giovedì 21 marzo 2013

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/


Libertà di mandato


Cost. Art. 67. – "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato".


di Vittorio Emiliani


Sono andato a rivedere la sintesi dei lavori della Assemblea Costituente in materia di articolo 67 oggi ritornato di palpitante attualità. Il dato interessante è che all’inizio la maggioranza dei costituenti non riteneva indispensabile fissare nella Carta costituzionale i principi che invece poi vi travasò (rappresentanza della Nazione di ogni eletto e libertà del mandato da vincoli di parte).

    Un esponente comunista di spicco, Umberto Terracini, riteneva quei principi un retaggio dei tempi in cui bisognava contrastare il rapporto clientelare fra l’eletto e il suo collegio o fra l’eletto e la classe sociale da cui proveniva.

    Fu il liberale Aldo Bozzi a opporre che il silenzio della Costituzione in materia sarebbe risultato decisamente ambiguo; e convinse i riluttanti a definire una norma esplicita.

    Un altro esponente comunista di spicco, Ruggero Grieco, dopo aver votato la prima parte dell’articolo (quella sulla rappresentanza della Nazione), insistette nel criticare l’espressione del mandato “senza vincoli” affermando che l’eletto era pur sempre vincolato ad un programma e ad un partito. Poi si rassegnò al diverso parere della maggioranza. L’articolo 67 venne approvato alla unanimità.

    Ma a quell’epoca era evidente come il Pci non volesse perdere il controllo rigidamente esercitato suoi propri eletti. Difatti fu durissimo nelle espulsioni dei dissenzienti. Per esempio dei deputati emiliani Aldo Cucchi e Valdo Magnani, i “magnacucchi”, definiti da Togliatti “pidocchi nelle criniera del nobile destriero”. Magnani fu riabilitato molti anni dopo e divenne presidente della Lega Coop. Non mi pare che sia stato espulso Antonio Giolitti, che uscì di propria scelta dal Pci dopo i fatti di Budapest e la terribile repressione sovietica.

    La storia, qualche volta, ritorna in altre forme. Certo, è singolare che il ferreo controllo dei propri eletti pretenda ora, contro la Costituzione, un “movimento” a conduzione personale che si batte per la sparizione dei partiti. Ed è singolare che questo movimento voglia neutralizzare le garanzie per i dissenzienti, che non sono sempre “venduti” o “voltagabbana”. Fatto sta che con i 18 punti stilati dal duo Grillo&Casaleggio viene confezionata per i neo-eletti una sorta di camicia di forza disciplinare.


 

 

Vexata quaestio


In raccordo con il socialismo europeo


L'Assemblea Socialisti Centro Italia a Pietrasanta.


di Patrizia Viviani


Organizzato dal coordinamento dei socialisti della Versilia si è svolto a Pietrasanta, il 16 marzo 2013, un convegno cui hanno partecipato socialisti del centro-sinistra – sia senza tessera sia militanti in formazioni – per discutere la “questione socialista” in Italia in un momento di grave crisi della politica democratica e delle istituzioni repubblicane.

    L’Italia abbisogna di una presenza socialista che, senza voler essere la resurrezione dello scomparso PSI, copra autorevolmente lo spazio politico, culturale, sociale e morale proprio dell’esperienza storica del socialismo italiano. Ciò è tanto più necessario se si considera l’urgenza di un’azione decisa di contrasto al capitalismo del liberismo globalizzato e per la salvaguardia reale della Costituzione che è, e deve rimanere, il manifesto ispiratore della democrazia italiana.

  Fuori da ogni vocazione elettoralistica e governista diviene prioritario rilanciare, con un’elaborazione collegata ai tempi presenti, l’idea del socialismo oggi, attorno a cui raccogliere tutte quelle forze che ritengono di doversi collegare e unire in un’identica intenzione, tale da profilare la soggettività della presenza del socialismo in Italia in raccordo con il movimento del socialismo europeo, nell’auspicio che il PSE divenga un vero e proprio partito transnazionale.

    I socialisti del Centro Italia  ritengono, quindi, opportuno che vengano promosse strutture di coordinamento politico territoriale con l’obbiettivo di costituire un coordinamento politico nazionale.

 

CIPRO: CRISI MOSCA-BERLINO

Navi da guerra davanti alle banche


1913-2013. La guerra finanziaria può diventare politica


“Chiunque creda che le questioni della pace e della guerra siano eternamente risolte in Europa potrebbe commettere un errore monumentale. I demoni non sono ancora stati cacciati; essi stanno semplicemente dormendo, come le guerre in Bosnia e Kosovo ci hanno mostrato. Sono sorpreso nel constatare come le circostanze dell’Europa del 2013 somiglino a quelle di cent’anni fa." Lo affermava solo una decina di giorni fa il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker al settimanale tedesco Der Spiegel (vai al sunto sul sito Spiegel in tedesco, testo in italiano dell’intervista sul sito di Critica Sociale).

    La crisi di Cipro, con l’invio di cinque fregate russe schierate ieri dalla marina militare di Mosca - “permanentemente” - di fronte alle coste dell’isola sembra dargli ragione: la crisi finanziaria europea è una crisi di natura geopolitica. “Il 1913 fu l’ anno prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale - esclama il settimanale tedesco -  Pensa davvero che possa verificarsi un conflitto armato in Europa?” Juncker: “No, ma noto ovvi parallelismi nella compiacenza della gente. Nel 1913 molte persone ritenevano che mai vi sarebbe stata un’altra guerra in Europa. Le grandi potenze del Continente erano così interconnesse economicamente da far ritenere impossibile un confronto militare, quanto meno per ragioni di mera convenienza reciproca. Soprattutto nell’Europa occidentale e settentrionale, v’era un completo senso di compiacenza, basato sull’assunto che la pace fosse assicurata per sempre”.

    Lo storico Dominic Sandbrook, nel commentare l’intervista di Juncker, sostiene che “per la terza volta in meno di cento anni la Germania sta cercando di prendere il controllo dell’Europa”. E’ ormai all’ordine del giorno non tanto un “problema Europa”, ma - come titola il laburista New Statesman - “un problema tedesco”. Non è il Quarto Reich, come si è titolato di là e di qua dell’Atlantico più volte nel corso dell’ultimo anno e mezzo, ma sicuramente la Germania si trova di fronte al bivio (“essere troppo forte o troppo debole”) creato dall’ “essere al centro di una Unione che è stata concepita per limitarne la potenza dopo l’unificazione, ma che invece ha contribuito ad accrescerla: gli errori di progettazione - prosegue il New Statesman - hanno involontariamente privato molti altri paesi europei della loro sovranità senza dar loro in cambio una leva democratica nel nuovo ordine”.

    Un bivio che già impegna la cancelliera tedesca in vista delle elezioni di settembre: fino ad oggi ha saputo tenere a bada le correnti autarchiche (e nazionaliste) alla sua destra. Ma da qualche mese, con la nascita del partito “Alternativa per la Germania” che punta all’uscita dall’euro per intascare in marchi i dividendi dell’egemonia commerciale e finanziaria acquisita (lasciando agli ex partners Ue i debiti dei prodotti finanziari tossici rifilati in passato alle  banche europee), per la Merkel il sentiero per la riconferma si fa più stretto.

