mercoledì 28 settembre 2011

Lo stress della libertà

IPSE DIXIT

Lo stress della libertà - « La causa liberale è troppo rilevante per poterla abbandonare ai liberali. Questa limitazione non concerne un singolo partito. La questione del reale e della sua riforma è troppo rilevante per abbandonarla ai partiti. Troppo onnicomprensiva la cura della tradizione culturale per delegarla meramente ai conservatori. Troppo ponderosa la salvaguardia dell'ambiente per traslarla sic et simpliciter nella riserva indiana dei verdi. Troppo impegnativa la questione della perequazione sociale, per attribuirne responsabilità unica ai socialdemocratici e alla sinistra. Eppure, ciascuna di queste motivazioni elementari abbisogna di una sua predominante voce di partito». - Peter Sloterdijk

 
Reimparare le domande - «C'è qualcosa di profondamente sbagliato nel nostro modo di vivere, oggi. Per trent'anni abbiamo trasformato in virtù il perseguimento dell'interesse materiale personale: anzi, ormai questo è l'unico scopo collettivo che ancora ci rimane. Sappiamo quanto costano le cose, ma non quanto valgono. Non ci chiediamo più, di una sentenza di un tribunale o di una legge, se sia buona, se sia equa, se sia giusta, se sia corretta, se contribuirà a rendere migliore la società o il mondo. Erano queste, un tempo, le domande politiche per eccellenza, anche se non era facile dare una risposta. Dobbiamo reimparare a porci queste domande». - Tony Judt
 
 

Riceviamo da SEL e volentieri pubblichiamo

Ora tocca a noi

"Vi aspetto in piazza a Roma il 1° ottobre"

di Nichi Vendola / Presidente nazionale di Sinistra Ecologia Libertà

Rivolgo un appello alle donne e agli uomini che non si rassegnano ad assistere impotenti al declino italiano, alla distruzione di vincoli sociali e democratici che rendono unita la comunità nazionale del Paese. A questo siamo ormai giunti con la destra al governo. In un crescendo di diseguaglianze e ingiustizie sociali, di smarrimento di un ruolo e di una funzione dell'Italia dentro l'Europa e nel mondo, di pieno spossessamento dei diritti, nel campo del lavoro, dell'ambiente, del sapere, della sfera soggettiva e individuale delle persone.

    La crisi economica, a lungo negata come non ci dovesse riguardare, si manifesta ora in tutti i suoi effetti dirompenti, disgreganti, duraturi nel tempo, tanto sulla vita delle singole persone come su quella delle istituzioni, a partire da quelle più prossime ai cittadini, come i tanti comuni italiani messi ormai nelle condizioni di rinunciare a programmare lo sviluppo del proprio territorio.

    C'è un paese colpito al cuore, smarrito, umiliato e offeso, intaccato ormai alla radice in quel che di più prezioso possa dirsi convinto: il senso di una speranza, di una possibilità autentica di cambiamento, di costruzione di una prospettiva dignitosa e libera di futuro per ciascuno, a partire da quelle ragazze e quei ragazzi che si aprono al compimento stesso della loro esistenza e oggi la intravvedono densa di minaccia anziché di possibilità.

    Occorre un'opera di rigenerazione del Paese. Non solo politica. Insieme morale, democratica, sociale e prima ancora culturale. Perché è proprio a partire dai capisaldi culturali con cui questa destra si è insediata nel Paese, dal lavoro ai diritti, che ha avuto inizio e oggi giunge al più nefasto degli esiti possibili, lo smantellamento di una identità comunitaria nazionale.

    Occorre dare, da subito, segnali forti, credibili, mettere in campo prima possibile una proposta di alternativa. Larga, unitaria, popolare, incentrata su un'idea forte di cambiamento da presentare al Paese, mobilitando energie, risorse, intelligenze, speranze ben presenti, come si è visto nella recente tornata di elezioni amministrative e nell'esito stesso del voto referendario. All'epilogo della crisi politica e morale della destra, capace di trascinare nel pantano e nella rassegnazione il Paese, è sempre più urgente da parte nostra contrapporre un'accelerazione per presentare all'Italia una grande, coesa, unita, coalizione di centrosinistra, forte di una sua autonoma agenda di governo.

    Attese, ritardi, divisioni, dilazioni, separatezze, apparirebbero insensate, incomprensibili, rispondenti a pure logiche di parte, di fronte alla primaria necessità di costruire una risposta per voltare pagina e avviare il cambiamento. Ora tocca a noi. Vi aspetto in piazza il 1° ottobre. - http://www.sinistraecologialiberta.it/1ottobre2011/
 
 
Riceviamo dal PSI e volentieri pubblichiamo

DIALOGO TRA SOCIALISTI, VERDI E RADICALI

Giovedì 22 settembre è ripreso, dopo la pausa estiva, il confronto tra socialisti, verdi e radicali sui temi dell'agenda politica.

