mercoledì 27 maggio 2015

E se Renzi si stesse impiccando da solo?

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

L'Italicum è forse la sciocchezza più grossa della sua vita di apprendista politico presuntuoso e ignorante

 

di Enzo Marzo

 

L'attenzione dell'opinione pubblica in queste ultime settimane si è concentrata sull'approvazione dell'Italicum.  Che per noi rimarrà sempre un Sovieticum.  Con grande protervia Renzi lo ha voluto e lo ha ottenuto.  Ma ragioniamoci su.  Può essere anche che il Presidente del consiglio si sia fabbricato con le sue stesse mani la propria rovina.  Tutta la vicenda contiene tre gravi “mostri”.  Prima di tutto la riforma elettorale sarebbe dovuta essere di iniziativa parlamentare e non governativa, proprio perché una legge di tale importanza non può farsela su misura la maggioranza di governo.  Così abbiamo subìto una prima fase col pastrocchio in cui Berlusconi era all'opposizione del governo e nello stesso tempo legiferava assieme al Presidente del consiglio nel chiuso di una stanza.  Secondo “mostro”: ufficialmente non si è mai saputo quale fosse la proposta di Renzi.  Egli anzi avrebbe avuto il dovere e il potere di gettare sul tavolo l'ipotesi ufficiale del Pd, e poi di trattare su quella base.  Al contrario, il Nazareno fin dall'inizio ha partorito uno sgorbio in cui si vedeva solo l’interesse dei due interlocutori.  La seconda fase, con la fuoriuscita masochistica di Berlusconi, non ha cambiato la sostanza della riforma: capilista nominati, candidature plurime e infine il marchingegno del ballottaggio fra le prime due liste.  Ed siamo al terzo “mostro”: viene approvato con un’esigua maggioranza e con gravi forzature anche procedurali un pasticcio incostituzionale irrispettoso degli elettori e pericolosamente cesaristico.

    Tutti – compreso Renzi - sono stati accecati dal faro del meccanismo tecnico della legge, dimenticando che la storia non è una fotografia ma un film, muta continuamente e certe formule che sono disegnate per l'oggi con certi scopi (perversi) già il giorno dopo possono non andare bene.  O addirittura diventare controproducenti.  Facciamo due conti.  Secondo gli ultimi sondaggi e le u ltime elezioni comunali sia il Pd sia Forza Italia sono in netto calo.  Vediamo nei dettagli: il Pd (i giornali quasi non ne hanno parlato) a Trento ha perduto lo 0,2% rispetto alle 2010, ma è andato sotto di ben 19,5 punti in un solo anno.  Alle Europee ave va raccolto 24.774 voti, oggi solo 13.666 (11.108 voti in meno, ovvero il 45% del suo elettorato).  A Bolzano ha perduto lo 0,3% rispetto al 2010, e 18,8 punti rispetto alle Europee, quando aveva raccolto 15.591 voti (oggi 6541 (9.050 in meno, ovvero il 5 8% del suo elettorato).  In percentuale ha perduto , rispetto alle Europee, persino più della stessa Forza Italia al fallimento.  Forza Italia ha di che piangere.  A Trento ha perduto il 7,7% rispetto al 2010 e si è più che dimezzata in un solo anno.  Alle Eur opee aveva raccolto 4.517 voti, oggi 1.963 (2.554 in meno, ovvero il 56,5% dei suoi votanti.  A Bolzano è stata una catastrofe: ha perduto 17,9 punti dalle ultime Comunali e il 6,8% dalle Europee, dove aveva raccolto 4.530 voti e ora 1.406 ( meno 3.124, cio è il persino esagerato 68,96% del suo elettorato).  Ad Aosta Fi non è riuscita neppure presentare la lista.  Aspettiamo le elezioni regionali e rifaremo i conti.

    Si dirà: ma l'esempio è esiguo e quindi non significativo.  Forse, ma anche un esempio esiguo d iventa significativo se le cifre sono così clamorose.  Comunque passiamo ai sondaggi.  Nell'ultima ricerca pubblicata, quella dell’ IXÈ, Forza Italia registra l'11,3% (perdendo lo 0,5% rispetto al mese precedente) ed è largamente superata dalla Lega di Salvi ni che sfiora il 14%.  Il Pd di Renzi sta al suo minimo storico.  Dopo il record del luglio scorso (43,4%) ora raggiunge appena il 36,2% (perde 7,4 punti percentuali infilandosi in un trend negativo).  Sorge spontanea la domanda: Renzi non si sarà forse iscritto anche lui alla “Sinistra masochista”?