    I possibili aiuti finanziari per Cipro sono diventati il banco di prova del governo Merkel, sostiene l' agenzia Nova da Berlino. Già adesso la sua coalizione "nero-gialla" (Cdu/Csu-Fdp) è in disaccordo sugli aiuti per il salvataggio di Cipro. Mentre il delegato Csu al comitato finanziario del Bundestag, Hans Michelbach, si dice a favore di aiuti finanziari in cambio di riforme radicali e vincoli molto severi, l'esperto finanziario dell'Fdp, Frank Schaeffler, ritiene che Nicosia possa salvarsi da sola: "I crediti per Cipro sono totalmente inutili poiché lo stato insulare potrebbe trovare i soldi dalle entrate del mercato del gas", ha dichiarato Schaeffler. "Per capire come  procedere, il governo cipriota potrebbe chiedere consigli al presidente della Bce, Mario Draghi, il quale ha fatto molta esperienza all'interno della banca d'investimento Goldman Sachs". L'adesione della Grecia all'Eurozona sarebbe infatti un "esempio molto significativo e sarebbe avvenuto in concomitanza del suo incarico in Goldman Sachs". Il presidente del Consiglio economico della Cdu, Kurt Lauk, si sarebbe espresso analogamente: "Tutti i possibili aiuti finanziari dovrebbero essere garantiti da future entrate provenienti dalla vendita del gas; dopotutto il valore di mercato degli enormi giacimenti ciprioti di petrolio e gas naturale è stato stimato per più di 600 miliardi di euro", ha dichiarato Lauk.

    Dopo la perdita del “proconsole” Sarkozy, una crisi con Putin lascerebbe la Germania scoperta anche ad est e nell’assoluto isolamento, in un clima anti-tedesco che sta crescendo in modo esponenziale nel Continente e che va assolutamente contrastato per non creare una nuova tragica spirale. Solo un approccio politico alla crisi finanziaria, quindi, può evitare che essa si avviti in crisi geopolitica (e in crisi democratica nella stessa Germania, come ha avvertito un anno fa Jurgen Habermas).

 

 

IPSE DIXIT

Il bel paese là dove 'l vaffa va - «Il problema è che nessuno ha idea, oggi, di quale direzione prenderà.» – Beppe Servergnini

Compatibilità - «La signora Merkel sostiene un'idea di democrazia "compatibile con il mercato", noi vogliamo un mercato "compatibile con la democrazia".» – SPD

 

giovedì 14 marzo 2013

Inca Zurigo, condanna civile confermata ora in appello

A colloquio con Marco Tommasini (CDF)


Alcuni anni fa, nel 2009, è emerso che il direttore del Patronato Inca di Zurigo aveva sottratto i fondi pensione ai suoi assistiti. La truffa sollevò grande scandalo perché gettava sul lastrico decine e decine di emigrati dopo un'intera vita di lavoro. Il maltolto ammonterebbe a diversi milioni di euro. L'istruttoria penale è tuttora in corso. Sul piano civile, però, il Patronato Inca è stato condannato a rifondere una decina di assistiti vittime della truffa. Ne abbiamo parlato con Marco Tommasini, presidente del CDF, il comitato che riunisce i lavoratori danneggiati. E che rivolge un appello alla leader della CGIL, Susanna Camusso, affinché gli assistiti Inca vengano risarciti.


Ingegnere Tommasini, quali sono gli aspetti più rilevanti di questa nuova sentenza?

    Marco Tommasini Il giudizio della corte cantonale d’appello di Zurigo del 26.2.2013 (Zivilkammer, n° LB120098-O/U) conferma la precedente sentenza del Tribunale distrettuale secondo cui l’INCA/CGIL deve risarcire il capitale pensionistico, i costi legali, i costi procedurali e i danni morali di chi si era a suo tempo affidato alle mani di quel patronato. Siamo stati pienamente riabilitati dalla situazione tremenda in cui ci avevano precipitato le accuse di speculazione e cupidigia da parte di chi credeva di farla franca. Ma questa sentenza è anche la prova che con la perseveranza e il coraggio si può fare prevalere la giusta causa. Speriamo che le nostre vicissitudini servano da esempio ad altri: vale sempre la pena difendere i diritti, quelli propri e quelli degli altri. Considero un privilegio vivere in un paese come la Svizzera dove i diritti stanno al di sopra delle parti. Abbiamo un sacro dovere: fare in modo che rimangano al di sopra delle parti.

    Pensate che ora l'Inca farà ricorso presso la Corte federale?

    Tommasini - Tutto sembra preannunciarlo. Ma speriamo che il buonsenso possa prevalere. Noi abbiamo un unico obiettivo: che tutti i danneggiati possano riottenere i loro risparmi, i risparmi di una vita fatta di sacrifici e privazioni, perché questa è stata per loro l’emigrazione. Se l’INCA dovesse comunque rivolgersi al tribunale federale, si sappia che siamo decisi a non mollare.

    Quanti membri del CDF hanno ricevuto la restituzione dei soldi sottratti?

    Tommasini - Abbiamo intrapreso due azioni legali in parallelo, l'una contro l’INCA/CGIL di cui c’è ora questa sentenza della corte d’appello. e l'altra contro le Casse pensione di "secondo pilastro". Contro le Casse pensione abbiamo vinto una causa davanti al Tribunale federale e su altre due siamo giunti a un accordo. L’istituto previdenziale con il quale è avvenuta la transazione ha posto una clausola a tutela della propria immagine, clausola che ci vieta di rendere pubblico il nome dell’istituto. E noi abbiamo accettato. I pensionati danneggiati avevano sofferto già abbastanza e non se la sentivano di difendere una posizione intransigente.

    È in corso, o alle viste, una trattativa con l'Inca per la composizione del contenzioso?

    Tommasini - Tre mesi fa avevamo contattato l’avvocato dell’INCA per chiedere di darci un supporto finanziario nella causa contro le banche e le casse pensione. Sarebbe anche nel loro interesse, dato che ogni nostra vittoria contro questi istituti è una causa in meno per il Patronato della Cgil. Stiamo ancora aspettando una risposta. Intanto l’INCA non ha esitato a sborsare CHF 100'000 nel ricorso di seconda istanza. Noi siamo aperti a ogni soluzione che ponga fine il più presto possibile a questa Odissea. Come detto, il nostro unico obiettivo è che si recuperi il maltolto. Siamo aperti a trattative. Abbiamo più volte proposto questo cammino all’INCA, purtroppo senza riscontrare la stessa predisposizione nella controparte. Forse con un po’ più di sollecitazione si potrebbe anche smuovere qualcosa. Ed è proprio in questo senso che ci permettiamo di chiedervi di divulgare il nostro appello a Bersani nonché ai vertici dell’INCA e della CGIL. Sarebbe un modo pacifico per smuovere la coscienza di chi ci guida.

    E che c'azzecca il povero Bersani?!  

    Tommasini – Il nome di Bersani è stato aggiunto perché non è un mistero che il gruppo dirigente della Cgil per la quasi totalità sia schierato con il Pd.

    Per favore, ingegnere, non buttiamo tutto in politica. Ci dica l'appello "pacifico". A proposito: avete pensato anche a modi, come dire, "non pacifici" di smuovere le coscienze?

