giovedì 29 novembre 2012

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/


Terza Repubblica?


Ci vorrebbe una bella rivoluzione capeggiata dal 35% dei giovani disoccupati. Ma è un sogno!


di Giuseppe Tamburrano


Ormai parliamo di Terza Repubblica. Impropriamente, perchè le Repubbliche si definiscono in termini istituzionali e costituzionali. Ma a prescindere dall’esattezza terminologica, se confrontiamo i tempi di oggi con quelli dell’era Berlusconi, i cambiamenti sono radicali. E per cominciare con Berlusconi, dov’è il leader rampante che conquista con la sua discesa, i suoi soldi e il suo software la direzione del paese? Il suo partito è allo sbando, quasi res nullius. Sembra che abbia investito per la ricostruzione uno sconosciuto, Samorì, che è una specie di Romulus Augustulus.

    Andiamo dall’altra parte dell’arco politico: troviamo un PD che sembra – purtroppo – non avere avviato alcuna evoluzione. Finché non è arrivato Renzi. Il quale ha la tessera del PD, ma in quel partito è un alieno. Ha fatto una “corrente” esterna (che ha acquisito pochi adepti all’interno) la quale mira a conquistare non il partito, ma il governo. Renzi non esprime alcuna teoria, non ha alcun progetto di moderno partito di sinistra contrapposto a quello, forse, logoro, consunto di Bersani (al quale mi sento di dare del “compagno”, cosa che non mi passerebbe per la testa con Renzi). Se il sindaco di Firenze vince le primarie con l’aiuto dei cittadini di altre aree (i “delusi di Berlusconi”) che cosa diventa il PD? Il partito di Renzi.

    Alle elezioni del 1994 votò l’86,1%. Oggi l’astensione è sul 50%. Metà dei cittadini italiani non si riconoscono in questo sistema politico, Renan scrisse che la democrazia è l’adesione silenziosa e quotidiana dei cittadini. Si può chiamare “democrazia” un regime nel quale metà dei cittadini “non aderisce”? Che dico: è più della metà perchè vi è circa un 20%, Grillo, che non aderisce rumorosamente: ve lo immaginate un Governo in mano a Renzi e un Parlamento agitato da Grillo?

    E se non sarà Renzi riavremo Monti – che ha ridotto il paese in miseria – e che graziosamente un giorno dice che vuole continuare e l’altro no!?

    E gli altri? Quelli più congeniali al sistema? Casini un giorno ipotizza di stare con Bersani, un altro no (recentemente sono più numerosi i no). Che farà? Cercherà insieme a Fini di rappattumare le truppe disperse di Berlusconi? O entrerà nel nuovo schieramento Montezemolo-Riccardi? Il quale nasce su una crepa, quella religiosa, essendo piuttosto laico il primo e decisamente cattolico (per non dire clericale!) l’altro?

    Sopravvive la Lega falcidiata nei voti. Che farà? Può fare ben poco. E Tremonti, la “mente”, non doveva scendere in campo per illuminarci? E Giannino farà il consigliere di chi?

    Ci vorrebbe una bella rivoluzione capeggiata dal 35% dei giovani disoccupati. Ma è un sogno!

 

 

IPSE DIXIT


La parola - «Be', "socialista" è la parola più antica della politica italiana.» – Pierluigi Bersani

 

 

LAVORO E DIRITTI

 

a cura di www.rassegna.it


Ilva, gli operai occupano la direzione


Centinaia di lavoratori hanno forzato gli ingressi, chiusi dall'azienda, e sono entrati negli uffici della sede di Taranto. Intanto, a Genova 1500 in corteo. Landini: "Pensare a gestione pubblica transitoria". Camusso: giusto restare in fabbrica


Diverse centinaia di operai dell'Ilva hanno occupato la direzione aziendale dello stabilimento di Taranto, mentre altri invece sostano fuori al piano terra. I dipendenti della direzione sono stati invitati a uscire. I lavoratori, i cui badge che consentono l'ingresso in fabbrica sono stati disattivati dall'azienda, hanno prima forzato i varchi della portineria D dello stabilimento e poi sono entrati anche nella Direzione del siderurgico occupandola.

    Nel frattempo a Genova, circa 1.500 metalmeccanici dello stabilimento Ilva, dopo una breve assemblea, sono usciti dallo stabilimento in corteo e si stanno dirigendo verso l'aeroporto di Genova. Con loro anche i cassa integrati dello stabilimento metallurgico. Ad aprire il corteo una grande pala meccanica e un autospurgo per la raccolta degli oli esausti. E' previsto il blocco del casello autostradale di Genova Ovest. Nel corteo anche le motrici dei mezzi pesanti delle ditte appaltatrici e i camion per la movimentazione terra che operano nello stabilimento genovese.

    La mobilitazione è conseguenza della decisione della proprietà di Ilva di bloccare l'attività dell'area a freddo dello stabilimento di Taranto, a seguito del sequestro disposto dalla Procura in mattinata, assieme all'ordinanza di custodia cautelare per sei persone fra vertici dell'Ilva ed ex dirigenti. Ieri sera Fim, Fiom e Uilm hanno respinto il provvedimento aziendale, definendolo una “serrata”, nonché una “rappresaglia” nei confronti dei lavoratori, e hanno deciso che questa mattina tutti si sarebbero comunque presentati sul posto di lavoro.

    Per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso "la preoccupazione è che l'Ilva chiuda. Si deve rendere compatibile il lavoro con la salute dei cittadini”. Camusso, parlando a margine di un convegno sulla violenza sulle donne sul lavoro, ha affermato che "la scelta dell'azienda sulla chiusura dell'impianto a freddo dello stabilimento di Taranto "è gravissima". "Ci auguriamo che giovedì (nell'incontro convocato dal governo) ci siano idee e proposte per salvare l'azienda e un importante produzione del paese". Camusso ha anche aggiunto che l'appello lanciato dalla Fiom ai lavoratori a restare in fabbrica "è giusto di fronte allo sconcerto che si è determinato".

    “L'unica cosa che potrebbe scongiurare uno sciopero unitario il 29 novembre è che il Governo, il presidente del Consiglio, convochi tutte le parti sociali e si assuma la responsabilità di creare le condizioni affinché l'Ilva non chiuda e che all'Ilva vengano fatti gli investimenti necessari per produrre senza creare problemi né ai lavoratori, né ai cittadini”. Ha detto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, a Prima di Tutto, su Rai radio.

