lunedì 23 dicembre 2013

La socialista Bachelet riconquista la Moneda

Dall’Avanti online, direttore Mauro del Bue - http://www.avantionline.it/

di Cecilia Sanmarco

È stato definito il ballottaggio più originale del mondo, forse unico nella storia, quello che ha visto contrapporsi due donne nella corsa alla Presidenza del Cile e che ha sancito l’ampia vittoria, con il 63%, della socialista Michelle Bachelet, nuovamente alla Moneda dopo una pausa di quattro anni in cui la destra liberista non ha saputo dare risposte alla richiesta di riforme del Paese.

Una vittoria scontata, segnata però da un fortissimo astensionismo, che ha superato il 50%, e dal voto di protesta dell’estrema sinistra che, certa del risultato, ha votato scrivendo “AC” sulla scheda, per chiedere un’Assemblea costituente che attui le riforme.

Ne parliamo con Pia Locatelli, deputata socialista e presidente onoraria dell’Internazionale socialista donne che ha seguito personalmente le vicende cilene dal golpe di Pinochet, al plebiscito dell’88, alle prime elezioni democratiche dopo la dittatura e ha conosciuto personalmente la neopresidente.


 

L’intervista

 

Pia Locatelli: “Ora in Cile riforme possibili”

In Cile due donne candidate a guidare il Paese e per la seconda volta una presidente, mentre in Italia i vertici della politica sono ancora un appannaggio tutto maschile. Sono più avanti di noi in tema di parità e diritti?

Non direi. Il fatto che per la seconda volta ci sia una donna alla presidenza e che questa donna sia una socialista è senza dubbio un bellissimo segnale, così come lo è il fatto che la sinistra per vincere nuovamente abbia avuto bisogno di una donna, ma nel campo dei diritti e della parità di genere il Cile non è un Paese avanzatissimo. La stessa Bachelet, nel corso del suo precedente mandato, non ha firmato la convenzione del Cedaw (Il protocollo per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne), e nel nuovo parlamento la percentuale femminile non supera il 15,8% alla Camera e il 18% al Senato. Il fatto che vi siano state due donne al ballottaggio non è un segno di avanzamento: la destra ha candidato la Matthei, sperando proprio di annullare il vantaggio di Michelle in quanto donna. Ma la Bachelet non è stata eletta perché donna, ma perché è brava.

Il forte astensionismo e il voto di protesta gettano ombre sulla vittoria socialista e sono molti quelli che rimproverano la presidente di non aver fatto nel precedente mandato le riforme promesse.

Molte cose non si sono potute fare a causa dei vincoli della Costituzione che prevede un quorum qualificato per poter attuare alcune riforme come quella per l’aborto terapeutico, per l’istituzione del matrimonio egualitario o per il primato dell’istruzione pubblica, che è stato il cavallo di battaglia della Bachelet in questa campagna elettorale. Per questo in molti hanno chiesto nella scheda una nuova Costituzione e non a caso la riforma della Carta rientra tra le prime cose annunciate da Michelle dopo la sua elezione. Adesso che la destra, come è avvenuto nelle precedenti legislature, non ha più i numeri per bloccare le riforme sono convinta che i risultati ci saranno.

La Bachelet ha promesso di fare 50 riforme in 100 giorni, obiettivo non semplice tanto più che molte di queste presuppongono un aumento delle tasse. Lei stessa ha detto che non sarà facile…

Sì lo ha detto, ma anche aggiunto: “Ma quando mai è stato facile cambiare il mondo”. In Cile esiste ancora un gap spropositato tra ricchi e poveri e per ridurlo è necessario un aumento della pressione fiscale sui ceti più ricchi e sulle società. L’aumento delle tasse servirà anche a riformare le strutture politiche ed economiche risalenti alla dittatura del generale Pinochet e ad offrire un’istruzione universitaria gratuita. Attualmente, infatti, gli studenti universitari cileni pagano tasse universitarie tra le più alte al mondo. Per portare avanti queste riforme la Bachelet potrà contare anche sull’appoggio dei tantissimi giovani che l’hanno votata e su quello di una terza donna, la portavoce del movimento studentesco sceso in piazza contro il governo di Piñera, Camila Vallejo, candidata con il Partito comunista che ha avuto un seggio in Parlamento.

Tu sei stata in Cile più volte e hai conosciuto personalmente la Bachelet, un giudizio politico e umano.

Le due cose inevitabilmente si intrecciano. Ricordo l’emozione che ho provato il giorno della sua prima elezione: Lagos, il presente uscente, aveva scelto una donna a sostituirlo, aveva vinto la democrazia, aveva vinto una socialista, aveva vinto una donna. Quello che colpisce maggiormente di Michelle è la coerenza. Lei veramente dice quel che pensa e fa quel che dice. È una donna simpatica e diretta, ma non è una sprovveduta. Sa misurare le sue forze e sa quando bisogna rinunciare a una battaglia perché non si è in grado di vincerla. Sicuramente merita la stima di cui gode, ma soprattutto è una garanzia per le minoranze, perché non vieterà mai a chi non è d’accordo con le sue politiche di manifestare per esprimere opinioni diverse.

Il processo di pacificazione in Cile si può dire definitivamente compiuto?

