giovedì 31 maggio 2012

La sinistra in Europa tra desiderio e realtà

IPSE DIXIT

Struttura e organizzazione - «La struttura e l’organizzazione della Curia romana cerca invano. . . di nascondere il fatto-chiave: che il Vaticano nel suo nocciolo è restato ancor oggi una Corte. Una Corte al cui vertice siede ancora un regnante assoluto . . . Nel suo cuore il Vaticano è rimasto una società di Corte, dominata e segnata dal celibato maschile, che si governa con un suo proprio codice.» – Hans Kueng

 

 

Il dibattito a sinistra



di Felice Besostri


Il PASOK ha sostenuto politiche di austerità, ma poteva non farlo essendo dipendente da prestiti per poter pagare stipendi e pensioni? Papandreu non doveva cedere sul referendum, una via di rafforzamento dell'autorità del Governo e della sovranità del popolo greco. Schulz e la SPD lo sostenevano, più che la Merkel fu Sarkozy a mettere il veto. I greci non decidono chi debba governare in Germania, ma il governo tedesco, frutto di libere e democratiche elezioni (particolare non secondario di cui ogni tanto ci si dimentica)  può invece imporre attraverso l'UE la propria politica economica e finanziaria a governi greci, per quanto anch'essi liberamente scelti.

    Altra via  di uscita istituzionale non può esserci se non trasformando l'UE in uno stato federale, per il cui governo votano tutti gli europei e un sistema politico europeo con partiti europei sovranazionali e non confederazione di gruppi dirigenti nazionali. Non so le prossime elezioni, ma le ultime non hanno delineato una soluzione greca alla crisi. Il governo uscente era appena a 2 seggi dalla maggioranza assoluta, ma soltanto grazie alla legge elettorale che regala 50 seggi su 300 al primo partito senza soglia minima di percentuale.

    Tuttavia a prescindere dalla legge non c'era UNA MAGGIORANZA POLITICA ALTERNATIVA di sinistra. La sinistra-sinistra ha escluso il Pasok da ogni alleanza e il Pasok pure, ma anche fosse scomparso, come molti auspicavano  e auspica con i soliti eccessi di furore irrazionale, che periodicamente devastano la sinistra, non c'era possibile alleanza neppure tra Syriza e KKE.

    Anche in Germania sarebbe auspicabile una MAGGIORANZA ROSSO ROSSO VERDE, ma se non si fa è troppo facile attribuirne la colpa alla sola SPD, quando ci sono settori della Linke contrari per principio ad un accordo con la SPD, "perché la Linke sarebbe in tal caso superflua (ueberfluessig)”, e  verrebbe meno” la sua funzione di partito anticapitalista”. Ma c'è anche una destra socialdemocratica come in Turingia che preferisce accontentarsi di una Vicepresidenza in una Grosse Koalition, piuttosto che avere la presidenza con un governo integrato dalla Linke. Le dirigenze di Land nella SPD sono altrettanto democraticamente elette a scrutinio segreto dai suoi iscritti.

    Noi non abbiamo la forza numerica, ma come sinistra italiana, visto il suo sfacelo, neppure l'autorità morale per impartire lezioni agli altri. Dobbiamo decidere con chiarezza "dove stare" e "con chi stare", che sono risposte che precedono il "come starci" (personalmente, ma credo il Gruppo di Volpedo nel suo complesso, ritengo che la risposta debba essere nel PSE molto criticamente).

    Allo stato attuale non siamo in grado di influire sulle decisioni né del PSE né dei suoi partiti maggiori (PSF, SPD, Labour) né dei partiti modello come i socialdemocratici scandinavi. Per superare questo impasse che è pura impotenza abbiamo bisogno di tutti e di tanti, ad esclusione di grilli parlanti e mosche cocchiere. Un'uscita dalla crisi senza abbattere il welfare e con una prospettiva di crescita dipende dal grado di cooperazione tra SOCIALISTI AL GOVERNO E SOCIALISTI ALL'OPPOSIZIONE NEI PAESI CHE CONTANO.