    Ma ora basta con le cifre e torniamo all'Italicum.  È chiaro che la legge elettorale così come è stata elaborata non serve più a Renzi, che si trova di fronte a un paradosso.  Se spinge per elezioni politiche ravvicinate, la situazione rovinosa dei berlusconiani lo priva dell’avversario preferito, con enormi rischi; se invece lascia passare anni per dare a Berlusconi la possibilità di riaggiustare i cocci, deve tener conto che l'attuale trend negativo potrebbe assottigliare di molto il suo tesoretto accumulato con le elezioni europee.

    La nostra ipotesi fa riferimento all'oggi, perché non vogliamo rubare il mestiere ai profeti.  Ma proviamo a spostare l'attenzione dalla “riforma incostituzionale” al suo effetto sulle elezioni politiche.  Se si svolgessero domani.  Risultato: Renzi non raggiunge il 40% e quindi è costretto al ballottaggio.  Forse lo aveva anche previsto, ma con la certezza che il suo avversario sarebbe stato il "cotto" Berlusconi.  Oggi questa certezza non c'è più.  Perché Berlusconi appare troppo “cotto".  Se al successo della Lega, così vistoso, si aggiunge la presunzione di Salvini, appare poco probabile la formazione di una sola lista di destra.  In più, questa, con dentro razzisti, omofobi, Casa Pound, fas cisti e i soliti delinquenti forzisti lascerebbe a Renzi una fascia vistosa di elettori di centrodestra.  Facciamo un passo avanti.

    La débacle di Berlusconi significherebbe un ballottaggio tra Renzi e Grillo (ora stabile sul 20%).  Un rischio mortale per Renzi.  Per lui voterebbero tutti i moderati e la Casta con tutti i suoi famigli, ma Grillo avrebbe dalla sua un elettorato variegato e contraddittorio, da tutta la sinistra a una parte persino del Pd, dagli “sfascisti" a tutte le vittime della crisi economica, dalla destra in vena di ritorsione agli apocalittici.  Determinante, a quel punto, sarebbe il più grosso “partito” nazionale, quello delle astensioni. Renzi, col suo peronista “partito della nazione” modello de Luca (dentro tutti: delinquenti, camorristi, trasformisti berlusconiani e "impresentabili" sciolti), forse capirebbe di aver partorito con l’Italicum uno strumento autoritario da regalare ad altri, e quindi la sciocchezza più grossa della sua vita di apprendista politico presuntuoso e ignorante.

 

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L’Italicum e l’Uomo Nero

FONDAZIONE NENNI

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di Edoardo Crisafulli

 

Più d'un intellettuale che stimo critica severamente l'Italicum. Felice Besostri la ritiene una legge elettorale incostituzionale da cima a fondo. Non conosco il latinorum costituzionale, quindi non entro nel ginepraio dei molteplici rilievi. Ricordo solo quel che dice Cesare Salvi: l'Italicum introduce un Presidenzialismo senza contrappesi, perché prevede l'elezione diretta del premier in un sistema di governo parlamentare. Argomentazione giuridicamente ineccepibile. Ma ha senso far politica a suon di ricorsi?

   Il dibattito sull'Italicum appassiona, ahimè, solo i dottori della legge. Se i profani hanno le idee confuse è perché dai giudizi tecnico-giuridici trapela una chiara visione politica. La legge, allora, è buona nelle intenzioni ma è solo scritta in maniera maldestra? Oppure, cavilli a parte, è stata concepita male fin dall'inizio? Rassegnamoci: nessuno è davvero obiettivo su questa materia delicata. Tutti parliamo per partito preso. Chiunque valuti lo 'spirito' di questa legge, è costretto a dare un giudizio sul disegno politico di Renzi. Delle due l'una: o il principio della governabilità è giusto – e allora l'Italicum ha una sua ratio – o è sbagliato – e quindi è logico appigliarsi a ogni sottigliezza che la dottrina suggerisce per contestare questa novità, che si presume foriera di sventure.