    “Il Governo deve intervenire sulle ragioni che hanno prodotto questa situazione, ci vogliono provvedimenti straordinari nel rispetto delle leggi. Bisogna continuare a far produrre l'Ilva, per applicare l'Aia servono miliardi di investimenti per rifare interi apparati produttivi”, ha detto ancora Landini.

   Dunque, secondo il sindacalista della Fiom “è necessario verificare fino in fondo cosa la famiglia Riva può fare, ma credo che se si vuole salvare Ilva ci sia bisogno anche di un intervento pubblico che può anche prevedere soluzioni transitorie sia in termini di forme di prestito ma anche in termini di gestione dell'impresa perché c`è il rischio che salti tutto: non escludo nulla, anche la possibilità di un intervento diretto da parte del Governo”. Landini ha poi precisato: “E` chiaro che tutto ciò non può avvenire a discapito della salute e della sicurezza delle persone”.

 

LAVORO E DIRITTI

Riceviamo e volentieri pubblichiamo


ILVA - OCCORRE SAGGEZZA DA PARTE DI TUTTI


di Anna Finocchiaro

presidente del gruppo del Pd al Senato


La vicenda dell'Ilva di Taranto è davvero complessa e drammatica per le sue ricadute sanitarie, ambientali e occupazionali e le sue conseguenze concrete sui destini di un'intera città e di decine di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie in tutta Italia e, in ultima analisi, sul futuro della siderurgia in Italia e dunque sull'economia italiana.

    E' per questo che, specie in giornate in cui il governo è impegnato nella ricerca di una soluzione e ha previsto un incontro per scongiurare la chiusura degli impianti, il mondo politico e istituzionale è chiamato al massimo rigore, alla serietà, alla saggezza. Quel che è certo è che il 'caso' Ilva ha assunto le dimensioni di un'emergenza nazionale e come tale deve essere affrontato, dall'Esecutivo e non solo.

    Mentre la magistratura continua il suo lavoro per accertare e punire i responsabili degli illeciti si deve percorre la strada costruttiva,  prevista dalle prescrizioni dell'Autorizzazione ambientale integrata, di contemperare la produzione, e dunque il mantenimento dei posti di lavoro, con la tutela sanitaria e ambientale.

    E' questa la strada che il governo sta percorrendo e che ci auguriamo possa scongiurare la chiusura dello stabilimento, con il relativo, a tutt'oggi impensabile, impatto occupazionale e ambientale.

 

giovedì 22 novembre 2012

Tre presidenti per un'Europa - Supereremo anche questa

Il testo dell'appello lanciato da Napoli dal Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, dal Presidente della Repubblica di Polonia, Bronislaw Komorowski, e dal Presidente della Repubblica Federale di Germania, Joachim Gauck.


Nel momento in cui tanti guardano all'Europa con incertezza o distacco, nel momento in cui l'Europa non sembra più capace di realizzare la promessa di una società giusta, nel momento in cui molti temono per i loro posti di lavoro, per i loro risparmi, per il loro futuro e per quello dei loro figli, noi, Capi di Stato di nuovi e vecchi Stati membri dell'Unione Europea, di Paesi con esperienze, tradizioni e mentalità diverse, vogliamo trasmettere un messaggio di incoraggiamento.

    Noi supereremo questa grave crisi economica e finanziaria.

    - Rendiamoci conto di quale prezioso dono sia il fatto che gli Stati dell'Unione Europea vivono in pace e libertà da oltre 60 anni. Il premio Nobel per la pace all'Unione Europea è un incoraggiamento per noi e ci incita a far avanzare ancora di più l'Europa: l'Europa deve essere all'altezza delle sue responsabilità e agire unita nel mondo.

    - Opponiamoci con forza ai reciproci risentimenti e ad ogni ricaduta in visioni ristrette e nazionalistiche. Solo restando uniti saremo in grado di affrontare le sfide del mondo globalizzato.

    - Riconosciamo che la solidarietà è inestricabilmente legata al rispetto di impegni condivisi e regole comuni.

    - Rafforziamo la legittimità democratica del processo decisionale dell'Unione Europea e continuiamo a lavorare nella direzione di un'autentica Unione Politica.

    - Riaffermiamo la nostra comune convinzione che un investimento mirato nella crescita sostenibile è il modo migliore per mantenere la prosperità e la stabilità nel nostro Continente. In questo contesto diamo rilievo al prossimo Consiglio Europeo che negozierà il Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020.

    - Sottolineiamo l'importanza della politica di Allargamento dell'Unione Europea, che continua a far progredire la democrazia e i diritti umani così come a rafforzare la pace e la prosperità.

    - Apprezziamo il valore del pluralismo e della diversità linguistica e culturale, che è un segno distintivo delle nostre società e dei nostri stili di vita.

    - Diamo una effettiva priorità all'istruzione, alla scienza e alla ricerca, come condizioni indispensabili per assicurare la prosperità e un futuro luminoso ai nostri figli e nipoti.

    Più di 60 anni fa, alla fine della Guerra Mondiale, il nostro continente era in rovine. Morte, distruzione e un'indicibile sofferenza avevano colpito la vita di milioni di persone. Dopo la fine della guerra, sforzi di ricostruzione senza precedenti ebbero inizio nei Paesi occidentali del nostro Continente, mentre i cittadini dell'Europa centrale e orientale furono costretti a vivere sotto regimi totalitari.

    Più di 20 anni fa, le persone che scesero in strada nell'Europa centrale e orientale dimostrarono la forza dell'aspirazione alla libertà, che sin dagli albori era stata fondamento della nostra Europa.

    Traiamo ispirazione dalla forza di coloro i quali ricostruirono l'Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, di quelli che vi si unirono più tardi e di coloro che combatterono per la libertà, la giustizia e l'autodeterminazione nel 1989-90. Tutti insieme raggiunsero qualcosa di straordinario e ci hanno insegnato ad avere fiducia nelle nostre possibilità.

    Riflettiamo sulla nostra creatività, sulla nostra forza economica e sulla nostra cultura politica, che comprende il confronto ma che non sfocia nel conflitto, e ha piuttosto creato una positiva cultura del consenso. Non rinunciamo a costruire una reale sfera pubblica europea. Guardiamo in particolare alle idee e all'impegno delle generazioni dei più giovani Europei.

