martedì 29 ottobre 2013

Parliamo di socialismo

Chi cerca trova

 

Il problema dei rifugiati e quello delle carceri.

di Giuseppe Tamburrano

 

Vi sono due enormi problemi umani e sociali, ai quali abbiamo già accennato, che non si risolvono perché prevale il disinteresse per non dire il cinismo. Il problema dei rifugiati e quello delle carceri. Circa il primo abbiamo già detto che quella povera umanità in maggioranza non cerca di sbarcare in Italia per restarvi: i barconi si dirigono verso le coste italiane poiché sono le più vicine, ma molti migranti sono diretti verso altri paesi europei. Dunque questo è un problema europeo che deve essere affrontato dall'Europa. L'Italia invece di "pigolare" ed essere additata come responsabile dell'atroce destino di chi muore in mare, o è affollato in "centri" evitati anche dai topi e affronta la sua odissea nel modo più disumano , faccia la sua parte con fermezza in Europa perché, ripeto, questo è un problema europeo e va affrontato dall'Europa. Noi invece dopo le ultime due tragedie abbiamo dovuto trovare fondi-con questa crisi!- per pattugliare il Mediterraneo!

Il Governo chieda con urgenza una decisione europea, che coinvolga tutti i paesi interessati a rendere comune il problema. A mo di esempio si potrebbe costruire, col consenso delle autorità locali, centri di accoglienza umani all'imbarco dove i migranti potrebbero trattare la loro "pratica" ed essere quindi imbarcati e trasportati nei luoghi di destinazione. Una iniziativa del genere fu avviata in passato: ma c'era Gheddafi.Forse potrebbe essere più agevole oggi?

I modi possono essere diversi, ma è indecoroso che non si dedichi a tanti fratelli il decimo del tempo dedicato al 3% del deficit.

L'altro problema riguarda le carceri, sollevato dal capo dello Stato con la richiesta della grazia e dell'indulto. Capisco le perplessità. Ma non capisco perché non si usano tanti edifici pubblici inutilizzati o sottoutilizzati per ristrutturarli e farne istituti penitenziari: insieme con il tragico problema della sovrappopolazione carceraria si concorrerebbe ad alleviare il non meno tragico problema dell'occupazione.

Le soluzioni dei problemi si trovano, ma bisogna cercarle.

 

 

LAVORO E DIRITTI - 1

a cura di www.rassegna.it

 

Camusso: la patrimoniale non può essere un tabù

 

Il segretario della Cgil torna sulla necessità dell'introduzione di una tassa sui grandi patrimoni e sulle rendite, "cosa che è normalità nel resto d'Europa". Ma mentre imprenditori e studiosi sostengono questa ipotesi, per la politica resta un tabù.

"La patrimoniale non può più essere un tabù in Italia, ci sono varie personalità che si sono spese in questa direzione, solo la politica sembra bloccata in questo senso". Il segretrio della Cgil Susanna Camusso, a margine degli Stati generali della Cgil Lombardia, torna a rilanciare il tema della necessità di una tassa patrimoniale in Italia.

"Da noi – ha detto ancora Camusso - non si ha il coraggio di nominare la parola patrimoniale che è normalmente nominata in Europa. Credo che la patrimoniale sia per certi versi un tabù, basta pensare a quanti mesi abbiamo impegnato nella discussione sul se poteva rimanere o meno l'Imu".

"Oggi – ha proseguito Camusso - abbiamo una legge di stabilità che non dedica abbastanza risorse al lavoro, poi per fortuna esistono studiosi e imprenditori - ha aggiunto il segretario Cgil - che colgono la necessità di ricostruire un sistema di tassazione nel nostro Paese che sia progressivo e prenda in considerazione anche le rendite i patrimoni, cosa che è normalità nel resto d'Europa".

Insomma, secondo Camusso, "il problema vero è la politica che deve abbandonare una logica di tabù per proporre invece un progetto per il Paese che abbia l'equità e la giustizia fiscale come fondamenta". A chi le chiedeva se il passaggio in parlamento della legge di stabilità possa essere la chance per introdurre la patrimoniale, Camusso ha risposto che "sarebbe necessario fosse la volta buona, perché non c'è un tempo infinito dinnanzi a noi per cominciare a fare politiche anti-cicliche".