    Una legge elettorale è "buona" se garantisce un equilibrio tra governabilità e rappresentanza. Non c'è la soluzione perfetta. Il mio sistema preferito – il proporzionale puro con uno sbarramento al 3-5% — sarebbe sbilanciato sul versante della rappresentanza. Credo che Renzi abbia ragione. Se la sua legge produrrà più stabilità politica, più capacità decisionale, allora ben venga. Chi proviene dall'esperienza socialista sa che la democrazia o è governante o non è. Rivendico il mio diritto all'eresia: l'Italicum non sarà la legge elettorale migliore al mondo, ma non è neppure la peggiore: è comunque un sistema proporzionale, pur tarato sulla governabilità; tutela i partiti piccoli (la soglia di sbarramento è ragionevolissima: il 3%) e le minoranze linguistiche; prevede le quote rosa; la soglia per ottenere il premio di maggioranza non è così bassa: è il 40%. (ben più del 35-37% ipotizzato inizialmente). È vero: 100 capilista sono scelti dalle segreterie dei partiti. Ma tutti gli altri deputati vengono eletti con le preferenze. Mi pare un compromesso dignitoso. L'Italicum sancisce la prassi dei deputati nominati dall'alto. Ma lo fa alla luce del sole, e pone un limite preciso. Quanti deputati negli ultimi vent'anni sono stati candidati perché così avevano voluto gli italiani? L'unico dubbio riguarda il ballottaggio: poniamo che il PD prenda il 30% dei voti e vada alla resa dei conti con una Forza Italia attestata al 25%. Se non tornassero tutti a votare, avremmo un partito eletto con poco più di un terzo degli elettori. Non è uno scenario da salti di gioia. Ma dov'è lo scandalo? In Gran Bretagna – uno dei paesi più liberali e democratici al mondo – c'è un sistema criticatissimo, ma che nessuno si sogna di cambiare, basato sui collegi uninominali (first past the post). Ebbene, nel 2005 Blair vinse con il 35% dei voti ottenuti su base nazionale; con tale percentuale il partito laburista ottenne il 55% dei seggi – lo stesso premio previsto dall'Italicum. Nel 2012 Hollande al primo turno delle legislative prese addirittura il 29% dei voti. Morale: se vogliamo un bipartismo "governante", c'è un prezzo da pagare. Se preferiamo che si governi con il 51% dei voti reali, allora avremo coalizioni traballanti. Ovvero delle ammucchiate (ricordate il Prodi II? Oltre 100 tra ministri e sottosegretari, in rappresentanza di 10 partiti; il governo cadde dopo solo due anni, per volontà dell'UDEUR).

    È legittimo criticare – Costituzione alla mano – l'Italicum. Ma la si può definire una legge anti-democratica, che snaturerà la nostra vita politica? Mi stupisce che anche Cesare Salvi parli di "deriva autoritaria." Anti-costituzionale e anti-democratico non sono la stessa cosa. Le accuse strampalate germogliano con rapidità impressionante: Renzi sarebbe un prepotente, un dittatore sotto mentite spoglie. Tornano in mente le vignette di Forattini che ritraevano un Craxi in stivaloni neri e piglio ducesco (e oggi, guardacaso, a Craxi si rimprovera di non avere condotto in porto la Grande Riforma…). Riemerge la pulsione irrefrenabile della sinistra italiana: la paura del rigurgito autoritario, del ritorno di fiamma del fascismo. Se era legittimo, anzi: doveroso, stare in guardia fino agli anni settanta, quando il tintinnar di sciabole non era una finzione, oggi evocare fantasmi autoritari è ridicolo: l'Italia è profondamente e irreversibilmente democratica. Sfido chiunque a dimostrare, fatti alla mano, il contrario. La retorica dell'Uomo Nero fa parte di una propaganda politica ormai datata. Per vent'anni il partito dell'indignazione permanente ha denunciato l'autoritarismo berlusconiano. Ma i governi di Berlusconi, che pure si reggevano su maggioranze "bulgare", sono stati i più inconcludenti della storia repubblicana. La Rivoluzione Liberale, annunciata con il rullio dei tamburi, è rimasta un miraggio. Ragion di più per elogiare la governabilità, il decisionismo. I tempi dell'assemblearismo (ben altra cosa è il rispetto per il Parlamento), della lentocrazia, dei veti incrociati, dei franchi tiratori, è finito. Anche in Italia chi vince deve poter governare; solo così restituiremo lo scettro al popolo.