    Ogni generazione è posta dinanzi alle sue sfide. Facciamo fronte alle nostre!

 

Le primarie del centro-sinistra


A Stella con Bersani nel ricordo di Pertini


di RiccardoNencini

segretario nazionale del Partito Socialista Italiano


Sabato 24 novembre chiuderò la campagna elettorale per le primarie del centrosinistra assieme a Pierluigi Bersani.

  Saremo a Stella, città natale di Sandro Pertini, per dare il riconoscimento ad una storia di libertà e di amore per l'Italia, pagina fondamentale del socialismo italiano ed europeo.

    Pertini è stato il presidente che ci ha uniti e ci ha resi fieri di appartenere a una grande nazione. Grazie a lui, la parola "Italia" ha ritrovato cittadinanza nel vocabolario civico e nel cuore degli italiani.

    Lo abbiamo seguito con passione ed orgoglio, riconoscendo nella sua azione un punto di riferimento ancora oggi insostituibile.

    È in nome di questa storia che faccio appello ai nostri elettori perché vadano a votare alle primarie del centrosinistra.

    Il Psi ha condiviso e sostenuto l'impostazione assunta dall'ultimo congresso del PSE, secondo la quale i partiti che si richiamano al socialismo europeo si impegnano a sostenere, in piena autonomia, unitariamente, la candidatura attorno alla quale costruire un programma coerente con le idee del Pse, perché l'Italia torni ad essere protagonista con un esecutivo che operi all'insegna di equità, rigore, laicità, innovazione. Un profilo che risponde al nome di Pierluigi Bersani.



 

VISITA IL SITO DEL COOPI www.cooperativo.ch

 


I giovani progressisti europeisti


Con Bersani una nuova Italia in una nuova Europa


Il 14 novembre centinaia di migliaia di giovani hanno riempito le piazze del continente europeo per chiedere più giustizia sociale, più opportunità per tutti, più uguaglianza.

    La battaglia politica per un'Europa diversa è divenuta prioritaria nell'agenda di tutte le forze politiche progressiste: prima degli altri le generazioni più giovani sembrano aver acquisito una forte consapevolezza dell'importanza di cambiare il segno delle politiche dell'Unione per poter uscire dal circolo vizioso di austerità, calo dei consumi e recessione in cui ci stiamo pericolosamente infilando.

    Per l'importanza di questa sfida, noi che a vario titolo siamo impegnati in ambito politico e associativo per un'Europa più democratica, più giusta e più unita, per un'Europa federale e sociale, vogliamo lanciare un appello al voto a favore di Pierluigi Bersani alle prossime primarie del 25 novembre.

    Fra i contendenti, il segretario del Partito Democratico è l'unico ad aver dimostrato in questi anni, non solo in questi due mesi di campagna per le primarie, un'attenzione continuativa alle grandi questioni europee di maggiore interesse per la nostra generazione: la lotta alla disoccupazione giovanile europea; l'unità delle forze politiche progressiste per una maggiore giustizia sociale; l'Europa federale e democratica, più comprensibile e accessibile per i cittadini.

    Vogliamo ricordare l'adesione di Pierluigi Bersani alla campagna Rise Up delle organizzazioni giovanili socialiste e democratiche europee, l'impegno per la proposta del PSE di una Garanzia Europea per i Giovani per contrastare il fenomeno dei NEET e la proposta lanciata sull'Unità di una Costituente per una nuova Europa federale dopo le elezioni europee del 2014. Pierluigi è il più preparato, impegnato e stimato dagli altri leader della sinistra europea con cui ha avuto e ha ampia frequentazione, da Hollande a Gabriel, dal candidato al cancellierato Steinbruck all'ideologo laburista Mandelson, da Miliband a Rubalcaba e tanti altri.

    La sua sensibilità e il suo impegno nella costruzione di una sinistra europea unita insieme alle forze socialdemocratiche, socialiste, progressiste e democratiche ci pare evidente dal lavoro di questi anni, a partire dal lavoro di approfondimento programmatico comune con i francesi e tedeschi, insieme agli italiani possibile avanguardia di una nuova Europa.

    Per tutte queste ragioni, per chi come noi vuole l'unità delle forze del centrosinistra intorno a un progetto di forte idealità ma anche ben radicato e solido, per chi non si accontenta di riferimenti superficiali o di utopie vagheggiate ma con i piedi ben piantati nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università vuole impegnarsi nei prossimi anni per cambiare l'Italia e l'Unione Europea, la scelta giusta è votare Pierluigi Bersani il 25 novembre alle primarie del centrosinistra.

    Una sua vittoria al primo turno è l'unica garanzia per evitare di proseguire con la tecnocrazia, che ha il merito di averci salvato dal populismo ma è strutturalmente incapace di imprimere la svolta che abbiamo tratteggiato. Ce lo chiede l'Europa, non quella di adesso, ma quella di cui c'è bisogno e che dobbiamo costruire tutti insieme, con Bersani.


I promotori dell'appello - Brando Benifei (ECOSY), Roberta Capone (IUSY), Lorenzo Floresta (GIOSEF Giovani Senza Frontiere), Vincenzo Iacovissi (FEPS Young Academics Network), Luigi Iorio (Comitati Socialisti per Bersani), Giorgio Malet (Circolo Giovane Europa Sant'Anna-Normale di Pisa), Maria Pisani (Europa Giovani).