    Tommasini – No, non abbiamo mai pensato a modi "non pacifici" per smuovere la coscienza della Cgil. Io vorrei rivolgermi qui alla segretaria generale della CGIL, Susanna Camusso, e a Morena Piccinini, segretaria confederale INCA/CGIL, per porre loro questa drammatica domanda: Perché l' INCA/CGIL abbandona i propri assistiti a Zurigo? Fate seguito alle vostre parole e alle vostre promesse! Noi chiediamo solo che si restituisca il maltolto!

    Grazie, ingegnere. Ci associamo al vostro appello e ci auguriamo che venga ascoltato coscienziosamente.

 

(Newsletter dell'ADL, 13.3.13)

 

Presentato "In-flessibili", guida alla contrattazione

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it



È uscito In-Flessibili "Guida pratica della Cgil per la contrattazione collettiva e inclusiva e per la tutela individuale del lavoro", edito da Ediesse – Audio della conferenza di presentazione su Radio Radicale


Un esercito di persone, costituito da oltre quattro milioni di lavoratori precari e atipici, a cui va aggiunto un milione di professionisti, lavora in Italia in assenza totale di tutele. Una mole tale che impone al sindacato “di contrapporsi a un tale spreco di energie e di mortificazione di talenti”. Per farlo “deve fermarsi ed ascoltare chi vive in questa odiosa condizione, a partire dalla realtà giovanili e professionali più organizzate, condividere con loro l'analisi sociale e elaborare insieme percorsi concreti di cambiamento e emancipazione”.

    E' tutto nella prefazione scritta dai segretari confederali della Cgil, Elena Lattuada e Fabrizio Solari, il significato del libro “In-Flessibili. Guida pratica della Cgil per la contrattazione collettiva e inclusiva e per la tutela individuale del lavoro”, edito da Ediesse, presentato oggi a Roma da Aldo Bonomi (sociologo e direttore Aaster), Franco Martini (segretario generale Filcams Cgil), Elena Lattuada (segretaria confederale Cgil), Franco Liso (prof. Di Diritto del Lavoro alla Sapienza Università di Roma)! Gaetano Stella (presidente di Confprofessioni).

    La definizione di un modello contrattuale che sia "inclusivo" è infatti al centro della riflessione della Cgil e parte da una affermazione del segretario generale, Susanna Camusso, riportata nella quarta di copertina: “Riconosco che abbiamo sbagliato - si legge - a non usare la forza collettiva dei più garantiti per difendere anche le persone senza contratto o con un contratto atipico. Bisogna continuare a domandarsi dove si è infranta la solidarietà tra i lavoratori stabili e non stabili, e quando ci si è rassegnati all’idea che i contratti non fossero più il luogo dove definire norme per il mercato del lavoro”.

    Parole che, ha ricordato Lattuada nel corso della presentazione, "hanno aperto da tempo una discussione all'interno della Cgil, per porre al centro l’inclusione e l’allargamento delle tutele, e che hanno già determinato primi risultati". Il riferimento della dirigente sindacale è relativo all'accordo sottoscritto tra Unirec (Unione nazionale impresa a tutela del credito) e sindacati, che guarda a circa 200 aziende e oltre 16 mila addetti, e che "ha chiarito meglio la differenza fra lavoro autonomo e dipendente, impedendo gli abusi e consentendo di utilizzare correttamente le collaborazioni".

    La Cgil ribadisce così la "centralità della contrattazione: affidare cioè a quest'ultima, anziché alla legge, la sperimentazione della regolazione di forme di lavoro", ha affermato Lattuada sottolineando la volontà del sindacato di svolgere “una forte azione contrattuale inclusiva per tutti i lavoratori, a prescindere dalle modalità di lavoro utilizzate”. Ed è su questo versante che la Guida viene in soccorso, mettendo in luce le varie fasi della contrattazione, i possibili abusi, i punti di forza su cui innestare la contrattazione per professionisti ed atipici, ma anche i punti critici ai quali fare attenzione.

    Un vero e proprio testo di orientamento quindi che fornisce anche un’ampia informazione sulle forme contrattuali atipiche e sui cambiamenti intervenuti con la recente riforma del mercato del lavoro, come anche sugli aspetti previdenziali e fiscali utili da conoscere. Nel volume infine si trovano modelli e suggerimenti su come gestire la contrattazione collettiva inclusiva sul lavoro atipico e professionale, ed esempi su come redigere gli accordi collettivi e individuali che riguardano lavoratori con partita Iva o con contratto a progetto.

 

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

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L'Internazionale va rilanciata, ma. . .


Un'ottica soltanto europea non basta a una sinistra che voglia essere soggetto attivo a livello planetario, come planetarie sono le sfide dello sviluppo economico, dei diritti dei popoli e della democrazia. L'Internazionale Socialista va rilanciata, ma senza pensare a un centro organizzatore della rivoluzione socialdemocratica nel mondo.


di Felice Besostri


L'art. 1 dello Statuto dice che "L'Internazionale Socialista è un'associazione di partiti e organizzazioni politiche che cerca di stabilire il socialismo democratico", e precisa all'art. 2 che lo scopo di questa associazione è "rafforzare la collaborazione tra i partiti affiliati e di coordinare il loro atteggiamenti e attività con il consenso".

    Non esistono deliberazioni vincolanti. Se anche fossero previste, non ci sarebbero strumenti coercitivi per farle rispettare: questa è la grande differenza con le esperienze dell'Internazionale Comunista (Komintern) o del Information Bureau of the Communist and Workers' Parties (Kominform), due denominazioni, anodine per questioni d'immagine, dietro le quali si nascondeva il ferreo controllo del PCUS.
    Nelle critiche all'Internazionale Socialista si coglie un modello di Internazionale, che non è quello socialista democratico. La sanzione massima, l'espulsione, è difficilissima in quanto è di competenza del Congresso e a maggioranza qualificata dei 2/3 (art. 5.1, 3 Statuto).

    L'Internazionale Socialista non può essere altro da quello che i partiti, specialmente i maggiori, vogliono che sia. Basta guardare il bilancio del 2010, l'ultimo pubblicato, per capire che non è una priorità per i partiti socialisti. Il totale delle entrate ammonta a Sterline 1.180.127 , aumentato a Sterline 1.380.000 nel 2011, cioè € 1.595.000: nello stesso anno il bilancio del PSE prevede entrate per € 5.187.221, più di 3 volte tanto. Lo staff assorbe un quinto del bilancio e non superava al momento del suo splendore, cioè con la segreteria generale dell'amico Berndt Carlsson (morto nell'attentato libico di Lockerbie all'aereo della Pan Am il 21 dicembre 1988) la decina di persone, fattorini compresi.

    La forza dell'IS è sempre stata quella del prestigio dei suoi leader, oltre che il nominato Brandt, Olof Pame, Felipe Gonzales, Lionel Jospin, Bruno Kreisky e anche Bettino Craxi, che facilitò l'ingresso del PDS o i dirigenti del Partito laburista Israeliano, quando erano la forza egemone in quel paese: un epoca finita, non solo simbolicamente, con l'assassinio di Itzak Rabin.