    Di questo discuteremo a Genova il 30 giugno prossimo nella stessa Sala Sivori dove avvenne la fondazione del Partito dei Lavoratori 120 anni fa. Una presenza fisica e una maggiore coesione politica tra chi a sinistra si richiama al socialismo, alla democrazia, al lavoro e alla libertà produrrà più energie positive dei dibattiti su FB, specie quando non è la crescita di un comune sentire l'obiettivo, ma quello di avere l'ultima e definitiva parola, un altro modo di dimostrare chi è più maschio mostrando i suoi attributi, intellettuali of course.

giovedì 24 maggio 2012

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it


Crisi - La marcia di Blockupy

in una Francoforte blindata


Sabato il gran finale di 4 giorni di protesta contro la Bce e le politiche di austerità dell'Europa. Previsti 40mila manifestanti da tutto il continente. Circa 400 arresti da mercoledì, anche se non ci sono state violenze o danneggiamenti.


Il gran finale sabato 19 maggio, quando una grande manifestazione ha attraversato la città. Ma già nei giorni precedenti i manifestanti di Blockupy Francoforte hanno tentato in ogni modo di "ingombrare" il cuore finanziario della Germania e il suo simbolo, la BCE.

    Un tentativo contrastato con un imponente schieramento di polizia, che ha operato da mercoledì a venerdì 400 fermi, tra cui 80 di cittadini italiani.

    Mercoledì, la polizia ha evacuato anche gli indignati locali, accampati da sette mesi davanti alla Bce.

    Venerdì, per la prima volta, le forze di polizia hanno fatto ricorso anche ai getti d'acqua per disperdere i manifestanti che bloccavano gli ingressi di diverse banche.

    La protesta, come riporta il sito della Berliner Zeitung, era iniziata la mattina con una marcia di alcune centinaia di persone dalla stazione centrale di Francoforte verso la BCE.

    Poi gli attivisti si sono suddivisi in gruppi di una cinquantina di persone avviandosi verso le strade laterali. La polizia ha bloccato le uscite e poi ha fermato i dimostranti caricandoli su autobus che li hanno trasportati verso diversi luoghi di detenzione nella città.

    Davanti alla sede della BCE, riportano i siti web degli attivisti, si potevano contare almeno 50 camionette in presidio delle vie d'accesso, con idranti e centinaia di agenti che hanno "marcato a uomo" i gruppi di dimostranti.

    C'era anche un reparto speciale di Polizei Communicators che, "con il sorriso sulle labbra", preavvertiva i manifestanti seduti che sarebbero stati di lì a poco arrestati se non avessero abbandonato la piazza.

    "Abbiamo ridato vita alla disobbedienza civile", ha dichiarato all'emittente tedesca Phoenix il portavoce di Blockupy, Erik Buhn.

    I manifestanti protestano contro “fame e miseria che i governi stanno infliggendo alle popolazioni come risposta alla crisi". Una risposta che si è intensificata dopo le elezioni in Grecia. La protesta ha portato alla chiusura dei più prestigiosi centri del commercio cittadino, che hanno tirato su le serrande, anche se – come riporta la Reuters – non ci sono stati segni di danneggiamento.

    Alla manifestazione generale di sabato, alla protesta finale, l’unica autorizzata hanno preso parte da tutta Europa circa 30mila dimostranti.


VISITA IL SITO DEL COOPI www.cooperativo.ch


La sfida degli edili

a cura di www.rassegna.it


Contratto di cantiere

e green economy


Costruzioni - La doppia via indicata dalla Fillea Cgil durante l'assemblea nazionale a Genova. Sostenere innovazione ed economia verde darà nuovi posti di lavoro. La contrattazione nei cantieri, luogo finale della filiera, può fare il resto


di Maurizio Minnucci


Accordi con le imprese nei cantieri, più attenzione all'ambiente e alla sostenibilità. E’ questa la strada maestra per uscire dalla crisi. A indicare il percorso, sperando che il concetto possa allargarsi all’intero mondo del lavoro, è il sindacato degli edili Cgil, la Fillea, durante l’assemblea nazionale in corso a Genova. Un mix, quello indicato dalla sigla di categoria, basato su una serie di ricerche presentate il 14 maggio nel capoluogo ligure.

    Ripartire dalle “costruzioni verdi”, o green building, per dirla all’inglese. “Non solo negli Stati Uniti – si legge nel dossier dell’Ires –, ma in diverse economie occidentali la riconversione evidenzia segnali positivi a partire proprio dal settore delle costruzioni”. Insomma, costruire e riqualificare zone urbane in modo sostenibile “implica il ricorso a tecnologie innovative e a nuovi materiali e sistemi che, oltre a consentire l’abbattimento dei consumi, creano nuova occupazione e la domanda di nuove professionalità”. Centinaia di migliaia di posti, non pochi, potrebbero crearsi seguendo questa via.