    L'appuntamento del segretario socialista Riccardo Nencini con  Angelo Bonelli, presidente della Federazione dei verdi, ha avuto luogo presso la direzione del Psi. Sono stati sottolineati i punti di convergenza politica tra le due formazioni del centrosinistra. 

    Successivamente il segretario del Psi ha incontrato la vice presidente del Senato Emma Bonino, con la quale si è intrattenuto in un lungo e cordiale colloquio nel quale sono state riscontrate significative identità di vedute tra socialisti e radicali.
 
 

Riceviamo dal PD e volentieri pubblichiamo

AFGHANISTAN: IL CORDOGLIO DEI SENATORI PD

di Anna Finocchiaro

presidente del gruppo Pd al Senato

Esprimo, anche a nome delle senatrici e dei senatori Pd, profondo cordoglio per la morte dei tre militari italiani impegnati nelle operazioni in Afghanistan. In attesa di sapere di più sulle dinamiche dell'incidente accaduto ad Herat, il nostro pensiero commosso va alle famiglie, alle Forze Armate e a tutti i soldati italiani che in questo momento stanno partecipando alle missioni internazionali in cui è impegnata l'Italia.

martedì 20 settembre 2011

Avanti! - Questo scandalo deve finire

IPSE DIXIT

Prova a metterti nei suoi panni - «Ma i panni. . . erano così sudici che ho concluso: è meglio essere qualche volta ingiusto che provare di nuovo questo schifo che fa svenire». Antonio Gramsci

 

Due cose utili - « Valter Lavitola faccia una cosa utile per sé e una per il prossimo: si costituisca innanzi ai Pubblici Ministeri del nostro Paese che lo accusano e rimetta per una cifra simbolica nelle mani di garanti socialisti la testata del quotidiano Avanti! ». Bobo Craxi

 

Oggi, non domani - «I richiami del Quirinale, volti a mantenere gli equilibri costituzionali fra i poteri dello Stato, valgono per tutti. La retorica di ricordarli solo per questioni che riguardano altri e non se stessi è intollerabile. Se si vuole cominciare a spezzare l'intreccio perverso tra politica e giustizia occorrono atti politici, legislativi e comportamenti delle istituzioni, adeguati. Sappiamo bene che un governo screditato, in Italia e all'estero, responsabile principale delle anomalie di cui parliamo, non può guidare l'inversione di tendenza. È vero l'Italia ha bisogno di un altro governo. Ma questo non può essere un alibi per nessuno: nelle istituzioni, anche nella magistratura, ognuno faccia il suo dovere. Oggi, non domani.». Emanuele Macaluso

 
La tela bipartisan dell'unità nazionale - «Si arriverà in tempo? Non lo so. Ma so che se non lo si farà entro qualche mese lo si farà dopo che con una catastrofe nazionale l'Italia avrà toccato il fondo.». Ugo Intini
 
 

Dal Partito Socialista Italiano

riceviamo e volentieri rilanciamo

20 SETTEMBRE 2011

LE ESENZIONI FISCALI E I PRIVILEGI ACCORDATI ALLE ATTIVITÀ MERAMENTE COMMERCIALI DELLA CHIESA CATTOLICA NON SONO GIUSTI

E NON HANNO NULLA A CHE VEDERE CON LE "OPERE DI BENE" MA SOLO CON GLI AFFARI. DANNEGGIANO LA LIBERA CONCORRENZA E TRASFORMANO LA CHIESA IN UNA DELLE "CASTE" CHE FANNO MALE ALL'ITALIA.

 

Avanti! - Questo scandalo deve finire

Il silenzio sulla storia vera dell' Avanti!

di Carlo Correr

 

Nel novembre del 1993, l' Avanti! è costretto a sospendere le pubblicazioni. I giornalisti (compreso il sottoscritto) non ricevono lo stipendio da nove mesi, non ci sono progetti credibili di salvataggio e il Psi si trova al centro di una bufera che, nel giro di un anno, lo vedrà riunirsi nel suo ultimo congresso (il 47.mo, 11 novembre 1994) e sciogliersi.

    La testata dell' Avanti! , così cara a tanti compagni, viene affidata al liquidatore, Michele Zoppo, che – per decisione notarile del congresso – può venderla soltanto e unicamente a un soggetto politicamente degno , cioè capace di "garantire la salvaguardia delle tradizioni storiche del Partito Socialista Italiano", in una parola: solo a un rinato Psi.

    L'atto non ammette deroghe. Ma Lavitola si presenta nel 1996 ugualmente nelle vesti di editore, con il sostegno politico di alcuni esponenti dell'ex Psi finiti nel centrodestra: Cicchitto, Boniver, Sacconi, Marzo, De Michelis, Bobo Craxi, (direttore Sergio De Gregorio, poi senatore dipietrista e infine seguace di Berlusconi).