    L'IS, il cui attuale presidente Papandreu è stato, nei fatti, abbandonato dai grandi partiti socialisti, che non erano al governo in nessuno dei paesi guida, merita invece un rilancio almeno per due ragioni. La prima è la attualità e validità della sua Dichiarazione dei Principi approvata dal 18° Congresso di Stoccolma del 1989, frutto di una Commissione presieduta, se ben ricordo, da Felipe Gonzales. Un documento che contiene le linee per un diverso ordinamento mondiale in buona parte coincidente con quelle dei Forum Social Mundial, iniziati a Porto Alegre nel 2001. La seconda è che tra i suoi membri effettivi c'è un piccolo partito, l'Alleanza Social Democratica di Islanda, nato da un'unificazione tra socialdemocratici e comunisti, al governo insieme con un Partito di sinistra alternativa, grazie a elezioni vinte superando la maggioranza assoluta, senza aiuto di abnormi e porcellosi premi di maggioranza e che nella crisi finanziaria ha preferito, sotto la pressione di due referendum popolari, far fallire le banche piuttosto che strozzare i propri cittadini.

    Speriamo che una rinnovata attenzione per l'Internazionale Socialista spingerà qualche editore a pubblicare in Italiano la monumentale Geschichte der Internationale (Storia dell'Internazionale) del socialista austriaco Julius Braunthal. La mancata pubblicazione spiega, tra molti altri fattori, la superficialità, in generale, o comunque la sottovalutazione, con le quali si affronta il tema della dimensione internazionale della sinistra. Persino il PSI fu lasciato fuori dall'IS, che riconosceva soltanto il PSDI, che peraltro aveva tra i suoi ranghi l'ultima leggendaria esponente attiva di una generazione di rivoluzionari Angelica Balabanoff.

    Se si fosse dedicato lo stesso tempo ed energie a riflettere sulla crisi ed inadeguatezza degli strumenti di cooperazione oltre le frontiere, di quello dedicato al sub-comandante Marcos, saremmo in una situazione migliore: se esiste un complotto mondiale della grande finanza e delle multinazionali, dovrebbe essere logico costruire strumenti di iniziativa politica allo stesso livello.

    Pur con i suoi limiti, almeno il campo sovietico, garantiva l'esistenza di un polo alternativo. Ora la diminuzione di controlli sui movimenti di capitale e l'incompiuta costruzione, a livello continentale, di organizzazioni di cooperazione economica e politica in grado di progettare scelte di sviluppo alternative a quelle dettate dal solo profitto a breve termine, rende necessaria l'esistenza di un'organizzazione come l'Internazionale Socialista, in grado di estendere la cooperazione oltre i partiti variamente affiliati, come previsto dall'art. 2 comma 2 dello Statuto: "L'Internazionale Socialista cercherà anche di estendere le relazioni tra l'IS e altri partiti orientati in senso socialista, non affiliati, che desiderano cooperare". Pare un progetto da sviluppare più interessante della riesumazione dell'Ulivo Mondiale o di un generico democraticismo progressista. (2/2 - fine)

 

martedì 12 marzo 2013

NAPOLITANO BERLINGUER (E SCALFARI !)

Da Critica Sociale riceviamo

e volentieri rilanciamo



Il nuovo libro di Paolo Franchi – "Giorgio Napolitano. La traversata da Botteghe Oscure al Quirinale" – ripercorre la lunga marcia riformista per far fuoriuscire il vecchio Pci dalla glaciazione moscovita e riunificare la sinistra italiana sotto l'egida del Socialismo Europeo. In questo campo di forze si confrontarono le opposte strategie del leader "migliorista"  Giorgio Napolitano e del segretario comunista Enrico Berlinguer. Quando l'antisocialismo berlingueriano pese ogni evidenza politico, Eugenio Scalfari e il suo gruppo editoriale assunsero la guida di fatto del Pci sviluppando una forte azione divisiva che può essere annoverata tra i fattori di maggior peso nell'incubazione della crisi italiana.


di Ugo Finetti


“La regia scalfariana delle vicende politiche della sinistra non aiuta certo la ricerca di convergenze”: così un fedelissimo di Enrico Berlinguer come Luciano Barca commenta la pubblicazione dell’intervista del segretario del PCI su “Repubblica” del 2 agosto 1978. In effetti Eugenio Scalfari svolse un’influenza non secondaria sull’”ultimo Berlinguer”.

    In una lettera del 1996 - proprio a Luciano Barca - il fondatore di “Repubblica” ricorda con una certa commozione: “L’incontro con lui (con Berlinguer, ndr) è stato uno dei più fecondi che io abbia avuto, e quando dico con lui dico con tutto un gruppo che con lui ha operato per la trasformazione senza perdere di vista la radice ma puntando su nuovi fiori e nuovi frutti”. E aggiunge: “Ho cercato dal canto mio di contribuire da fuori a questa operazione, forse tra le più importanti alle quali – a mio modo – abbia partecipato”.

    “Questa operazione” di “trasformazione” è soprattutto la politica condotta da Berlinguer dal momento in cui abbandonando la maggioranza di “solidarietà nazionale” ripropone la “diversità” comunista, non più in nome del leninismo (centralismo democratico e internazionalismo proletario) ma della “questione morale”. E’ appunto il periodo in cui cresce il contrasto tra Napolitano e Berlinguer.

    Quando nel gennaio 1984 Giorgio Napolitano si trovò nuovamente in contrasto con Enrico Berlinguer, Giorgio Ruffolo scrisse su “Repubblica” un articolo intitolato “Il caso Napolitano”. Di che si trattava? Giorgio Napolitano era già entrato in polemica con Berlinguer nell’estate 1981 dopo l’intervista del segretario del PCI del 28 luglio sulla “questione morale” ed era stato “processato” nella Direzione del 10 settembre e quindi estromesso dalla segreteria nazionale e destinato a dirigere il gruppo parlamentare a Montecitorio. Come capogruppo comunista alla Camera, tra la fine del 1983 e l’inizio del 1984, Giorgio Napolitano aveva nuovamente suscitato il dissenso del segretario del PCI in relazione al modo di contrastare alla Camera l’azione del governo guidato dal segretario del PSI.

    Napolitano anziché boicottare il dibattito sulla finanziaria e provocare l’esercizio provvisorio aveva – con l’appoggio (ed anche la pressione) di Nilde Jotti presidente comunista della Camera – concordato il calendario dei lavori ottenendo in cambio maggiori risorse per gli enti locali e un incremento del fondo investimenti. Berlinguer lo avrebbe definito un “increscioso episodio”. Contro Napolitano erano allora insorti Renato Zangheri e Alfredo Reichlin della segreteria nazionale. Napolitano reagì spiegando le sue ragioni in un articolo sull’”Unità” del 4 gennaio intitolato “Il ruolo dei comunisti oggi in Parlamento”. In esso Napolitano aveva polemicamente giustificato un “confronto non settario … che può portare risultati positivi”.

    “La Repubblica”, titolò in prima pagina: “Napolitano attacca la linea Berlinguer”. Giorgio Napolitano dovette quindi scrivere immediatamente, il 6 gennaio, un secondo articolo (“Ancora sulla nostra opposizione”) per respingere “il pettegolezzo”. Ufficialmente la Direzione del PCI negò contrasti. Sull’Unità però in quei giorni compaiono non solo lettere a favore e contro il presidente dei deputati, ma persino una vignetta di Staino che ritrae “Molotov” che attende minaccioso l’arrivo di Napolitano alla Festa invernale dell’Unità. Secondo Alberto Jacoviello  (“Napolitano, il laico”, La Repubblica 12 gennaio 1984) il malumore del segretario del PCI si riversava non solo su Napolitano, ma anche sul comportamento di Nilde Jotti e del leader della CGIL Luciano Lama.