    L’altra parte della sfida, i cantieri. Qui ormai sono impegnate le aziende più diverse e convivono figure professionali con contratti nazionali diversi. Ne deriva “un’eccessiva frammentazione dei trattamenti  – affermano i ricercatori –, assieme a una scomposizione e deresponsabilizzazione del datore”. Nonché la difficoltà del sindacato a rappresentare tutte le esigenze. Ecco allora la proposta: pensare a un 'contratto di cantiere' come modello di innovazione. Dove il cantiere diventa l'unità produttiva che porta a livello decentrato il contratto nazionale, con una larga base di diritti comuni e clausole sociali, 'finestre' e deroghe che consentano adattamenti specifici per chi fa capo a altri Ccnl.

    Anche in questo caso la riflessione parte da dati concreti: la contrattazione decentrata, a oggi, coinvolge il 40% dei lavoratori e il 10% delle imprese, ma appena il 4% nel Mezzogiorno, mentre nelle aziende sotto i 20 dipendenti oscilla dal 4% all'8%. L’idea di base è armonizzare il numero di contratti nazionali (oggi 456), a cominciare da quelli di competenza interna a ciascuna federazione di categoria.

     “La filiera delle costruzioni si allunga già a monte, fin dalla progettazione, – conclude il segretario generale della Fillea, Walter Schiavella – prima di arrivare al punto in cui gran parte del processo produttivo converge, cioè il cantiere. Come riunificare questo ciclo? Non certo con il contratto unico dell’industria. Per noi la risposta non può che essere il cantiere. Il contratto nazionale, in questo quadro, non può essere certo scalfito, il problema è trovare il punto di equilibrio corretto".

 

 

 

a cura di www.rassegna.it


Placido Rizzotto: funerali di Stato

con Napolitano il 24 maggio


Un giorno per ricordare nell'esponente socialista della CGIL Placido Rizzotto le decine di sindacalisti caduti nel contrasto alle mafie.


Il 24 maggio, a Corleone, i funerali di Stato per Placido Rizzotto – il segretario della locale Camera del lavoro assassinato dalla mafia nel 1948 – vedranno la presenza del presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Il 23 maggio il presidente Napolitano sarà a Palermo per partecipare alle iniziative della Fondazione Falcone nel ventennale della strage di Capaci.

    I funerali di Rizzotto, il giorno successivo, uniranno "nell’omaggio e nella memoria – ha spiegato il presidente accogliendo l’invito di Susanna Camusso e del nipote di Rizzotto, che del sindacalista ucciso porta il nome – tutte le vittime della criminalità organizzata".

    "Si tratta di un evento di assoluta importanza che, dopo aver accolto i funerali di Stato, la massima autorità del paese vi partecipi – dichiara il segretario della Cgil di Palermo Maurizio Calà –. È un segnale di rilievo sia per i caduti contro la mafia, per la libertà e per la democrazia ma anche e soprattutto nei confronti di una figura come Placido Rizzotto, che viene dal mondo del lavoro".

    "Questi funerali sono per noi, come ha giustamente sottolineato il presidente, non sono solo i funerali di Rizzotto ma delle decine di sindacalisti caduti nel contrasto alla mafie, per i diritti del lavoro e per la salvaguardia della libertà e della democrazia”.

    "Il 24 maggio – conclude Calà – diventa una data storica e di mobilitazione della Cgil per onorare Placido Rizzotto. Come abbiamo fatto in tutti questi anni, in cui siamo stati gli unici assieme alla famiglia a chiedere verità, giustizia e la salvaguardia della memoria".

 