    Ne nasce una testata graficamente identica a quella storica, fatta salva una piccola differenza, però, che sorprendentemente consente a Lavitola di ottenere la registrazione presso l'apposito ufficio del Tribunale: la nuova testata si chiama "L'Avanti!", con articolo determinativo e apostrofo (neri questi, rosso il resto).

    Ora voi vi chiederete: ma se Caio si presentasse in Tribunale a registrare la testata " Il Corriere della Sera", con l'articolo "il" davanti e tutto il resto identico, ci riuscirebbe? Domanda retorica. Eppure proprio questo è successo all' Avanti!

    In seguito, con furbizia tutta italica, Lavitola ha fatto scolorire pian piano la "L", lasciando però l'apostrofo in nero. Poi, ancora qualche tempo e via anche quel minuscolo sbaffo.

    Ciliegina finale: sotto la testata clone, da un po' di tempo si può leggere: "Quotidiano socialista fondato nel 1896".

    Un doppio falso.

    Con quali soldi, sostegni, amicizie e complicità possa aver fatto tutto ciò è evidente dagli ultimi fatti, che hanno portato Lavitola alla ribalta della cronaca, nera, a cominciare dalla campagna denigratoria contro Fini, dopo la sua rottura con Berlusconi.

    Su tutto il resto meglio stendere un velo di laica pietà.

    La reticenza di giornali, radio e Tv nel non raccontare come sono andate veramente le cose, è sorprendente. Temiamo però che non si tratti solo di pigrizia professionale, ma che vi sia una quota di dolo politico – a destra come a sinistra – nel riesumare il cliché dei 'socialtraditori' che trascinano nel fango nobili ideali per miseri vantaggi.

    Quest'ennesima operazione di discredito del socialismo italiano,  fa comodo a tanti, sia nella maggioranza che nell'opposizione, altrimenti non si spiegherebbe la disastrosa indifferenza per un pezzo così importante di storia del nostro Paese.

    Occorre fare controinformazione. Nel '68 c'erano il ciclostile e i dazebao ; oggi c'è internet.

    Chissà che non si abbia più fortuna.

 

 

Un sussulto

Vorrei anch'io apportare il mio personale appoggio e la mia firma, se è possibile, alla posizione presa dai compagni in difesa della testata gloriosa dell' Avanti! nella quale si racchiude la storia nobile e di lotte del socialismo italiano. Da socialista, benchè senza tessera, e da collaboratore del giornale fin dagli anni del liceo (fui collaboratore fino all'ultimo attimo di vita del giornale) mi sento ferito e indignato per quanto sta succedendo. Anche se, poi, a  dire il vero, vedo poca indignazione in giro e ciò aumenta, da un lato, il mio pessimismo e, dall'altro, la spinta ad essere utile in qualche modo per salvare il nome dell' Avanti! dal fango in cui l'ha gettata la banda berlusconiana. La testata del giornale del Partito Socialiata Italiano che, al di là delle sue funeree vicende finali, era sempre stato la bandiera dell'onestà e del galantomismo (tratto tipico della lunga storia socialista), nonchè del mondo del lavoro con il quale fa tutt'uno la sua ragione d'essere, non può essere infangata così. Occorre un sussulto, gridato, di orgoglio che, nello specifico, corrisponde a una testimoniata volontà di lotta politica. Ce la faremo? Come sempre la speranza è ultima a morire. Diceva Nenni che, anche quando tutto sembra perso, c'è sempre una cosa ancora da fare. A tutti noi il dovere di trovarla. Fraternamente

Sen. Paolo Bagnoli , Firenze

 

 

Restituite l'onore all' Avanti!

Vorrei condividere l'appello per restituire l'onore all' Avanti!   Grazie.

Prof. avv. Salvatore Prisco , Napoli

 

 

Ogni cittadino democratico . . .

Da quando l'amico il collega Peter Lorenzi mi ha fatto inserire nel vostro indirizzario (e gliene sono davvero grato) rileggo con piacere l'ADL, dal quale una grossa fetta del giornalismo italiano, di sinistra incluso, avrebbe molto da imparare. Vedo oggi, oltre al bel ricordo di Pietro Bianchi, la notizia dell'appello degli ex direttori dell' Avanti! in difesa della dignità di quella gloriosa testata che dovrebbe premere non solo e non tanto a tutti i socialisti ma ad ogni cittadino democratico italiano minimamente consapevole della storia del proprio paese. Non vedo tutti i quotidiani italiani o può anche darsi che, invecchiando, sia divenuto sempre più incapace di leggere quelli che vedo, ma l'appello per l' Avanti! io non l'ho trovato in nessun'altra testata. Vi ringrazio, dunque. di avermelo fatto conoscere e vi chiedo, nel caso intendeste promuovere adesioni, di inserirvi la mia e quella di mia moglie Brunella Toscani. Ora proverò a cercar di capire se davvero la stampa italiana è rimasta così indifferente. A voi risulta qualche notizia meno sconfortante? Un cordiale saluto e un sincero augurio di buona continuazione del vostro lavoro.