 

 

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

Dinanzi alla "piazza"

Per caso ascoltavo dei ventenni su un pullman che conversavano sulle recenti manifestazioni romane . . .

di Danilo Di Matteo

Come ci poniamo dinanzi alla "piazza"? Come accogliere le istanze degli "indignati" senza appiattirsi su di esse e provando anzi a interpretarle e decodificarle? Per caso ascoltavo dei ventenni su un pullman che conversavano sulle recenti manifestazioni romane. Una studentessa a un certo punto sosteneva che i principi di fondo della protesta corrispondono a quelli del socialismo: libertà, pace, uguaglianza.

Se così è, come rispondere a tali motivi ispiratori? Si tratta, come è ovvio, di tradurli in scelte e in atti concreti. Ciò implica la capacità di trovare le risorse e i mezzi necessari. Occorre cioè saper fare di conto, senza confidare nelle soluzioni estreme – come l'esproprio – e senza ignorare le compatibilità. E al fondo di tutto, quasi si trattasse di una quadratura del cerchio, non di rado bisogna coniugare spinte fra loro in almeno apparente contraddizione: si pensi a quelle volte all'eguaglianza e alla libertà.

Ѐ in ciò la quotidiana azione riformatrice, è in ciò la difficile pratica del riformismo. Senza con questo dimenticare che sia dietro i proclami generali sia dietro una concezione ragionieristica e tecnocratica delle riforme e della politica possono celarsi pulsioni e interessi conservatori.

Credo, in definitiva, che al fine di animare un pensiero socialista largo e inclusivo ci si debba muovere tenendo conto di tali coordinate.

 

Weimar al rallentatore

SAGGIO

 

Weimar al rallentatore

Chi percepisce la crisi della democrazia in questo nostro ultimo ventennio italiano come "una Weimar al rallentatore" troverà interessante la lettura della Critica della ragion cinica, opera prima di Peter Sloterdijk, uscita nel 1983 e salutata da Juergen Habermas come un capolavoro della letteratura filosofica.

Va subito detto che la Critica di Sloterdijk getta le sue radici nell'esame condotto dall’allora giovane studioso su decine di migliaia di pagine – di storici, filosofi, letterati o semplici “autobiografi” – risalenti alla Germania degli anni Venti. Dalla riflessione sulla letteratura weimariana Sloterdijk ha tratto la categoria di "cinismo", inteso come la malafede polemica intrinseca alle strutture della nostra umana coscienza nel suo stadio di coscienza "prebellica". Giunto a questo stadio il "cinismo" si dissemina allora in mille narrazioni ideologiche incessantemente tendenti ad alimentare la dinamica psicosociale dello "scatenamento".

 

Con la scoperta del cinismo in quanto categoria universale, è capitato a Peter Sloterdjik, negli anni Ottanta, qualcosa di analogo a quanto era già accaduto a René Girard vent'anni prima, quando dallo studio della letteratura romantica (e del teatro shakespeariano) egli enucleò l'idea fondamentale di desiderio mimetico.

Oggi, dopo vent'anni dall'uscita in Italia della prima edizione della Critica sloterdijkiana, curata da chi scrive insieme a Mario Perniola, pensatore straordinario e vero maestro, è bello vedere come l'Editore Raffaello Cortina abbia voluto ripubblicare questo libro, da tempo esaurito, nel quadro di un ampio progetto editoriale riguardante le opere di Peter Sloterdijk, molte delle quali sono ormai tradotte in italiano, e altre seguiranno.

Nel cercare di fornire ai lettori dell'ADL un saggio, necessariamente minimo, della Critica della ragion cinica ci è parso opportuno proporre quattro brevi brani dedicati alla sindrome weimariana. Pagine come queste possono aiutarci a focalizzare alcuni tratti del cinismo elementare di cui si alimenta la crisi in cui attualmente versa il nostro disgraziato Paese. (A.E.)