Direi di sì. Dal plebiscito dell’88, quando i cittadini ebbero il coraggio di dire no a Pinochet, il cammino democratico è stato costante e va dato atto al governo socialista di Lagos di aver portato avanti questa delicatissima fase di transizione senza traumi facendo in modo che la cittadinanza tornasse ad avere fiducia nelle sue istituzioni, mettendo da parte l’odio, la vendetta e la violenza. In questo processo è stato molto importante affrontare il problema delle violazioni dei diritti umani accadute durante la dittatura. Il Paese non avrebbe capito se non si fosse chiarito quello che era successo nel passato. È stata fatta giustizia, per quanto si potesse fare, ma non c’è stata vendetta. / http://www.avantionline.it/

Sullo stesso argomento leggi anche:

Il Cile archivia la destra di Piñera,

di Sara Pasquot > va al blog dell’Avanti!

 

Antigone: “Le carceri italiane stanno scoppiando”

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Nel suo rapporto annuale l'associazione denuncia tassi di sovraffollamento che non hanno pari in Europa. Secondo i parametri ufficiali siamo al 134,4 per cento, contro una media Ue del 99,5 per cento. Ma il dato - dice Antigone - è sottostimato: quello reale è del 173%

L'Italia si conferma agli ultimi posti in Europa per civiltà nelle carceri: con 64mila detenuti e un tasso di sovraffollamento "ufficiale" al 134,4% è molto distante dalla media Europea che è 99,5%. Lo denuncia l'associazione Antigone, che si batte per i diritti nella carceri, nel suo monitoraggio annuale, presentato oggi a Roma, precisando che il è falsato, poiché tiene conto della capienza regolamentare di 47.649, mentre è ormai riconosciuto, anche dalla Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, che i posti effettivi sono all'incirca 37mila.

La percentuale di sovraffollamento "schizza" quindi a oltre il 173%. Considerando i dati ufficiali, ci sono regioni dove le statistiche sono anche peggiori: la Liguria è al 169,9%, la Puglia al 158,1%, l'Emilia Romagna al 155,9% e il Veneto al 153,4%. Le detenute sono 2.789, il 4,4% della popolazione carceraria. I numeri più alti nel Lazio, 507, e in Lombardia, 549.

Conseguenza diretta del sovraffolamento sono le morti che avvengono in carcere: 99 tra i detenuti nel 2013, l'ultima lo scorso 13 dicembre a Bergamo per infarto. 47 i suicidi (23 erano stranieri) e 28 le morti per cause ancora da accertare. Il primato delle morti spetta a Roma Rebibbia con 11 morti (di cui 2 per suicidio, 3 per malattia e le altre ancora da accertare), seguita poi da Napoli, 9 in tutto: a Poggioreale sono morti fino ad oggi 6 detenuti, tra questi Federico Perna, sulla cui morte, l'8 novembre sono in corso un'indagine amministrativa e una giudiziaria per omicidio colposo. Quattro i detenuti morti a Teramo, 3 a Velletri e 3 nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia.

Il detenuto morto più giovane aveva 21 anni, era marocchino e si è impiccato il giorno il giorno dopo Ferragosto nella Casa Circondariale di Padova. Il più anziano aveva 82 anni, è morto a seguito di un malore e stava scontando la sua pena nella Casa di Reclusione di Rebibbia. Aveva gravi patologie ed era stato recentemente colpito da un ictus, ma agli inizi di ottobre il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato la sua richiesta di differimento della pena per motivi di salute.

 

 

Ipse dixit

Più democrazia - «Noi vogliamo osare più democrazia.» – Willy Brandt (18.12.1913 - 8.10.1992)

 

Willy Brandt, Storico cancelliere tedesco e presidente dell'Internazionale Socialista nonché Premio Nobel per la Pace, è stato ricordato da Pia Locatelli alla Camera nel centenario della nascita (vai al video)

 

Parliamo di socialismo - Ripartiamo da Nenni per il socialismo europeo

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

di Antonio Tedesco

 

Nei simboli dei Partiti italiani non vi sono più riferimenti all’Europa e sono aumentati i riferimenti nazionalistici. Il consenso intorno all’Istituzione europea è ai minimi storici. L’Unione europea, nell’attuale configurazione è il risultato di un processo d’integrazione politica ed economica priva di quei contenuti ideologici che erano alla base della visione illuminata dei teorici degli Stati Uniti d’Europa (Colorni, Rossi, Spinelli, etc.). Si sono concretizzate le preoccupazioni di Francesco De Martino: “non si giungerà all’Unità politica se questa non diviene coscienza comune delle masse e se i vari Stati europei fin d’ora non faranno tutti gli sforzi per uniformare i loro indirizzi almeno nei settori più significativi”.

Oggi in Italia non c’è una cultura politica abituata a considerare i problemi interni nella visione complessiva dell’Unione europea, capace di uscire da una sorta di stagnante provincialismo nel quale siamo ricaduti negli ultimi vent’anni. La nostra classe politica parla spesso solo di fiscal compact, di rivisitazione della spending review, ponendo l’Istituzione europea in un evidente condizione di astrattezza e di impopolarità.

