di cui oggi l'Italia ha estremo bisogno. Anche Jellaoui ce lo ha ricordato. Più in generale, non comprendere la portata del fenomeno migratorio e non capire quanto sia necessario, sia stato e sia necessario, il contributo dell'immigrazione per il nostro Paese significa semplicemente non saper guardare alla realtà e al futuro.

I nati in Italia ancora giuridicamente stranieri superano il mezzo milione, e complessivamente i minori stranieri residenti in Italia sono quasi un milione; di questi, più di 700mila studiano nelle nostre scuole. Senza questi ragazzi il nostro Paese sarebbe decisamente più vecchio e avrebbe minore capacità di sviluppo. Senza il loro contributo futuro alla nostra società e alla nostra economia, anche il fardello del debito pubblico sarebbe ancora più difficile da sostenere.

    Negli ultimi 20 anni, tra il 1991 e il 2011, il numero dei residenti stranieri è aumentato di 12 volte. Tuttavia gli immigrati che sono diventati cittadini sono ancora relativamente pochi, anche se negli ultimi 10 anni c'è stato un notevole incremento. All'interno dei vari progetti di riforma delle norme sulla cittadinanza, la principale questione aperta rimane oggi quella dei bambini e dei ragazzi. Molti di loro non possono considerarsi formalmente nostri concittadini perché la normativa italiana non lo consente, ma lo sono nella vita quotidiana, nei sentimenti, nella percezione della propria identità. I bambini nati in Italia, che fino ai 18 anni si trovano privi della cittadinanza di un Paese al quale ritengono di appartenere, se ne dispiacciono e se ne meravigliano, perché si sentono già italiani come i loro coetanei. Lo abbiamo ascoltato nell'intervista alla giovane della rete G2, che unisce le seconde generazioni. Lo stesso atteggiamento hanno quei ragazzi che in Italia sono arrivati da piccoli, ma qui sono cresciuti e hanno studiato: ritengono di avere diritto ad un trattamento che riconosca il loro percorso di vita ed educativo. E proprio sulla necessità di riflettere su una possibile riforma delle modalità e dei tempi per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai minori si è registrata una sensibilità politica significativa e diffusa già nella discussione del gennaio 2010 alla Camera dei Deputati. Si osserva, inoltre, una ampia disponibilità nell'opinione pubblica italiana a riconoscere come cittadini i bambini nati in Italia da genitori stranieri. In generale, gli italiani appaiono disponibili nei confronti dei bambini di origine immigrata: si rileva - ad esempio - una decisa diminuzione di quanti, già pochi in partenza, ritengono che la presenza di quei bambini nelle scuole rappresenti un ostacolo per l'apprendimento dei propri figli.

    È opportuno tenere presente che i ragazzi di origine immigrata nella scuola e nella società sono non solo una sfida da affrontare, ma anche una fonte di stimoli fruttuosi, proprio perché provengono da culture diverse. E non deve preoccupare il fatto che la loro sia un'identità complessa, non necessariamente unica, esclusiva. Se noi desideriamo che i figli e persino i nipoti o pronipoti dei nostri cittadini emigrati all'estero mantengano un legame con l'Italia e si sentano in parte anche e ancora italiani, non possiamo chiedere invece ai ragazzi che hanno genitori nati in altri paesi di ignorare le proprie origini. L'importante è che vogliano vivere in Italia e contribuire al benessere collettivo condividendo lingua, valori costituzionali, doveri civici e di legge del nostro paese, come s'impegna a fare il giovane imprenditore di origine cinese che abbiamo ascoltato nel filmato. Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala, scrive in un suo racconto di sentirsi una donna "con più identità": somala "quando beve il tè con il cardamomo, i chiodi di garofano e la cannella" e davvero italiana quando "ricorda a memoria tutte le parole del 5 maggio di Alessandro Manzoni". Questa breve citazione rende l'idea di quanto sia naturale per i giovani di origine immigrata collocarsi tra più culture, tra più stili di vita. Dobbiamo essere fieri del fatto che, pur mantenendo un legame con le origini, essi esprimano la volontà di diventare italiani. Questo, infatti, rappresenta un'attestazione importante di stima e fiducia nei confronti del nostro Paese. Dobbiamo sentire una forte responsabilità e un preciso dovere di non deludere questa fede nell'Italia che anche il giovane neoitaliano di origini marocchine ha qui testimoniato. E vorrei fargli molti auguri per la strada che ha scelto d'impegno nella formazione tecnica e ingegneristica: avrebbe anche potuto concorrere per entrare nel corpo dei Corazzieri.