 


 

SEI PASSAGGI CRITICI

 

1. C’era una volta in Germania

« C’era una volta in Germania un’epoca in cui “succedevano cose”, in cui cultura e politica, con progressi repentini e altrettanto repentini regressi, si dipanavano in modo turbinoso, vitale e drammatico: era come se la teatralità fosse divenuta il minimo comun denominatore della vita sociale in ogni suo manifestarsi, dall’espressionismo alle gambe spettacolari di Marlene “Angelo Azzurro” Dietrich, dalla sanguinaria farsa golpista inscenata da Hitler nel 1923 fino all’Opera da tre soldi, dagli imponenti funerali di Rathenau nel 1922 fino a quel canagliesco gioco delle parti che fu l’incendio del Reichstag nel 1933. Il permanente stato di crisi, di cui tutti a quei tempi parlavano, si dimostrò buon regista, abile nei colpi di scena. Ecco, accanto alla nostalgia di queste rimembranze vi è poi un rimpianto, forte soprattutto à la gauche: ah, la Repubblica di Weimar! Paradiso della cultura politica: il liberal-progressismo di Tucholsky, Ossietzky, Kästner, Heinrich Mann ecc. I simpatizzanti della socialdemocrazia e del comunismo, i radicali, gli anarchici... Per non parlare poi dei marxisti “cani sciolti” stile Benjamin-Korsch-Brecht e della Kritische Theorie prima maniera. Insomma: un vero e proprio paradiso dei balocchi per lo storicismo di sinistra, il luogo ideale per esercitarsi finemente in prese di posizione ed engagements retroattivi, come se potesse essere di qualche utilità (o almeno di qualche danno!) sapere da che parte della barricata ci si sarebbe schierati...

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 281]

 

2. Si enumerano “i perché e i percome”

« Il secondo paradigma pone Weimar nella prospettiva storica che condurrà al fascismo e al dominio nazionalsocialista. L’interesse, in questo caso, è quasi totalmente apologetico e didattico; si enumerano “i perché e i percome”: “perché e percome” questa o quella persona o organizzazione politica “doveva” comportarsi nel tal e tal altro modo; “perché e percome” il nazionalsocialismo era inarrestabile, oppure “perché e percome” si sarebbe potuto impedirne l’ascesa al potere; “perché e percome” tutto fu così terribile, come effettivamente fu. Weimar, in tale prospettiva, ci appare il terminus post quem del fascismo tedesco, l’“epoca prehitleriana”. La mole di codesta letteratura del “Come-fu-mai-possibile-tutto-ciò?” è ormai tale da riempire intere biblioteche

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 282]

 

3. Nel segno dell’angoscia rabbiosa

« Il “pensiero antidemocratico nella Repubblica di Weimar”, indagato da Sontheimer e altri, è solo la punta d’iceberg di un diffuso scetticismo sociale e di particolarismi antipolitici. In ciò vi era una quota di buone ragioni che non sono nemmeno oggi trascurabili. Mai, in nessun’epoca, una qualche volontà politica (il cosiddetto “mandato degli elettori”) è stata trasmessa a livello esecutivo in modo tale da permettere che tra elettori ed eletti si rinsaldasse un rapporto leale, di fiducia reciproca. [Ma a Weimar] la “politicizzazione” delle masse era accompagnata sul piano subliminale da sentimenti antipolitici, nel segno della delusione, dello sconcerto, del risentimento e dell’angoscia rabbiosa, nonché in quello di una profonda scissione tra spirito costituzionale liberaldemocratico e apparato statale reazionario. Presa continuamente frammezzo a ricatti extrapolitici e radicalismi extraparlamentari, la Repubblica scivolò in uno stato di astenia e non-rispettabilità permanente.»

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 327]

 

4. Oggi non abbiamo idea della spessa caligine

« Oggi, dopo decenni di appianamento e sobrietà, non abbiamo più alcuna idea della spessa caligine ideologica che gravava negli anni Venti sulla sovrastruttura politico-metafisica tedesca. Una coltre ottenebrante in cui ebbe luogo, in modo oggi per noi quasi inafferrabile, il vero psicodramma sociale della Repubblica di Weimar, dipanatosi lungo il fronte subliminale eppure realissimo che opponeva affermatori e negatori, eclettici e temperamentosi, cinici e conseguenzialisti, pragmatici e idealisti. Forse il mistero trionfale dei fascisti consistette nell’essere riusciti a spezzare questo discrimine psicologico-politico inventando un idealismo cinico, un eclettismo coerente, un temperamentoso andar in gregge e un “Sì” nichilista. Il successo del nichilismo razzial-nazionale gettava le sue radici non da ultimo nell’imbroglio seduttorio di propinare alla gran massa di renitenti, infelici e negatori la magica illusione che invece li dipingeva come fossero loro i veri realisti, i chiamati e gli eletti, gli edificatori di un ordine nuovo, grandiosamente semplificato.