    Provo un grande rispetto per i giuristi e gli intellettuali che dissentono: il dubbio è il sale della vita democratica. Ma la minoranza dem è ipocrita, non è credibile. Se questa legge si preannuncia così liberticida, perché non ci fate tornare alle urne? Basta sfiduciare il governo. Semplice, no? Ci troviamo nel teatro dell'assurdo: un leader, Renzi, eletto alla segreteria del PD con un metodo iper democratico, accusato di volere una legge anti-democratica; a contestarlo, una pattuglia di ex esponenti del PD-PDS che reclamano una legge iper democratica pur avendo fatto carriera con metodi poco democratici: quanti dirigenti della sinistra sono stati cooptati dall'alto? La deriva autoritaria, cari compagni, si manifesta anzitutto sub specie aeternitatis – come inamovibilità delle élites. Ecco perché la Gran Bretagna è un Paese intimamente democratico: Ed Miliband si è dimesso il giorno stesso in cui ha perso le elezioni; e non giocherà mai più un ruolo di primo piano nel partito laburista. Così è stato per Gordon Brown prima di lui e per tutti gli altri. Dove erano le Vestali della Costituzione tradita quando i leader della sinistra si davano il cambio nel valzer delle poltrone, e rimanevano sulla cresta dell'onda anche dopo tremende batoste elettorali? Da noi i politici sono attaccati al potere come cozze agli scogli. È difficile accettare lezioni di democrazia da chi ha monopolizzato il principale partito della sinistra (PDS, DS, PD) per vent'anni, e non ha mai voluto una legge che ne disciplinasse in senso democratico la vita interna (guai a legarsi le mani da soli!). Che senso proporre una legge elettorale che più democratica non si può quando i partiti stessi non sono democratici (solo il PD ha un leader scelto con le primarie)?

    Il sintomo della nostra malattia è l'astensionismo, l'indifferenza. Cos'è peggio, un Italicum in cui votano due terzi degli aventi diritto o un proporzionale puro in cui vota meno della metà degli elettori? Nessun sistema elettorale convincerà un popolo deluso e ammaliato dall'anti-politica a recarsi alle urne en masse. Nutro dubbi sulle virtù salvifiche di una legge elettorale. L'Italicum ci può semplicemente assicurare la governabilità, la stabilità. Il che non è poco: in democrazia è sempre meglio una decisione sbagliata che una non decisione; il procrastinare fra mille mediazioni porterà a una morte certa per asfissia. Il nostro problema non è solo la corruzione dilagante, è anche il teatrino della politica inconcludente, lo spettacolo dei politici che promettono mari e monti e poi non fanno nulla. Oggi l'opposizione è un'armata Brancaleone in cui ognuno dà sulla voce dell'altro: c'è una Lega battagliera ed estremista, una Forza Italia rediviva ma anemica e senza bussola, un movimento 5 stelle di "duri e puri" che ha scelto l'indignazione permanente. Ma quello che mi preoccupa di più sono i milioni di italiani che, schifati, se ne stanno a guardare alla finestra. Altro che spauracchio dell'Uomo Nero.

 

Camusso, i diritti per Statuto

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Intervista con la segretaria nazionale della Cgil. Libertà e dignità sono i princìpi affermati nella legge 300 che compie 45 anni. Quei diritti vanno oggi rafforzati e resi universali anche alla luce dei cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro

 

di Altero Frigerio, RadioArticolo1

 

"Potremmo dire che lo Statuto dei lavoratori è una delle grandi leggi di applicazione della Costituzione, non a caso viene definita legge di rango costituzionale. È la legge che traduce i valori contenuti nella Costituzione: i principi di libertà sindacale e di associazione, il lavoro come uguaglianza e quindi fondato sui diritti, per arrivare all’Articolo 1 'L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro'”. Così Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, in un'intervista rilasciata a RadioArticolo1.