 

 

 

IPSE DIXIT


Tizio e Caio - «Si parla di questo gigantesco debito globale e le statistiche ci dicono pressoché al centesimo chi sono i debitori, ma nessuno ci parla mai dei creditori. Mi spiego: se io, Caio, ho un debito, c'è un Tizio che ha un credito. Dunque, chi si è arricchito in questi ultimi decenni?» – Carlo Correr


Futuro di un senatore a vita - «Facciamo finta che è un gioco di ruolo, che in ogni caso ha un suo "valore politico". Per il quale si chiede a persona seria come Monti di essere il "candidato premier". Calcolando che, appunto, la figura del premier in Italia non esiste perché il Presidente del Consiglio è un primus inter pares, alla pari nel governo e non eletto direttamente.» – Massimo Bordin


Graecia capta... - «Come salvare la Grecia dalla bancarotta finanziaria e la Merkel dalla bancarotta politica? È questo, in sostanza, il dilemma che i ministri delle finanze della zona euro si sono trovati ad affrontare ieri sera nell'ennesima riunione... Dopo aver cavalcato la tigre del rigore a tutti i costi, ora non sanno come scenderne e spiegarlo ai propri elettori... E più prendono tempo, più il conto sarà salato. Ma sul piano politico questo è un prezzo che la Germania, a meno di un anno dalle elezioni, non è in condizioni di pagare.» – Andrea Bonanni

120 anni di socialismo italiano - Caserma mai


Il socialismo italiano è un affollato Pantheon di personalità eccezionali, ma non è mai stato una caserma. È stato (ed è) cocciuta rivendicazione del diritto all'eresia: contro avventurismi,

demagogismi e massimalismi di ogni sorta.


di Nicola Del Corno


“Se oggi in Italia ci sono meno analfabeti, meno affamati, meno ammalati, ciò è dovuto esclusivamente al Partito Socialista Italiano”, queste parole, pronunciate in Parlamento da Filippo Turati nel novembre 1922, sintetizzano meglio di ogni altra immagine il contributo fornito dai socialisti al progresso della società italiana.

    Se è difficile tratteggiare in poche parole le vicende del socialismo italiano, si può però agevolmente proporre una breve panoramica della cultura socialista, attraverso alcuni riferimenti tratti dai protagonisti di questa luminosa storia. Dalle loro proposte emerge la sostanziale linea rossa che ha sempre legato il socialismo italiano all’idea di uguaglianza coniugata con la libertà, in modo da arrivare ad una giustizia sociale che sia sostanziale, e non meramente formale, come già peraltro aveva richiesto Giuseppe Garibaldi durante il Risorgimento, e ribadito Sandro Pertini all’indomani della liberazione dal nazi-fascismo nell’affermare che giustizia e libertà non possano esser mai disgiunte: “Per i socialisti, libertà e socialismo costituiscono un binomio inscindibile; l’un termine presuppone l’altro”.


    Peculiarità del miglior socialismo italiano, ossia di quello più consapevole e capace di assumere l’etica della responsabilità, è risultata il pragmatismo nel voler migliorare le condizioni dei ceti subalterni. Particolare merito del socialismo riformista, ossia del miglior socialismo italiano, risulta stato anche quello di aver diffidato di avventurismi, demagogismi, massimalismi di ogni sorta. La concretezza è stata la loro stella polare, anche quando trasformare un’idea in pratica poteva apparire una strada lunga e faticosa, come spiegava Camillo Prampolini nella sua parabola La Montagna del 1909: “La vera strada è quella indicata e seguita dai socialisti di tutto il mondo, quella su cui cammina anche il PSI. È la strada dell’unione dei lavoratori i quali […] costruiscono [il metodo] della solidarietà mediante la loro organizzazione economica […] difeso e aiutato con la conquista del Municipi, delle Province, dei Parlamenti”, ossia metodo democratico.

    Un’altra caratteristica forte del miglior socialismo nostrano è quella che Andrea Costa chiamò il diritto all’eresia: “Bisogna riserbarci la possibilità di diventare eretici, altrimenti si muore”; concetto ripreso da Pietro Nenni quando nel 1968, di fronte all’ingresso dei carri armati sovietici a Praga, esaltò in Parlamento quella “eresia della libertà” che il socialismo dal volto umano di Dubcek stava cercando di sperimentare nel suo Paese.

    Il socialismo italiano non è mai stato una caserma, non è mai stato un movimento che ha richiesto ai suoi militanti un prono asservimento pratico ed ideologico. La storia del socialismo italiano – lo sappiamo bene – è stata anche storia di scissioni, e questo anche perché il socialismo ha sempre posto e rispettato il giudizio del singolo individuo prima di ogni altra esigenza del partito, come ebbe a dire tra gli altri Saragat nel drammatico discorso di Palazzo Barberini del 1947: “C’è per tutti noi socialisti qualcosa che è più in alto dello stesso nostro partito ed è il diritto di ogni uomo di giudicare nella propria coscienza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto”

    Il socialismo italiano è quindi libertario nel suo dna; questa è stata la sua forza, la sua ricchezza, la sua capacità attrattiva. Si è socialisti non solo perché si hanno a cuore i diritti dei ceti subalterni, gli ideali di giustizia e solidarietà, il rispetto nei confronti delle persone che ci stanno attorno; ma si è socialisti anche perché si difende l’idea di libertà come caratteristica fondamentale di ogni individuo. Ciò fu affermato con forza da due protagonisti della storia del socialismo italiano quando questo si trovò di fronte ai totalitarismi caratterizzanti un ventennio e più della storia europea. Fondamentale allora divenne ribadire l’alterità del socialismo rispetto non solo al nazi-fascismo, ma anche rispetto al comunismo liberticida e dittatoriale quale quello scaturito dalla rivoluzione russa, che pure molte speranze aveva suscitato al momento del suo scoppio. Giacomo Matteotti affermò infatti nel 1923 che “i socialisti credono condizione necessaria per lo sviluppo e l’emancipazione della classe lavoratrice il metodo democratico e un’atmosfera di libertà politica”; Carlo Rosselli ribadì alla fine degli anni 20 che “la libertà, presupposto della vita morale così del singolo come della collettività, è il più efficace mezzo e l’ultimo fine del socialismo”. Il socialismo proposto da Matteotti e da Rosselli fu pertanto un socialismo democratico, liberale; che non deve avere paura del dissenso, della libertà, dell’individuo, che non cerca alcuna scorciatoia verso unanimismi incompatibili con i nostri ideali.

    Il socialismo è quindi stato storia di uomini liberi e donne libere. Sull’importanza del contributo femminile alle battaglie socialiste scrisse parole inequivocabili Anna Kuliscioff già nel 1897 quando affermo che le donne hanno bisogno di forze e organizzazioni socialiste per supportare le loro richieste in tema di parità diritti e opportunità, ma al tempo stesso il socialismo ha bisogno delle donne, perché lungi dall’essere un’ideologia che si preoccupa solo di economia e di politica, il socialismo è soprattutto una “questione morale”, un modo di interpretare la vita a tutela e supporto dei più deboli, e quindi proprio dal genere femminile provengono quelle testimonianze esistenziali che servono a rendere pratica un’idea.