I pazzi sono i moderati

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/



di Riccardo Campa


Parlando della questione greca, nell’editoriale “La preghiera di Aiace” (la Repubblica, 16 maggio 2012), Barbara Spinelli propone alcune osservazioni molto acute. Intanto, mette il dito sulla piaga, ricordando – se ce n’era bisogno – che il modo in cui la crisi dei debiti sovrani è stata gestita dimostra che l’Europa non è ancora una nazione, un popolo, un’entità politica. È degenerazione, oligarchia, regno dei mercati, “plutocrazia”, legge senza giustizia. La tesi centrale dell’articolo è che non ci può essere un’Europa senza la Grecia, perché «chi sproloquia di radici cristiane d’Europa dimentica le radici greche, e l’entusiasmo con cui Atene, finita la dittatura dei colonnelli nel 1974, fu accolta in Europa come paese simbolicamente cruciale». L’autrice si dice inoltre preoccupata, perché cresce la tentazione di risolvere la crisi con il ritorno alle “finte” sovranità assolute degli Stati nazione, invece di marciare verso la fondazione di un vero e proprio Stato europeo, una “Federazione forte”. Per finire, Spinelli non nega gli errori della Grecia, ma li attribuisce alla “corruzione politica” e stigmatizza il fatto che non si voglia dare ascolto a Syriza – la Sinistra radicale – bollandola a priori come “forza maligna” antieuropeista.

    Non si può che convenire. Non è solo una questione di mancata solidarietà nei confronti di uno spezzone d’umanità in difficoltà economiche, ma un problema di identità europea, di appartenenza alla stessa comunità di destino. Se “Patria” è la terra dei padri, non ci può essere Europa che escluda dal proprio perimetro la terra di Solone, Pericle, Alessandro il Macedone. Ma credo che l’analisi non possa fermarsi qui. Credo che sia necessario affondare più decisamente il coltello nella piaga. La corruzione greca (ma anche quella italiana), o l’immediata marginalizzazione di chi solleva domande sul sistema, come Syriza, sono soltanto riflessi secondari di un problema ben più grande.

    Chi ha letto la Repubblica di Platone ricorderà che il filosofo ateniese ha voluto separare nettamente il potere politico dal potere economico. Al punto che i detentori del potere politico, i guardiani della Polis – uomini e donne – erano nullatenenti, dormivano accasermati, mangiavano in mense pubbliche, si amavano e riproducevano liberamente senza formare famiglie, dedicavano il loro tempo alle scienze, allo sport, alle arti marziali, alla politica. I loro sottoposti potevano invece commerciare, arricchirsi, formare famiglie, lasciare eredità ai figli, ma erano privati di qualunque potere legislativo o esecutivo. L’ideale era avere politici integralmente dedicati al bene pubblico, liberi da conflitti di interesse, senza però mettere in pericolo la libertà di commercio e la ricchezza economica della comunità.

    Si tratta ovviamente di una costruzione ideale, irrealizzabile in questa forma, della quale si sono nutriti al meglio alcuni socialisti utopisti dell’età moderna. Sicché, non si pretende oggi che i detentori del potere politico vivano nell’indigenza. Tuttavia, quello che accade oggi in Europa è l’estremo opposto, un ribaltamento totale del principio platonico. Oggi, l’elite al comando controlla tutta la ricchezza economica e tutto il potere politico, perché i veri guardiani della Polis europea – lo abbiamo visto con i nostri occhi negli ultimi mesi – non sono i parlamentari eletti dal popolo, ma gli azionisti della BCE. Una banca privata stampa soldi e li presta ad altre banche private, le quali a loro volta li prestano (se lo ritengono conveniente) agli Stati nazionali, ai cittadini, agli imprenditori – perlopiù a tassi usurai. Inoltre, gli azionisti di questa banca privata dettano le leggi ai governi, nominano governi nazionali, decidono chi deve stare in Europa e chi deve stare fuori.

    Non si capisce proprio come le sinistre europee abbiano potuto avvallare o permettere la costruzione di un simile mostro. Certo, il problema viene da lontano, perché già prima dell’unione monetaria le banche centrali dei singoli paesi erano SPA. Però, ora il problema è aggravato, perché non c’è più alcun potere pari o superiore alla banca centrale. Anche gli USA sono una “plutocrazia”, ma oltreoceano perlomeno ci sono istituzioni pubbliche potenzialmente in grado di controbilanciare il potere della FED: un Presidente eletto dal popolo con poteri quasi monarchici, il Congresso, le Forze Armate, la Corte Suprema. In Europa, attorno alla BCE c’è il deserto.