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 328]

 

5. L’uomo del fine settimana

« Con l’emergere delle civiltà impiegatizie metropolitane (la cui esistenza è particolarmente ben esemplificata dalla Berlino anni Venti) ha inizio di fatto un’era social-psicologica nuova. I suoi tratti inconfondibili sono quelli dell’americanismo. La sua creazione più gravida di conseguenze è l’uomo del fine settimana, ovvero l’individuo del tempo libero, che ha scoperto la comodità dell’alienazione, il comfort della doppia vita. »

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 330]

 

6. Diciamo basta al disperante parlamentarismo!

« I suoi contemporanei percepirono Hitler come un grande retore anche perché costui iniziò la sua carriera col denunciare, nel tono deciso del “nudo realismo”, quel che all’“animo tedesco” non andava da un pezzo né su né giù, e che, perciò, conformemente alle narcisistiche e brutali idee di ordine di quell’“animo”, doveva essere “liquidato”: diciamo basta una buona volta a questo disperante parlamentarismo weimariano, basta all’infame trattato di Versailles ecc.; e poi facciamola finita anche con i “colpevoli” di tutto ciò: gli scomodi socialisti, i comunisti, i sindacalisti, gli anarchici, gli artisti degenerati, gli zingari, i pervertiti. Ma, soprattutto, basta agli ebrei (…) Invero il fascista, questo signor Nessuno pompato a dimensioni eroiche, di fronte a nessuno doveva sentirsi nudo come davanti agli ebrei, i quali quasi per natura, in forza delle loro dolorose tradizioni, rappresentano l’ironia avversa a ogni strapotere. Le figure di spicco del fascismo tedesco intuivano probabilmente come il loro arrogante regno millenario mai avrebbe potuto credere a se stesso fintanto che in un angolo di coscienza fosse sopravvissuta anche solo una vaga rimembranza del carattere meramente scenografico di tali mene.

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 165]

 

sabato 19 ottobre 2013

Ora anche il Lombardellum è stato rinviato alla Corte Costituzionale

Il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso presentato dall'avvocato Felice Besostri (con Claudio Tani e Emilio Zecca) e sostenuto da un certo numero di esponenti politici della sinistra milanese. Il tribunale amministrativo ha dichiarato che sono da tutte da verificare le eccezioni di costituzionalità sollevate in merito al sistema elettorale adottato dalla Lombardia (il cosiddetto Lombardellum). "Non la giustizia penale, ma quelle amministrativa e ordinaria hanno cominciato a demolire la Seconda Repubblica", è stato il commento dell'avv. Besostri. Il governatore lombardo Maroni gli ha ribattuto definendo la decisione del TAR "una cosa stravagante, perché il premio di maggioranza è previsto addirittura nella legge nazionale…". Di seguito il giurista socialista, ex docente di Diritto pubblico comparato ed ex parlamentare dell'Ulivo tra il '96 e il 2001, riassume per l'ADL le ragioni del ricorso.



di Felice Besostri



L'argomento secondo cui il premio di maggioranza è previsto dalla legge elettorale nazionale, significa solo che chi lo sostiene non comprende quel che legge sui giornali. Il "Porcellum" è stato rinviato proprio per questo motivo dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione in un ricorso, che ho avuto l'onore di discutere davanti alla Cassazione.

In maggio la prima Sezione della Cassazione ha inviato alla Corte Costituzionale il "Porcellum", il 9 ottobre la Terza Sezione del TAR Lombardia il "Lombardellum".

Il motivo sempre lo stesso: un abnorme premio di maggioranza, che in Lombardia investe il 60% dei seggi, rispetto al 55% nazionale. Un'esagerazione nell'esagerazione. Per di più con il "voto disgiunto". Per cui chi ha votato il Presidente eletto e nessuna lista o addirittura liste non apparentate alla vincente contribuisce a far eleggere candidati delle sole liste apparentate.

Nell'informazione istituzionale si avverte l'elettore che è possibile il "voto disgiunto", ma nulla si dice delle conseguenze sulle liste apparentate. Per fare un esempio, un'elettrice milanese che avesse votato la lista socialista e Maroni Presidente, avrebbe contribuito a far eleggere un ex fascista di "Fratelli d'Italia" a Como. Sarebbe come dire: Cari elettori disgiunti, i vostri voti sono di serie B. Sembra una barzelletta, ma questo è il "Lombardellum", una legge per la quale il voto personale e diretto previsto dalla nostra Costituzione non esiste più.

