giovedì 15 novembre 2012

Caserma mai

120 anni di socialismo italiano


Il socialismo italiano è un affollato Pantheon di personalità eccezionali, ma non è mai stato una caserma. È stato (ed è) cocciuta rivendicazione del diritto all'eresia: contro avventurismi, demagogismi e massimalismi di ogni sorta.


di Nicola Del Corno


“Se oggi in Italia ci sono meno analfabeti, meno affamati, meno ammalati, ciò è dovuto esclusivamente al Partito Socialista Italiano”, queste parole, pronunciate in Parlamento da Filippo Turati nel novembre 1922, sintetizzano meglio di ogni altra immagine il contributo fornito dai socialisti al progresso della società italiana.

    Se è difficile tratteggiare in poche parole le vicende del socialismo italiano, si può però agevolmente proporre una breve panoramica della cultura socialista, attraverso alcuni riferimenti tratti dai protagonisti di questa luminosa storia. Dalle loro proposte emerge la sostanziale linea rossa che ha sempre legato il socialismo italiano all’idea di uguaglianza coniugata con la libertà, in modo da arrivare ad una giustizia sociale che sia sostanziale, e non meramente formale, come già peraltro aveva richiesto Giuseppe Garibaldi durante il Risorgimento, e ribadito Sandro Pertini all’indomani della liberazione dal nazi-fascismo nell’affermare che giustizia e libertà non possano esser mai disgiunte: “Per i socialisti, libertà e socialismo costituiscono un binomio inscindibile; l’un termine presuppone l’altro”.


    Peculiarità del miglior socialismo italiano, ossia di quello più consapevole e capace di assumere l’etica della responsabilità, è risultata il pragmatismo nel voler migliorare le condizioni dei ceti subalterni. Particolare merito del socialismo riformista, ossia del miglior socialismo italiano, risulta stato anche quello di aver diffidato di avventurismi, demagogismi, massimalismi di ogni sorta. La concretezza è stata la loro stella polare, anche quando trasformare un’idea in pratica poteva apparire una strada lunga e faticosa, come spiegava Camillo Prampolini nella sua parabola La Montagna del 1909: “La vera strada è quella indicata e seguita dai socialisti di tutto il mondo, quella su cui cammina anche il PSI. È la strada dell’unione dei lavoratori i quali […] costruiscono [il metodo] della solidarietà mediante la loro organizzazione economica […] difeso e aiutato con la conquista del Municipi, delle Province, dei Parlamenti”, ossia metodo democratico.

    Un’altra caratteristica forte del miglior socialismo nostrano è quella che Andrea Costa chiamò il diritto all’eresia: “Bisogna riserbarci la possibilità di diventare eretici, altrimenti si muore”; concetto ripreso da Pietro Nenni quando nel 1968, di fronte all’ingresso dei carri armati sovietici a Praga, esaltò in Parlamento quella “eresia della libertà” che il socialismo dal volto umano di Dubcek stava cercando di sperimentare nel suo Paese.

    Il socialismo italiano non è mai stato una caserma, non è mai stato un movimento che ha richiesto ai suoi militanti un prono asservimento pratico ed ideologico. La storia del socialismo italiano – lo sappiamo bene – è stata anche storia di scissioni, e questo anche perché il socialismo ha sempre posto e rispettato il giudizio del singolo individuo prima di ogni altra esigenza del partito, come ebbe a dire tra gli altri Saragat nel drammatico discorso di Palazzo Barberini del 1947: “C’è per tutti noi socialisti qualcosa che è più in alto dello stesso nostro partito ed è il diritto di ogni uomo di giudicare nella propria coscienza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto”

    Il socialismo italiano è quindi libertario nel suo dna; questa è stata la sua forza, la sua ricchezza, la sua capacità attrattiva. Si è socialisti non solo perché si hanno a cuore i diritti dei ceti subalterni, gli ideali di giustizia e solidarietà, il rispetto nei confronti delle persone che ci stanno attorno; ma si è socialisti anche perché si difende l’idea di libertà come caratteristica fondamentale di ogni individuo. Ciò fu affermato con forza da due protagonisti della storia del socialismo italiano quando questo si trovò di fronte ai totalitarismi caratterizzanti un ventennio e più della storia europea. Fondamentale allora divenne ribadire l’alterità del socialismo rispetto non solo al nazi-fascismo, ma anche rispetto al comunismo liberticida e dittatoriale quale quello scaturito dalla rivoluzione russa, che pure molte speranze aveva suscitato al momento del suo scoppio. Giacomo Matteotti affermò infatti nel 1923 che “i socialisti credono condizione necessaria per lo sviluppo e l’emancipazione della classe lavoratrice il metodo democratico e un’atmosfera di libertà politica”; Carlo Rosselli ribadì alla fine degli anni 20 che “la libertà, presupposto della vita morale così del singolo come della collettività, è il più efficace mezzo e l’ultimo fine del socialismo”. Il socialismo proposto da Matteotti e da Rosselli fu pertanto un socialismo democratico, liberale; che non deve avere paura del dissenso, della libertà, dell’individuo, che non cerca alcuna scorciatoia verso unanimismi incompatibili con i nostri ideali.

    Il socialismo è quindi stato storia di uomini liberi e donne libere. Sull’importanza del contributo femminile alle battaglie socialiste scrisse parole inequivocabili Anna Kuliscioff già nel 1897 quando affermo che le donne hanno bisogno di forze e organizzazioni socialiste per supportare le loro richieste in tema di parità diritti e opportunità, ma al tempo stesso il socialismo ha bisogno delle donne, perché lungi dall’essere un’ideologia che si preoccupa solo di economia e di politica, il socialismo è soprattutto una “questione morale”, un modo di interpretare la vita a tutela e supporto dei più deboli, e quindi proprio dal genere femminile provengono quelle testimonianze esistenziali che servono a rendere pratica un’idea.

    Bisogna quindi essere orgogliosi di essere socialisti nella consapevolezza che le migliori pagine della nostra storia patria sono state spesso scritte da socialisti; questo è ciò che affermò Bettino Craxi alle fine degli anni ’70 sottolineando come “una parte assai importante di ciò che concretamente si è fatto nel nostro Paese in favore di una maggiore giustizia e di una maggiore eguaglianza è dovuto alle iniziative e alle lotte del PSI”.