    Giorgio Ruffolo era quindi intervenuto il 18 gennaio come esponente della sinistra socialista a sostegno della posizione assunta dal capogruppo comunista alla Camera. Entrando più nel merito, Ruffolo vedeva nella politica di attacco frontale alla presidenza socialista la riduzione dell’alternativa da parte di Berlinguer ad una dimensione sostanzialmente “escatologica” e solo futuribile, mentre con Napolitano, nella linea di “un’opposizione che – scriveva Ruffolo - voglia diventare domani governo con i socialisti”, vi era la ricerca di un’alternativa “politica”. Vi era tra Napolitano e Berlinguer una sostanziale divergenza.

    La tensione del gennaio 1984 infatti crebbe nelle settimane successive in relazione al dibattito parlamentare sul decreto sulla scala mobile fino a cristallizzarsi, subito dopo l’approvazione definitiva del decreto, tanto che il capogruppo comunista alla Camera il 22 maggio invia una lettera (scritta a mano “per evitare qualsiasi indiscrezione”) a tutti i membri della segreteria nazionale come promemoria per una futura discussione, dopo che Berlinguer aveva annunciato il proposito di voler giungere a un definitivo chiarimento interno dopo le elezioni europee. Nella lettera Napolitano dichiarava la propria disponibilità a dimettersi da capogruppo e di essere pronto ad abbandonare l’impegno “in prima fila”. “Berlinguer – ha detto Natta rievocando nel 1992 quel dissidio – aveva l’impressione, l’opinione di essere stato non aiutato, di essere un po’ tradito”. E nel malcontento di Berlinguer per un insufficiente sostegno nello scontro con Craxi, secondo Alessandro Natta (all’epoca " presidente della Commissione centrale di controllo" della segreteria nazionale del PCI), c’era anche la Jotti “perché Berlinguer avrebbe voluto che la Presidente della Camera fosse d’accordo con noi”.

    Il contrasto tra l’arroccamento di Berlinguer e la tessitura di rapporti di Napolitano rispecchia una dialettica di “lungo corso” in seno al PCI.

    In Berlinguer, cresciuto all’ombra di Togliatti all’interno delle Botteghe Oscure, vi è il primato della tradizione  “centrista”: “Non so – volle puntualizzare Berlinguer nel Comitato Centrale del novembre 1979 in polemica con la “destra” di Giorgio Amendola - che cosa sarebbe avvenuto, da trentacinque anni a questa parte, se il nostro partito non avesse avuto sempre a dirigerlo un ‘centro’. Essere il ‘centro’ – affermava Berlinguer - non significa essere equidistanti, … significa, di volta in volta, combattere contro quegli scarti, quelle incoerenze rispetto alla linea del partito, che si manifestano, e che si rivelano, ora in un senso ora in un altro più pericolose: non dimenticando che la tendenza più pericolosa è quasi sempre quella contro cui si cessa di lottare”. Sono parole che molto chiaramente dipingono come Berlinguer dirigesse il PCI e cioè secondo una logica di stato di lotta permanente contro “tendenze pericolose”.

    Diversa era la militanza di Giorgio Napolitano, cresciuto sulla scia di Giorgio Amendola, nella realtà campana come segretario di federazione, consigliere comunale e parlamentare (sin dal ’53) secondo due direttrici: rapporti unitari con gli altri partiti e analisi della situazione economica. Con tutti i suoi limiti, contraddizioni ed errori la storia “di destra” nel PCI di Napolitano non può non suscitare rispetto e simpatia per due ragioni: il livello culturale e l’indiscutibile coerenza politica.

    Si deve a Paolo Franchi una seria ricostruzione di questo itinerario che intreccia la storia del Partito comunista con quella della vita nazionale, dall’immediato dopoguerra a oggi, con il suo “Giorgio Napolitano. La traversata da Botteghe Oscure al Quirinale” (Rizzoli, 425 pagine, 18 euro)”. Paolo Franchi gran parte di queste vicende le aveva seguite, soprattutto negli anni dell’”ultimo Berlinguer” e poi dell’”ultimo PCI” per il “Corriere della Sera”, scrutando e rendendo intellegibile la dialettica interna delle Botteghe Oscure. Oggi la sua ricostruzione consente di seguire la coerenza di un impegno politico rivolto a vincere le posizioni antioccidentali e antieuropeiste presenti nel PCI e, più in generale, nell’ambito della sinistra italiana. Un’azione che Paolo Franchi mette in rilievo nel quadro, da un lato, di una capacità di confronto con le altre forze politiche e, dall’altro, di una crescita comunista nelle relazioni istituzionali. Vediamo quindi come il ruolo di Napolitano nel PCI si è esercitato in particolare nella definizione della politica economica e di quella internazionale.

    A Napolitano si rimprovera però mancanza di coraggio, di non aver dato battaglia aperta. In verità di scontri aperti – in particolare con Berlinguer all’apice della sua popolarità e padronanza del partito – non ne sono mancati pagando il prezzo anche di “processi” e retrocessioni.

    La questione di fondo – modo e spazio politico per le posizioni “di destra” sotto Berlinguer - non è quella personale circa l’aver avuto sufficiente “coraggio” oppure no, ma riguarda le ragioni per cui le posizioni “riformiste-miglioriste” nel PCI non sono state “popolari”.

    Il traguardo di dichiarare il PCI “parte integrante della sinistra europea” fu raggiunto (solo) nel Congresso di Firenze del 1986 grazie ad una azione di vertice. Perché proclamarsi “parte integrante della sinistra europea” non fu raggiunto “a furore di popolo”? L’intervento che in quell’assise riscosse la più grande ovazione fu quello di Pietro Ingrao quando scandì il rifiuto della “de-berlinguerizzazione”. La “sinistra europea” nell’interpretazione di Ingrao erano “i movimenti” (pacifisti, ecologisti e femministi, ecc,) e non i partiti dell’Internazionale socialista. Così come sempre in quel periodo della segreteria Natta – tra Berlinguer e Occhetto – Giorgio Napolitano riuscì ad introdurre nella Direzione del PCI – per la prima volta – il tema del debito pubblico. Non senza registrare crisi di rigetto.

    Il “caso” Napolitano è il “caso” Italia nel senso che è da chiedersi come mai nel popolo di tradizione comunista e poi di identità postcomunista (la maggioranza della sinistra italiana) l’alternativa “escatologica” ha scaldato gli animi e ha trascinato consensi mentre l’alternativa “politica” è risultata sostanzialmente minoritaria ed “impopolare”.

    Infatti la storia dei congressi del PCI dal XV del 1979 con Berlinguer fino all’ultimo, il XX, del 1991 con Occhetto è quella di una sistematica contestazione e ridimensionamento delle posizioni “di destra” e del timore di perdere il consenso di quelle “di sinistra”.