Dunque, il TAR della Lombardia ha rinviato questo meccanismo elettorale alla verifica della Corte costituzionale. A buon diritto, si direbbe. Eppure, le reazioni più negative all'Ordinanza del TAR lombardo sono venute dal capogruppo regionale del PD. Perché? Perché, se tocchi il bipolarismo ancorché artificiale, viene meno la ragion d'essere del PD.

Per fortuna, non tutti i democrat la pensano così. Un illustre costituzionalista del PD ha manifestato soddisfazione per l'inizio della demolizione di un istituto, quello di un premio in seggi, che "trasforma minoranze occasionali in maggioranze", eterogenee aggiungo io.

Paradossalmente, il premio di maggioranza produce instabilità, perché per avere un voto in più degli avversari si creano coalizioni prive di qualsivoglia ragione sociale, politica e ideale.

lunedì 14 ottobre 2013

A bocce ferme

La sensazione sarebbe che, al di là delle parole, la rassegnazione abbia preso il sopravvento. Ma in politica non è mai detto.

di Paolo Bagnoli

Partiamo dal gesto di Berlusconi di votare la fiducia al governo Letta dopo le bellicose dichiarazioni dei giorni passati e la riconferma del "no" all'apertura della seduta senatoriale. Per quanto ci si possa almanaccare sopra per darle un senso compiuto, a noi è parso il colpo di teatro di chi, nonostante stia affogando, si sente furbo e sfida il mare. Insomma: "Carta vince, carta perde", come si usa dire in certi banchetti per scommettitori di strada. Già, ma mentre il gioco delle tre carte è fatto da imbroglioni per gli ingenui, qui è in ballo il Paese, il governo, la credibilità della Repubblica.
Con il suo gesto simil-futurista, Berlusconi non ha certo rafforzato il governo provocando invece non pochi problemi al Pd, problemi che si faranno sentire sull'esecutivo, considerato che, non essendo maturata la rottura del Pdl, ora non si capisce bene che identità vi esprimano i ministri in disaccordo con il padre-padrone. Forse, l'identità di belusconiani in disaccordo con Berlusconi… Lui stesso però, al di là delle sue vicende personali, rimane a capo dell'azienda-partito. Può il PdL farsi rappresentare nel governo da persone in rotta con il capo? Tutto è possibile, ma la cosa specifica sembra un po' difficile. Dunque, paradossalmente, una fiducia così non rafforza Letta.
Berlusconi ha giocato una tragica, beffarda e non dignitosa furbizia. Comportandosi come ha fatto ha dimostrato, ancora una volta, di rappresentare un lusso che ci è già costato troppo caro. Ma continuerà a costare, anche se il cavaliere non sarà più parlamentare: tra qualche mese potremmo ritrovarcelo nel Parlamento europeo se, per esempio, la battaglia radicale per l'amnistia avrà esito positivo.
Come andrà a finire l'attuale vicenda italiana è difficile a dirsi. Certo, il Paese è stretto in una crisi complessiva. E questa si compone di tutte le concause che vediamo emergere al momento. Esse altro non sono se non il punto di attestamento attuale della crisi ventennale della Repubblica.
Silvio Berlusconi non governerà più. Ma ciò non significa né la fine del berlusconismo inteso quale versione di destra della politica italiana né, tantomeno, la fine della destra quale blocco di interessi sociali-economici e di visioni culturali.
Di ciò che viene impropriamente chiamata "la sinistra" bisogna dire che, nel suo essere storico e politico, non esiste. E men che meno esiste una sinistra nel cosiddetto centro-sinistra – considerato il fallimento del Pd, chiuso in un bizantinismo interno di cui è praticamente impossibile spiegare il canone.
Il cosiddetto centro-sinistra, ossia il Pd più Sel, si è politicamente dissolto subito dopo le elezioni e oggi, mentre l'idea della destra è immediatamente percettibile, quella del potenziale schieramento alternativo fa l'effetto di un organo nel quale ogni canna suoni il suo spartito. Il grande clamore generato dalla questione Renzi è solo il controcanto di un dramma del quale nessuno pare avere colto il portato sistemico.
Dopodiché, certo, il presente in politica va governato. E però, il realismo ha un senso non in quanto fine a se stesso, ma come attuazione di una consapevolezza che non può né prescindere dal passato né evitare la prefigurazione di un possibile futuro.
La definizione che Enrico Letta ha dato del suo gabinetto ("governo del fare") attesta il vuoto in cui la Repubblica sta sprofondando.
Da tale punto di vista la rinnovata fiducia non cambia nulla.
L'improvvisazione e la mancanza, tanto di responsabilità quanto del senso storico che dovrebbe competere a chi ha le redini della politica, il chiudere gli occhi di fronte alle storture costituzionali e il rappresentare un'Italia che è talmente tanto un'altra Italia da non essere se stessa, tutto ciò ha prodotto i risultati dell'oggi.
Le astuzie "realistiche" messe autorevolmente in campo sono state solo una corsa sul posto. Non hanno portato da nessuna parte. E la situazione, a tutti i livelli, si è talmente incartata che nessuno sa come uscirne. Nessuno pare più in grado di spendere uno spicciolo di autorevolezza per cercare di evitare il deragliamento finale.
Basta la paura dello spread e quello della reazione all'invasività dell'Europa per ridare impulso a una minima funzionalità del Paese? Queste sono tutte, caso mai, conseguenze e non stimoli della coesione e della ricomposizione.
Non funziona nemmeno la democrazia commissaria che la rielezione di Giorgio Napolitano sembrava aver certificato.
E che amarezza, poi, quell'assurda proposta che il Parlamento si rivolgesse alla Corte Costituzionale per sapere se era conforme alla Carta una legge da esso emanata…
Qui anche i commenti negativi sono difficili.
Al di là di Berlusconi che, frutto del danno, ci ha messo del suo, la decadenza di un parlamentare è prerogativa esclusiva, in quanto titolo proprio, del Parlamento stesso. O il Parlamento potrebbe essere esecutore di una decisione presa da altro organo?! Stato di diritto, adieu. Qui nemmeno il rovescio è limpido.
Chissà cosa ci s'inventerà adesso?
La sensazione è che, al di là delle parole, oramai la rassegnazione abbia preso il sopravvento interiore. In politica, tuttavia, non è mai detto. E dunque: speriamo. In fondo, non costa niente.