Giorgio Pecorini, Volterra

 

< : >

Verranno anche tempi migliori, speriamo  – Grazie a voi tutti. Si può aderire all'appello presso questo sito del PSI . - La red dell'ADL

lunedì 12 settembre 2011

Lei, uomo medio

IPSE DIXIT

Lei, uomo medio - "Lei non ha capito niente perché è un uomo medio. Un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista". – Pier Paolo Pasolini

 

Enti religiosi e ICI

 

Vaticano, paga tu . . .

Ecco le prove delle attività commerciali

cattoliche che non pagano le tasse

 

Nell'ambito di una inchiesta radicale in corso a livello nazionale, vengono proiettati dei video esclusivi che dimostrano come immobili di enti religiosi che risultano non aver pagato l'Ici in realtà svolgano attività commerciali. Nella conferenza stampa vengono inoltre presentate le prossime iniziative politiche e popolari contro i privilegi fiscali del Vaticano.

VAI AL VIDEO

 
 

LAVORO E DIRITTI

 

Presidi Cgil in tutta Italia mentre il Senato approva la manovra

 

In contemporanea al voto di fiducia al Senato sul maxiemendamento alla manovra finanziaria del Governo la CGIL scende in piazza con presidi e volantinaggi davanti alle prefetture

 

Passata al voto del Senato la manovra-bis, duramente contestata dalla CGIL, con 165 sì e 142 no. Durante la prova dell'aula, la CGIL ha proseguito,  in tutta Italia, la sua mobilitazione 'non stop' per contrastare il provvedimento del Governo, ulteriormente peggiorato dopo gli ultimi interventi contenuti nel maxiemendamento, in particolare sull'Iva e sull'età pensionabile delle donne, e gravata dalla fiducia che strozza la possibilità di un confronto parlamentare. Dopo lo Sciopero Generale il sindacato è sceso nuovamente in piazza anche ieri (7 settembre) per far sentire la sua voce e chiedere al governo di confrontarsi con il Paese che ha riempito le piazze italiane in occasione dello sciopero. Presidi quindi a Roma, Perugia, Potenza, Matera, in Sicilia, in Toscana, in Veneto e in tante altre regioni.

    Fortemente critico il giudizio del Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso, sulle novità contenute nel provvedimento economico, finanziario, secondo la quale "rafforzano l'iniquità di una manovra sbagliata, che produce effetti depressivi e non è in grado di raggiungere gli obiettivi di sviluppo e di crescita". Inoltre, l'ennesimo ricorso al voto di fiducia, secondo il numero uno della CGIL, "è la dimostrazione di una maggioranza debole e incerta non in grado di confrontarsi con il paese ed il parlamento".

La spinta propulsiva è finita

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo / Dibattito a sinistra

 

Una fenomenologia della crisi e del possibile passaggio.

di Rodolfo Ricci, Federazione Italiana Emigrazione e Immigrazione

 

L'affannosa discussione agostana sui turbinii delle borse mondiali intorno al vacillare dei debiti sovrani (cioè degli Stati in quanto istituzioni), di fronte al mercato globalizzato della finanza, è penosa.

    Si approccia il problema, generalmente, come scarsa capacità degli Stati di assecondare la fiducia dei mercati, ovvero, per la condizione transitoria, degli investitori (che sono milioni di individui gestiti dai fondi di investimento riconducibili a poche mani), nella loro funzione di risparmiatori.

  Dall'altra parte, abbiamo altri milioni di individui. Questa volta, nella funzione di produttori, che, a causa della crisi, restano disoccupati o, ove si tratti di imprenditori, rischiano di fallire miseramente.

    Poi, vi sono i consumatori, sempre meno entusiasticamente predisposti all'acquisto, a causa del vizioso rapporto tra reddito disponibile e capacità di consumo, ovvero del potere di acquisto, ridotto ai minimi termini.

    Risparmiatori, produttori, consumatori. Tutti in lotta l'uno contro l'altro.

    Ma quegli individui, quelle persone, sono le stesse: di volta in volta inquadrati dall'obiettivo del risparmio, della produzione, del consumo. Una specie di santa trinità intristita dalla crisi.

    Si cerca di spostare l'attenzione sulla possibilità che la competitività di sistema-paese cresca a discapito di altri, affinché i medesimi individui possano rafforzare allo stesso tempo la loro triplice funzione di risparmiatori, produttori e consumatori, facendone pagare dazio ad altri risparmiatori, produttori e consumatori di paesi meno scaltri o attrezzati. Si ipotizzano misure che generalmente prevedono l'abbassamento degli standard di welfare. Del tutto illogico che un paese diventi più competitivo allorché si riducano i servizi sanitari, scolastici ed educativi, ecc. ecc.

