martedì 10 maggio 2016

Terzo Valico, lo sciopero prosegue

LAVORO E DIRITTI - a cura di www.rassegna.it

 

Stop fino al 9 maggio dei lavoratori del versante piemontese della tratta ferroviaria tra Genova e Milano. A motivare la protesta la presenza di amianto, gli orari troppo lunghi, le mancate integrazioni salariali e le insufficienti condizioni di sicurezza

 

Prosegue fino a lunedì lo sciopero nei cantieri del versante piemontese del Terzo Valico ferroviario, precisamente in provincia di Alessandria, indetto dai sindacati edili di Cgil, Cisl e Uil. “Le richieste sono sempre le stesse: più salario e più sicurezza” spiega Massimo Cogliandro (Fillea): “Da mesi abbiamo solo parole, è arrivato il momento di risposte serie e concrete”. Un’infrastruttura strategica di grande importanza, realizzata dal general contractor Cociv e che riguarda la tratta tra Genova e Milano, che però si sta realizzando – sostengono i sindacati – con l’imposizione di turni massacranti (otto ore in galleria, quando dovrebbero essere quattro) e l’insufficiente osservanza delle misure di sicurezza e tutela personale dei lavoratori.

    Da lunedì 2 a mercoledì 5 maggio si sono svolte tre giornate di sciopero unitario nei sette cantieri interessati (tre in Liguria e quattro in Piemonte). I sindacati sottolineano la presenza di amianto (contenuto nella roccia con cui si lavora, tanto è vero che le perforazioni nella galleria ligure di Cravasco sono state bloccate per sette mesi proprio per la presenza nell’aria di fibre di asbesto) e la più generale mancanza di sicurezza nello scavo in galleria: “Abbiamo chiesto il rispetto delle norme in materia di sicurezza, come l'accesso al cosiddetto Documento di valutazione dei rischi, ma finora non ci è stato consentito di visionarlo” ha spiegato il responsabile Fillea Liguria Fabio Marante. Altro tema posto dai sindacati, e finora eluso dai responsabili aziendali, è quello delle integrazioni salariali per gli operai, costretti appunto a orari raddoppiati e condizioni ambientali e di sicurezza molto precarie.

    Le ragioni dello sciopero sono tante e gravi, hanno spiegato nei giorni scorsi in una nota i tre segretari generali piemontesi della Feneal Uil Tiziana Del Bello, della Filca Cisl Pier Luigi Lupo e della Fillea Cgil Massimo Cogliandro: “Troppo spesso gli orari per gli operai sono disumani, approfittando del fatto che ancora hanno il contratto a termine, mentre in galleria troppe volte sono fatte lavorazioni a rischio”. I tre esponenti sindacali rimarcano anche alcuni aspetti particolari: “”Il cantiere di Arquata è sprovvisto di acqua potabile e spogliatoi, mentre nel campo base di Pian dei Grilli, quando piove, dai rubinetti scende acqua di colore nero”. Più in generale, Bello, Lupo e Cogliandro rilevano “che la contrattazione per il salario va avanti in modo estenuante, da oltre sei mesi senza alcun significativo risultato a vantaggio dei lavoratori”, concludendo riguardo “l'assenza di ricadute positive per il territorio e la creazione di posti di lavoro, così come era stato promesso”.

 

 

 

Nella lotta incessante e senza quartiere - “Non dimenticheremo e faremo in modo che i nostri figli facciano lo stesso nella speranza che questo terribile ricordo appartenga alla memoria condivisa per rafforzare l’unione con il popolo ebraico nella lotta incessante e senza quartiere contro l’antisemitismo e contro ogni forma di odio di natura religiosa, etnica, di genere”. – Motto del Giorno del Ricordo della Shoah e del Coraggio (73° della Rivolta del Ghetto di Varsavia)

 

martedì 3 maggio 2016

Contro la logica e contro il futuro

Da Avanti! online www.avantionline.it/

 

SCHENGEN, ADDIO

 