    Come possiamo allora parlare di ideali, di Patria europea, di democrazia, se mettiamo tutto il potere politico ed economico nelle mani di un gruppo di affaristi privati? Comprensibilmente, il consiglio di amministrazione di quella azienda dovrà rispondere sempre e innanzitutto agli azionisti, e non alla volontà collettiva o all’interesse dei cittadini europei. La corruzione politica è soltanto un epifenomeno di questa mostruosità istituzionale. I tribuni della plebe non hanno scelta: o si mettono al servizio della grande finanza, o – al meglio – difendono la causa del compromesso onorevole. Quelli che criticano il sistema vengono accusati di follia, irresponsabilità, estremismo, da una stampa che è spesso una mera diramazione dei poteri finanziari. Ma la vera follia è nell’avere ribaltato la Repubblica di Platone. La vera follia è nell’avere istituzionalizzato la figura dei giudici in campo: privati cittadini che sono allo stesso tempo giocatori e arbitri del gioco catallattico. Una follia che sta gettando nella miseria milioni di persone.

    Si dice spesso che l’Europa, per sopravvivere come progetto politico, deve darsi un autentico organo di Governo, un esercito continentale, una comune politica estera. Ora mi chiedo: sono “pericolosi rivoluzionari” coloro che chiedono anche una Banca federale pubblica, che stampi moneta, compri titoli di Stato e sia in grado di spezzare la schiena a qualunque speculatore osi minare il benessere dei cittadini? È mai possibile che cinquecento milioni di Europei, cittadini di Stati che hanno scritto la storia e che formano nel complesso la prima economia del pianeta, debbano restare in balìa di quattro banchieri e tre speculatori? È mai possibile che la stampa si ostini a chiamare “moderati” i sostenitori teorici e pratici di questa mostruosità?

    Temo che non riusciremo a raddrizzare la situazione, finché non sarà chiaro a tutti che i veri pazzi sono i moderati.

Napolitano a Tunisi

IPSE DIXIT


Elencare quel che serve - «Elencare quel che serve "somiglia a una barzelletta sui vari paesi"; dovrebbero la Francia cedere un po' della propria sovranità, la Germania smettere di essere rigida e l'Italia adottare una trasparenza di bilancio. Servirebbe un New Deal per tutta l'Europa, o un nuovo Piano Marshall per l'Europa del sud.» – Marco D'Eramo

 

 

Orizzonte internazionale


"L'anelito di libertà che si leva dalle sponde del Mediterraneo non può essere soffocato e represso con le armi e con gli eserciti"


"Sono sommamente lieto ed onorato di rivolgermi oggi all'Assemblea Nazionale Costituente di un Paese che ha ispirato un moto spontaneo di libertà e democrazia attraverso il Mediterraneo e il mondo arabo". Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha aperto la sua allocuzione di fronte all'Assemblea Nazionale Costituente a Tunisi il 17 maggio.

    "La Tunisia - ha aggiunto il Capo dello Stato - ha destato emozioni e speranze che non si sono ancora sopite. Mentre vi parlo in quest'Aula dove state gettando le fondamenta istituzionali della nuova Tunisia, il mio, il nostro pensiero va a quanti invece continuano a doversi battere e a soffrire per la realizzazione degli stessi ideali in questa parte del mondo, in particolare in Siria. L'anelito di libertà che si leva da queste sponde non può essere soffocato e represso con le armi e con gli eserciti. La voce del popolo va ascoltata. Qui lo è stata. Voi ne siete la prova. Lungi dal ripristinare una falsa e illusoria stabilità, l'uso della forza contro la propria gente sfocia nella barbarie del terrorismo e negli attentati indiscriminati contro i civili. Le aspirazioni profonde dei popoli e delle nazioni delle 'primavere arabe' possono realizzarsi in modi pacifici attraverso le indispensabili riforme".

    "La Tunisia - ha sottolineato il Presidente Napolitano - ha dimostrato e dimostra che è possibile. Ieri, ha stupito la Comunità Internazionale con il successo di una rivoluzione che rivendicava 'libertà e dignità' per tutti, oggi offre un esempio di come passare responsabilmente dall'abbattimento dell'autocrazia alla costruzione di uno Stato di diritto, di una democrazia moderna e di Istituzioni trasparenti".Per il Capo dello Stato questa "è una strada ardua ma i traguardi sono appaganti. E' una strada che l'Italia ben conosce, perché una sfida analoga fu affrontata nel nostro paese dai membri della Assemblea Costituente, eletti a suffragio universale il 2 giugno 1946 e impegnati per un anno e mezzo a dare forma giuridica ai principi fondanti del nuovo Stato democratico e repubblicano, che risorgeva dalle macerie e dalle terribili sofferenze della dittatura e della guerra. Quella fase della Assemblea Costituente italiana fu accompagnata da un dibattito eccezionalmente alto e approfondito, che permise una virtuosa confluenza - nonostante le diverse matrici ideologiche dei principali partiti - tra le grandi correnti storico-culturali e politiche rappresentate nell'Assemblea Costituente. Non di semplice seppur difficile 'compromesso' si trattò, bensì di uno straordinario esercizio di ascolto reciproco, di scambio e di avvicinamento sul piano dei principi, di riconoscimento di istanze e sensibilità comuni. E' certamente a questa genesi alta e 'politica' nel senso più nobile del termine Costituzione, che si deve la capacità della nostra Carta Fondamentale di presiedere nel corso dei decenni alle continue e profonde trasformazioni economiche, sociali, culturali, amministrative del Paese, preservando i beni supremi della libertà e della democrazia anche nei momenti più aspri di lotta politica e infine di fronte alla sfida mortale del terrorismo interno".