    Più in generale - lo ho affermato tante volte, ma non mi stanco di ripeterlo - l'Italia deve diventare il più rapidamente possibile un paese aperto ai giovani: nel lavoro, nelle professioni, nelle imprese, nelle istituzioni. Le classi dirigenti italiane e, lasciatemi aggiungere, quelle europee, non devono mai dimenticare la responsabilità che hanno verso i giovani, verso il loro presente e per il loro futuro.

    E dall'attenzione al destino dei giovani non vanno esclusi i ragazzi stranieri, i futuri nuovi italiani.

    Ai giovani, dunque, qualunque sia la loro origine, bisogna offrire opportunità non viziate da favoritismi. Occorre smontare la convinzione che la nostra sia una società nella quale le occasioni sono riservate solo a chi appartenga a certi ambienti, solo a chi abbia i contatti giusti.

    Bisogna cominciare a valorizzare il merito già nei minori, come abbiamo fatto anche in questa cerimonia assegnando le benemerenze di Alfiere della Repubblica. È un riconoscimento destinato alle ragazze e ai ragazzi - in questo spirito ho voluto istituirlo - che non hanno ancora compiuto 18 anni; è un riconoscimento che vuole premiare i talenti e gli atteggiamenti virtuosi. Possono concorrere al titolo di Alfiere anche i ragazzi stranieri nati in Italia o che vi abbiano studiato per almeno cinque anni. Spetta alla scuola concorrere a formare la coscienza civile dei giovani, ed è compito precipuo della scuola sia promuovere i migliori, sia mettere tutti in condizione di migliorare. Quanto al lavoro è necessario adottare sempre di più sistemi di assunzione e di promozione trasparenti. Dobbiamo insomma far funzionare quell'ascensore sociale che è rimasto troppo a lungo bloccato; dobbiamo mettere il merito e l'impegno al centro delle politiche, perché valorizzare il merito non significa solo promuovere equità, significa promuovere crescita.

    Occorre smentire l'opinione troppo pessimistica e abusata, secondo la quale le famose raccomandazioni - parola che chi arriva in Italia impara presto - servono più dell'impegno personale. Cito a questo proposito Guido Rossi, giurista e avvocato di grande successo, ex Presidente dell'organismo di vigilanza della Borsa: "Mia madre faceva le pulizie in tribunale, mio padre è morto quando avevo 10 anni. L'istruzione mi ha aperto le porte della professione". E di quale professione! Perciò - e anche questo non mi stancherò di ripeterlo - le famiglie e lo Stato devono credere e investire nell'istruzione, nell'educazione, nella formazione. Ma soprattutto dovete farlo voi ragazzi, anche voi nuovi italiani e bambini stranieri che aspettate di diventarlo. E dico: "Benvenuti nella nostra comunità". A tutti voi che vivete in Italia i più sentiti auguri per un futuro sereno. A tutti gli adulti e, se mi consentite, a tutti gli anziani, l'invito ad impegnarsi perché questo futuro possiate averlo.

mercoledì 16 novembre 2011

150 - UN MODELLO VINCENTE

Nachricht
Sembra impossibile, certo. Ma anche l'Urss di Breznev pareva eterna. La no­stra nomenklatura farà la stessa fine entro pochi anni. E intanto, zitta zitta, la società civile segna punti a Catania…
 

di Riccardo Orioles

Ucuntu 122 - www.ucuntu.org

 

Mi sarebbe piaciuto scrivere un bell'arti­colo di politica, sul governo di pri­ma e su quello che verrà. Ma non posso farlo per­ché non sono più autorizzato. Sono infatti un cittadino, o meglio un consumat­ore, ita­liano ed è stato appena deciso che di fac­cende del genere non debbono occuparsi più i cittadini (troppo ignoranti e emotivi per occuparsene) ma degli esperti bravissi­mi, molto molto più bravi di me e di voi. Saranno loro a decidere per tutti.

    Questo è già successo diverse volte nella storia. In Grecia, quando è finita la polis , a Roma, quando è arrivato Cesare, nel me­dioevo in Italia, quando dopo i Comuni sono arrivate le Signorie.