    Prima di parlare di “regime” e di “manipolazione” nell’elettorato italiano si dovrebbe guardare con occhio più critico alla “mancanza di coraggio” che vi è stata nella sinistra italiana nei confronti di posizioni irrealistiche ed estremiste. Non è una questione di casi personali. Nella storia del comunismo e del postcomunismo bisogna anche tener presente la “mancanza di coraggio” (come lamentava Giorgio Amendola) non solo della “classe politica”, ma anche della cosiddetta “società civile” di sinistra.

 

La situazione politica - Vacanze marziane

Chissà quale impressione avrebbe il famoso marziano che la penna ingegnosa di Ennio Flaiano aveva fatto sbarcare a Roma, se arrivasse veramente nella capitale in questi giorni. Non solo per la sede vacante del Vaticano, ma per la vacanza, ben più grave, della Repubblica.

di Paolo Bagnoli


La Repubblica italiana! Dopo il voto, non si capisce a quale ragione di fondo si ispiri, al di là delle formule e dichiarazioni di rito. Già quale ragione? La ragione politica, con il disastroso governo Monti è stata, almeno momentaneamente, messa in larga parentesi. Quanto a quella normale, che dà, o dovrebbe dare, senso alle cose non riusciamo a riscontrarla.

    I dati sono quelli che sono: Bersani è il “vincitore-perdente” delle elezioni che sono state trionfate da Grillo. E quasi vinte, sul piano politico, da Berlusconi il quale, piaccia o non piaccia – e i motivi per non piacere sono, naturalmente, prevalenti – non si può dire che sul piano elettorale abbia perso del tutto il confronto. Il giaguaro non è stato smacchiato e, se ci fosse stata ancora una settimana di campagna elettorale, forse avrebbe anche potuto prevalere. Meno male che almeno questo pericolo è stato scongiurato.

    Come la situazione possa evolversi nessuno lo sa, ma molti elementi chiari sono sul tavolo. Quello che colpisce di più è lo smarrimento dell’intera classe politica di fronte a Grillo. A vedere dalle cronache sembra aleggiare quasi un senso di paura. Nessuno ha il coraggio di dire che un leader che si veste da uomo ragno è semplicemente ridicolo? Comunque sia, il leader di un movimento che ha preso così tanti voti e conquistato tanti seggi parlamentari ha il dovere di relazionarsi con l’opinione pubblica in modo serio. In fondo Grillo è l’espressione di quell’endemico futurismo intellettuale così italicamente radicato. Non sarà certo la bonomia di Bersani – la richiesta di mettersi intorno a un tavolo ammonendo che se si va a casa anche loro vanno a casa – a ridare senso alle cose. Loro, pur di mandare a casa gli altri, sembrano ben disposti a tornarci convinti come sono che tanto poi ritorneranno nel Palazzo più forti di prima.

    Beppe Grillo è un uomo intelligente e, come quasi tutti i capipopolo da piazza, non ha nulla di politico. Ha giocato e continua a giocare sull’antropologia; punta a dimostrare di essere, lui e i suoi – anche se tra i suoi qualche non pieno convincimento sulla rigidità del capo si coglie – sarebbero fatti di una pasta completamente diversa da quella di cui sono tutti gli altri. Certo questi ultimi, va detto, non sono di una buona pasta altrimenti il Paese non si sarebbe ridotto in queste condizioni. Crediamo che la chiave vera del successo grillino risieda in ciò. Il comportamento da uomo in fuga, e camuffato, produce, al momento, una risonanza assai grande a Grillo e suscita ulteriore curiosità e notorietà. Più lui scappa via, più gli corrono dietro.

    Intendiamoci, anche Mario Monti non ha mai smesso di segnalare la propria diversa antropologia rispetto al resto della politica (grazie alla quale ha governato, e assai male, per ben quattordici mesi). In politica marcare la diversità è normale; i comunisti avevano fatto della loro addirittura un fattore storico di assoluta supremazia morale. Ma ogni forza politica ha sempre teso a marcare il proprio "diverso modo di essere" e ciò che non permetteva a tale diversità di proclamarsi antropologica era il comune “spirito repubblicano” che, forse ci sbagliamo, sembra essersi perduto. Anche la Repubblica, come il Vaticano, appare una sede vacante. Di cosa? Di politica. Di quella vera, naturalmente.

 

Parliamo di socialismo - Le “convergenze parallele”

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/



Se si fosse votato l'anno scorso, dopo la caduta (irreversibile) di Berlusconi, oggi non saremmo in questo frangente. E adesso come se ne esce? Con le "convergenze parallele" per l'appunto.


di Giuseppe Tamburrano


Invece si è "inventato" Monti. Così adesso, oltre a trovarci in una gravissima recessione economica e in un profondo disagio sociale, grazie alla "sagacia tecnica" del fresco senatore a vita, siamo in una congiuntura politica ben peggiore di allora.

    La legge elettorale è sempre la stessa, il Movimento cinque stelle è cresciuto in modo esponenziale, la governabilità un rebus apparentemente insolubile.

    Ma cosa fatta capo ha.

    Come se ne esce?

    Ogni strada sembra impercorribile. Napolitano non può sciogliere le Camere per rinnovare le elezioni (avremmo un risultato migliore?). Il PD ha la maggioranza alla Camera (ottenuta con meno del 26% mentre la coalizione non arriva al 30%), ma non al Senato, nemmeno con il voto di Monti. Il Movimento cinque stelle ha potere di veto e rifiuta di dare la fiducia a chicchessia. E la situazione sociale ed economica si è aggravata.

    Ma davvero la situazione politica è bloccata e Grillo ha potere di veto? Non è detto. Vi è una formula parlamentare escogitata in passato dalla fervida mente di Aldo Moro, il quale per altro negò di esserne l'autore.

    Siamo agli inizi degli anni '60 dopo la sanguinosa avventura del governo Tambroni. La DC non è pronta a un governo con i Socialisti. Ma le formule centriste sono ormai esaurite e il coinvolgimento degli ex fascisti appare impraticabile, come ha appunto dimostrato la fine dell'esperienza Tambroni dopo i fatti di Genova.

    È giocoforza coinvolgere il PSI, ma senza… dirlo. E fu così che si inventò la formula (in sé contraddittoria) delle "convergenze parallele" per cui i socialisti "convergevano" nell'assicurare il sostegno al governo Fanfani, ma restavano "paralleli" alla DC. Come si sa, due rette parallele convergono, cioè si toccano. . . all'infinito.

    La situazione politica usciva dall'impasse ed evolveva lentamente verso la svolta di centro-sinistra. Grazie alle "convergenze parallele".

    Forse quella formula può far uscire oggi la situazione politica dal vicolo cieco. Un governo diretto dal PD ottiene al Senato quando ve ne sia la necessità il voto del PDL o di parte di esso senza che si stringano patti di collaborazione ma "caso per caso" (secondo la formula parlamentare).

    A dirigere questo governo D'Alema, che ha già adombrato la formula, oppure Renzi che è il meno sgradito al PDL.

    E' un "inciucio"?

    E' il "governissimo"?

    Io non mi impiccherei alle formule. Osservo che vi sono precedenti nella nostra storia parlamentare. E osservo anche che Berlusconi privo di qualsiasi titolo e dovendo trascorrere molto del suo tempo nelle aule di giustizia non sarà di nocumento a questa "convergenza parallela".