    "Non a caso lo Statuto fu salutato come l’ingresso della Costituzione dentro le fabbriche, della cittadinanza dentro i luoghi di lavoro. Questo ingresso si è realizzato attraverso quella fondamentale scelta che di fronte alla disparità tra i due contraenti, l’impresa e il lavoratore, la legge deve intervenire a sostenere il soggetto più debole. Oggi ne festeggiamo il quarantacinquesimo anniversario. Per qualcuno 45 anni sono troppi anni e quindi va cambiato. In realtà, sono il segno di quanto da poco tempo la cittadinanza è entrata a pieno titolo nei luoghi di lavoro e - quando il tempo è poco - c'è sempre bisogno di rafforzare quell’insieme di diritti e di renderli universali. (Continua la lettura su sito di rassegna.it)

 

Vai all’audio dell’intervista con Susanna Camusso

 

lunedì 18 maggio 2015

I nodi dell’Italicum

FONDAZIONE NENNI

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 di Cesare Salvi

 

È probabilmente inutile ripetere le critiche di merito e di metodo alla legge elettorale, chiamata Italicum, approvata in via definitiva nei giorni scorsi.

    Quanto al contenuto, la principale critica è la introduzione di una forma di elezione diretta del premier (come ha sottolineato uno dei suoi principali fautori, il politologo D'Alimonte), pur mantenendo formalmente il sistema di governo parlamentare. Si introduce cosi in modo surrettizio il presidenzialismo, senza i contrappesi previsti là dove è adottata questa forma di governo. Ciò è aggravato dalla nuova composizione del Senato, che riduce ulteriormente i contrappesi parlamentari.

    Del resto, il metodo con il quale la legge è stata approvata conferma già da oggi questi rischi. I presidenti del Senato e della Camera hanno accettato supinamente le forzature del governo: Grasso, ammettendo l'emendamento presentato, su sollecitazione del governo, del sen. Esposito; Boldrini ammettendo il controverso voto di fiducia senza nemmeno convocare la Giunta per il regolamento. L'effetto è stato di precludere la possibilità di modificare la legge, con una compressione del potere emandativo del Parlamento che non lascia ben sperare per il futuro.

    Ma, come ho detto, queste criticità sono state già segnalate con efficacia, in particolare da Gianni Ferrara e Massimo Villone.

    Ormai la legge è approvata (anche se entrerà in vigore tra un anno), e bisogna essere consapevoli che sarà molto difficile rimetterla in discussione (per ragioni tecnico-giuridiche e politiche, sulle quali è qui inutile soffermarsi) con gli strumenti di cui oggi si parla, il referendum abrogativo o il ricorso alla Corte costituzionale.

    L'unica via per fermare la deriva autoritaria è far saltare la riforma costituzionale: con il voto del Senato (previsto a giugno), impedendo che il testo raggiunga la maggioranza assoluta dei voti; o con il referendum, che avrà luogo se la nuova normativa avrà invece i voti parlamentari sufficienti.

    Se la riforma costituzionale non sarà approvata, infatti, per il Senato rimarrà l'elezione diretta, con la legge di impianto proporzionale che risulta dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la legge chiamata "porcellum".

    Ma sarà possibile fermare , in parlamento o nel paese, la riforma del Senato?

    Per rispondere a questa domanda, bisogna intanto domandarsi come sia stato possibile che il parlamento eletto nel 2013 sia arrivato a questo punto, pur avendo una larga maggioranza di centro sinistra.

    Oggi Bersani e altri esponenti del PD parlano di deriva autoritaria. Ma come mai se ne sono accorti solo ora, alla quarta lettura della legge?

    Credo che ci sia una ragione di fondo al di là quelle legate ai tatticismi e all'evoluzione della lotta politica interna al PD.

    Questa ragione risiede in un profondo deficit di cultura politica. Quando Stefano Rodotà e altri eminenti studiosi segnalarono fin dalla presentazione dei progetti, il rischio della deriva autoritaria, furono lasciati soli di fronte a Renzi che li chiamava gufi e professoroni.