Sicuramente vi è un deficit di democrazia, ma l’Unione Europea è divenuta per l’italiano medio un’entità “antipatica”, spesso associata alla “prepotenza tedesca” ed ha costituito un alibi perfetto per i Governi italiani degli ultimi 20 anni.

Nel 2014 (febbraio-marzo) a Roma si terrà il Congresso del PSE in vista del voto (24-25 maggio 2014) per rinnovare il Parlamento Europeo e credo che possa essere un’occasione per le forze della sinistra italiana (PD, SEL, PSI) per uscire dall’eterna indecisione, riconoscendosi nel socialismo europeo e riscoprendo i propri orientamenti e valori nella storia e nella tradizione socialista italiana.

Mi viene in mente Pietro Nenni in un suo intervento al Congresso dell’Internazionale Socialista a Vienna nel 1972 dove affermò che: “Vincere o perdere la battaglia per l’Europa ha un’importanza fondamentale per noi socialisti europei”. E mi chiedo se il Congresso in Italia possa essere un’occasione importante per far emergere orientamenti comuni delle forze socialiste europee.

Penso soprattutto alle priorità da affrontare fin da ora: disoccupazione, disuguaglianze sociali ed economiche e quelle concernenti la cultura, i mezzi d’informazione, la scuola.

Il Congresso a Roma può essere l’occasione per ripartire dai grandi pionieri dell’europeismo? Un’occasione per riprendere la strada aperta da Spinelli, Colorni, Rossi e proseguita da Pertini, De Martino, Nenni che sognavano l’Europa dei diritti, del lavoro, della solidarietà?

Si potrebbe ripartire da un vero e convinto europeista: Pietro Nenni, leader e figura centrale del socialismo italiano del 900’,simbolo della politica intesa come bene comune. (A breve il PD intitolerà una sala della Camera dei Deputati a Pietro Nenni).

Nenni è stato un convinto europeista, soprattutto dal 1957 (dopo il Congresso di Venezia del PSI), e l’Europa divenne l’asse portante della sua politica e l’architrave della politica socialista in Italia: “Crediamo in un Europa democratica che sia una Comunità federale dei suoi popoli liberi”. Il Laburista inglese Aneurin Bevan disse nel 1957: “I socialisti europei devono essere profondamente grati al leader socialista Pietro Nenni”.

Perché non ripartire da Pietro Nenni, per gli Stati Uniti d’Europa, con un nuovo modello economico e sociale originale che sia fondato sulla democrazia e sulla partecipazione, capace di superare gli squilibri sociali e territoriali e le disuguaglianze economiche? Altrimenti, come diceva Nenni, “senza democrazia, senza libertà tutto si avvilisce, tutto si corrompe”.

 

giovedì 12 dicembre 2013

Le idee - Domande senza risposta

Solo un recupero della politica è condizione fondamentale per ritrovare il senso di una realtà nazionale con concretezza morale e con conseguente effettiva capacità di governo.

di Paolo Bagnoli

La decisione della Corte Costituzionale non è giunta inattesa. Già in due sentenze, nel gennaio 2008 e nel gennaio 2013 (quando vennero esaminate le richieste referendarie), la Consulta aveva segnalato i punti di criticità della legge. Ed è grave responsabilità dei Parlamenti precedenti non avervi messo mano.

Ora ce la devono mettere per forza. Ma tutto lascia credere che, se la Corte non fosse intervenuta, al di là del gioco di parole, non sarebbe successo niente. Il tutto ci dice quanto sia scaduto il ruolo del Parlamento e su quale livello navighi la qualità di chi vi siede. Se così non fosse, non saremmo dove siamo.

Non facciamo l’errore di ritenere che la crisi sia solo il frutto della legge elettorale. Ci sembra, alle prime battute sul nuovo da farsi, che stia prendendo campo una tendenza non bella: ossia di ridurre tutta la questione, e quanto vi è sotteso, solo a un fattore tecnico che permetta di salvare il bipolarismo. Fermo restando che tale confuso sistema ha prodotto un risultato peggiore di quello sostituito, avremmo preferito sentire qualcuno sostenere che, per rimettere il Paese sulla strada della riconquista della politica, una buona legge elettorale può aiutare. Tutti, invece, parlano con grandi additivi demagogici. E tutti sembrano voler ridisegnare il sistema a prescindere dall’insieme della politica democratica della Repubblica.

Nessuno che dica come la nostra crisi stia nelle viscere del Paese più di quanto è invece indotto dalla bufera finanziaria. Solo un recupero della politica, e quindi delle istituzioni repubblicane, è condizione fondamentale per ritrovare, da una parte, il senso di una realtà nazionale con concretezza morale; e per elaborare, dall’altra, scenari politici veri, con conseguente effettiva capacità di governo.

