martedì 7 luglio 2009

Immigrati e delinquenti?

Ipse dixit

Non è uno spettacolo - «Il mondo non è uno spettacolo, ma un campo di battaglia». - Giuseppe Mazzini

Per quanto - «Per quanto necessaria o giustificata, mai pensare che la guerra non sia un crimine». - Ernest Hemingway  

Dario Fo vietato
dal vescovo di Assisi
Il vescovo di Assisi Domenico Sorrentino ha proibito per ragioni culturali la rappresentazione dell'ultimo spettacolo di Dario Fo nella piazza della basilica superiore. Il lungo monologo di Fo, "Giotto o non Giotto?", mette infatti in discussione la paternità degli affreschi della chiesa.

La Vanguardia, Spagna
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Immigrati e delinquenti?
Da oggi un immigrato irregolare in Italia è ufficialmente
un delinquente. La sua vita e quella della sua famiglia
diventeranno un inferno, e se verrà beccato dovrà pagare
una multa salata e sarà immediatamente espulso. Solo grazie
alle proteste dell'Europa non finirà in carcere.
L'opposizione italiana e le organizzazioni per i diritti
umani hanno condannato la nuova legge sulla sicurezza. 
El Clarín, Argentina
http://www.clarin.com/diario/2009/07/03/elmundo/i-01951516.htm

       

Segnaliamo
Incontro a Milano sul "Pacchetto sicurezza"

Le conseguenze del "Pacchetto sicurezza":
domande e risposte

Interviene
Pietro Massarotto, presidente del Naga
Incontro per cittadini stranieri, operatori, volontari e chiunque possa essere interessato!
Milano, giovedì 9 luglio
ore 20.00 presso NAGA
Via Zamenhof, 7/A      



A colloquio con Susanna Camusso (Cgil)
IL GIRO DI VITE
La stagione contrattuale e le fratture imposte dall'alto.  Dopo l'accordo del 22 gennaio senza la Cgil, la divisione sindacale è un destino ormai segnato e inevitabile?  Abbiamo fatto il punto della situazione relativa ai contratti con Susanna Camusso, segretaria confederale della Cgil.  "È evidente il cambiamento di atteggiamento che c'è stato  da parte degli altri sindacati, a cominciare dalla Cisl"– sottolinea  Camusso - "Le piattaforme, pur con tante difficoltà, erano partite unitarie, poi ad un certo punto abbiamo notato comportamenti strani, come quello di non voler rivelare le cifre degli aumenti salariali richiesti. Abbiamo visto per esempio una Fim che prima si era mostrata disponibile a discutere sul valore punto, poi improvvisamente ha scelto di applicare il modello del 22 gennaio, chiudendo il discorso". Il prezzo della disunità sindacale è presto detto: quando l'inflazione tornerà a correre i salari saranno penalizzati. Ma tant'è. "Alcune trattative erano rimaste unitarie anche dopo l'accordo separato. Poi è arrivato il diktat di Confindustria  e Cisl e Uil hanno fatto marcia indietro".  

di Paolo Andruccioli
Che cosa è successo con gli altri sindacati? Come mai ci sono stati questi ripensamenti? Camusso -  Io penso che siano collegati a una vera stretta politica. È stata data l'indicazione chiara di applicare completamente e senza sbavature il modello contrattuale del 22 gennaio. E questo naturalmente produrrà anche delle tensioni con i lavoratori perché le loro richieste e i loro bisogni saranno ancora più lontani da quello che sarà il contenitore dei nuovi contratti. Questi atteggiamenti sono in perfetta sintonia invece con la circolare diffusa dalla Confindustria. Tutte le discussioni sulle piattaforme contrattuali sono state riassorbite: è necessario applicare il modello. Punto e basta. C'è stata quindi una scelta politica e il cuore di essa sta nella centralizzazione della contrattazione.