    La cultura politica della sinistra maggioritaria é debole o inesistente, e ciò impediva di leggere la sostanza di quanto si veniva proponendo.

    Essa era (e in buona parte ancora è) subalterna alle ideologie del decisionismo e della governabilità, ben espressa dalla sciocca formula "la sera del voto si deve sapere chi ha vinto". Come se finora non lo si fosse, nella sostanza, saputo, senza bisogno di investiture plebiscitarie, sia ai tempi della legge proporzionale che in quelli successivi del maggioritario. E quanto al decisionismo ultramaggioritario (che solo consentirebbe di approvare riforme) come dare una spiegazione del fatto che, con la legge proporzionale, negli anni '60 e '70 del secolo scorso sono state approvate riforme come il divorzio, lo Statuto dei lavoratori, la scuola media unificata, il sistema sanitario nazionale, ecc.?

    Il problema della democrazia italiana oggi non è la difficoltà di decidere, ma il deficit drammatico di partecipazione e di rappresentatività democratica, che sta causando un crescente e inquietante distacco dei cittadini e delle istituzioni. Le riforme dovrebbero dare una risposta a questo problema, non accentuare il distacco tra cittadini e istituzioni.

    Una riflessione di questo tipo è stata, almeno finora, del tutto assente dalla cultura politica della sinistra (tutta).

    Ma se non si avrà il coraggio e la determinazione di costruire una piattaforma istituzionale, alternativa a quella di Renzi perché basata su un'altra idea della democrazia, mi pare evidente che i prossimi appuntamenti, a cominciare dall'impegno contro la riforma del Senato, difficilmente potranno avere il necessario consenso popolare.

    Spero quindi che quanto accaduto suoni la sveglia a sinistra, dopo l'occasione mancata sulla legge elettorale. Senza idee innovative e alternative, la battaglia democratica sarà purtroppo limitata a restare minoranza.

Buona Scuola?

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Renzi attacca, ma non chiede “fiducia”

 

Alla vigilia della discussione in aula del ddl sulla riforma della scuola, si inasprisce la battaglia tra Governo e rappresentanti di categoria. Ieri, prima il boicottaggio degli Invalsi, poi subito dopo un acceso confronto fra governo e sindacati dove non si è trovato alcun accordo, ma si è arrivati a minacciare anche il blocco degli scrutini da parte degli insegnanti.

    Oggi dopo l’incontro con gli studenti (Rete degli studenti, la Federazione degli studenti, Studicentro, Movimento studenti Cattolici, Movimento studentesco nazionale) è stata avanzata da parte dell’Unione gli studenti la richiesta di finanziare le legge quadro sul diritto allo studio. L’incontro per gli studenti è stato solo una “presa in giro”, Alberto Irone, portavoce nazionale della Rete degli Studenti Medi ha attaccato: “È stato un incontro di facciata, le aperture del Governo sono del tutto insufficienti e non c’è reale volontà di cambiare i saldi del ddl”. L’Unione degli Studenti ha commentato l’incontro così: “Il Governo non vuole riconoscere le istanze maggioritarie sulla scuola che si sono espresse negli ultimi mesi di mobilitazione”.

    Martina Campani, dell’Uds ha criticato anche le modifiche: “Gli emendamenti fatti dopo lo sciopero pur avendo migliorato qualcosa, nella maggioranza dei casi si sono rivelati degli specchietti per le allodole che non cambiano la sostanza del provvedimento. Nell’incontro di oggi c’è stato un palese tentativo di strumentalizzare gli studenti contro i docenti e i sindacati, facendo delle aperture sugli emendamenti senza però intaccare i pilastri complessivi della riforma”.

    La via del confronto sembrava la sola percorribile, ma non sembrano esserci sponde, tanto che il metodo, affermano fonti a Palazzo Chigi, continua ad essere quello del confronto costruttivo e del dialogo come dimostrano le consultazioni in corso e vengono smentite le indiscrezioni che ipotizzano l’uso della fiducia da parte del governo sulla riforma della scuola.

    Anche Matteo Renzi ha alzato la voce e in un video sul sito del Governo afferma: “Sono proprio contento del fatto che finalmente la scuola è al centro della discussione. Non apprezzo i toni, le polemiche ed i boicottaggi di chi non vuole far partecipare i ragazzi agli Invalsi, ma bene che la scuola sia al centro”.