    Rivolgendosi ai membri dell'Assemblea Nazionale Costituente, il Presidente Napolitano ha detto: "Oggi tocca a voi. In quest'Assemblea colgo lo stesso senso della missione, la stessa sfida, la stessa, esaltante, capacità di plasmare una nascente democrazia. Voi, rappresentanti democraticamente eletti, siete gli architetti del futuro Stato tunisino. Il vostro storico compito sta innanzitutto nel tracciare il quadro giuridico dei valori e principi fondanti della vostra comunità nazionale. Fra questi, le libertà fondamentali, i diritti umani, la tutela delle minoranze, lineamenti irrinunciabili dello Stato di diritto che volete costruire, nel pieno rispetto delle radici storiche e del patrimonio culturale a cui vi ispirate. E' egualmente parte del vostro mandato disegnare l'architettura istituzionale della democrazia tunisina e definirne regole di funzionamento, tali da assicurare equilibrio di poteri tra gli organi costituzionali ed effettiva governabilità del sistema politico.

    Fondamentale è che sia garantita la più ampia rappresentatività del Parlamento, dove l'irrinunciabile ruolo delle opposizioni permette a tutte le voci della nazione di contribuire alle scelte legislative. Una democrazia è vitale e vibrante solo se tutti i cittadini, uomini e donne, di qualsiasi credo religioso e appartenenza sociale, si riconoscono nella partecipazione alla 'cosa pubblica'. La Costituzione che andate scrivendo diverrà punto cardinale di riferimento anche per i corpi intermedi della società civile tunisina che devono poter operare come canali di trasmissione delle istanze dei cittadini verso le istituzioni".

    Il Capo dello Stato ha quindi auspicato che "altri processi di transizione in corso nel mondo arabo possano seguire, ciascuno con le proprie specificità, analogo percorso. Nella sequenza delle tappe politiche finora attraversate - e quest'Assemblea è la miglior dimostrazione di quanto avanti siete già giunti - le difficoltà certamente non sono mancate, né mancheranno. L'intera Comunità Internazionale, e l'Unione Europea con speciale simpatia e vicinanza, non solo geografica, continuerà a seguire attentamente, in spirito di amicizia, lo sforzo che perseguite, mentre vi confrontate con grandi prove sociali ed economiche".

    "L'Italia, Paese tradizionalmente partner ed amico della Tunisia, - ha concluso il Presidente Napolitano - non ha fatto né farà mancare ad essa il proprio sostegno, in una fase storica così importante e ricca di opportunità e di promesse. La vicinanza dell'Italia troverà certamente espressione sia nei nostri rapporti bilaterali che nel contesto dell'Unione Europea e della più ampia famiglia euro-mediterranea".

    Il primo giorno della sua visita ufficiale nella Repubblica Tunisina, il Capo dello Stato italiano ha incontrato il Presidente Moncef Marzouk, con il quale, nel corso delle dichiarazioni alla stampa ha richiamato "l'antica tradizione di presenza italiana in Tunisia, anche in campo economico ed imprenditoriale" alla quale "bisogna dare tutti gli sviluppi nuovi che sono necessari e possibili" con un impegno "sia sul piano dei rapporti bilaterali sia sul piano dell'apporto ad una politica mediterranea dell'Unione europea". Il Presidente Napolitano si è anche detto d'accordo con il Presidente Marzouki che tra Italia e Tunisia i rapporti non siano "solo politici ed economici, ma umani: esprimiamo la nostra profonda comprensione per il dramma di famiglie tunisine che hanno perduto i loro cari in quelli che dovevano essere i viaggi della speranza verso l'Italia e verso l'Europa ma che troppe volte sono diventati i viaggi della morte. Vogliamo che ci sia cooperazione tra i due Paesi attraverso i canali di una immigrazione legale e regolata; ma, anche di fronte agli arrivi di immigrati illegali, abbiamo sempre dato la priorità al nostro impegno per la salvezza delle vite umane. Vogliamo - ha aggiunto il Presidente Napolitano, che ha poi incontrato i familiari di alcuni emigranti che risultano dispersi dopo aver lasciato la Tunisia alla volta dell'Italia nello scorso anno - anche dare il nostro contributo, nella massima misura possibile, per l'ansia delle famiglie di poter ritrovare i loro congiunti che risultano dispersi".