    Non è che la gen­te fosse contraria, in questi casi. Troppa chiacchiera, troppi disordini, troppo poca abitudine - poco a poco – a uscir di casa. Meglio un governo tranquillo, un sovrano benevolo, che pensa per tutti.

    Sta succedendo in Italia, e non so se è bene o male. Certo, dopo tutto quel Berlu­sconi qualcosa bisognava fare. E chi dice che gli abitanti italiani, dopo aver creato un Berlusconi, non ne creassero prima o poi qualche altro? Europa e Ger­mania non si sono fidate. E noi, lavoran­do poco (preca­rio non è lavorare) dipen­diamo da loro.

 

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Può darsi che vada bene così. Certo, non è democrazia. Ma chi la vuole davvero? Il veneti? I commercialisti? I banchieri? I boss mafiosi? I calabresi, Catania? Gl'im­prenditori del Ponte, quelli dell'Ex­po, la Borsa? Nessuno di questi soggetti, che or­mai sono il baricentro della Nazione, ha mai avuto molto a che fare con la democra­zia. Ovvio che si sia sfaldata così, nell'in­differenza generale, senza problemi.

    E nemmeno l'Europa, così com'è, ha mol­to a che fare con la democrazia. E' sorta at­torno all'euro, e come primo passo anda­va bene. Ma è stato pure l'ultimo, purtrop­po.

    L'Europa, la nostra Europa, si suicidò traumaticamente nel '14, cent'anni fa. Sta­volta si sta suicidando piano, per avarizia e noia. Senza popolo, senza stato, con tante banche ma neanche una su mae­stra di scuo­la o un giardiniere.

 

* * *

 

La crisi, come tutte le crisi, si può risol­vere. Ma c'è bisogno di della politica per farlo, per fare le svolte drastiche (in termini di sistema) che ogni crisi richiede. Ma qui di politica non ce n'è più.

    Non c'è una poli­tica di destra contrappo­sta a una di sinistra, o più moderata. C'è semplicemente il rifiuto della politica, la sua abolizione in quanto pericolosa per le idee che, en passant, po­trebbe mettere in testa ai consumatori. Niente referendum in Grecia, niente elezio­ni qui da noi.

    Le elezioni, in Italia, sarebbero state vin­te con largo margine non dal "centrosini­stra" ma (di fatto) da una vera e propria si­nistra, ancorché moderata, quella di Bersa­ni e soci.

    Avrebbe un tale governo trovato il corag­gio di resistere ai precari, di imporre ai sa­crificati altri sacrifici, di lasciar mano libera per altri diciassette anni agli impren­ditori? Nel dubbio, meglio non correre il ri­schio e non far votare.

 

* * *

 

E noi? In che cosa si traduce, qui e ora, il "pensa globalmente, agisci localmente"? Abbiamo due esempi interessanti, qua a Catania. Il primo, quello della mobilitazio­ne della società civile sul tema importantis­simo, e prettamente istituzionale, di una credibile Procura; e abbiamo vinto.

    Il se­condo, quello della campagna – sem­pre delle associazioni della società civile - per l'istituzione dei referendum comunali; e an­che qui abbiamo vinto. In entrambi i casi, senza spaccare vetrine, senza alzare la voce, con una larga componente "modera­ta" (specie nel secondo caso) ma con una carica alternativa e democratica assoluta­mente evidenti. E - lo ri­petiamo per la terza volta - vincenti. E' un modello.

    E' il nostro modello politico, non di parti­to o ideologico ma civile. E' quello cui noi ci affidiamo perché sia salvato - ma vera­mente - il Paese.

    Esso ha una ricaduta giornalistica, di giornalismo rigorosissimo ma impegnato. Anche qui il caso Catania fa da testo: da una parte polemica serrata ma civile, senza urlare; dall'altra mobilitazione dei media di destra, e anche di sedicente "sinistra" , senza remore né di verità né di stile: qual­cuno è arrivato a nascondere ai lettori l'esi­stenza stessa della sconfitta di Gennaro, abolendone semplicemente il nome. E han­no vinto i civili.

    Andiamo avanti così, con le forze di base, senza aspettarci regali (qualcuno a Catania si è lamentato che il grande Santo­ro qui si sia appoggiato, per la sua tv, al lo­sco Ciancio...) perché chi può fare regali di solito ha anche i suoi interessi. Con calma, con convinzione, senza mai entusiasmarci ma senza mai rallentare. Il lavoro ben fatto alla fine vince. Specie quando ha alle spalle un nome come i Siciliani.