 

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IPSE DIXIT

 

Radiosa definizione di ‘Dadaismo’ - «Dada non significa nulla » - Tristan Tzara

 

mercoledì 13 maggio 2015

IL SÌ DEL QUIRINALE

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di Ginevra Matiz

 

Mattarella firma l’Italicum e Pippo Civati lascia il Pd mentre a sinistra si annuncia la possibile nascita di una nuovo partito (Vendola). “Esco dal gruppo del Pd. Per coerenza con quello in cui credo e con il mandato che mi hanno dato gli elettori, non mi sento più di votare la fiducia al governo Renzi. La conseguenza è uscire dal gruppo”. Alla fine Civati ha deciso. Dopo diversi annunci e dopo essersi avvicinato alla porta più in più di una occasione, questa volta il deputato della minoranza Pd ha deciso di attraversare il Rubicone. La goccia è stata l’approvazione del “Renzellum”, la nuova legge elettorale, con l’imposizione del voto di fiducia da parte del presidente del consiglio. Legge appena firmata dal Presidente della Repubblica. Firma che secondo alcuni non avrebbe dovuto apporre. Tra questi il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo: “Il Presidente della Repubblica è un costituzionalista – aveva detto poco prima della firma –  dovrebbe vedere se ci sono alcuni aspetti che secondo me sono molto forzati”.

    Ieri sera, evidentemente in modo non casuale, Vendola aveva annunciato di essere pronto a sciogliere il gruppo parlamentare “formare un raggruppamento nuovo, più grande”. Per Vendola questa trasformazione nasce dal bisogno di “movimentare la scena perché – aveva concluso – questa puzza di autoritarismo che promana Palazzo Chigi è insopportabile”. Da Sel ha parlato anche il coordinatore nazionale Nicola Fratoianni: “Siamo pronti a discutere con Civati e dare vita al più presto ad una forza politica in grado di dare voce alle tante distanze dal Pd che sono vicinanze per Sel. Siamo pronti a mettere in discussione l’assetto dei nostri gruppi parlamentari e del partito perché sappiamo che oggi è il tempo per costruire una risposta”, ha aggiunto. Insomma l’approdo di Civati a Sel sembra scontato, anche se probabilmente avverrà in un secondo tempo dopo un passaggio al gruppo misto, ma soprattutto e da vedere se la sua decisione, ormai nell’aria da tempo, rimarrà un caso isolato o sarà seguita da altri dissidenti della sua area. Nel Pd – ha scritto Civati sul proprio blog – “hanno promosso e approvato, senza voler parlare, di leggi elettorali, riforme del lavoro e della Costituzione, cementificazioni e trivellazioni, e ce li siamo trovati in tivù a deridere le ragioni di chi difende l’ambiente o crede che il futuro passi attraverso soluzioni differenti. Peccato (soprattutto per loro): perché invece il futuro sarebbe a portata di mano, basterebbe imparare a sposare tradizione e cambiamento, coniugando cose antiche come i diritti e nuovissime come l’innovazione”.

    Dalla maggioranza del Pd nessuno sembra stracciarsi le vesti. L’uscita di Civati è un problema in meno a meno che non diventi il primo di una serie di deputati che seguano la stessa strada. Ipotesi al momento molto improbabile. Il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini ha detto di essere “dispiaciuto ma era una decisione preannunciata da tempo”. Per quanto riguarda la maggioranza al Senato Guerini dice di non essere “impensierito, non credo che la minoranza Pd lo seguirà”. Civati “da tempo non votava in Aula a sostegno del governo – ha proseguito Guerini -. La sua scelta era nell’aria, noi rispettiamo la sua scelta”. Guerini non crede che la scelta di Civati possa influire su altri deputati e senatori non troppo allineati con il segretario-presidente e sottolinea comunque di non aver timore che si crei un nuovo soggetto a sinistra del Pd: “Già c’è e noi ci confrontiamo con loro”.