Vienna presenta il piano per il "muro" al Brennero: «Pronti a schierare lʼesercito, controlli anche sul territorio italiano». Renzi: «Chiusura sfacciatamente contro regole Ue». Hofer su accordo di Dublino: «Firmato anche dall'Italia, lo rispetti». Locatelli: «Europa impotente». Cgia: «Duro danno anche all'economia, tra i 5 e i 10 mld»

 

di Maria Teresa Olivieri

 

Vienna non torna indietro, sbarra i confini con l'Italia e tira l'ennesimo muro nel cuore dell'Europa. Il Piano per la chiusura della frontiera al Brennero è pronto ed è stato illustrato oggi durante l'attesissima conferenza stampa congiunta delle autorità austriache, tedesche e italiane indetta sul funzionamento della barriera per i controlli. Helmut Tomac, il capo della polizia del Tirolo che ha presentato il piano che il governo austriaco intende attuare per evitare che il Paese venga "invaso" dagli immigrati e ha spiegato cosa intende fare l'Austria al Brennero: "Se l'Italia non ferma i profughi prima del valico, ci penseremo noi". Un annuncio che ha odore di minaccia verso l'Italia, tanto che il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha affermato: "L'ipotesi di chiudere il Brennero è sfacciatamente contro le regole europee, oltre che contro la storia, contro la logica e contro il futuro". Renzi rivendica poi il diritto, anzi "il dovere", di "chiedere all'Europa di cambiare linea sia sulla migrazione che sull'economia".

    Ma l'Austria non sembra battere ciglio di fronte alle proteste italiane e Vienna, ha spiegato ancora Tomac, schiererà al Brennero 250 poliziotti ai quali, in caso di necessità, verranno aggiunti, dopo il via libera del ministero della Difesa, anche dei militari. Vienna ha già predisposto tutto: ci sarà una rete metallica lunga 250 metri che si sviluppa in larghezza e "taglia", in perpendicolare, la carreggiata dell'autostrada A22, a est, e quella della strada statale del Brennero, a ovest. Due lingue di asfalto che corrono parallele, separate dalla ferrovia che passa in mezzo, lungo l'autostrada ci saranno 4 corsie separate con un limite di velocità di 30Km/h, i Tir verranno separati dalle auto. Inoltre il monitoraggio sarà previsto tanto sulla strada statale che lungo la ferrovia.

    Infatti in futuro potrebbero essere istituite pattuglie trilaterali per i controlli a bordo dei treni, che l'Austria chiede a partire da Fortezza (Bz) ma l'Italia continua ad opporsi. Se tale resistenza non verrà meno, Vienna procederà alla costruzione di un recinto di 370 metri lungo l'asse viario e obbligherà tutti i treni a uno stop alla stazione di Steinach per controllare che sui convogli non vi siano migranti irregolari. Insomma, come confermato dal Capo della Polizia, se l'Italia non permetterà alla polizia austriaca di salire sui treni già su territorio italiano per effettuare controlli sul flusso dei migranti, Vienna costruirà un recinto alla frontiera. Insomma l'Austria mette l'Italia davanti a un bivio, la cui ultima parola spetterà in ogni caso a Vienna. Non solo, ma a irritare Roma ci pensa anche il leader dell'Ultradestra vincitore delle elezioni del 24 aprile, Norbert Hofer che sulla revisione del regolamento di Dublino sul diritto di asilo ha beffato le richieste italiane. L'accordo "deve essere applicato così com'è – ha affermato – e i rifugiati devono rimanere nel primo territorio sicuro in cui arrivano". Per Hofer si tratta di un regolamento che hanno "firmato tutti, e tutti sapevano cosa c'era scritto". Anche gli italiani che, ha sottolineato ancora, "avrebbero potuto rifiutarsi. Ma se si sottoscrive" un patto, va mantenuto".

    Proprio l'Europa sembra inerme di fronte all'ennesimo attacco a quello che è il proprio tallone d'Achille, la gestione di migranti e profughi. "La decisione dell'Austria di innalzare una barriera al Brennero è un colpo durissimo per l'Europa, che sancisce di fatto la fine degli accordi di Schengen". afferma Pia Locatelli, capogruppo socialista alla camera e presidente del Comitato Diritti umani. "La grande comunità che ha sancito la libertà di circolazione delle merci, ma soprattutto delle persone, oggi si è chiusa in se stessa, ha innalzato muri e barriere e invece di accogliere chi scappa dalle guerre e dalla violenza, respinge. Di fronte a questo atto unilaterale che viola il patto di Schengen, l'Unione, al di là della condanna, è impotente e non ha strumenti per replicare".