 

Cerimonia di insediamento del nuovo PR di Catania, Giovanni Salvi - Vai alla registrazione audio su RR

 

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Sarebbe bello pensare che - nel 2014, per esempio o cent'anni dopo – i popoli potreb­bero risvegliarsi, abbattere il muro di Bru­xelles come già quello di Berlino. Un'Euro­pa democratica! Un'Ita­lia europea! Una Si­cilia italiana! Una Cata­nia senza cavalieri! Ci pensate?

    Sembra impossibile, certo. Ma anche l'Urss di Breznev pareva eterna. La no­stra nomenklatura farà la stessa fine entro pochi anni.

lunedì 14 novembre 2011

Ecco confutato Carlo Marx

Vedremo se con Monti le cose ora andranno meglio. Noi ce lo auguriamo, ma sarebbe bene convincersi subito che non esistono soluzioni tecniche ai problemi politici.
 
di  Paolo Bagnoli
 
Le vicende italiane di queste ultime ore sembrano avere smentito una famosa affermazione di Carlo Marx che, nel saggio su Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, esordisce ricordando come tutti i grandi fatti e personaggi della storia universale si presentano per, così dire, due volte "la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa".
    Silvio Berlusconi, che vede comunisti dappertutto intenti a tramare contro di lui sarà contento di aver confutato il principe del comunismo in quanto l'era berlusconiana, cominciata sotto il segno della farsa, sta finendo sotto quello della tragedia – tragedia per l'Italia, s'intende.
    Nessuno avrebbe mai pensato, per quanto le cose nel nostro Paese abbiano una specificità tutta particolare, quanto sta succedendo. Siamo, infatti, alla dimostrazione di come, veramente, la nostra democrazia sia a rischio di bonapartismo. Sono i fatti a confermarlo visto che la presidenza del consiglio dei ministri – come ci dice l'incontro di Arcore di lunedì scorso – era divenuta  un family business . Ora è chiaro quanto la questione del conflitto d'interessi non riflettesse un accanimento pretestuoso delle opposizioni.
    All'inizio della storia, non degna nemmeno delle cosiddette "repubbliche delle banane", Berlusconi non aveva nascosto il vero motivo della sua discesa in campo: salvare le proprie aziende dalla sinistra.
    Triste primato l'essere arrivato a emarginare l'Italia dal contesto europeo e internazionale e, addirittura, l'aver messo il Paese sotto il rigido controllo di organismi internazionali che oramai dettano l'agenda politica italiana. Dall'indifferenza siamo passati al discredito dell'opinione pubblica internazionale che mai, e diciamo mai, si era vista così concorde e pure sprezzante. Gli hanno dato il benservito con insolita invasività.
    C'è di che vergognarsi, ma gli italiani onesti debbono invece andare fieri di appartenere a un Paese che, pur con tutte le sue pecche, è pieno di energie positive. Certo che il prezzo, morale, economico, finanziario e di credibilità da pagare, sarà salato; a ciò non si sfugge.
    Così, mentre Berlusconi deve mollare per colpa dei famigerati "mercati" – espressione impropria, ma l'educazione ci fa mordere la lingua – prima di lui un altro è stato mollato, ma non dai mercati, bensì dal suo movimento: vale a dire Umberto Bossi, contestato da buona parte del suo gruppo dirigente e dalla maggioranza di quelli che lo avevano votato.
    La crisi, prima che formalizzarsi, si è materializzata. Sembra ormai certo che a Mario Monti verrà conferita la presidenza del consiglio. L'augurio è che il neosenatore ed ex rettore bocconiano riesca a lavorare con un governo di ampia convergenza democratica per gestire quanto resta della legislatura nella funzione di garante dei mercati e dell'Europa. E speriamo che il porcellum di Calderoli venga consegnato allo squallore politico dell'era berlusconian-bossiana.
    Il fallimento della Seconda repubblica si porta con sé anche la fine dello sgangherato bipolarismo italiano. Dopo 4 governi in tre legislature e 3.333 giorni da primo ministro dal 10 maggio 1994 a oggi e con un carniere di 817 leggi fatte sotto il suo incontrastato dominio, Berlusconi " risale in disordine e senza speranza le valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza", come lo sconfitto esercito austro-ungarico dopo Vittorio Veneto.
    B non lascia soltanto un cattivo ricordo di sé, ma anche un Parlamento coriandolizzato tra gruppi, gruppetti e gente all'incanto che sarà difficile tenere insieme.
    E' l'effetto di una grande frantumazione da cui nemmeno l'opposizione esce del tutto indenne.
    Vedremo se, da Tremonti a Monti, le cose ora andranno meglio. Noi ce lo auguriamo, ma sarebbe bene convincersi subito che non esistono soluzioni tecniche ai problemi politici.