Non sempre, però, si accetta la divisione e l'accordo separato come un fatto inevitabile… Camusso -È chiaro che si continua a discutere ovunque si possa fare e ovunque ci siano spazi e margini di manovra. La piattaforma del contratto degli elettrici era inizialmente partita unitaria. E come dobbiamo registrare il tentativo di creare rivendicazioni unitarie anche dopo l'accordo separato del 22 gennaio, così dobbiamo ricordare che le divisioni non sono nate tutte con quell'accordo. Anche prima del 22 gennaio c'erano state infatti piattaforme separate come quella per esempio delle telecomunicazioni. In questo momento l'unica categoria che tiene dal punto di vista unitario è quella degli alimentaristi. Vedremo gli sviluppi e oggi è prematuro fare pronostici. Quello che possiamo dire senza temere di essere smentiti è che la categoria degli alimentaristi sta facendo un ottimo lavoro e non ci sono ragioni per prevedere un esito negativo del negoziato. Altre categorie vivono invece momenti di grande tensione tra i sindacati. E ogni categoria ha naturalmente la sua specificità. Qual è per esempio la situazione dei metalmeccanici?

Camusso - I metalmeccanici sono stati usati come una sorta di banco di prova. Il punto della divisione era assunto dalla Confindustria. Si può dire che è stata una divisione costruita politicamente, anzi precostruita politicamente. Eppure anche la vertenza per il rinnovo dei contratti metalmeccanici era partita con una discussione unitaria. E c'è anche da sottolineare che i metalmeccanici sono tra i lavoratori che pagheranno più duramente i prezzi della crisi in particolare in termini di redistribuzione dei redditi. E anche da questo punto di vista vedremo gli effetti dell'accordo separato dato che il modello che si vuole imporre è totalmente estraneo alle dinamiche effettive della crisi in corso.

Camusso -Prima di tutto voglio ribadire che il meccanismo che hanno inventato con il nuovo modello contrattuale è un meccanismo opposto rispetto a quello di cui si sente la necessità in termini di tutela delle retribuzioni. In questo senso siamo di fronte a un vero paradosso. Il modello contrattuale che noi non abbiamo accettato prevede meccanismi premiali in momenti di bassa inflazione, nei momenti in cui sono ridotti anche i prezzi dei prodotti energetici. Ma è un meccanismo che non tiene in presenza di una ripresa della dinamica inflattiva. Ed è abbastanza prevedibile che appena ci sarà la ripresa riprenderanno a correre anche i prezzi e quindi l'inflazione. In quel preciso istante i salari saranno penalizzati. Così è questo il paradosso. I lavoratori pagano due volte: la prima volta pagano con una parziale difesa dei redditi ma con una disoccupazione in aumento. La seconda volta pagheranno con le loro buste paga ridotte. Quasi tutti gli economisti concordano nel dire che ci sarà una ripresa dell'inflazione. È comunque sicuro che ci sarà una ripresa della corsa del prezzo del petrolio. Quindi non possiamo illudere i lavoratori dicendo loro che la bassa inflazione li proteggerà. E quando si uscirà dalla crisi ci troveremo con un mercato del lavoro ancora più provato dalla cassa integrazione e dai licenziamenti.

Lasciando da parte per un momento gli scenari economici che ci aspettano, come rispondi alle critiche di chi dice che  la Cgil – non avendo accettato le nuove regole – è ancora a quelle vecchie del luglio 1993?

Camusso -Tutta questa discussione continua ad essere basata su un equivoco. Intanto è singolare che molti dei difensori e degli assertori di quel modello, oggi lo critichino così duramente parlando di regole antiquate. Ma l'equivoco sta nell'attribuirci una passione particolare per il luglio '93, mentre noi non abbiamo tentato altro che applicare l'accordo unitario del maggio del 2008. Noi abbiamo cercato semplicemente di svelare l'inganno della inflazione programmata e abbiamo cercato di avvicinare l'inflazione programmata a quella reale. Ma nonostante tutti questi fraintendimenti, io ribadisco che l'accordo del luglio 1993 è comunque superiore rispetto all'accordo separato del 22 gennaio, basato sulla centralizzazione della contrattazione e sulle deroghe. L'accordo del '93 attribuiva invece un valore universale al contratto e lasciava aperta la strada per la contrattazione di secondo livello. Oggi – al contrario – si mette in discussione la contrattazione stessa.       