    Inoltre, di questi paesi meno scaltri, ve ne sono sempre meno a disposizione (visto anche che hanno, a loro volta, sperimentato il gioco in largo anticipo), quindi la partita diventa sempre più interna, giocata, per così dire, in casa. Dentro i confini storici del capitalismo. E la partita comincia a far emergere la coscienza che il sistema ha limiti strutturali. Ogni sistema è infatti finito. Come la scienza e la logica ci hanno insegnato da tempo. Quando non vi sono più frontiere esterne da conquistare e da superare, ci si deve fermare ad un presente contestuale.

    Qui ed ora si devono fare i conti.

    Qui, dentro la scatola del neoliberismo, la questione pian piano si schiarisce e la sensazione di essere presi per i fondelli, diventa sempre più evidente: io sono allo stesso tempo risparmiatore (piccolo), produttore (dipendente o piccolo imprenditore) e consumatore (nei ristretti limiti della mia capacità di reddito e di risparmio).

    Non avrò molto vantaggio dall'aumento dei tassi di interesse sui miei risparmi a discapito del mio salario o dei servizi pubblici di cui godo; se la mia funzione di produttore e percettore di reddito e quindi di consumo si ridurrà, vale poco sapere che qualcuno (i mercati) sta tutelando i miei risparmi. Li consumerò in poco tempo, come infatti è già avvenuto e continuerà ad accadere fino a che non li avrò definitivamente erosi.

    Avevano inventato, per ovviare a questo inconveniente sistemico, la possibilità di un indebitamento crescente facilitato, attraverso la proliferazione monetaria legittimata fin dall'inizio dalla riserva frazionaria, e si è andati avanti per 70 anni, con successivi rilanci, ma poi, nel 2007, lo hanno drasticamente compresso, poiché, ci hanno spiegato che non potendo più pagare i mutui sulla casa facile a cui erano stati sapientemente indotti, tutto il sistema rischiava di saltare. Per sempre.

    In realtà le rate dei mutui non erano più saldabili perché il livello reddituale medio si era abbassato oltre la soglia necessaria a consentirlo: l'apertura del sistema all'indebitamento non era bilanciata dalla disponibilità di reddito per la sussistenza della famiglie, come era stato per i decenni precedenti. [1]

    Quindi, nel panico generale e senza alcuna alternativa in campo, siamo tornati al punto di partenza. Come nel gioco dell'oca. Niente più indebitamento facile. Né per i singoli, né per gli Stati, che nel frattempo, nel 2008-2009 sono stati chiamati a realizzare l'ultima grande funzione storica di salvataggio pubblico del sistema privato.

    Ora, dopo l'ennesimo mega-indebitamento a favore della finanza, ci dicono che per salvaguardare l'architettura di sistema c'è bisogno di contrarre drasticamente le spese, ridurre e saldare i debiti, affinché l'equilibrio venga riacchiappato in extremis: si tratta dell'equilibrio della finanza, nello specifico, cioè dell'equilibrio sistemico che afferma che i debiti prima o poi debbono essere ripagati con gli interessi maturati.

    Dopo un lungo periodo di bisbocce (di proliferazione asintotica di successive bolle causate dalla facilità di credito) attuata per mantenere l'equilibrio tra domanda e offerta di beni e servizi fisici e monetari, gli usurai chiedono quindi la solvibilità dei prestiti. Perché?

    Apparentemente, per un motivo semplice e fondamentale come l'acqua: non vi è sostenibilità del credito/debito che non compendi il ritorno alla fonte di capitale + interessi concessi. La circolazione monetaria implica la chiusura del circuito di valorizzazione. Tale fase non può essere rimandata ad libitum.

    Siccome l'interesse è la forma più astratta e cogente del profitto (estorto per via dogmatica a differenza del plusvalore estorto per via di sfruttamento fisico e intellettuale del lavoro dipendente), tutto il sistema può continuare ad avere credibilità solo se, di volta in volta, viene riconfermata la possibilità di solvibilità dei titoli di debito.

    Altrimenti, si potrebbe correre il rischio che il meccanismo dell'indebitamento possa essere svelato nella sua effettiva natura di mera convenzionalità.

    A rigore, infatti, la leva finanziaria potrebbe procedere all'infinito senza alcun bisogno di verifica. Rispetto ai debiti pubblici, basterebbe rimandare sine die il rimborso dei capitali ed interessi prestati (oppure, come peraltro accaduto per quasi un secolo sarebbe sufficiente saldare solo gli interessi attraverso l'emissione di nuovi titoli), per far sì che la macchina riproduca se stessa senza alcun limite. [2]

    In questo caso, la crescita sarebbe auto-sostenibile e (a prescindere dalle modalità storica della crescita che può coniugarsi anche come decrescita o crescita immateriale) essa potrebbe non conoscere stop. La scadenza dei titoli di credito può inoltre essere sempre ricontrattata e rimandata, rinviata nel tempo o comunque, come detto, rifinanziata attraverso nuove emissioni. [3]

    Vi sono esempi storici duraturi che confermano questa possibilità. Negli ultimi 30 anni, ciò è avvenuto anche con la proliferazione dei titoli derivati che costituiscono, in un certo senso, una modalità di posticipazione scalare della proprietà di un rischio o di una opportunità. Una specie di gioco del cerino che passa di mano in mano e che resta in piedi finché c'è una mano ulteriore disponibile ad acquistarlo e a ritrasferirlo. L'antica catena di Sant'Antonio è la base logica perpetua di queste operazioni.