Parliamo di socialismo - HA VINTO MA NON LO SA

A cura della Fondazione Pietro Nenni
 
Domenico Padovani ha condotto un interessante colloquio-intervista con Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni. Di seguito alcuni stralci. Il testo è disponibile inegralmente su http://fondazionenenni.wordpress.com/
 
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Padovani - Prof Tamburrano, lei che è oggi la memoria storiografica del socialismo italiano, si rimprovera qualcosa (scelte politiche, culturali, fiducia mal riposta, disattenzione per problemi di varia natura)?

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Tamburrano - Sì. Quando Craxi è stato risucchiato dalla contestazione alla gestione del potere avrei dovuto praticare nel PSI una opposizione netta, poichè quella di Martelli è stata una opposizione di mero potere .

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Padovani - Ispirandoci ad un filone culturale oggi assai di moda Le chiedo: se Lei immaginasse di poter cambiare qualcosa della storia del partito socialista italiano, cosa cambierebbe?

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Tamburrano - La storia non si fa con i "se" e pertanto la risposta è difficile. E anche se volessimo fare la storia di ciò che non è stato, occorrerebbe scrivere un libro poichè sono molte le questioni aperte. Giusto per dare una risposta, direi che l'elemento più negativo della storia del socialismo sono state le scissioni: quella del 1921 ha dato vita all'illusione rivoluzionaria – che è finita nel comunismo totalitario – ed ha agevolato in modo determinante la vittoria del fascismo; e quella del 1947 che ha spinto Nenni verso il frontismo filo-comunista e il PSDI nell'area dell'egemonia democristiana. I socialisti che, come ho detto, nel 1946 ottennero il 21 per cento dei voti, se fossero rimasti uniti avrebbero condizionato, dalla sinistra democratica, la politica centrista e democristiana.

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Padovani - Secondo Lei Craxi è stato l'ultimo vero, grande riformista del movimento socialista?

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Tamburrano - Craxi è stato un leader di grande spessore; lo hanno tradito il suo disinteresse per la questione morale e la sua scelta dell'alleanza di governo con l'area moderata della DC invece di incalzare i comunisti dopo il crollo del muro di Berlino.

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Padovani - C'è qualche libro che avrebbe voluto o intende scrivere?

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Tamburrano - Avrei voluto – e forse lo farò – scrivere una storia della sinistra con un capitolo finale: "Il socialismo ha vinto ma non lo sa " con riferimento alla crisi del capitalismo che rende "attuale" la rinascita del socialismo riformista-riformato alla luce del nostro mondo. Sulla base principalmente della formula post Bad Godesberg: "Stato e mercato".

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Padovani - Prof Tamburrano, quanto manca oggi nel nostro paese un vero partito socialista riformista?

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Tamburrano - Manca moltissimo perchè una sinistra all'altezza dei tempi avrebbe molte carte da giocare. L'enorme disponibilità di risorse culturali e tecnologiche e la crisi profonda del capitalismo globalizzato, sono condizioni importanti per la nascita di un movimento socialista rinnovato che si proponga come alternativa democratica, culturale e politica.

Berlusconi si dimette, festa per le strade

POLITICA E SOCIETÀ
a cura di  www.rassegna.it
 
Il premier al Colle per rimettere il mandato. Approvata la legge di stabilità dalla Camera con 380 sì. Esplode la gioia dei manifestanti: "12 novembre 2011, l'Italia si è desta". Ora iniziano le consultazioni per il governo Monti
 

Silvio Berlusconi esce di scena tra i fischi della folla radunata davanti al Quirinale. Il Cavaliere non è più il presidente del consiglio italiano. L'ex premier si è dimesso la sera del 12 novembre al Quirinale dopo una giornata politica intensa, e dopo aver provato fino all'ultimo a pilotare la sua successione proiettando Gianni Letta sulla poltrona di vicepremier del futuro esecutivo guidato da Mario Monti. Tentativo fallito.
 