Non si può ridurre la tematica della governabilità a un processo di tassazione che sta strangolando il Paese. Né ci si può ridurre a rappresentare un’Europa che non esiste; ad annunciare, come fa il ministro Saccomanni, una ripresa che, come l’orizzonte, si allontana quanto più uno ci si avvicina; a sopportare un sistema bancario – unico vero impegno della politica europea – che non assolve, peraltro, al proprio ruolo; a ritenere che la questione dell’Italia stia esclusivamente nel pagare più tasse e meno pensioni. La si smetta di strologare sui giovani, la ricerca e compagnia cantando: in Italia, come in ogni altro Paese del mondo, il problema dei giovani va di concerto con quello che giovani non lo sono più. E, come si è visto, strapazzare questi ultimi non porta nessun giovamento ai primi. Infine, la si smetta di prendersela con la Costituzione che con la crisi non c’entra nulla, ma anzi indica ancora il riferimento per il presente e il futuro della Repubblica.

Vedremo cosa sarà scritto nelle motivazioni della Consulta, ma nel comunicato dei giorni scorsi, dietro la terminologia giuridica, ritroviamo un dato importante. L’abolizione delle liste bloccate e il ritorno alla scelta del parlamentare da parte dei cittadini, significa porre sul tavolo, al di là degli aspetti propri di legittimità costituzionale, la grande questione del ritorno della gente nella politica, il superamento delle forme di controdemocrazia in atto.

Con la cancellazione dei partiti politici, identitari e soggetti del “mandato politico”, sostituiti da movimenti di ceti di potere, o aspiranti tali, oppure da "contenitori" utili solo alla conquista del governo, la gente è scomparsa dalla soggettività politica. Lo spirito democratico della Repubblica si è fortemente affievolito portando con sé la crisi della legge, della sua legittimità intrinseca e, pure, del suo doveroso rispetto.

Confermano tutto ciò le primarie del Pd – ma il termine primarie è improprio poiché esso significa selezione e non scelta definitiva. Invece che primarie sarebbe più corretto definirle ultimative. Ora anche la Lega ha usato il sistema delle primarie-ultimative, solo che il diritto al voto era riconosciuto solo agli iscritti. Su sponde diverse ce lo conferma anche il sistema del social network su cui si fonda il grillismo. In maniera diversa, ma con medesima sostanza, si colloca la rinascita di Forza Italia fondata addirittura sull’esercito di Silvio.

In conclusione, si va alla ricerca della gente per avere ruolo politico poiché è proprio la gente a costituire il nerbo della politica democratica. Ma si tratta di soluzioni fortemente intrise di demagogismo che coprono la polvere sotto il tappeto.

Nel caso del Pd, poi, il fatto che il segretario venga eletto indipendentemente dagli iscritti, ma da chiunque cittadino lo voglia votare, non significa che il votante sia un soggetto attivo; questo significa solo che all’eletto viene conferito un potere assoluto e se il partito venisse a trovarsi in disaccordo con lui, il voto della gente che lo ha espresso colloca il capo sempre dalla parte della ragione. Così il partito altro non è che il suo segretario. E la chiamano partecipazione. In realtà, è l’istituzionalizzazione di un populismo autoritativo.

Ritenere che un tale modo di agire sia un tassello della ricostruzione democratica è un tragico errore e accelera il movimento verso un sistema senza partiti – come teorizza del resto Casaleggio. Stiamo scivolando verso una democrazia commissaria.

In un attacco di estasi verso le primarie, Arturo Parisi ha esplicitato tutta la sua “insoddisfazione” per i “congressi riservati agli iscritti.” Ma, di grazia, a chi dovrebbero essere riservati i congressi se non agli iscritti? Oppure è ipotizzabile un partito senza iscritti? Domande destinate a rimanere senza risposta.

I rischi impliciti sono grandi. D’altronde c’è anche qualche autorevole politologo che, dalle pagine di autorevolissimi quotidiani, sostiene che dalla crisi di sistema si esce con l’uomo delle decisioni ché, se così fosse, il campo per l’affermazione d'interessi particolari sarebbe sgombro… O non avverrebbe invece l'inarrestabile sprigionamento di quelle forze che cercano di arraffare quanto possa loro procurare profitto? Da un sistema democratico-parlamentare transiteremmo in uno d'interessi e la politica smarrirebbe definitivamente se stessa non avendo più senso di sé quale azione collettiva.

 

Parliamo di socialismo - Ricordi amari

Ho trovato interessante, ben scritto e spesso acuto “Ricordati di vivere”, il libro autobiografico di Claudio Martelli appena uscito da Bompiani,.

di Vittorio Emiliani

Martelli è il primo e il solo, per ora, degli esponenti della classe dirigente al potere nel Psi e nel Paese fra 1976 e 1993 (Craxi, Signorile, Cicchitto, De Michelis, Amato, ecc.) a scrivere un’ampia testimonianza, anche politica, su quella complessa, importante e, alla fine, drammatica vicenda.

Intrigante è anche un altro libro, quello di Valdo Spini (“La buona politica. Riflessioni di un socialista”, Marsilio), ma Valdo non fu mai craxiano, né ebbe responsabilità dirette nella involuzione del Psi.

Martelli pone molti problemi, molte spine critiche, in modo incisivo anche. Dipinge un Craxi, dal quale alla fine dissentirà, che confida di accrescere i consensi socialisti detenendo il potere e, alla fine, al potere si acconcia con Andreotti e Forlani, senza più spinta riformatrice. Testimonianza interessante, da cogliere come spunto per una discussione più ampia. E però forse troppo indulgente verso se stesso e verso quella classe di governo che, soprattutto nel partito, non portò le novità indispensabili rispetto alla deriva clientelare dell’ultima gestione demartiniana.