(c) Edit Coop - 2009
       

mercoledì 1 luglio 2009

IL GOLPE IN HONDURAS

Il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, ha chiesto che il presidente Zelaya sia ristabilito nelle sue funzioni.

di Gennaro Carotenuto

Le parole drammatiche nella notte del presidente dell’Honduras Manuel Zelaya: "È in corso un colpo di stato nel paese" sono state confermate e supportate dall’ONU. Il presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Manuel D’Escoto, nella notte ha stigmatizzato con parole fermissime il tentativo di colpo di stato in corso in Centroamerica: "Condanniamo fermamente il colpo di stato in Honduras contro il governo democraticamente eletto di Manuel Zelaya" dove i poteri di fatto di sempre, le élite, l’esercito, le alte gerarchie cattoliche, le casta politica, sono disposti a tutto perché nel paese neanche si parli di Assemblea Costituente. È infatti questo l’oggetto del contendere che ha scatenato la sedizione: un referendum che domenica prossima dovrà decidere se convocare o no l’elezione di un’assemblea Costituente voluta secondo i sondaggi dall’85% della popolazione.

    È bastato solo l’odore di una Carta costituzionale che per la prima volta mettesse nero su bianco diritti civili e strumenti per ottenerli in un paese per molti versi ancora premoderno come l’Honduras, perché si mettesse in moto la macchina golpista che durante tutta la storia ha impedito giustizia sociale e democrazia in tutto il Centroamerica. Il presidente Manuel Zelaya, "Mel", con una storia di centro-destra nel partito liberale che durante il suo mandato ha virato con molta dignità verso il verso il centro-sinistra, aveva indetto per dopodomani domenica 28 giugno una consultazione con la quale si chiedeva ai cittadini se nel prossimo novembre si dovesse convocare o meno un’Assemblea Costituente nel paese contemporaneamente alle elezioni presidenziali, legislative e amministrative già previste a fine anno.

    Quella per l’Assemblea costituente sarebbe stata, sarà, la "quarta urna", una svolta che secondo i sondaggi è voluta da almeno l’85% del paese ma indesiderata dalle élite tradizionali, dal sistema dei partiti incluso quello del presidente che oramai si oppone apertamente, dai media di comunicazione, che in Honduras come nel resto del continente sono dominio esclusivo del potere economico, dalla Corte Suprema e dall’esercito. Queste non solo non vogliono contribuire al processo eleggendo propri rappresentanti all’Assemblea Costituente nel prossimo novembre, ma né vogliono una nuova Costituzione né accettano di verificare se la maggioranza della popolazione la desidera.

    La scrittura di Costituzioni partecipative, condivise con gli strati popolari della popolazione, dal Venezuela, alla Bolivia all’Ecuador è stata vista nell’ultimo decennio con crescente rifiuto da parte delle oligarchie tradizionali che, soprattutto nel caso boliviano, si è trasformato apertamente in eversione. Di conseguenza settori numericamente preponderanti dell’esercito di Tegucigalpa, che rispondevano al Capo di Stato Maggiore Romeo Vázquez, si sono rifiutati di operare per permettere la consultazione di domenica, distribuendo le urne e permettendo il regolare svolgimento della stessa adducendo che il referendum sarebbe illegale e che sarebbe propedeutico all’installazione di una dittatura di Mel Zelaya nel paese. A quel punto al presidente non è restata che la destituzione del generale Vázquez che nella giornata di ieri non è stata però confermata dalla Corte Suprema che ha così appoggiato la sedizione.