martedì 15 maggio 2012

Un bilancio delle Amministrative 2012

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


di Riccardo Nencini,

segretario nazionale del PSI


Dalle elezioni amministrative il Psi esce con un dato nazionale che si attesta al 3%, con punte di eccellenza in varie realtà del centro e sud Italia: l'ottimo risultato di Carrara, dove il sindaco socialista Angelo Zubbani è stato riconfermato al primo turno e poi Pistoia, Frosinone, Todi, Narni, L'Aquila e Rieti e ancora dodici sindaci eletti al primo turno in comuni del Veneto, della Puglia e della Calabria.

    Un risultato che supera sia le aspettative sia le previsioni di molti sondaggi

    I socialisti si confermano come una forza della sinistra riformista viva e radicata sul territorio.

    Eleggiamo ovunque sindaci e contiamo nei ballottaggi e nell'elezione di consiglieri e amministratori socialisti in tutta Italia, a conferma che gli elettori hanno premiato programmi seri, fondati sulla crescita, la responsabilità e su una maggiore giustizia sociale.

    I nostri amministratori presenteranno proposte per abolire l'Imu (che spesso rappresenta l'unico salvadanaio per molte famiglie italiane) e promuoveranno progetti per i giovani, che rilancino l'occupazione a livello locale e prevedano contributi da legare a lavori socialmente utili.

    Lo diciamo da tempo e lo ribadisco anche oggi: queste elezioni saranno le ultime della seconda Repubblica e certificano che il Pdl ne risulta fortemente indebolito, in alcune città non c'è più, che Grillo drena voti soprattutto alla Lega e e "a sinistra" si è formato un arcipelago di formazioni politiche contese tra riformisti e radicali.

    La strada che anche le elezioni francesi ci indicano è la Casa dei riformisti, un progetto politico nuovo che raccolga tutte le anime del riformismo italiano, quello laico, socialista, liberale e cattolico democratico.

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


Oltre i proclami il vuoto


Il distretto dell’hi-tech in Lombardia subisce in questi giorni un probabile colpo di grazia.


di Chiara Cremonesi

Sinistra ecologia libertà in Regione Lombardia


Nella totale indifferenza, come ormai da diversi anni a questa parte, delle istituzioni regionale e nazionale, dopo la chiusura della Jabil a dicembre, arriva infatti l’annuncio di altri 580 esuberi alla Nokia-Siemens.

    Per evitare questa Caporetto occorrebbero due passaggi che finora, nonostante le tante sollecitazioni, sono mancati: investimenti certi sulla banda larga e una politica industriale capace di offrire prospettive.

    Al di là dei proclami, evidentemente, per il duo Formigoni-Gibelli la crisi economica non merita particolare attenzione, anche in un settore industriale che di certo non si può dire marginale per il futuro della regione.

 