“Tutto il partito sta sulle mie spalle”, denunciò Craxi nel 1990 (se non erro). Purtroppo ad un quindicennio dal Midas poco o nulla era cambiato nel Psi, l’autoriforma non c’era stata, il radicamento nel potere locale e nazionale aveva diffuso e potenziato corruzione e arricchimenti personali, come denunciò Enzo Mattina al Comitato Centrale del 15 luglio 1982, tre mesi dopo la promettente Conferenza Programmatica di Rimini, come aveva denunciato ancor prima Giorgio Ruffolo al Congresso di Rimini del 1987 invocando “pulizia”.

Eravamo insieme Giuseppe Tamburrano e io fuori dalla sede congressuale riminese e ci passavano davanti flotte di auto blu di ministri, sottosegretari, presidenti e assessori regionali, presidenti di banche, casse di risparmio, aziende a partecipazione statale, ecc. “Noi con le nostre macchinette, caro Giuseppe”, gli dissi, “siamo proprio fuori, di un altro mondo”.

Pensavano che il Paese avrebbe perdonato ai socialisti i “peccati” di sottogoverno che da decenni perdonava alla Dc. Si sbagliavano: la Dc aveva salvato il Paese dal comunismo e milioni di italiani le erano riconoscenti. Dal Psi – che aveva avuto dei padri onesti e appassionati – si aspettavano altro e furono delusi.

Finì molto male. Col deserto attorno ai socialisti. Grazie anche ad un Pci che allora guardava ai socialismi europei come a dei nemici o a dei partiti “inferiori”.

 

giovedì 5 dicembre 2013

Parliamo di socialismo- Grande è la confusione sotto il cielo

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

di Giuseppe Tamburrano

 

Berlusconi è “decaduto”, ma non è caduto. A me sembra che si rimetterà in piedi, anzi è caduto in piedi.

La nostra è una situazione che “eccita” il politologo perchè apre scenari intriganti.

Il primo punto da considerare è che Berlusconi potrà fare politica anche se in modi diversi, ma con limitazioni pesantissime: non potrà promettere agli elettori che se è eletto e va a dirigere il governo farà miracoli perché al Parlamento e al governo non potrà più andare : ed egli è per (auto) definizione insostituibile.

Ma potrà prendere tanti voti anche senza candidarsi: il caso Grillo insegna!

A parte lui personalmente, il berlusconismo che fine farà? I sondaggi dicono che, decaduto da senatore non è “decaduto” nei sondaggi anche se la sua disavventura parlamentare si è associata ad una scissione che non porterà molti voti ad Alfano.

Dunque, prudenzialmente dobbiamo ritenere che le sue disgrazie personali non si tradurranno in disgrazie per il suo movimento.

E se Sparta piange Atene non ride. Penso al PD che è letteralmente nel caos. Cerchiamo di prevedere il suo futuro prossimo. Ormai sembra certo che il giamburrasca Renzi conquisterà la segreteria del PD. E poi? Renzi punzecchia Letta. Ma l’ascesa del Sindaco di Firenze a Palazzo Chigi non è semplice. Lo statuto del PD e l’esperienza Bersani dicono che il segretario del PD è automaticamente candidato alla premiership. Il che vuol dire che, in caso di successo elettorale, Renzi è candidato alla direzione del governo.

Ma non sembra politicamente corretto che un Premier (Letta) che è riuscito a tenere la barra del governo in tempi procellosi – le pressioni europee, la recessione dalla quale l’Italia non esce, una scissione del PDL che gli lascia un margine esiguo e fragile di maggioranza al Senato – debba essere escluso per una norma non tanto intelligente dello statuto del PD. Il quale partito è in una situazione di alta fibrillazione : all’assemblea ultima tutto il gruppo dirigente “anziano” era assente!

E non vogliono ulteriormente infierire sul PD!

Il “centro ” è un brulichio di formichette, formiche e formiconi. Il democristiano doc Casini si sta dando da fare per aggregare un nuovo centro.

Io non andrò a votare alle primarie perché non ho capito per che cosa voterei preferendo l’uno a l’altro dei candidati del PD. Ma mi auguro che il PD rifletta sulle prospettive. Può darsi che la rottamazione riesca, ma lasci solo macerie.

Eppure come diceva Mao “Grande è la confusione sotto il cielo, perciò la situazione è favorevole”.

 

Il Comunicato stampa della Corte Costituzionale - Incostituzionalità.

Accolta dalla Consulta l’eccezione d’incostituzionalità presentata dagli avvocati Felice Besostri, Aldo Bozzi e Claudio Tani contro la Legge elettorale n. 270/2005 (“Porcellum”).

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica – alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.

La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.

Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici.

Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali.

Roma, dal Palazzo della Consulta, 4 dicembre 2013

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Sarebbe prematuro tentare di ponderare “a caldo” le conseguenze politiche e istituzionali della sentenza annunciata ieri dalla Corte Costituzionale. A fil di logica, però, la decisione della Consulta fa ormai apparire insostenibile ogni residua pretesa di manipolare la Costituzione da parte di un Parlamento la cui rappresentatività per diversi aspetti è irreparabilmente compromessa.