    A questo punto le informazioni nella notte honduregna si fanno confuse. Di fronte al rifiuto di Zelaya di reintegrare Vázquez come Capo di Stato Maggiore parti importanti dell’esercito avrebbero occupato punti nevralgici del paese. I movimenti popolari, indigeni e sociali che appoggiano un presidente, divenuti unici riferimenti per Zelaya osteggiato da tempo dal proprio partito, sarebbero scesi al contrattacco, avrebbero occupato sotto la pioggia battente la base militare della Forza Aerea nell’aeroporto internazionale di Tocontín, sottratto a questa le urne e le schede referendarie con l’intenzione di distribuirle comunque nel paese. Nel corso delle ultime ore sono successi due fatti nuovi che fanno inclinare all’ottimismo.

    Il presidente Zelaya ha parlato alla nazione, circondato da rappresentanti dei movimenti sociali del paese, confermando il recupero del materiale elettorale e riaffermando che domenica si terrà comunque il referendum. Intanto almeno il comandante dell’Aviazione, Generale Javier Price, si è schierato con il presidente democraticamente eletto. Intanto i movimenti sociali honduregni, di fronte al silenzio dei media rispetto al colpo di stato in corso nel paese, invitano a far circolare al massimo l’informazione e la solidarietà internazionale sul golpe in Honduras. Le prossime ore saranno decisive per capire se il golpe prospererà o se siamo di fronte ad un nuovo 13 aprile 2002 quando a Caracas in Venezuela i movimenti sociali e popolari sconfissero pacificamente il golpe dell’11 aprile contro il governo democraticamente eletto di Hugo Chávez.

www.gennarocarotenuto.it       

Immigrazione - Il mercato delle braccia

Ipse dixit
One World - «Quando si è svegli si condivide un unico mondo comune, quando si dorme ciascuno è rivolto al proprio particolare». - Eraclito (VIII sec. a. C.)

       

Visti dagli altri
A cura di Internazionale - Prima Pagina

Un sequestro da 134,5 miliardi di dollari
Da quando due uomini di mezza età con passaporto giapponese sono stati fermati mentre cercavano di portare 134,5 miliardi di dollari in titoli di stato statunitensi dall'Italia alla Svizzera, fioriscono su internet le congetture. È stata una mossa del governo giapponese, che ha grossi debiti con Washington, per innescare una svalutazione del dollaro? O è stata la mafia italiana a rubare l'equivalente dell'1 per cento del pil degli Stati Uniti per convertire il tutto in moneta? La guardia di finanza italiana ha confiscato ai due uomini in viaggio su un treno locale che stava per attraversare le Alpi 249 titoli da 500 milioni di dollari e dieci da un miliardo. Peccato che fossero falsi.

The New York Times, Stati Uniti
http://www.nytimes.com/2009/06/26/business/global/26fake.html  

Immigrazione - Il mercato delle braccia

Il lavoro stagionale in Puglia e Calabria è svolto sempre più dagli stranieri. Siamo passati dai 20 mila ingressi del 2001 agli 80 mila del 2009. Nel Foggiano un immigrato guadagna dai 4 ai 6 euro per riempire un cassone di pomodori di 350 chili

di Sonia Cappelli *)

Sono ottantamila gli ingressi per lavoratori stagionali extra Ue programmati quest’anno dal governo e 45.000 le domande di nulla osta per lavoro stagionale presentate finora attraverso la procedura on line sul sito del ministero dell’Interno. Lavoratori sfruttati, malpagati, sottoposti ad ogni genere di vessazione. Un piccolo, grande esercito di persone che sui binari delle loro miserie hanno intrapreso un percorso nel nostro paese, che però non li tutela abbastanza, nonostante il loro lavoro sia ormai diventato indispensabile per la nostra agricoltura.