 
  "Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto oggi alle ore 21.00 al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Silvio Berlusconi, il quale essendosi concluso l'iter parlamentare di esame e di approvazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione dello Stato ha rassegnato le dimissioni del Governo da lui presieduto". Lo ha detto il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra, al termine dell'incontro tra il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio.
 

   Le consultazioni di domenica porteranno rapidamente all'incarico conferito a Monti per un esecutivo tecnico.

   La Camera ha approvato il ddl stabilità in via definitiva con 380 voti favorevoli, il provvedimento diventa legge. Come preannunciato, questo l'ultimo atto dell'ex maggioranza: cala il sipario su Berlusconi, mentre per le strade scoppia la festa dei manifestanti. Libertà e giustizia invita a esporre il tricolore alle finestre per festeggiare la fine di un'epoca. E da domani tocca al governo tecnico guidato da Mario Monti.
 
 
 
    Intorno ai palazzi del potere è andata in onda la contestazione contro il presidente del Consiglio. Molti attivisti, guidati dal Popolo viola, hanno circondato Palazzo Grazioli, quindi Palazzo Chigi dove si è svolto il Consiglio dei ministri, per poi spostarsi al Quirinale. "Dimissioni, dimissioni", "Berlusconi a San Vittore", questi i cori che hanno scandito. I manifestanti si sono presentati con striscioni e bottiglie di spumante per brindare alle dimissioni del premier. Berlusconi immortalato per tutto il giorno silenzioso e scuro in volto, è uscito da Palazzo Chigi da un ingresso secondario.
 
    E' il giorno della grande festa. L'esultanza per l'uscita di scena di B. è sintetizzata da uno striscione in piazza del Quirinale: "12 novembre 2011 – l'Italia si è desta". Anche tutti i giornali stranieri si concentrano sulla situazione italiana, dal Times al Pais, concordando che è finita l'epoca di Silvio. 
 
    E adesso è il momento del governo Monti. Domani (domenica 13 novembre) iniziano le consultazioni di Napolitano, con lo scopo di un incarico veloce, domenica e lunedì. Oggi si è svolto il pranzo tra Berlusconi e Monti. A quanto si apprende, il Pdl ha chiesto Gianni Letta come vice premier. Secondo le indiscrezioni delle agenzie, però, Monti sarebbe intenzionato a proporre un governo di soli tecnici, con l'eccezione del ministero degli Esteri associato a Giuliano Amato.
 
    Mentre il Partito democratico è favorevole a ministri tecnici, l'Idv ha aperto al governo Monti, assicurando che "aspetta con fiducia" l'esecutivo guidato dall'economista. Di Pietro ha quindi attaccato l'ipotesi di Letta vice premier: "E' stato il Richelieu di Berlusconi – ha detto -, ha fatto il palo mentre l'altro scassinava la cassaforte".
 
    La Lega conferma che sarà all'opposizione. Nessun sostegno al governo Monti, ha ribadito oggi Bossi, liquidando la domanda sui rapporti futuri con il Pdl: "Rompere con Berlusconi? Vedremo".
 

    Sempre secondo le anticipazioni, il nuovo governo vorrebbe approvare un decreto entro la fine dell'anno, poi nel 2012 inizieranno una serie di provvedimento per la crescita. Sarebbero queste le idee del premier in pectore Monti. Il decreto, scrive oggi la Dire, servirà a mettere in sicurezza i conti pubblici, con misure forti in grado di tranquillizzare i mercati. E il tema delle pensioni tornerà all'ordine del giorno, come chiesto a più riprese dall'Unione europea.
 
 
IPSE DIXIT
La buona Novella - «La Novella ben l'intendo, sol la fede è che mi manca.» – Johann Wolfgang von Goethe

Profezia da Catania - «Un'Europa democratica! Un'Italia europea! Una Sicilia italiana! Una Catania senza cavalieri! Ci pensate? Sembra impossibile, certo. Ma anche l'Urss di Breznev pareva eterna. La nostra nomenklatura farà la stessa fine entro pochi anni.» – Riccardo Orioles

lunedì 7 novembre 2011

PREVISIONI PER LE PROSSIME 12 ORE

DALLA REGIONE PIEMONTE > MALTEMPO

 

INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL PO A MONTE DI TORINO A PARTIRE DALLA SERATA DI OGGI. PRECIPITAZIONI ANCORA DIFFUSE SU TORINESE E CUNEESE.