    E per concludere: forse che il governo Monti non è vissuto con questo appoggio bilaterale, con i voti paralleli dei due fieri nemici?

 

lunedì 4 marzo 2013

Le idee - PER UN RILANCIO DELL’INTERNAZIONALE SOCIALISTA

di Felice Besostri

Un fantasma si aggira per il mondo, ma non in Europa, terreno di caccia riservato al PSE: l'Internazionale Socialista. Se non viviamo nel miglior mondo possibile sappiamo a chi poterlo imputare. Sia chiaro che, se si guarda alla contraddizione tra gli strumenti necessari per tentare di stabilire una società più giusta e i mezzi a disposizione, non si può essere soddisfatti e ciò a prescindere dal fatto se, oltre che la volontà - o la pia intenzione - di cambiare le cose, abbiamo un corpo teorico all'altezza del compito. Il fatto che altre formazioni nazionali o internazionali, per esempio la Sinistra Unita Europea, non ce l'abbiano non è né una consolazione, né una giustificazione.

    Le critiche alle insufficienze dell'Internazionale Socialista hanno un fondamento, ma sono al contempo ingenerose e frutto di un modello di internazionalismo che non è, e non può essere, quello di partiti socialisti. Se, infatti, dobbiamo non essere soddisfatti dell'Internazionale Socialista, non dobbiamo mai dimenticare i guasti delle varie incarnazioni dell'internazionalismo comunista, soprattutto perché erano schermo della politica di potenza dell'U.R.S.S., ai cui interessi erano subordinate le tattiche e le strategie dei partiti comunisti affiliati. Lo si è visto nel caso di rotture interne al movimento comunista, quando le differenze non venivano regolate da un dibattito politico condotto sulle riviste ideologiche, ma affidate alla repressione cruenta. Quando ci fu la rottura con la Jugoslavia di Tito, in quel paese i kominternisti venivano internati in lager sulla brulla Isola Calva (Goli Otok) in Dalmazia, mentre nell'Europa orientale i titoisti, anzi i trozkisti titini, erano tra le vittime privilegiate dei processi staliniani, insieme con gli ex combattenti della guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali e i comunisti con ascendenza ebraica. La rottura tra la Cina Popolare e l'U.R.S.S. ha comportato rotture tra i partiti delle due linee con pesanti conseguenze nelle aree di frizione, come in Asia e in America Latina. Nell'Internazionale Socialista, come si è ricostituita nel Secondo Dopoguerra del XX° Secolo (Francoforte s. M. 1951), ci sono partiti che hanno svolto un ruolo di guida, la SPD e i partiti laburisti e socialdemocratici scandinavi: un ruolo che si rafforzava quando erano alla guida del loro paese e i propri esponenti alla guida dell'Internazionale Socialista.

    Un nome basta per tutti: Willy Brandt, leader della SPD, Cancelliere tedesco e Presidente dell'IS, anche se non contemporaneamente. La Ostpolitik fu condotta anche grazie all'IS, a quel tempo il PSE era un mero Ufficio di Collegamento tra partiti socialisti nella CEE, come anche su di essa si riverberò il prestigio della Commissione Nord Sud (Commission for International Developmental Issues) presieduta dal Willy Brandt e attiva nell'ambito del sistema ONU. In seguito alle Primavere arabe, sulle quali sta cadendo l'inverno del fondamentalismo islamico, prima che si schiudessero le gemme della democrazia e sbocciassero i fiori della libertà, fu rimproverata la presenza tra gli associati del Partito dell'egiziano Mubarak o quello tunisino di Ben Alì, dimenticando il ruolo essenziale dei laburisti norvegesi negli accordi di Oslo del 1993: un passo decisivo, purtroppo rimasto incompiuto, verso la pace e la convivenza tra israeliani e palestinesi. L'IS è stata per anni l'unica organizzazione che accogliesse tra i suoi membri Al Fatah e partiti socialisti sionisti israeliani, ora come membro effettivo il solo Meretz e lo storico partito laburista di Rabin, declassato ad osservatore. Nella lotta contro l'apartheid, l'Internazionale Socialista è stata una protagonista, così come per l'indipendenza delle colonie portoghesi, non per nulla sono membri effettivi l'ANC del Sud Africa, lo SWAPO della Namibia, lo MPLA angolano, il FRELIMO del Mozambico e i movimenti di liberazione della Guinea e Capo Verde. Movimenti un tempo icone della sinistra antagonista nostrana, come il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale sono da tempo membri effettivi dell'Internazionale Socialista, insieme con il più moderato Partito di Liberazione Nazionale di Costarica, l'unico paese che ha abolito le forze armate e che da tempo immemorabile non ha conosciuto golpe y caudillos militari e con un sistema di sicurezza sociale di modello scandinavo. Ha perso colpi con la perdita di potere di Accion Democratica, la cui corruzione non può far dimenticare i meriti del suo leader storico Carlos Andrés Perez, ostacolo ad ogni avventura anti-cubana  o che l'altro membro effettivo venezuelano è il MAS di Teodoro Petkof, l'ideologo di formazione marxista, cui ci si ispirava per una comprensione dei fenomeni politico sociali latino-americani, che non fossero infatuazione romantica del guerrilismo e dell'icona di Che Guevara con il basco nero in testa.

    L'appoggio ad Allende e la solidarietà dopo l'11 di settembre è un altro dei meriti dell'Internazionale Socialista e di molti dei suoi partiti membri, compreso il PSI. La sinistra cilena di ispirazione socialista si è divisa, ma anche qui non è senza significato che tutti e tre i tronconi dal Partito per la Democrazia, l'antesignano del PD italiano, il Partito Socialista del Cile e il Partito Radical Socialdemocratico siano membri effettivi e che la vittoria del Frente Amplio in Uruguay, che nel 2004, dopo Chavez 1998, Lagos 2000 e Lula 2002, con l'elezione a presidente del socialista Tabaré Vázquez aprì una nuova serie delle vittorie elettorali della sinistra (Bolivia e Cile 2005, Ecuador 2006) che hanno cambiato il volto politico del Sud America, più dei focolai di guerriglia. Punto di forza il Cile e debolezza il Brasile, perché il Partito Laburista Democratico è nella coalizione di governo ma non fa parte dell'IS, né il Partito Socialista Brasiliano, l'unico partito estraneo a coalizioni di potere e strumentali della storia brasiliana, a differenza dello stesso PCB, né il PT, che pure è invitato permanente e che nel suo statuto si definisce socialista democratico ("com o objetivo de construir o socialismo democrático.",art. 1 Statuto PT 2012).