Tutti i parlamentari italiani subiscono oggi una deminutio di autorevolezza, che ricade in modo particolarmente grave su coloro i quali siano stati “nominati” per grazia delle performances, teatrali o televisive, dei loro leader.

D’altro canto la legislatura non può però terminare finché non sia entrata in vigore una nuova legge elettorale, per quanto inevitabilmente provvisoria essa sarà. Realisticamente ciò richiederà qualche tempo. E, frattanto, il Paese giungerà quindi alle soglie del semestre italiano di Presidenza UE, sicché è nell’interesse generale consentire la continuazione della legislatura ancora per l’intero 2014. Come pure è nell’interesse generale che Governo e Parlamento sappiano utilizzare i prossimi dodici mesi per dare corso a misure in grado di fronteggiare la crisi.

Senza dubbio, una di queste misure dovrà constare in un prelievo di ricchezza dai grandi patrimoni, e ciò nella misura minima necessaria a permettere qualche serio intervento di rilancio produttivo.

Sul piano istituzionale il Governo e il Parlamento potrebbero altresì indire l’elezione di una Assemblea Costituente, da eleggersi con metodo proporzionale. Come nel 1946 gli elettori potrebbero ricevere due schede, l’una per l’elezione dei costituenti, l’altra per la scelta della forma di Governo, se parlamentare, presidenziale o semipresidenziale.

All’Assemblea Costituente andrebbe affidato il compito di redigere una bozza organica di riforma, volta a mettere in sicurezza l’architettura fondamentale della nostra Repubblica. (AE)

Vai su Radio Radicale all’audio (ca 45 min.) dell’udienza pubblica della Corte Costituzionale: sulla Legge elettorale (Porcellum)

 

giovedì 28 novembre 2013

Le idee - Che fare? A saperlo!

Crisi di una democrazia

di Fabio Vander

Il sistema politico italiano è terremotato. Precisamente lo sono i soggetti politici della Seconda Repubblica. Quelli che avrebbero dovuto essere i Träger della nuova democrazia finalmente compiuta, dell’alternanza, del bipolarismo, del Nuovo Millennio.

Dovevano essere il nuovo e sono già il vecchio.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni e mesi ne sono la riprova. La fine politica di Berlusconi ha portato alla fine del PDL, cioè del maggiore partito della destra italiana di questi anni. La scissione di Scelta Civica d’altro canto ha dimostrato che non c’è un’alternativa democratica alla destra berlusconiana.

Solo pochi mesi fa è scomparsa Italia dei Valori travolta dagli scandali che era nata per combattere. Sinistra ecologia e libertà è scossa dalla sua insussistenza politica. È fallito il tentativo di costruire un soggetto alla sinistra del PD. Fallimento già sancito sul piano elettorale dal disastro di Sinistra Arcobaleno nel 2008 e su quello politico appunto dalla vicenda di SEL. Partito personale di Vendola e del gruppo di potere ex-Rifondazione (Migliore, Ferrara, Smeriglio, ecc.), che mai ha voluto darsi un autentico progetto politico di rifondazione della sinistra, sopravvivendo piuttosto da parassita del PD (prima con l’illusione della scalata di Vendola alle primarie di quel partito, poi con il fallimento di Italia Bene Comune). Di aborti politici come Rivoluzione Civile o Alba non vale nemmeno la pena di dire.

Resta il PD. Quel che fu nelle sue vite precedenti un grande partito della sinistra italiana è stato scalato da uno come Renzi: ecco il crisma di uno sfacelo. E delle responsabilità di una classe ‘dirigente’. Quella degli ex-comunisti, assolutamente incapaci di venire a capo del proprio problema storico. Proprio e del Paese, della nostra democrazia. Ha perfettamente ragione Asor Rosa a sostenere che Renzi è la degna conclusione di una sciagurata parabola iniziata alla Bolognina. C’è continuità diretta, si tratta di momenti successivi di uno stesso destino. Continuità di premesse (una certa analisi dell’Italia, per cui si doveva eliminare il PCI, ma poi anche il socialismo, infine la sinistra per arrivare al ‘partito perfetto’, democratico). Ma continuità anche di risultati. Dato che, dal PDS al PD, dal 1994 al 2013, sono stati capaci solo di perdere.

Il PD altro non è che un partito nato per perdere. E che sempre ha perso, nelle città come alle politiche. Costituendo la vera ‘assicurazione sulla vita’ di Berlusconi. Un tizio che in nessun paese democratico, mai, avrebbe potuto esistere e resistere.

Un punto dev’essere quindi chiaro: non ci sarà futuro per la sinistra, per il centro-sinistra e per la nostra democrazia finché ci saranno PD e SEL. Bisogna lavorare per favorire la disarticolazione di questi soggetti. In questo senso non tutto il male viene per nuocere. La crisi in corso aiuta. Ma certo va aiutata a sua volta, con la messa in campo di un progetto politico alternativo. Proprio quello che finora è mancato. Il che incancrenisce la crisi. Le preclude esisti positivi.