    Inoltre la decisione dell'Austria di trincerarsi preoccupa anche sul versante economico dell'Italia in lenta ripresa. "La chiusura del Brennero sarebbe un danno gravissimo per l'economia e per i trasporti europei, non solo italiani. E comunque non possiamo tornare a una Europa unita solo dal punto di vista commerciale o della moneta". Afferma il ministro dei Trasporti Graziano Delrio in un'intervista al Mattino, che aggiunge: "A pagare il conto maggiore sarebbe il settore agroalimentare", che subisce già le conseguenze delle sanzioni verso la Russia.

    Con la chiusura della frontiera si ipotizzano danni ipotetici tra 4,8 e 9,8 miliardi, tenuto conto anche della riduzione del potere di acquisto delle famiglie nel lungo periodo, dovuto pure al rialzo dei prezzi (dell'1 e del 2% nei due scenari), e del conseguente calo dei consumi interni. Lo riferisce Cgia di Mestre che ha analizzato i dati di Alpinfo-Ufficio federale trasporti svizzero, riferiti al 2013 (ultimo anno disponibile). "Secondo uno studio redatto dall'associazione degli autotrasportatori belgi – segnala il coordinatore della Cgia Paolo Zabeo – ogni ora di lavoro costa mediamente 60 euro. Con un ritardo di sole due ore è stato stimato un aumento dei noli del 10% che ricadrà, nel medio e lungo periodo, sui costi e quindi sui prezzi dei prodotti e di conseguenza sul consumatore finale". I controlli al Brennero rischiano dunque di colpire tutto il sistema produttivo, soprattutto quello legato alle esportazioni. Inoltre il 40% di tutto l'import e export che ha per meta o partenza l'Italia – e deve oltrepassare, in un senso o nell'altro, le Alpi – transita proprio per il valico alla frontiera con l'Austria. In particolare, un terzo del totale delle merci (29 tonnellate su 89) usano i Tir come mezzo.

 

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Si riapre il fronte greco

 

Ma stavolta lo scontro non è solo tra Berlino e Atene. A meno di un anno dall'accordo con i creditori, la Grecia è di nuovo sull'orlo del default. Una vicenda che potrebbe polarizzare ulteriormente lo scontro tra i rigoristi e chi vuole superare definitivamente il muro dell'austerity

 

di  Stefano Cagelli - @turbocagio

 

E' passato meno di un anno da quel referendum greco che ha tenuto tutta l'Europa con il fiato sospeso. In quell'occasione i cittadini greci si pronunciarono contro il piano proposto dai creditori internazionali in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario. A quel No fece seguito una nuova trattativa e un nuovo accordo tra il governo greco e la troika rappresentata dalla Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale. Il famoso Terzo Memorandum che sbloccò, in cambio di impegni e riforme precise da parte dell'esecutivo guidato da Alexis Tsipras, un piano di salvataggio da 82-86 miliardi. Questo accordo, che provocò le elezioni anticipate e la frattura dentro Syriza con l'abbandono del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, sembrava comunque aver messo la parola fine a quella che dai media di tutta Europa era stata enfaticamente ribattezzata come "la tragedia greca".

    Sembrava, appunto. Già perché i conti ancora non tornano. La Grecia ha bisogno di oltre 5 miliardi di euro di aiuto da parte dei suoi creditori ma rifiuta di effettuare altri tagli alla spesa pubblica. Il Fondo Monetario continua il pressing su Atene (e su Berlino) per rivedere il piano di salvataggio. Raggiungere un avanzo primario del 3.5% come previsto dalle intese richiederebbe "uno sforzo eroico" da parte del popolo ellenico, ha detto il numero uno del'Fmi Christine Lagarde, e anche se si riuscisse a centrare l'obiettivo una volta, ben difficilmente si "potrebbe consolidare il risultato nel tempo". La Germania, dal canto suo, ha già fatto sapere che se Washington si defilasse, sarebbe impossibile portare avanti l'intesa. Alla luce di tutto questo, la Grecia sembra ad un passo dal finire il denaro a sua disposizione, che potrebbe terminare già nelle prossime settimane.