    Bisogna quindi essere orgogliosi di essere socialisti nella consapevolezza che le migliori pagine della nostra storia patria sono state spesso scritte da socialisti; questo è ciò che affermò Bettino Craxi alle fine degli anni ’70 sottolineando come “una parte assai importante di ciò che concretamente si è fatto nel nostro Paese in favore di una maggiore giustizia e di una maggiore eguaglianza è dovuto alle iniziative e alle lotte del PSI”.

Dibattito politico 2 - SULLA SOGLIA

Il vero e il falso sulla legge elettorale.


di Felice Besostri


Al Senato della Repubblica una maggioranza trasversale spuria formata da PdL, Lega Nord, UdC, FLI e Api ha fissato al 42,5% la soglia per accedere al premio di maggioranza del 12,5%.

    Chiaramente questa maggioranza vuole impedire che la coalizione PD-PSI-SEL (nel frattempo allargata a pezzi della FdS) vinca in carrozza le prossime elezioni.

    Bersani l’ha capito subito e ha denunciato le manovre. Sì, "le manovre", al plurale, perché ce n'è più d’una. I terzopolisti devono rendersi indispensabili per il futuro governo. L’ex maggioranza di centro-destra, invece, vuole impedire che si formi una maggioranza stabile di centro-sinistra; vuole rientrare in gioco, forse in un governo di unità nazionale. Ci sono poi, sparsi un po’ dovunque, i nostalgici anticipati del Monti bis.

    Perché prendersela allora con la maggioranza trasversale spuria e meno con il proponente dell’emendamento, Rutelli, uno dei fondatori del PD?

    Gli scrupoli del relatore Malan gli fanno onore, se equivalgono alla confessione (un po’ ipocrita e tardiva) di aver approvato d’accordo con PD e IdV il Porcellum nel 2007 e poi ancora una scandalosa legge elettorale europea nel 2009 allo scopo d'escludere certe forze politiche dal Parlamento nazionale e d'impedire che rientrassero in gioco a Strasburgo.

    La Corte Costituzionale viene invocata da tutti a ogni piè sospinto, ma non in questa circostanza. Eppure è stata proprio la Consulta a porre la questione della soglia di accesso al premio di maggioranza. E tutti si sono sempre detti d’accordo sul fatto che il Porcellum sia una vera porcata anche perché non prevede la soglia d'accesso.

    Tutti d'accordo, ma nessuno che spieghi come mai – dopo che la Corte Costituzionale aveva lanciato il suo monito nel febbraio 2008 (sentenze n. 15 e n. 16) nessuno abbia preso un’iniziativa. Anzi, quei cittadini elettori che hanno impugnato a suo tempo il decreto di convocazione dei comizi elettorali delle politiche 2008 sono stati lasciati soli. Peccato. Ci saremmo potuti risparmiare tre anni e mezzo di Berlusconi.

    Tutti d'accordo con la Corte Costituzionale, ma nel 2009 le Giunte delle elezioni del Senato e della Camera respinsero all’unanimità il ricorso del signor Ragusa, che chiedeva si desse attuazione agli auspici della Corte Costituzionale.

    Solo il Presidente Napolitano lanciava avvertimenti sulla necessità di cambiare la legge elettorale. Ma giudici, amministrativi e ordinari, se ne sono sbattuti delle proteste dei cittadini, delle raccomandazioni della Consulta e anche degli avvertimenti presidenziali. E si sono rifiutati di rimettere la legge alla Corte Costituzionale. Non soltanto la politica, come fa comodo far credere, se l'è presa comoda, dunque.

    Siamo appena in Cassazione. E il Governo dei tecnici non ha finora modificato di una virgola la linea del Governo Berlusconi di difesa ad oltranza della costituzionalità del Porcellum. Che dire? Tanto si può sempre contare sul silenzio dei mezzi di comunicazione di massa.

    Ciò detto, mi pare difficile attaccare il Senato perché non trova un accordo unanime sulla soglia d'accesso al premio di maggioranza o la fissa troppo alta. Nessuno vorrà, si spera, il 25% previsto dalla fascistissima legge Acerbo. E il 50% era detto "Legge Truffa" (ma se il 50% più uno era "Truffa", ogni percentuale inferiore cos’è?)

    Se vogliamo sapere subito dopo lo spoglio chi governerà il Paese, l’abbiamo visto tutti il 6 novembre scorso: basta adottare una forma di governo presidenziale, come gli USA. Questo però in Italia è tabù, specialmente a sinistra.

    Attenzione, chi vuol conoscere subito il nome del premier, non può contentarsi neppure del sistema semipresidenziale alla francese. Tant'è che Hollande, una volta eletto, ha dovuto poi vincere anche le legislative, aspettando il secondo turno delle medesime, prima di poter decidere sull'esecutivo.

    Se uno la maggiorranza non ce l'ha, non se la può dare: lo sapeva persino Don Abbondio.

    Eppure la soluzione è semplice, se si vuole determinare chi governerà il Paese il giorno stesso delle elezioni, aggirando qualunque soglia. Basta convincere metà di coloro che hanno deciso di non votare circa la bontà della propria ricetta per uscire dalla crisi economica, politica e morale, nella quale ci dibattiamo.

Dibattito politico 1 - Viva Obama e abbasso noi?

Sono personalmente contento che Obama abbia vinto e penso sinceramente che sia meglio per l’America e per il mondo. C’è troppa ideologia nel Partito Repubblicano di oggi e c’era dunque il rischio che i problemi dell’America e del mondo Romney li tagliasse con l’accetta, appunto, dell’ideologia.


di Giuliano Amato

www.giulianoamato.it


Le lezioni che ricavo dal voto  americano sono fondamentalmente due e nessuna delle due mi porta a concludere "viva Obama, abbasso noi". Penso anzi che noi, e qui intendo noi italiani e noi europei, non abbiamo  particolari ragioni per essere invidiosi e abbiamo anche qualcosa da insegnare.

    La lezione numero uno è per noi italiani e ci invita a smetterla di decantare la migliore qualità (rispetto al nostro) del sistema istituzionale americano, che consente agli elettori di sapere subito dopo il voto chi li governerà nel quadriennio successivo.