    Fino agli anni 70 la manodopera stagionale agricola era quasi esclusivamente italiana, ma dagli anni novanta la presenza di lavoratori stranieri nello svolgimento di questo tipo di lavoro si è imposta in modo decisivo. La loro disponibilità a lavorare in condizioni dure e con retribuzioni da miseria li rende merce più appetibile per i proprietari delle aziende agricole. Basti pensare che siamo passati dai 20.000 ingressi per lavoro stagionale del 2001 agli 80.000 del 2009. In un documento del 2005 i "Medici senza Frontiere" tracciavano il cosiddetto "circuito degli stagionali", che andava dalla Campania, nelle serre dei prodotti ortofrutticoli, a Foggia, per la raccolta dei pomodori, ad Andria per quella delle olive e in Calabria, per la raccolta delle arance, fino alla Sicilia per la vendemmia di settembre.

    Oggi quel circuito si è ulteriormente esteso, comprendendo la raccolta delle fragole nel Veronese, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia- Romagna, dell’uva in Piemonte, del tabacco in Umbria e Toscana. Una evidente dimostrazione di come gli immigrati occupati in agricoltura contribuiscano in modo strutturale allo sviluppo economico di questo settore e a mantenere il primato nel mondo dei prodotti alimentari italiani. Ciononostante la manodopera stagionale straniera vive in un girone infernale, in cui lo sfruttamento è prassi comune. Basti pensare che nel Foggiano un bracciante immigrato guadagna dai 4 ai 6 euro per riempire un cassone di pomodori di 350 chili.

    L’Inca, già nel 1990, era in prima fila ad occuparsi delle condizioni di questi lavoratori. Infatti, assieme all’Associazione "Non solo nero", ha contribuito alla realizzazione del Villaggio della solidarietà di Villa Literno e a luglio, quando il campo ha aperto le porte ai primi immigrati, il patronato era presente con il suo "Camper dei diritti" per vincere la battaglia della diffidenza, ma anche e soprattutto quella per la promozione dei diritti anche tra chi sapeva di essere escluso ed emarginato. Da allora molto cammino è stato fatto sulla strada della giustizia sociale, ma troppi ancora sono gli ostacoli che si frappongono a una sua equa applicazione.

    Nella regione Puglia è stata varata la "legge Barbieri 2007" che, per arginare il fenomeno dello sfruttamento dei cittadini immigrati impiegati nelle campagne agricole e favorire l’emersione del lavoro irregolare, offre loro un’accoglienza abitativa nei cosiddetti "alberghi diffusi". Strutture che, oltre ad assicurare alloggi decenti, danno un’accoglienza sociale, garantendo una rete di servizi socio-sanitari con l’impiego di assistenti e mediatori linguistico-culturali, la sorveglianza e la sicurezza pubblica e corsi gratuiti per imparare la lingua italiana. Una legge, quella pugliese, considerata dalla stessa Unione europea all’avanguardia rispetto alle normative vigenti in altre nazioni e per questo la Regione è stata premiata in occasione del concorso organizzato dal Comitato delle regioni dell’Unione europea per le migliori pratiche amministrative dei ventisette paesi. Ciò non significa che non ci sia sfruttamento in Puglia. "Ad esempio – racconta Daniele Giovanni, direttore dell’ufficio Inca di Foggia – non sono applicati gli "indici di congruità", previsti dalla legge; quelli che, analizzando il rapporto tra produzione e ore lavorate, servono per inquadrare le attività delle imprese e a verificare le eventuali anomalie nel lavoro impiegato. Un’attenta verifica di questi parametri consente di far emergere casi del tipo: 40 milioni di euro di fatturato e zero dipendenti in un’azienda agricola. Un paradosso che si può spiegare solo con il lavoro nero".

    Ma non basta. In Puglia il fenomeno della vendita dei contratti di lavoro è molto diffuso. "All’ufficio Inca di Foggia, che si occupa prevalentemente di rinnovi e rilascio di permessi di soggiorno, nonché di ricongiungimenti familiari per i lavoratori extracomunitari a lungo termine, sono molti gli stranieri – aggiunge Magdalena Jarczak, dello Sportello immigrati – che si rivolgono a noi per avviare vertenze. Questo avviene perché c’è chi specula chiedendo il pagamento preventivo di un contratto di lavoro, che nella maggior parte dei casi poi si rivela inesistente". L’Inca Cgil, assieme alla prefettura, alla questura e a varie associazioni, presidiando costantemente il territorio, è riuscito a denunciare diversi episodi di questo genere e ha contribuito a migliorare la situazione.