venerdì 4 maggio 2012

Il gioco dei seggi

Non si sa perché, ma quanto più ci si avvicina alle elezioni,
tanto più la pianta dei partiti sembra riprendere vitalità.
di Paolo Bagnoli
Che la democrazia italiana abbia bisogno, se vuole pensare di salvarsi, di partiti veri è quasi una banalità; che quanto appare di ripresa in atto – un tema sul quale, ci pare, contraddicendosi un po' sono recentemente intervenuti sia il presidente del Quirinale che quello di Palazzo Chigi – corrisponda all'esigenza non ci pare proprio essere.
Vediamo. Casini sta cercando di trasformare l'Udc per farne una specie di partito di raccolta del cattolicesimo politico democratico; Grillo, il comico che ama più insultare che non far ridere, sta strutturando il suo movimento che, a quanto dicono i sondaggi, veleggerebbe già sul 7% dei consensi; qualche settimana fa, con poca fantasia invero, la figlia di Craxi ha lanciato il raggruppamento dei "Riformisti"; a Firenze, pochi giorni orsono, ne è stato presentato un altro, promosso dai soliti professori adusi agli appelli, che si contraddistingue per una concezione politica completamente ascendente e poi, questione ben più seria, il tornare alla ribalta del Psi guidato da Nencini che ha proposto la "casa dei riformisti", magari includendo Vendola – notare che nel programma della Sel la parola "socialismo" è del tutto assente - con l'obiettivo di siglare un armistizio operativo con il Pd. Berlusconi stesso vuole cambiare registro rispetto al fallimento del Pdl e, inoltre, vi sono anche altri movimenti, per ora sottotraccia, ma che tra un po' si affacceranno alla ribalta della politica nazionale.
Parafrasando il titolo di un bellissimo libro di Clara Sereni, Il gioco dei regni, ci sembra sia iniziato quello de "il gioco dei seggi". Di quelli futuri; del futuro Parlamento della Repubblica.
Il problema è serio, ma lo spettacolo è tutto dentro un'asmatica politique politicienne tanto più svelata quanto poiché i partiti non si fondano, o si rifondano, alla vigilia delle elezioni. Altro è il tempo e, poi, altre le cadenze che connettono il fatto con i fattori di riferimento di un partito politico: vale a dire, lo Stato, la politica democratica, gli interessi sociali che si vogliono rappresentare. La situazione italiana, inoltre, richiede una consapevolezza storica di fondo, di natura prospettica che nessuno, peraltro, sembra voler affrontare. Registriamo, al momento, come ognuno si posizioni per inserirsi nel gioco a lui più profittevole. Lo spettacolo non contribuisce certo a ricostruire seriamente quanto dovrebbe essere ricostruito.
Quella del partito socialista è, tra le tante, la questione più rilevante le cui ragioni più volte abbiamo da queste pagine ricordato. Ci domandiamo – fermo restando che non abbiamo nulla da eccepire sulla risposta data da Nencini a Cicchitto che aveva rilevato come proprio il partito berlusconiano sia il luogo dei socialisti – ma è proprio possibile pensare che possa rinascere il socialismo italiano in questo modo? E' proprio possibile ritenere che basti avanzare una propostuccia, per lo più abbastanza confusa, per ridare al soggetto storico della classe operaia italiana, al partito storico della demcorazia italiana, quel ruolo, quella funzione e anche quella dignità politica che gli spettano? Noi, naturalmente, pensiamo di no; siamo convinti che occorra ben altro e che questo "ben altro" si cominci a metterlo sul piano proprio partendo dalla ricorrenza del 120° della fondazione del Psi soprattutto in un passaggio storico di estrema durezza che chiama alla lotta per la democrazia, la libertà e la giustizia sociale coloro che credono che il mondo non possa né debba essere governato dal profitto, ma nel nome di una concezione alta e civile dell'uomo cui assicurare una vita degna di essere vissuta. Crediamo, cioè, che per prima cosa occorra muovere dalle idee fondative, dai parametri ideologici, dall'analisi della fase attuale del capitalismo mondiale, della situazione penosa di un'Europa che giorno dopo giorno crea più problemi di quanti dovrebbe aiutare a risolvere. Ripartire da qui e da qui rimotivare, aprendosi al concorso di quanti credono in tali idee e intendono farne seguire concreti passaggi organizzativi, tutti coloro che socialisti di ieri e socialisti di oggi, socialisti lo sono soprattutto per il socialismo di domani. Il socialismo non rinascerà inseguendo seggi o ruoli di governo, ma avendo consapevolezza della lotta da fare e degli strumenti che occorrono per riformare strutturalmente il capitalismo della barbarie combinando cultura e politica;militanza e organizzazione; sacrificio e senso della storia; e, perché no, anche quello dell'attesa.
Celebriamo, allora, veramente come si deve il 120° della nascita del socialismo italiano; se ci riusciremo - come si deve, appunto - il resto, se deve seguire, seguirà; celebriamolo con l'intento unico, da nessuna altra cosa sviato, se non quello di ridotare, in un lavoro di ricostruzione nella legittimità costituzionale, il Paese di uno strumento fondamentale per il suo essere civile, libero e democratico. E, va da sé, più giusto di quello attuale.