    Il sistema funziona cioè, finché la catena non si rompe; o come oggi accade, finché qualcuno non si presenti a incassare i frutti degli investimenti, poiché comincia a crescere il dubbio se la catena sia effettivamente realistica o non sia altro che una pericolosa architettura, un'invenzione. Solo allora il sistema va in crisi. Ma non necessariamente: quando le navi di De Gaulle piene di dollari, si presentarono alla Federal Reserve per incassare il controvalore in oro, fu improvvisata la soluzione delle soluzioni, cioè l'inconvertibilità del dollaro…

    E poiché colui che doveva pagare era più forte di quello che chiedeva l'incasso, la cosa si placò. Da quella magica soluzione nacque la globalizzazione che conosciamo.

    Ma adesso, perché qualcuno (anzi in diversi) si presenta improvvisamente all'incasso ? E' forse colpa della Cina o dei Brics che reclamano il riconoscimento della loro crescente e fondamentale funzione di creditori ?

    Forse, ma solo indirettamente. La Cina in verità, non ha chiesto alcunché; ha chiesto solo di continuare a sostenere il gioco. Gli attori essenziali che controllano il sistema globale della finanza non sono cinesi, o russi, o indiani, o brasiliani. Sono invece sempre, e principalmente, americani, inglesi ed europei; quindi la questione è diversa.

    Chi si presenta all'incasso oggi, e nel presentarsi all'incasso genera la grande crisi sistemica, lo fa per un principio millenario che attraversa lo spazio storico: si tratta senza dubbio di business, e, nella fattispecie, il business monumentale a cui stiamo assisteremo è la svendita definitiva di proprietà fisiche reali (degli Stati, cioè dei popoli) che saranno acquisiti per pochi denari e andranno a solidificare in termini di patrimonializzazione le entità extraterritoriali multinazionali private.

    Ma forse, ancora di più, si tratta di riconfermare la funzione di potere e dominio globale che si era andata affievolendo nel proliferare dell'indebitamento pubblico e privato.

    Se infatti saltasse il principio della "naturalità" e "necessità" del profitto finanziario, se intervenisse una sorta di oblio delle masse rispetto a questa presunta oggettività del profitto, il sistema di poteri potrebbe evaporare.

    Rimandare all'infinito la solvibilità del capitale consentirebbe una crescita infinita (in termini meramente economici, a prescindere dalla direzione culturale della crescita), ma rischierebbe di minare alle fondamenta, l'evidenza dei poteri che controllano il sistema.

    Quindi, a scadenza variabile, il sistema va ricondotto all'ordine; va operata un'azione di reminiscenza dell'effettività dei poteri in campo. E in queste occasioni si deve cogliere l'opportunità di una ridistribuzione verso l'alto dei valori effettivi che la leva monetaria ha prodotto attraverso lo sfruttamento del lavoro reale.

    La finanza, la grande finanza, in questo frangente, sta producendo questa azione di reminiscenza globale. Con una differenza sostanziale rispetto al passato: ora i poteri pretendono di essere riconosciuti nella loro natura definitivamente extraterritoriale ed astratta.

    Bisogna ricordare che il potere di indebitamento è concentrato in alcune specifiche mani: che chiamiamo mercati, ma che in realtà significano poche specifiche entità: grandi fondi e banche di investimento, che salvo qualche variabile, sono le stesse da circa un secolo a questa parte. - (1/2 - Continua )

 