 

(Torino, 6.11.2011, ore 14.00) - Il bollettino appena emesso dal centro funzionale regionale piemontese annuncia che correnti umide da est-sudest a tutti i livelli continuano ad affluire sul Piemonte, determinando la persistenza di precipitazioni localmente intense sul settore occidentale fino alle prime ore del pomeriggio odierno.

    Successivamente è attesa una decisa attenuazione delle precipitazioni. La quota neve è in graduale diminuzione fino ai 2100m in serata.Nelle prossime 12 ore le precipitazioni risultano ancora diffuse e localmente di forte intensità sulla fascia pedemontana compresa tra Torinese e Cuneese.  I massimi locali più intensi (attorno ai 50-60mm in 6 ore) sono previsti in particolare sulle zone delle Alpi Cozie e Marittime.

    Nei corsi d'acqua del Verbano, Vercellese e Biellese i corsi d'acqua presenteranno livelli in diminuzione e al di sotto delle soglie di attenzione. Per tutta la giornata i livelli lungo l'intera asta del Tanaro rimarranno sui valori di moderata criticità; l'onda di piena si propagherà da Alba fino ad Alessandria e successivamente alla confluenza con il Po. Le piene degli affluenti del Po nel Torinese (Pellice, Dora Riparia, Stura di Lanzo, Orco, Malone e Dora Baltea), i cui livelli raggiungeranno valori di moderata criticità, determineranno un innalzamento del livello del Po a monte di Torino con valori prossimi alla soglia di elevata criticità. Più a valle il Po crescerà durante l'intera giornata raggiungendo i valori di colmo a partire dalla serata.

    Questa la situazione attuale: il centro della vasta depressione sul Mediterraneo occidentale continua a convogliare un flusso di masse d'aria umide da sudest sul Piemonte. L'aria relativamente più fredda sta determinando la formazione di bande di precipitazione più intensa che transitano da sudest verso nordovest, interessando i settori occidentali e sudoccidentali della regione.

    Nelle ultime 12 ore sono state registrate piogge con valori forti sulle zone pedemontane dal settore occidentale a quello sudoccidentale e sulle pianure del Cuneese. Precipitazioni generalmente moderate si sono verificate sulle pianure occidentali e sul basso Alessandrino e Astigiano con valori localmente forti.

   Fra le precipitazioni massime registrate nelle ultime 6 ore da segnalare 118 mm a Bobbio Pellice (Colle Barant, TO) e circa 90 mm a Praly (TO), Vaccera (TO) e Barge (CN), tra i 70 e i 90 mm a Piamprato (TO), Piano Audi (TO) e Niquidetto (TO), 70 mm a San Damiano Macra (CN) ed Elva (CN) e valori intorno ai 70mm a Camparient (BI).

    La quota delle nevicate si è attestata sui 2300-2400 metri anche nei settori alpini sud orientali del Cuneese. Al Colle della Lombarda (Vinadio, 2316m) sono caduti 25 cm di neve nella notte, ora ridotti a 16 cm per la ripresa di precipitazione mista neve-pioggia. Alle quote superiori ai 2600 m i valori di innevamento sono importanti: a Passo del Moro (Macugnaga, 2823m) si misurano 140 cm, al rifugio Gastaldi (Balme, 2672 m) 125 cm,al rifugio Vaccarone (Giaglione, 2755 m) 110 cm, al Colle dell'Agnello (Pontechianale, 2685 m) 113 cm.

    Gli apporti nevosi registrati complessivamente nel corso dell'evento potranno originare distacchi di valanghe, anche di medie dimensioni a quote superiori ai 2600 m.

    Per quanto riguarda i fiumi, nelle sezioni idrometriche dell'alto Tanaro, fino alla confluenza con la Stura di Demonte, i livelli hanno raggiunto le soglie di elevata criticità. A valle e fino ad Alessandria i livelli idrometrici sono in crescita, rimanendo comunque su valori di moderata criticità. Nelle province di Vercelli e Biella, i corsi d'acqua del reticolo idrografico secondario permangono al di sotto dei valori di attenzione. A Luserna San Giovanni (TO) il Pellice supera ancora l'elevata criticità, mentre nelle sezioni più a valle, registra valori di moderata criticità come gli altri affluenti del Po (Stura di Lanzo e Orco). I livelli del Po sono quindi in crescita fino alla soglia di attenzione. I valori massimi sono attesi a partire dalla serata a Torino.