    Nel 2007, per combattere la piaga del lavoro nero, è stato avviato il progetto "Non solo braccia", promosso dalla Regione Puglia e dalla Provincia, a cui partecipano l’Inca e molte altre associazioni no profit, per costruire una rete di sostegno, di orientamento e accompagnamento al lavoro attraverso l’attivazione di nuovi percorsi di inclusione. Si tratta di un piccolo tassello e dunque non ancora sufficiente. C’è molto altro da fare, perché il "mercato delle braccia" sa scegliere nell’eterogeneo mondo dei lavoratori stranieri. Per lucrare in modo illegale si preferiscono immigrati deboli, malinformati e ricattabili, perché più esposti al rischio di un ritorno forzato ai loro paesi di origine, come sono, per esempio, i cittadini africani o thailandesi, che provengono da realtà disperate, dove i diritti e la democrazia sono ancora chimere.

    Spostandoci in Calabria, altra regione dove il lavoro agricolo stagionale è molto sviluppato, le cose non cambiano, nonostante le dichiarazioni dello stesso governatore regionale, Agazio Loiero, e l’impegno, peraltro assolto, a varare entro giugno la legge di accoglienza: "Noi gli extracomunitari abbiamo deciso di accoglierli e di integrarli col territorio. Abbiamo le nostre piaghe, ma qui da noi batte un cuore da emigrante". Nella piana di Gioia Tauro è stato attivato uno sportello Inca che accoglie tutti gli immigrati bisognosi dell’assistenza del patronato "perché il nostro è un Comune di frontiera", lo ha definito Vincenzo Auddino, direttore dell’Inca di Gioia Tauro. "Gli stranieri che si rivolgono a noi – spiega – sono di tutte le nazionalità, anche africani che, però, curiosamente non appaiono nelle liste di coloro che chiedono i permessi di soggiorno. Vivono un presente e un futuro da irregolari e sono quasi esclusivamente impiegati nella raccolta degli agrumi e delle olive".

    L’Inca ha attivato un proficuo rapporto con l’associazione di "Medici senza Frontiere" per tentare di fornire un concreto contributo per l’integrazione, perlomeno sul piano dell’assistenza sanitaria, e assieme ha sollecitato l’intervento delle istituzioni per risolvere la situazione della ex cartiera di Rosarno. Un vecchio stabilimento, costruito nei primi anni 90 grazie a una legge (L. 488), per il quale sono stati stanziati finanziamenti a fondo perduto che dovevano servire ad avviare attività produttive nelle zone economicamente depresse. "In realtà – spiega Auddino – i 9 milioni di euro sono serviti solo ad arricchire l’imprenditore bresciano che scappò lasciando solo l’amarezza di ciò che sarebbe potuto essere". L’ex cartiera di Rosarno è oggi una struttura fatiscente utilizzata come casa dai migranti che arrivano nella zona durante il periodo della raccolta delle arance, senza luce e senza i necessari servizi igienici".

    Gli ospiti di questa struttura convivono con la diffidenza e la paura. "Hanno paura anche solo di avvicinarsi a una sede sindacale – sottolinea il direttore del patronato della Cgil –. Da queste parti, infatti, le vertenze per il mancato rispetto del contratto di lavoro sono solo occasioni eccezionali. Peraltro, come è facile immaginare, il caporalato non gradisce che le "braccia" stringano rapporti con la gente del luogo. Per esso devono rimanere nell’indigenza, senza alcuna certezza perché è più facile sfruttarli e ricattarli. I corsi di italiano, avviati dall’Inca, hanno avuto risultati deludenti, per la scarsa partecipazione. Ciononostante li abbiamo utilizzati per far conoscere i loro diritti. Sono una goccia importante, ma pur sempre di un oceano".   

*) Rassegna.it - http://www.rassegna.it - (c) Edit Coop