NOTE

[1] – In realtà il meccanismo dell'indebitamento facile si amplia proprio a causa della contrazione dei salari che inizia in modo consistente negli anni '80 e che continua per tutti i 3 decenni del neoliberismo. Proprio per mantenere alto il livello della domanda, viene applicato il meccanismo dell'indebitamento privato, che consente un doppio obiettivo: sostituire appunto la mancanza di reddito adeguato per consentire il consumo dei beni fisici e dei servizi prodotti (equilibrio domanda-offerta di beni), da una parte e, dall'altra, consentire una adeguata lubrificazione del circuito di valorizzazione del capitale monetario attraverso il flusso degli interessi (equilirio domanda-offerta di capitali). Ciò che le famiglie e i consumatori non possono più comprarsi grazie ad un salario adeguato, se lo comprano ora attraverso la facilitazione dell'indebitamento, con il risultato che il sistema resterà in equilibrio, ma solo finché le rate dei vari debiti contratti non supereranno la fisiologica possibilità di farvi fronte. L'altro risultato sarà che, nello stesso periodo, i consumatori potranno mantenere il loro standard di vita pur in un regime di contrazione salariale. Si eviteranno così dinamiche conflittuali e si otterrà il fantastico obiettivo di tenere legati al carro neoliberista centinaia di milioni di persone anche se sottoposte ad un doppio scacco: riduzione salariale e aumento della dipendenza dalle banche e dagli istituti di credito. D'altra parte, questo dispositivo cementa l'alleanza tra capitale produttivo e capitale finanziario: l'orientamento al mercato del sistema di imprese produttive con la conseguente dinamica di riduzione dei costi fissi (ivi incluso il costo del lavoro), le consente di restare competitiva sul mercato mondiale, mentre il capitale finanziario può continuare a far affluire gli interessi sui crediti prestati al consumo e a costruire su di esso la grande proliferazione dei titoli derivati.

     [2] - A conferma di ciò, va ricordato che ancora non stanno chiedendo il ritorno dell'intero ammontare del debito sovrano -che è completamente inesigibile-, ma solo del deficit sul PIL; si passerà solo più avanti ad una ventennale riduzione del 40% dell'ammontare dei debiti come previsto da Maastricht.

     [3] – Quando vi è accordo su tali procedure si parla di ricontrattazione del debito; se non vi è accordo si giunge al default. Il default non è quindi un fatto tecnico, ma sempre relativo alle decisioni e alle volontà degli attori coinvolti.

lunedì 5 settembre 2011

Entrando nel merito

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LAVORO E DIRITTI

Pagheranno i lavoratori anche la crisi dei sindacati?
di Renato Fioretti

Personalmente, al contrario di quanto sostenuto da Susanna Camusso, non ho mai ritenuto che il conflitto registrato (nel corso degli ultimi anni) con Cisl e Uil fosse motivato - e nobilitato, dal mio punto di vista - da contrasti di carattere eminentemente "politico".

    A mio parere, non si è mai trattato di problemi "di metodo" - circa le modalità di confronto e l'atteggiamento da assumere rispetto al governo di centrodestra di Berlusconi - quanto, piuttosto, di rilevanti contrasti su questioni "di merito", sempre sottaciuti in passato.

    Con motivazioni dettate - esclusivamente - da opzioni di natura squisitamente sindacale, che, oggettivamente, avevano (ed hanno) ben poco in comune con la politica.

    Si è realizzato, in sostanza, quello che alcuni di noi sospettavamo da tempo, in pochi avevamo avuto l'ardire di ufficializzare e, altrettanti, di denunciare. 

    In questo senso, già in altra occasione, ho inteso rappresentare questo convincimento attraverso quello che ho definito l'atto di "affrancamento" - di Cisl e Uil - dalla Cgil.

    Come se, a un certo punto della storia (e, soprattutto, della cronaca) sindacale del nostro Paese, Cisl e Uil - resi forti dalla "sponda" offerta dai governi presieduti dal barzellettiere più ricco d'Italia e sostenuti (con fortissima determinazione) dall'improponibile erede al dicastero che fu dei Brodolini, Donat Cattin e Gino Giugni - avessero trovato (finalmente, dal loro punto di vista) la forza sufficiente a comunicare "Urbi et orbi" che, in effetti, il loro ideale di sindacato confederale rappresenta qualcosa di assolutamente diverso da quello espresso dalla Cgil. 

    Naturalmente, qualcuno potrebbe obiettare che già nel 1984, all'epoca del "decreto di San Valentino" - primo grande accordo separato post 1968 - Cisl e Uil avevano assunto una posizione in netto dissenso dalla Cgil.

    Costui dimenticherebbe, però, che quella sì, fu una vicenda di carattere esclusivamente "politico" - e in quanto tale, degna della massima considerazione e rispetto - che, addirittura, spaccò la stessa Cgil. Una sofferta e tormentata parentesi del Sindacato confederale italiano che, però, non aveva nulla a che vedere con la situazione attuale; laddove le divergenze soggiacciono, a mio parere, non a scelte politiche, ma a una visione dell'azione sindacale profondamente "diversa".

    A opzioni, quindi, strategiche, che tendono a realizzare forme di assistenza e tutele sindacali sostanzialmente diverse da quelle che hanno caratterizzato tanta parte della storia del sindacalismo italiano.

    In questo quadro, è normale - a mio avviso - che le rispettive posizioni, di là dai più sinceri e accorati appelli all'unità d'azione (come si diceva fino a qualche tempo fa), tendano a radicalizzarsi.