    Sì, quegli elettori sanno subito chi sarà il loro Presidente, ma se contemporaneamente hanno eletto un Congresso nel quale la maggioranza va al partito opposto a quel Presidente, quest’ultimo dovrà quotidianamente negoziare con quella maggioranza le sue misure e ne uscirà o un governo condiviso o un governo addirittura bloccato. Né si tratta di un caso eccezionale, giacché è quello che è capitato a più presidenti prima di Obama, a lui durante il suo primo mandato e gli sta ricapitando ora dopo queste elezioni. La differenza dal nostro sistema non offre perciò particolari motivi di invidia, tanto più che i nostri governi dispongono dell’arma della fiducia, che non c’è negli Stati Uniti, e possono imporre (c’è chi ritiene anche troppo) la propria volontà al Parlamento con maxiemendamenti e decreti, che penso alla Casa Bianca guardino, loro sì, con invidia.

    Sia chiaro, noi  ne abbiamo tante di cose da aggiustare nella nostra forma di governo e sarà bene che lo facciamo con qualche idea chiara in testa. Mentre gli ondeggiamenti senza bussola ai quali assistiamo nei tentativi di riforma della legge elettorale  dimostrano che per il momento di sicuro non è così. Ma non partiamo dalla premessa che l’erba del vicino è sempre più verde e che possa bastarci importarne un po’.

    Il che ci porta alla lezione numero due. Nei mesi scorsi Washington ha ansiosamente monitorato i rischi promananti dall’eurozona per la crescita e la stessa stabilità dell’economia mondiale e per questo Obama ha ricevuto e chiamato i nostri leaders. Ebbene ora dovremo noi seguire le vicende americane esattamente per gli stessi motivi. Il rieletto Presidente ha infatti davanti a sé una brutta gatta da pelare e se non riesce a farlo già nelle prossime settimane, gli Stati Uniti potrebbero cadere in una pesante recessione, che si cumulerebbe alla nostra con effetti disastrosi su tutti noi. Ci riuscirà con il Congresso che si trova davanti?


Sta entrando in questi giorni nel lessico comune la locuzione “fiscal cliff”, che si avvia ad affiancare lo "spread" fra le fonti dei nostri incubi diurni e notturni. Si tratta del precipizio (cliff, che alla lettera vuol dire roccia scivolosa a perpendicolo) nel quale gli Stati Uniti possono scivolare se a gennaio diventeranno operative le misure   imposte mesi fa dai repubblicani per spingere a un’azione vigorosa sul debito. Tali misure, se non rimpiazzate, comporteranno la automatica adozione di tagli di spese e di aumenti fiscali a carico dei ceti medi, che farebbero sparire oltre 600 miliardi dall’economia e le darebbero un colpo che finirebbe, come l’onda di uno tsunami, per attraversare gli oceani.

    Il Presidente e il Congresso hanno la responsabilità di trovare un accordo per evitarlo e sebbene l’esperienza della trascorsa legislatura testimoni il contrario, è ragionevole attendersi che quel muro contro muro possa ora non ripetersi. Lo scopo prioritario dei Repubblicani  durante il primo mandato di Obama era stato quello di estremizzare le sue difficoltà per impedire la sua rielezione. Ora quello scopo non ha più ragion d’essere e il merito delle questioni dovrebbe prevalere.

    Ma qui tocca in primo luogo al Presidente trovare proprio in noi europei l’ispirazione per misure di risanamento finanziario, alle quali si è finora sottratto. Noi abbiamo ecceduto e continuiamo ad eccedere  nell’austerità a senso unico, ma una lezione incoraggiante per noi è che possiamo dare lezione all’America sui modi per riportare sotto controllo i programmi di spesa che ne sono usciti.

    Non basta far pagare più tasse ai ricchi, come il Presidente ha appena annunciato. Il programma di assistenza per gli anziani, Medicare, con il formidabile aumento di beneficiari dovuto al ciclo demografico e all’allungamento della vita (noi lo sappiamo bene), corre dritto verso la bancarotta nel giro di un decennio. E le spese per la difesa hanno raggiunto livelli insostenibili.

    Noi, Grecia compresa, stiamo superando difficoltà e resistenze enormi per riportare in equilibrio i nostri bilanci. C’è da augurarsi che Obama e il Congresso sappiano fare altrettanto, senza essere fermati, fra l’altro, dai veti di coloro che hanno tanto, troppo finanziato le loro campagne elettorali.

    Anche qui, nel freno imposto alle spese elettorali e ai condizionamenti che possono portare con sé, Europa docet.

    Insomma, in un Occidente che si sta adattando con difficoltà ad un mondo che cambia e mette in campo nuovi protagonisti, l’Europa, con tutti i suoi guai, ha ancora un ruolo e qualcosa da insegnare. Anche Obama farà bene a tenerne conto.

 

 

 

IPSE DIXIT


Un minimo di cinismo 1 - «Senza un minimo di cinismo non c'è destra che tenga.» – Giuliano Ferrara


Un minimo di cinismo 2 - « Dobbiamo liberarci da quel tanfo di sacrestia di una classe dirigente che al mattino si presentava sul palcoscenico elettorale con l'acquasantiera e il crocifisso in mano. La sera approntava la scena del burlesque. Una classe dirigente che ha fatto a gara per mettersi in prima fila nel Family day. La notte il Family day lo celebrava con qualche escort e con un po' di cocaina.» – Nichi Vendola


Un minimo di cinismo 3 - «È infatti della Lega l'emendamento alla legge salva-Sallusti (che ridere) che, approvato ieri a scrutinio segreto, prevede il gabbio per i giornalisti che incappano in condanne per diffamazione (...) Scusi Maroni, lei si ricorda che è libero, e ha potuto fare il ministro dell'Interno, solo perché si è fatto fare una legge ad personam che ha abolito il reato di oltraggio a pubblico ufficiale per il quale era stato condannato a quattro mesi di carcere? Scusi Castelli, nobile senatore leghista, sa che lei è libero solo perché il Parlamento ha negato

l'autorizzazione a procedere per diffamazione quando aveva dato dello sprangatore a Diliberto? E scusi senatore Calderoli, ci spiega come mai non ha mai pagato per quegli undici morti negli scontri fuori dal consolato di Bengasi seguiti alla sua idea geniale di presentarsi, in nome della libertà di opinione, al Tg1 con la maglietta anti Islam? E scusate, leghisti, come mai Bossi è a piede libero pur avendo subito decine di condanne per diffamazione a magistrati, capi dello Stato, avversari politici? (...) Io andrò a San Vittore, ma loro tra pochi mesi spariranno nel nulla dal quale provenivano.» – Alessandro Sallusti

giovedì 15 novembre 2012

Caserma mai

120 anni di socialismo italiano


Il socialismo italiano è un affollato Pantheon di personalità eccezionali, ma non è mai stato una caserma. È stato (ed è) cocciuta rivendicazione del diritto all'eresia: contro avventurismi, demagogismi e massimalismi di ogni sorta.


di Nicola Del Corno


“Se oggi in Italia ci sono meno analfabeti, meno affamati, meno ammalati, ciò è dovuto esclusivamente al Partito Socialista Italiano”, queste parole, pronunciate in Parlamento da Filippo Turati nel novembre 1922, sintetizzano meglio di ogni altra immagine il contributo fornito dai socialisti al progresso della società italiana.