lunedì 7 ottobre 2013

L’analisi politica - AUSTRIA FELIX?

L'evoluzione del sistema politico e istituzionale austriaco dovrebbe essere seguita con maggior attenzione dall'Italia che cerca di riformarsi

di Felice Besostri

Le elezioni austriache del Nationalrat, la Camera dei Deputati, che con il Bundesrat costituisce il Parlamento austriaco, si sono svolte dal 2 al 29 settembre 2013. Il voto per posta è possibile dal 2 di settembre e lo spoglio segue quello dei voti espressi nei seggi. Di questa facoltà si avvale il 10% degli elettori, che quindi hanno inciso sul risultato finale peggiorando il voto dei Socialdemocratici e dei Liberali e migliorando quello dei Verdi e, in piccola misura, dei Popolari, come si desume dalle percentuali che di seguito riportiamo tra parentesi: SPÖ 26,9 (27,1), ÖVP 24,0% (23,8), FPÖ 20,6% (21,4), Grüne 12,3% (11,5), Stronach 5,7% (5,8), NEOS 4,9% (4,8).

La grande coalizione rosso-nera uscente conserva ancora la maggioranza assoluta, ma è il peggior risultato complessivo SPÖ-ÖVP in questo secondo dopoguerra. Non è un'alleanza di corrispondenza di amorosi sensi, ma un matrimonio d'interesse, interessi non sempre limpidi; anzi, l'Austria potrebbe competere con l'Italia per scandali politici, con la differenza che colpiscono gli esponenti di partito, ma non i partiti in quanto tali. Dunque, questo primato spetta a noi, come pire il primato delle elezioni anticipate. Delle sedici legislature italiane otto sono terminate anticipatamente e la 17ma, appena iniziata, darà la maggioranza a quelle interrotte anzi tempo. L'Austria, con sette anticipate su venti, conquista un indiscutibile secondo posto europeo.