    Non a caso, è stato sufficiente attendere appena poche settimane per rendersi conto che l'Accordo interconfederale del 28 giugno - sulle nuove regole della contrattazione e sulla rappresentanza sindacale - non è affatto servito a superare le divisioni e, secondo gli auspici della Camusso, a "aprire una stagione nuova" nei rapporti tra Cgil, Cisl e Uil!

        E' stato sufficiente, infatti, che la maggiore delle Confederazioni sindacali, a valle della pubblicazione del decreto legislativo 138/2011, assumesse l'iniziativa di indirizzare a Cisl e Uil una "lettera aperta" - allo scopo di porre alcune domande sui temi della manovra economica e sul futuro del mondo del lavoro - per realizzare che le rispettive posizioni sono sostanzialmente "inconciliabili".

    Nel merito delle risposte pervenute alla Cgil, è particolarmente significativa quella di Angeletti. Lo è perché chi conosce la storia dei rapporti sindacali realizzatisi nel nostro Paese - almeno di quella relativa a partire dagli anni 60/70 - sa bene che soltanto fino a qualche anno fa, il Segretario generale della Uil, la "cenerentola" tra le maggiori Confederazioni sindacali, non avrebbe mai avuto l'ardire di rispondere a un formale invito della Cgil definendolo "una provocazione"!  

    Così come il Segretario generale della Cisl, non si sarebbe mai permesso - come, invece, ha fatto Bonanni in quest'occasione - di definire "stucchevoli" le posizioni espresse dalla Cgil.

    Certo, è pur vero che la Cgil aveva già annunciato l'intenzione di indire uno sciopero generale contro la "manovra di ferragosto", ma è altrettanto vero che: un conto è il non condividere il ricorso a tale forma di protesta - soprattutto se non "concordata" preventivamente con le altre OO. SS. - altra cosa è, invece, porsi nella condizione - come, oggettivamente, fanno Cisl e Uil - di "avallare" le scelte del governo Berlusconi. Soprattutto rispetto all'ormai ricorrente tema del "superamento" dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

    Infatti, tra le pieghe dei provvedimenti in materie di carattere finanziario, l'art. 8 del decreto legislativo 13 agosto 2011, nr. 138, prevede, in sostanza, la possibilità che eventuali intese a carattere aziendale (o territoriale) possano produrre deroghe all'applicazione delle vigenti norme sui licenziamenti "senza giusta causa"!

    Questa però è una lettura - del comma 2, dell'art. 8 del decreto - che tanto Bonanni quanto Angeletti contestano con forza.

    Infatti, per il Segretario generale della Cisl "l'intervento del governo è compatibile e può addirittura rafforzare l'accordo interconfederale del 28 giugno", contribuendo, attraverso la previsione di specifici "accordi tra le parti", ad allontanare il rischio di un'abolizione "sic  et simpliciter" dell'art. 18 della legge 300/70.

    Da parte di Angeletti, si assiste, invece, a un incredibile "contorsionismo lessicale", attraverso il quale la ricerca dell'occultamento della verità procede di pari passo con un'improbabile "traduzione" della norma prevista all'articolo 8 della manovra.

    Infatti, il Segretario generale della Uil afferma:

     "La manovra non rappresenta una minaccia per l'articolo 18";

     "Per modificare l'articolo 18 occorrerebbe un accordo tra le parti sociali e noi non lo faremo mai";

     "L'attacco (della Cgil) alla misura che stabilisce il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa è <immaginario>".

    Appare quindi evidente il - patetico - tentativo del leader della Uil di smentire e occultare la reale portata di quanto previsto all'art. 8, comma 2, lettera e, del decreto. 

    Perché è evidente che prevedere specifiche intese tra le parti - contratti sottoscritti a livello aziendale o territoriale - al fine di "regolare le materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative (……) alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio", rappresenta - contrariamente a quanto cerca di nascondere Angeletti - la strada attraverso la quale lo stesso Bonanni dichiara possibili (previo accordo tra le parti) le deroghe all'articolo 18!

    Si tratta, quindi, di prendere definitivamente atto di una realtà, a mio parere, incontrovertibile.

    Di là da quelle che possano essere le simpatie e le opzioni "politiche" dei maggiori rappresentanti delle OO. SS. Confederali, il futuro delle scelte "strategiche" di Cgil, Cisl e Uil continuerà a essere caratterizzato da un dato che - dai più - solo fino a qualche anno fa sarebbe stato definito blasfemo.

    La sostanziale diversità di vedute - in termini di riferimenti, alleanze, strategie e obiettivi - che accentuerà sempre più le distanze tra le tre sigle sindacali.

    In questo quadro, il rischio maggiore, a mio avviso, lo corrono i lavoratori.

    A una Cgil comunque osteggiata, a Cisl e Uil preda di un (inevitabilmente) esiziale approdo "filogovernativo e aziendalistico", non potranno non corrispondere rappresentanze sindacali ridimensionate e, direi, "normalizzate", rispetto a quelle che hanno consentito la crescita morale e civile di milioni di lavoratori italiani.