Questo il quadro. Implementato per altro da un governo delle “larghe intese”, cioè appunto di convergenza fra quelli che dovrebbero essere per natura alternativi e invece da anni (cioè compreso Monti) governano insieme.

Il quadro, si diceva, di una crisi. Di una crisi di sistema. Cioè di istituzioni, di valori, di classe dirigente.

Che fare? ...saperlo.

Come accennato, ci vorrebbe una risposta di respiro, di sistema. Dello stesso livello della crisi che si ha di fronte.

Intanto partire da un’altra lettura della storia d’Italia. Delle tare di una democrazia, di ciò che la ha resa perennemente “incompiuta” e “difficile”. Una nuova lettura che non parta dalla tabula rasa. Che non presupponga la necessità di liquidare tutto (appunto comunismo, socialismo, sinistra, sindacati, diritti e tutele del lavoro) nell’illusione che così ci si legittima finalmente a governare. Perché così si arriva solo a Renzi. E poi, tra l’altro, manco si vince, né si governa.

Insieme a questo, la proposizione di un soggetto politico a sinistra del PD. Organizzato intorno ad una idea di socialismo e di libertà, del lavoro e dei saperi, di una sinistra capace di critica, di proposta, di governo. Disposta ad avere un rapporto con il centro democratico (il PD, ma non solo), ma entro un centro-sinistra ‘col trattino’, in cui la sinistra dispieghi precisamente un ruolo autonomo, visibile, credibile.

Quanto all’Europa, il rapporto con il Socialismo europeo deve essere stretto e stringente, ma mantenendo intatta la curiosità di conoscere quanto di nuovo e migliore la sinistra europea in genere è capace di produrre.

Solo una sinistra autonoma e dinamica può dare chance ad un nuovo centro-sinistra capace di riorganizzare il quadro politico oltre le macerie del berlusconismo e le gore dell’anti-politica e del grillismo.

Sarà questo il nostro contributo al futuro della nostra democrazia.

 

IPSE DIXIT

Breve storia dell'umanità - «Nel corso della storia le società umane hanno inventato le gerarchie più disparate. La razza svolge un ruolo importante negli Stati Uniti, ma non possedeva praticamente alcun significato per i mussulmani del medioevo. La casta era nell'India medievale una faccenda di vita o di morte, ma nell'Europa moderna è pressoché sconosciuta. Una gerarchia ha svolto per contro un ruolo centrale in tutte le società conosciute: la gerarchia dei sessi. In ogni società umana ci sono uomini e donne, e in tutte le società umane, ma proprio in tutte, gli uomini vengono privilegiati rispetto alle donne.» – Yuval Noah Harari

Chiamare le cose con il proprio nome - «Potrebbe essere utile, innanzitutto a partire dai giornali, iniziare a chiamare le cose con il proprio nome. Sostituire la parola gelosia, per esempio, con volontà di possesso, amore con dominio, avances con molestie, passione con aggressione. E forse inizierebbe a cambiare anche la nostra percezione della realtà. Non si uccide perché si ama ma perché non si riesce a concepire la propria compagna al di fuori della funzione che le è stata assegnata. (…) La parola “femminicidio” è stata introdotta dalla criminologa statunitense Diana Russell nel 1992, per indicare una categoria criminologica vera e propria: una violenza da parte dell’uomo contro la donna in quanto donna; un atto in cui, cioè, la violenza è il risultato di una precisa cultura del possesso e della sopraffazione. Quello quindi che distingue il femminicidio da ogni altro omicidio, sia di uomini che di donne, è il movente di genere: la donna vittima di femminicidio ha messo in qualche modo in discussione l'idea che l'assassino aveva del suo ruolo.» – Cinzia Sciuto

 

giovedì 14 novembre 2013

SCHEDA - Le elezioni per il rinnovo del Parlamento di Praga

di Felice Besostri

La sconfitta del Governo ceco, già segnata politicamente dallo scioglimento anticipato della legislatura per decisione della stessa Camera con 140 voti a favore e 7 contrari su 200 membri, è stata confermata massicciamente dalle urne. I due principali partiti, ODS e TOP 09, della coalizione uscente, che aveva perso pezzi nell'aprile 2012 (Úsvit) sono passati da 90 seggi e il 36,9% del 2010 agli attuali 42 seggi con il 19,71% complessivo. Questi i risultati con le variazioni rispetto alle elezioni 2010 tra parentesi:

Partiti

Percentuali (df)

Seggi (df)

ČSSD

20,45 (-1,63)

50 (-4)

ANO

18,65 (+18,65)

47 (+47)

KSČM

14,91 (+3,64)

33 (+7)

TOP 09

11,99 (-4,71)

26 ( -16)

ODS

7,72 (-12,50)

16 ( -32)

Úsvit

6,88 (+6,88)

14 (-3)

KDU

6,78 (+2,39)

14 (+14)

SZ

3,19 (+0,75)

0 (=)

Altri

9,30 (-4,22)

0 (-55)

Nella Repubblica Ceca c'è una soglia di accesso del 5%. Dei 7 partiti in Parlamento 2 sono entrati con queste elezioni, ma di essi sono uno il Movimento dei Cittadini del miliardario Andrej Babiš assolutamente nuovo, tipo M5S, mentre il KDU, L'Unione Democratica, sempre presente nel Parlamento, aveva mancato di poco la soglia nel 2010. Sulla carta, stante l'indisponibilità grillina del Movimento A.N.O., malgrado il suo acronimo ("Ano" in lingua ceca significa "Sì"), la sola alleanza possibile è una coalizione di sinistra-centro dei socialdemocratici (ČSSD) e dei comunisti (KSČM), 83 seggi, con Úsvit (Úsvit přímé demokracie Tomia Okamury = Aurora della Democrazia Diretta, partito di Tomio Okamura) e la KDU, entrambi con 14 seggi, per un totale di 111 seggi.