    Per il deputato riformista Dario Ginefra “non può far piacere l’uscita da un partito di qualsivoglia iscritto, figuriamoci di una persona con le qualità di Pippo, ma la notizia della la sua scelta contribuisce a far chiarezza. Si tratta in fondo della cronaca di una morte annunciata”.  Corradino Mineo ha già detto che non seguirà la scelta di Civati: “Il Pd è la nostra trincea, mollare sarebbe come disertare. Quanto è accaduto – dice il senatore ‘civatiano’ – è una cosa grave: Civati era uno dei due sfidanti di Renzi alle primarie e la sua uscita e la prova che prosegue il mutamento genetico del Pd di Renzi”.

    Un’uscita che per Vannino Chiti non è da sottovalutare. “L’uscita di un dirigente giovane come Civati è un segnale negativo. Esprime un disagio e delle insoddisfazioni dovute non soltanto a scelte che si possono non condividere, ma anche a un divario tra quello che il Pd dovrebbe essere e quello che è realmente, anche nei territori”. Preoccupazione arriva anche dall’ex capogruppo Roberto Speranza e parla di “un atto che deve farci riflettere e non può essere liquidato con una semplice alzata di spalle. Testimonia un malessere di tutto il Pd. Vedere Bondi che vota la fiducia e sentire un mondo largo, il nostro, molto critico con il Pd provoca inquietudine nell’elettorato. L’uscita di un candidato segretario che alle primarie ha preso 40 mila voti deve essere oggetto di riflessione” conclude Speranza.

    Un’uscita che probabilmente renderà più facile la strada del governo perché toglie forza a un’opposizione interna che stava diventando un freno. Un oppositore fa più danni da dentro che da fuori. Da Renzi, per ora, neanche una parola, impegnato in un incontro con i parlamentari del Pd, sul problema della riforma della scuola.

 

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Torture

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

 A metà del Seicento, il filosofo Thomas Hobbes diceva che lo Stato moderno è stato creato per salvaguardare l’incolumità e la sicurezza degli individui. Oggi, un altro filosofo, Giorgio Agamben dice che “lo stato di eccezione tende sempre più a presentarsi come il paradigma di governo dominante nella politica contemporanea”.

    Nello stato di eccezione le leggi sono sospese e le garanzie giuridiche delle persone sono disattivate. Nello stato di eccezione la vita umana è abbandonata senza alcun riparo, esposta agli abusi e alla tortura. Agamben la chiama nuda vita. Nude vite degli attivisti nella scuola Diaz al G8 di Genova; di Stefano Cucchi, di Federico Aldrovandi, di Francesco Mastrogiovanni, di altri di cui si conosce la sorte e di chi, e sono molti, si sa poco o nulla; nude vite di immigrati e rifugiati nei deserti e nei campi di concentramento in Libia e in Tunisia; sui barconi che solcano uno dei tratti di mare più sorvegliati al mondo, sorvolati dai velivoli, monitorati dai dispositivi di controllo nazionali e sovranazionali e poi abbandonati allo stato di eccezione del mare , dei trafficanti, degli speronamenti; nuda vita degli immigrati nei Cara, nei Cie, in galera, nelle camere di sicurezza di polizia e carabinieri, nei fermi e nei controlli notturni agli angoli delle strade e nelle piazze.

    Lo Stato italiano è stato condannato per la seconda volta (dopo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2013 sulle condizioni disumane e degradanti in carcere) perché a Genova ha praticato la tortura.

    Dovrebbe essere condannato anche per le stragi nel Mediterraneo, ma in questo caso, insieme all’Italia, il giudice della Corte europea dovrebbe condannare tutte le istituzioni che rappresenta.

 

La Nagazzetta

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IPSE DIXIT

 

L’argento è più vile  – «L’argento è più vile dell’oro, l’oro delle virtù». – Orazio

 

Se volete deprimervi – «Se volete deprimervi sul futuro dell'Europa, leggete quel che scrive Wolfgang Schäuble sul New York Times. Troverete un ripudio di ciò che sappiamo di macroeconomia, delle intuizioni che l'esperienza europea degli ultimi cinque anni avvalora. Nel mondo di Schäuble l'austerità conduce alla fiducia, la fiducia genera crescita e, nel caso in cui per il vostro Paese ciò non funzionasse, ciò significa solo che lo state facendo nel modo sbagliato». – Paul Krugman