    Se è difficile tratteggiare in poche parole le vicende del socialismo italiano, si può però agevolmente proporre una breve panoramica della cultura socialista, attraverso alcuni riferimenti tratti dai protagonisti di questa luminosa storia. Dalle loro proposte emerge la sostanziale linea rossa che ha sempre legato il socialismo italiano all’idea di uguaglianza coniugata con la libertà, in modo da arrivare ad una giustizia sociale che sia sostanziale, e non meramente formale, come già peraltro aveva richiesto Giuseppe Garibaldi durante il Risorgimento, e ribadito Sandro Pertini all’indomani della liberazione dal nazi-fascismo nell’affermare che giustizia e libertà non possano esser mai disgiunte: “Per i socialisti, libertà e socialismo costituiscono un binomio inscindibile; l’un termine presuppone l’altro”.


    Peculiarità del miglior socialismo italiano, ossia di quello più consapevole e capace di assumere l’etica della responsabilità, è risultata il pragmatismo nel voler migliorare le condizioni dei ceti subalterni. Particolare merito del socialismo riformista, ossia del miglior socialismo italiano, risulta stato anche quello di aver diffidato di avventurismi, demagogismi, massimalismi di ogni sorta. La concretezza è stata la loro stella polare, anche quando trasformare un’idea in pratica poteva apparire una strada lunga e faticosa, come spiegava Camillo Prampolini nella sua parabola La Montagna del 1909: “La vera strada è quella indicata e seguita dai socialisti di tutto il mondo, quella su cui cammina anche il PSI. È la strada dell’unione dei lavoratori i quali […] costruiscono [il metodo] della solidarietà mediante la loro organizzazione economica […] difeso e aiutato con la conquista del Municipi, delle Province, dei Parlamenti”, ossia metodo democratico.

    Un’altra caratteristica forte del miglior socialismo nostrano è quella che Andrea Costa chiamò il diritto all’eresia: “Bisogna riserbarci la possibilità di diventare eretici, altrimenti si muore”; concetto ripreso da Pietro Nenni quando nel 1968, di fronte all’ingresso dei carri armati sovietici a Praga, esaltò in Parlamento quella “eresia della libertà” che il socialismo dal volto umano di Dubcek stava cercando di sperimentare nel suo Paese.

    Il socialismo italiano non è mai stato una caserma, non è mai stato un movimento che ha richiesto ai suoi militanti un prono asservimento pratico ed ideologico. La storia del socialismo italiano – lo sappiamo bene – è stata anche storia di scissioni, e questo anche perché il socialismo ha sempre posto e rispettato il giudizio del singolo individuo prima di ogni altra esigenza del partito, come ebbe a dire tra gli altri Saragat nel drammatico discorso di Palazzo Barberini del 1947: “C’è per tutti noi socialisti qualcosa che è più in alto dello stesso nostro partito ed è il diritto di ogni uomo di giudicare nella propria coscienza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto”

    Il socialismo italiano è quindi libertario nel suo dna; questa è stata la sua forza, la sua ricchezza, la sua capacità attrattiva. Si è socialisti non solo perché si hanno a cuore i diritti dei ceti subalterni, gli ideali di giustizia e solidarietà, il rispetto nei confronti delle persone che ci stanno attorno; ma si è socialisti anche perché si difende l’idea di libertà come caratteristica fondamentale di ogni individuo. Ciò fu affermato con forza da due protagonisti della storia del socialismo italiano quando questo si trovò di fronte ai totalitarismi caratterizzanti un ventennio e più della storia europea. Fondamentale allora divenne ribadire l’alterità del socialismo rispetto non solo al nazi-fascismo, ma anche rispetto al comunismo liberticida e dittatoriale quale quello scaturito dalla rivoluzione russa, che pure molte speranze aveva suscitato al momento del suo scoppio. Giacomo Matteotti affermò infatti nel 1923 che “i socialisti credono condizione necessaria per lo sviluppo e l’emancipazione della classe lavoratrice il metodo democratico e un’atmosfera di libertà politica”; Carlo Rosselli ribadì alla fine degli anni 20 che “la libertà, presupposto della vita morale così del singolo come della collettività, è il più efficace mezzo e l’ultimo fine del socialismo”. Il socialismo proposto da Matteotti e da Rosselli fu pertanto un socialismo democratico, liberale; che non deve avere paura del dissenso, della libertà, dell’individuo, che non cerca alcuna scorciatoia verso unanimismi incompatibili con i nostri ideali.

    Il socialismo è quindi stato storia di uomini liberi e donne libere. Sull’importanza del contributo femminile alle battaglie socialiste scrisse parole inequivocabili Anna Kuliscioff già nel 1897 quando affermo che le donne hanno bisogno di forze e organizzazioni socialiste per supportare le loro richieste in tema di parità diritti e opportunità, ma al tempo stesso il socialismo ha bisogno delle donne, perché lungi dall’essere un’ideologia che si preoccupa solo di economia e di politica, il socialismo è soprattutto una “questione morale”, un modo di interpretare la vita a tutela e supporto dei più deboli, e quindi proprio dal genere femminile provengono quelle testimonianze esistenziali che servono a rendere pratica un’idea.

    Bisogna quindi essere orgogliosi di essere socialisti nella consapevolezza che le migliori pagine della nostra storia patria sono state spesso scritte da socialisti; questo è ciò che affermò Bettino Craxi alle fine degli anni ’70 sottolineando come “una parte assai importante di ciò che concretamente si è fatto nel nostro Paese in favore di una maggiore giustizia e di una maggiore eguaglianza è dovuto alle iniziative e alle lotte del PSI”.