L'accordo con il Partito Comunista di Boemia e Moravia è sostenuto dal Presidente della Repubblica, il socialdemocratico Zeman, omologo di Giorgio Napolitano sulle rive della Moldava. La quale Moldava è un fiume nei cui fondali sprofondano le pietre, ma più difficilmente si possono seppellire i ricordi della repressione della Primavera di Praga e dell'occupazione sovietica.

ANDAMENTI ELETTORALI

PARTITI, ANNI, PERCENTUALI E SEGGI

KSČM (Partito Comunista)

KDU (Unione democratica)

ČSSD (Socialdemocratici)

1990 13,2 % 33

1990: 4,1 % – 0

1992 14,1 % 35

1992: 8,4 % 19

1992: 6,5 % 16

1996 10,3 % 22

1996: 6,3 % 15

1996: 26,4 % 61

1998 11,0 % 24

1998: 8,1 % 18

1998: 32,3 % 74

2002 18,5 % 41

2002: 14,3 % 31

2002: 30,2 % 70

2004 Europee 20,4% 6

2009 Europee 14,18% 4

2004 Europee /

2009 Europee 7,61% 2

2004 Europee 8,8 % 2

2009 Europee 22,38% 7

2006 12,8 % 26

2006: 7,2 % 13

2006: 32,3 % 74

2010 11,3 % 26

2010: 4,4 % 0

2010: 22,1 % 56 (-2 usciti)

2013 14,9 % 33

2013: 6,78% 14

2013: 20,45% 50

Dalla tabella risulta stupefacente che il Corriere della Sera del 27 ottobre scorso abbia messo in un occhiello che i Comunisti entrano nel Parlamento per la prima volta dal 1989. Sicuramente un refuso: volevano scrivere "nel Governo"? Nel Parlamento sono presenti fin dal 1990 e lo sono stati per più tempo dei socialdemocratici, che rimasero sotto soglia nel 1990, e dei democristiani, che saltarono il turno del 2010.

Una riflessione merita il fatto, che, a differenza di altri paesi ex comunisti come la Romania e la Bulgaria, il Partito Comunista, allora cecoslovacco, era forte anche elettoralmente tra le due guerre e nelle prime elezioni del secondo dopoguerra, anche se pose fine al simulacro di democrazia con il colpo di Stato del 1948. Come in altri paesi l'occupazione russo-sovietica favorì l'unificazione forzata di socialdemocratici e comunisti, ma c'era una forte componente socialdemocratica di sinistra, quella del presidente Fielbinger, politicamente convinta.

La diversità dei comunisti cecoslovacchi è stata drammaticamente messa in luce dai processi di Praga, dove accanto ai soliti trotzkisti vi era l'accusa di sionismo e di collaborazionismo con partiti socialisti occidentali, in particolare con i laburisti britannici. Infine dal PCCS venne il più serio e tragico tentativo di riformare il comunismo dall'interno con la Primavera di Praga e il Socialismo dal volto umano. Con l'occupazione sovietica ci fu un'epurazione del Partito Comunista, che liberò una serie di compagni, che raggiunsero come Zeman il Partito socialdemocratico dandogli una forza prima sconosciuta, fino a farne il primo partito nel 1998 riuscendo a porre Zeman a Capo del Governo fino al 2002, ma con la stessa percentuale nel 2006 non ebbe la possibilità di governare pur con il 50% dei seggi alla sinistra. Il terzo partner, la KDU, presenta anch'esso una particolarità avendo tra i suoi precursori nel XIX secolo un singolare partito Cristiano Socialista, invece che sociale.

Un problema è costituito dalla non nascosta nostalgia dei Comunisti per il passato regime, compresa la sua fase più buia della normalizzazione, senza uguali nell'Europa ex sovietica: la Linke secondo i loro parametri è un covo di revisionisti. Tuttavia non ci sono altre soluzioni ad eccezione di un'instabilità foriera di un ritorno al potere della destra, ora sconfessata dall'elettorato. Speriamo che a Praga non si caccino in un vicolo ceco.

La soluzione ceca alla crisi sarebbe un segnale di livello europeo e di rapporti non solo conflittuali a sinistra, come imporrebbero le elezioni europee del 2014. Come ha ribadito Martin Schulz nella manifestazione di Bergamo del 29 ottobre scorso: se le prossime elezioni europee si fanno sul tema Europa Sì o No si rafforzano i populisti e la destra. Dobbiamo invece imporre un dibattito intorno a quale Europa, per sottolineare le differenze tra destra e sinistra. (Milano 29 ottobre 2013)