    Come già visto più volte in passato, insomma, il film sta per ripetersi. I creditori chiedono ad Atene di mantenere gli impegni, il governo greco parla di richieste aggiuntive e irrealizzabili. E intanto il popolo greco è allo stremo della forze, vessato da una crisi economica ormai decennale che ha trasformato l'economia nazionale, con ripercussioni devastanti sulla vita di tutti i giorni. Tsipras vuole chiedere all'Europa un alleggerimento del debito. Ha rivolto un appello affinché si possa svolgere il prima possibile un vertice con capi di Stato e di governo dell'Ue per provare a prendere una decisione politica e far uscire, ancora una volta, "i falchi allo scoperto". Richiesta rispedita per il momento al mittente dall'austero ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha esortato "l'Eurogruppo (che era previsto per domani ma è stato annullato, ndr) a riunirsi in tempi brevi, giorni, non settimane". Era stato lo stesso Tsipras ad esprimere a Tusk "la sua insoddisfazione per l'insistenza sulle misure chieste dalla Fmi che vanno oltre quanto previsto nell'accordo di luglio 2015″.

    La politica intanto si muove. E l'Italia sembra intenzionata, a differenza dello scorso anno, a prendere convintamente le difese di Atente. "La Commissione Ue – afferma Federica Mogherini, Alto Rappresentate per la Politica estera – continua a lavorare con uno spirito di cooperazione con le autorità greche e con le altre istituzioni, per poter concludere la revisione quanto prima. Ci sono ancora pochi passi da fare, siamo fiduciosi che possano essere fatti in un periodo di tempo limitato". Non usa mezze misure Gianni Pittella, presidente del gruppo S&D all'Europarlamento e uomo di punta del Partito Democratico a Bruxelles: "Non possiamo chiedere alla Grecia misure addizionali. Vorrebbe dire che alcuni falchi vogliono uccidere la Grecia e non possiamo consentire questo ricatto. La posta in gioco per l'Europa è troppo alta, vogliamo un accordo equo, che includa anche una discussione sulle misure per alleviare il debito".

    Una presa di posizione netta che sembra sottendere, in maniera neppure troppo celata, a una battaglia ben più grande di quella che vede contrapporsi la potente Berlino e la malandata Atene. E' la differenza di visione dell'Europa e dell'euro che stanno maturando Germania e Italia, sempre più su poli opposti nella gestione della finanza comunitaria. La dialettica tra i due Paesi è sempre più aspra e ne sono una rappresentazione plastica le dichiarazioni fatte alcuni giorni fa da Mario Draghi per giustificare le misure espansive della Bce ("lavoro per l'Europa, non per la Germania"), cui hanno fatto seguito le parole del presidente della Bundesbank tedesca Jens Weidmann che ha ammonito l'Italia sul debito e sulle violazioni del patto di stabilità, stoppando le proposte di Pier Carlo Padoan sulla condivisione dei rischi.

    Anche a Berlino, però, qualcosa si sta muovendo e il muro dell'austerity (proprio in un momento storico in cui una miriade di barriere nascenti sta mettendo l'Europa intera sotto scacco) potrebbe cominciare a vacillare. Cronache giornalistiche riferiscono di un colloquio tra Pittella e Sigmar Gabriel, in cui il vicecancelliere e leader della Spd avrebbe garantito l'appoggio del suo partito alla forte presa di posizione presa dai socialisti europei sulla vicenda greca. Per non parlare del Portogallo, della Spagna ancora senza governo e (sarebbe ora) anche della Francia. Insomma, la convinzione del governo italiano è che, questa volta, la linea contro il rigore si stia allargando a macchia d'olio e che possa essere finalmente la volta buona per fare breccia anche nelle istituzioni europee.

 

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