Le grandi coalizioni hanno retto undici legislature, la maggioranza assoluta ÖVP una a fronte di quattro monocolori SP, tra cui uno di minoranza con Kreisky, che provocò elezioni anticipate per conquistare la maggioranza assoluta nel 1971.

Fino alla fine degli anni '70 SP e ÖVP raccoglievano più del 90% dei voti validi e soltanto con il passaggio ad un sistema tripartito ci furono un governo SPÖ-FPÖ e due governi ÖVP FPÖ. L'unico governo tripartito di Popolari, Socialdemocratici e Comunisti del KPÖ fu nel primo del dopoguerra in regime di occupazione delle quattro Potenze Alleate, tra cui l'Unione Sovietica: periodo d'oro per i comunisti austriaci, che furono rappresentati nel Nationalrat per l'ultima volta nel 1956, cioè appena finito il regime di occupazione (luglio 1955).

La Camera dei Deputati austriaca è composta da 183 membri, con i 52 seggi Socialisti e i 47 Popolari la maggioranza assoluta è superata di 7 seggi. Altre maggioranze non ci sono, a meno di una alleanza di Popolari (52), Liberali (40) e Verdi(24). Non sussisterebbero ostacoli di principio giacché nei nove Stati federati (Länder) le maggioranze sono multiformi. I Verdi per esempio sono a governo in cinque Länder, con le formule più varie: due con i Popolari (Tirolo e Austria Superiore), uno con Socialdemocratici e Popolari (Carinzia), uno con i soli socialdemocratici (Vienna) e, ultima in ordine di tempo, una con Popolari e il Team Stronach (Salisburgo).

Stronach è un miliardario che ha fondato un partito personale populista e sostanzialmente di destra, anche se con toni meno xenofobi della FPÖ di Heinz-Christian Strache.

Tutti i commenti parlano dei Liberali come i grandi vincitori delle elezioni. Non è vero se non in un'ottica ragionieristica, che guardi solo alle precedenti elezioni. La FPÖ, è vero, guadagna il 3,9% dei voti, mentre Socialdemocratici e Popolari perdono in percentuale e in seggi, ma nel 2008 la BZÖ, la Lega per il Futuro dell'Austria, fondata da Haider, aveva il 10,7%, se Strache avesse recuperato i voti persi da questa formazione il suo Partito avrebbe raggiunto il 24,7%, a anche così sarebbe stato di 2 punti sotto il 26,9%, il miglior risultato con Haider alla guida del Partito, cioè la stessa percentuale dei Socialdemocratici oggi.

La FPÖ con i suoi programmi non è partner gradito in nessuna coalizione e ha la sfortuna di operare in un paese dove, a differenza dell'Italia, non esistono premi di maggioranza pazzeschi, che gli possano garantire il 55% dei seggi con il 27% dei voti, facilmente raggiungibili con un'alleanza con il Team Stronach, che, invece, è partner di governo in tre Länder in Carinzia e Bassa Austria (dove i seggi nell'organo esecutivo sono assegnati con sistema proporzionale come nei Cantoni svizzeri) e nel Land Salisburgo, in base ad un accordo politico programmatico.

A Stronach non riuscì di entrare nel Land Tirolo, perché là non riuscì a strappare voti ad una lista altrettanto personale ma di un personaggio tirolese Fritz Dinkhauser, che ha dato il suo nome proprio al suo Partito FRITZ (un partito regionale, che dispone di 2 seggi nel Bundesrat).

Vincitori delle elezioni sono la Lista Stronach con 11 seggi e i liberali democratici di NEOS con 9. Stronach ha guadagnato quasi il doppio di Strache e NEOS il 4,7% rispetto al 3,9% dei Liberali.

L'evoluzione del sistema politico e istituzionale austriaco dovrebbe essere seguita con maggior attenzione dall'Italia che cerca di riformarsi: ha un sistema bicamerale, ma l'ultima parola spetta alla Camera dei Deputati; ha una forma di governo semi-presidenziale, con elezione diretta del Presidente, dotato di forti poteri sulla carta, mai esercitati, perché l'indirizzo politico è del primo Ministro. I partiti sono essenziali per la selezione del personale politico e le formazioni che seguono un'altra logica sono legate al successo del personaggio.

Renzi, per esempio, ha come modello Stronach ("il partito sono io") o Werner Faymann? O l'amico Fritz, in maniche di camicia come lui, ma con i pantaloni di pelle?