Anche Montanelli

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/


"Ecco il socialismo nel quale avrei potuto militare anch’io, se avessi avuto abbastanza altruismo e abbastanza umiltà, e di cui l’attuale società denuncia paurosamente la mancanza". – In occasione dell’uscita del volume Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita di Indro Montanelli, Rizzoli 2012, pubblichiamo la risposta data a Tamburrano da Montanelli nella sua Stanza quotidiana sul Corriere della Sera del 4.7. 2001. Fu l'ultimo intervento pubblico del grande giornalista e un pezzo importante del suo testamento morale.


di Giuseppe Tamburrano


Caro Montanelli, se dovessi scriverti tutte le volte che sono d’accordo con te diventerei uno scocciatore.
    Ma i tuoi due pezzi su su Turati e lo scissionismo della sinistra hanno travolto la mia riservatezza. Grazie per il tuo giudizio su Turati, che era peraltro antiscissionista e amava ripetere: “Preferisco avere torto nel mio partito che ragione fuori” e ruppe col Psi nell’ottobre 1922 perché di fatto ne fu buttato fuori.

    Non c’è tra i sedicenti socialisti residui nessuno che difenda i valori del socialismo come fai tu: dunque ancora grazie. E vengo ad un altro socialista che tu hai difeso con fermezza. In un recente libro, che tu hai, ho dato insieme a due ricercatori (Granati e Isinelli) la prova documentale della innocenza di Silone.

    Forse ti divertirà sapere – se non lo sai già - che hanno dato credito alla mie tesi soprattutto due giornali: l’Unità del 28 aprile 2001 col titolo su tutta la pagina Silone innocente e il Secolo d’Italia del 7 giugno col titolo su sei colonne, In difesa di Ignazio Silone.

    E’ singolare! Questi giornali appartengono in un certo modo ad un’area politico-ideologica che Silone ha combattuto duramente. Giornali, giornalisti, intellettuali che dovrebbero riconoscersi negli ideali antitotalitari di Silone hanno un diverso atteggiamento. Anche questo nel suo piccolo è un segno dell’anomalia italiana. (G.T.)


La risposta di Montanelli


La tua affettuosa lettera, giuntami nel momento in cui anch’io, come tutti i mortali, debbo procedere alla revisione e alla chiusura dei conti col passato, mi ha fatto un infinito piacere. Per vari motivi.

    Il primo di questi motivi è che tu sei il primo e – mi pare – l’unico socialista ad essersi accorto che io non sono mai stato un nemico del socialismo (dico “socialismo”, non “partito socialista”), e quando questo si è sbandato sotto i colpi di tangentopoli ho preso il lutto in una lettera aperta a uno sconosciuto “compagno” della mia giovinezza incoraggiandolo a rialzare dalla polvere la sua bandiera e a richiamare intorno ad essa i fedeli, fra i quali – sia chiaro – io non avevo mai militato e non milito.

    Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c’è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una giungla che conduce pari pari a Carlo Marx.

    Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra storia, Giolitti, che sempre cercò l’accordo con Turati, a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Ma non sono soltanto questi motivi di alchimia politica che ispirano i miei sentimenti verso il socialismo quanto il ricordo dell’opera missionaria da voi svolta presso le classi più umili dai vostri (perché ce ne furono parecchi) Massarenti, le cooperative, le scuole serali per la lotta all’analfabetismo.

    Ecco il socialismo nel quale avrei potuto militare anch’io, se avessi avuto abbastanza altruismo e abbastanza umiltà, e di cui l’attuale società denuncia paurosamente la mancanza. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell’attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di sé stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me.

    Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: il socialismo di Turati e di Massarenti?

    L’altro motivo che mi ha reso gradita la tua lettera è l’epilogo della vicenda Silone. Io non vi ho alcun merito. La mia reazione ai tentativi d’imbrattarne il nome e il ricordo fu istintivo, ma senza apporto di prove e documenti. Siete stati tu e i tuoi due compagni a compiere quest’opera meritoria, e che a riconoscerla tale siano due giornali come l’Unità e il Secolo d’Italia, eredi di due partiti che, sia pure per ragioni opposte, avrebbero avuto tutto l’interesse a discreditare il loro comune avversario, è cosa che fa onore anche ai due giornali.

    Bene, caro Tamburrano. Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito ritroverà . . .

 

 

“Sono un disordinato assolutamente refrattario al lavoro di team e animato da uno spirito d’indipendenza che spesso sconfina nella riottosità: non conosco remore di cautela e di diplomazia; non credo che riuscirei a imporre la disciplina per il semplice motivo che non l’ho mai rispettata io stesso.” Così scriveva Indro Montanelli in una lettera del 1967, pochi anni prima di fondare “il Giornale”. Per tutta la vita il grande giornalista ha tenuto una fitta corrispondenza, pubblica e privata, con i protagonisti della politica, della cultura e del giornalismo, da Andreotti a Cossiga, da Nenni a Pertini, da Buzzati a Prezzolini, a Longanesi e Guareschi, ma anche con la prima moglie, gli amici, i familiari. Dalla lettera al suo professore di liceo, in cui un Montanelli ventenne rivela le sue aspirazioni di giornalista, a quelle inviate ai genitori dal fronte africano nel 1935 e dal carcere nel 1944. E naturalmente i lunghi anni al “Corriere”, quelli al “Giornale” fino allo scontro con Berlusconi. Questi testi inediti, nella freschezza del dialogo e nell’immediatezza delle emozioni raccolte, ci rivelano il lato più intimo di Montanelli, ricostruendone l’intera parabola esistenziale attraverso la sua viva voce. Il risultato è un’autobiografia postuma che completa le note dei suoi diari, offrendo ai lettori il ritratto sorprendente di un uomo che a novant’anni dichiara “So di avere scritto sull’acqua. Ma ciò non mi ha impedito di continuare a scrivere, impegnandomi tutto in quello che scrivo”.


Indro Montanelli (Fucecchio, 22 aprile 1909 – Milano, 22 luglio 2001), è stato uno tra i maggiori giornalisti italiani del Novecento, inviato speciale del “Corriere della Sera”, fondatore del “Giornale nuovo” (1974) e della “Voce” (1994). Dal 1995 nuovamente al “Corriere” come editorialista.