    Lo scopo di queste informazioni è quello di spingere ad analisi un po' più articolate della liquidazione dell'IS, per alcuni dei suoi membri nord-africani - tra l'altro non più membri - o centro-americani come il PRI messicano, dimenticando per quest'ultimo paese il Partito della Rivoluzione Democratica e gli affiliati tunisini, come il Forum Democratico per il Lavoro e le Libertà o il Partito Social democratico in Egitto e il Fronte delle Forze Socialiste in Algeria, dove è affiliato anche lo FNL. Il rafforzamento del PSE, peraltro organizzazione fraterna, ha indebolito l'IS, tra i cui 99 membri effettivi soltanto 26 sono europei di 22 paesi e tra essi mancano molti della UE, come il Labour Party della Gran Bretagna, nella cui capitale ha sede, o i laburisti norvegesi, a capo di una delle poche coalizioni di sinistra rosso-verde al governo negli anni delle sconfitte elettorali europee (Germania, Gran Bretagna, Svezia, Portogallo, Spagna e Grecia). Semplici osservatori sono anche gli olandesi del PvdA, per loro scelta, mentre maltesi, estoni, lettoni e  i laburisti della Nuova Zelanda sono scesi di status per mancato pagamento delle quote, in totale sono 18 i partiti in tale situazione. I partiti della IS sono al governo i 51 Stati, in 12 dei quali hanno sia il presidente che la maggioranza parlamentare e in altri 5 il primo ministro. Tra i 19 stati del G20 (il 20° è l'UE) l'IS è presente in 12, ma al governo soltanto in 3 (Francia, Mexico e Sud Africa) e in 2 è opposizione, ma con possibilità di andare al Governo (Germania e Gran Bretagna). Nella Federazione Russa, Brasile, Cina, India e Stati Uniti non ci sono partiti affiliati all'IS, che possano aspirare alla guida di quei paesi. Soltanto il Sud Africa ora e in futuro il Brasile, se aderisse il PT, rappresentano un'eccezione tra le nuove nazioni destinate a un ruolo economico mondiale. Tra i G8 i partiti socialisti possono giocare un ruolo in Francia, Germania e Gran Bretagna, non in Giappone(il Partito Socialista non è più membro ma soltanto quello Socialdemocratico) e in Italia a condizione che il PD risolva i suoi mal di pancia sull'affiliazione internazionale (un possibile e auspicabile sviluppo dell'alleanza elettorale PD, PSI e SEL).

    A mio avviso l'IS va rilanciata, un'ottica soltanto europea non basta a una sinistra che voglia essere soggetto attivo a livello planetario, come planetarie sono le sfide dello sviluppo economico, dei diritti dei popoli e della democrazia, ma senza pensare ad un centro organizzatore della rivoluzione socialdemocratica nel mondo. L'art. 1 dello Statuto dice che " L'INTERNAZIONALE SOCIALISTA è un'associazione di partiti e organizzazioni politiche che cerca di stabilire il socialismo democratico" ma, si precisa all'art. 2, che lo scopo è "di rafforzare la collaborazione tra i partiti affiliati e di coordinare il loro atteggiamenti e attività con il consenso", non esistono deliberazioni vincolanti, che se anche fossero previste non ci sono strumenti coercitivi per farle rispettare: questa è la grande differenza con le esperienze dell'Internazionale Comunista(Komintern) o del  Information Bureau of the Communist and Workers' Parties (Cominform), un nome anodino per questioni di immagine, ma dietro il quale si nascondeva il ferreo controllo del PCUS.

    Nelle critiche all'Internazionale Socialista si coglie un modello di Internazionale, che non è quello socialista democratico. La sanzione massima, l'espulsione, è difficilissima in quanto è di competenza del Congresso e a maggioranza qualificata dei 2/3 (art. 5.1.,3 Statuto). L'Internazionale Socialista non può essere altro da quello che i partiti, specialmente i maggiori, vogliono che sia. Basta guardare il bilancio del 2010, l'ultimo pubblicato, per capire che non è una priorità per i partiti socialisti. Il totale delle entrate ammonta a Sterline 1.180.127 , aumentato a Sterline 1.380.000 nel 2011, cioè € 1.595.000: nello stesso anno il bilancio del PSE prevede entrate per € 5.187.221, più di 3 volte tanto. Lo staff assorbe un quinto del bilancio e non superava al momento del suo splendore, cioè con la segreteria generale dell'amico Berndt Carlsson( morto nell'attentato libico di Lockerbee all'aereo della Pan Am il 21 dicembre 1988) la decina di persone, fattorini compresi. La forza dell'IS è sempre stata quella del prestigio dei suoi leader, oltre che il nominato Brandt, Olof Pame, Felipe Gonzales, Lionel Jospin, Bruno Kreisky e anche Bettino Craxi, che facilitò l'ingresso del PDS o i dirigenti del Partito laburista Israeliano, quando erano la forza egemone in quel paese: un epoca finita, non solo simbolicamente, con l'assassinio di Itzak Rabin.

    L'IS, il cui Presidente Papandreu è stato, nei fatti, abbandonato dai grandi partiti socialisti, che non erano al governo in nessuno dei paesi guida, merita invece un rilancio almeno per due ragioni. La prima è la attualità e validità della sua Dichiarazione dei Principi approvata dal XVIII° Congresso di Stoccolma del 1989, frutto di una Commissione presieduta, se ben ricordo, da Felipe Gonzales. Un documento che contiene le linee per un diverso ordinamento mondiale in buona parte coincidente con quelle dei Forum Social Mundial, iniziati a Porto Alegre nel 2001. La seconda è che tra i suoi membri effettivi c'è un piccolo partito, l'Alleanza Social Democratica di Islanda, nato da un'unificazione tra socialdemocratici e comunisti, al governo insieme con un Partito di sinistra alternativa, grazie a elezioni vinte superando la maggioranza assoluta, senza aiuto di abnormi e porcellosi premi di maggioranza e che nella crisi finanziaria ha preferito, sotto la pressione di 2 referendum popolari, far fallire le banche piuttosto che strozzare i propri cittadini. Speriamo che una rinnovata attenzione per l'Internazionale Socialista spingerà qualche editore a pubblicare in Italiano la monumentale Geschichte der Internationale (Storia dell'Internazionale ) del socialista austriaco Julius Braunthal.    La mancata pubblicazione spiega, tra molti altri fattori, la superficialità, in generale,  o comunque la sottovalutazione, con le quali si affronta il tema della dimensione internazionale della sinistra. Persino il PSI fu lascito fuori dall'IS, che riconosceva soltanto il PSDI, che peraltro aveva tra i suoi ranghi, l'ultima esponente attiva di una generazione di rivoluzionari, Angelica Balabanoff.  Se si fosse dedicato lo stesso tempo ed energie a riflettere sulla crisi ed inadeguatezza degli strumenti di cooperazione oltre le frontiere, di quello dedicato al sub- comandante Marcos, saremmo in una situazione migliore: se esiste un complotto mondiale della grande finanza e delle multinazionali, dovrebbe essere logico costruire strumenti di iniziativa politica allo stesso livello. Pur con i suoi limiti, almeno il campo sovietico, garantiva l'esistenza di un polo alternativo. Ora la diminuzione di controlli sui movimenti di capitale e l'incompiuta costruzione, a livello continentale, di organizzazioni di cooperazione economica e politica in grado di progettare scelte di sviluppo alternative a quelle dettate dal solo profitto a breve termine, rende necessaria l'esistenza di un'organizzazione come l'Internazionale Socialista, in grado di estendere la cooperazione oltre i partiti variamente affiliati, come previsto dall'art. 2 comma 2 dello Statuto: "L'Internazionale Socialista cercherà anche di estendere le relazioni tra l'IS e altri partiti orientati in senso socialista, non affiliati, che desiderano cooperare". Pare un progetto da sviluppare più interessante della riesumazione dell'Ulivo Mondiale o di un generico democraticismo progressista