LAVORO E DIRITTI
Pagheranno i lavoratori anche la crisi dei sindacati?
di Renato Fioretti
Personalmente, al contrario di quanto sostenuto da Susanna Camusso, non ho mai ritenuto che il conflitto registrato (nel corso degli ultimi anni) con Cisl e Uil fosse motivato - e nobilitato, dal mio punto di vista - da contrasti di carattere eminentemente "politico".
A mio parere, non si è mai trattato di problemi "di metodo" - circa le modalità di confronto e l'atteggiamento da assumere rispetto al governo di centrodestra di Berlusconi - quanto, piuttosto, di rilevanti contrasti su questioni "di merito", sempre sottaciuti in passato.
Con motivazioni dettate - esclusivamente - da opzioni di natura squisitamente sindacale, che, oggettivamente, avevano (ed hanno) ben poco in comune con la politica.
Si è realizzato, in sostanza, quello che alcuni di noi sospettavamo da tempo, in pochi avevamo avuto l'ardire di ufficializzare e, altrettanti, di denunciare.
In questo senso, già in altra occasione, ho inteso rappresentare questo convincimento attraverso quello che ho definito l'atto di "affrancamento" - di Cisl e Uil - dalla Cgil.
Come se, a un certo punto della storia (e, soprattutto, della cronaca) sindacale del nostro Paese, Cisl e Uil - resi forti dalla "sponda" offerta dai governi presieduti dal barzellettiere più ricco d'Italia e sostenuti (con fortissima determinazione) dall'improponibile erede al dicastero che fu dei Brodolini, Donat Cattin e Gino Giugni - avessero trovato (finalmente, dal loro punto di vista) la forza sufficiente a comunicare "Urbi et orbi" che, in effetti, il loro ideale di sindacato confederale rappresenta qualcosa di assolutamente diverso da quello espresso dalla Cgil.
Naturalmente, qualcuno potrebbe obiettare che già nel 1984, all'epoca del "decreto di San Valentino" - primo grande accordo separato post 1968 - Cisl e Uil avevano assunto una posizione in netto dissenso dalla Cgil.
Costui dimenticherebbe, però, che quella sì, fu una vicenda di carattere esclusivamente "politico" - e in quanto tale, degna della massima considerazione e rispetto - che, addirittura, spaccò la stessa Cgil. Una sofferta e tormentata parentesi del Sindacato confederale italiano che, però, non aveva nulla a che vedere con la situazione attuale; laddove le divergenze soggiacciono, a mio parere, non a scelte politiche, ma a una visione dell'azione sindacale profondamente "diversa".
A opzioni, quindi, strategiche, che tendono a realizzare forme di assistenza e tutele sindacali sostanzialmente diverse da quelle che hanno caratterizzato tanta parte della storia del sindacalismo italiano.
In questo quadro, è normale - a mio avviso - che le rispettive posizioni, di là dai più sinceri e accorati appelli all'unità d'azione (come si diceva fino a qualche tempo fa), tendano a radicalizzarsi.
Non a caso, è stato sufficiente attendere appena poche settimane per rendersi conto che l'Accordo interconfederale del 28 giugno - sulle nuove regole della contrattazione e sulla rappresentanza sindacale - non è affatto servito a superare le divisioni e, secondo gli auspici della Camusso, a "aprire una stagione nuova" nei rapporti tra Cgil, Cisl e Uil!
E' stato sufficiente, infatti, che la maggiore delle Confederazioni sindacali, a valle della pubblicazione del decreto legislativo 138/2011, assumesse l'iniziativa di indirizzare a Cisl e Uil una "lettera aperta" - allo scopo di porre alcune domande sui temi della manovra economica e sul futuro del mondo del lavoro - per realizzare che le rispettive posizioni sono sostanzialmente "inconciliabili".
Nel merito delle risposte pervenute alla Cgil, è particolarmente significativa quella di Angeletti. Lo è perché chi conosce la storia dei rapporti sindacali realizzatisi nel nostro Paese - almeno di quella relativa a partire dagli anni 60/70 - sa bene che soltanto fino a qualche anno fa, il Segretario generale della Uil, la "cenerentola" tra le maggiori Confederazioni sindacali, non avrebbe mai avuto l'ardire di rispondere a un formale invito della Cgil definendolo "una provocazione"!
Così come il Segretario generale della Cisl, non si sarebbe mai permesso - come, invece, ha fatto Bonanni in quest'occasione - di definire "stucchevoli" le posizioni espresse dalla Cgil.
Certo, è pur vero che la Cgil aveva già annunciato l'intenzione di indire uno sciopero generale contro la "manovra di ferragosto", ma è altrettanto vero che: un conto è il non condividere il ricorso a tale forma di protesta - soprattutto se non "concordata" preventivamente con le altre OO. SS. - altra cosa è, invece, porsi nella condizione - come, oggettivamente, fanno Cisl e Uil - di "avallare" le scelte del governo Berlusconi. Soprattutto rispetto all'ormai ricorrente tema del "superamento" dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Infatti, tra le pieghe dei provvedimenti in materie di carattere finanziario, l'art. 8 del decreto legislativo 13 agosto 2011, nr. 138, prevede, in sostanza, la possibilità che eventuali intese a carattere aziendale (o territoriale) possano produrre deroghe all'applicazione delle vigenti norme sui licenziamenti "senza giusta causa"!
Questa però è una lettura - del comma 2, dell'art. 8 del decreto - che tanto Bonanni quanto Angeletti contestano con forza.
Infatti, per il Segretario generale della Cisl "l'intervento del governo è compatibile e può addirittura rafforzare l'accordo interconfederale del 28 giugno", contribuendo, attraverso la previsione di specifici "accordi tra le parti", ad allontanare il rischio di un'abolizione "sic et simpliciter" dell'art. 18 della legge 300/70.
Da parte di Angeletti, si assiste, invece, a un incredibile "contorsionismo lessicale", attraverso il quale la ricerca dell'occultamento della verità procede di pari passo con un'improbabile "traduzione" della norma prevista all'articolo 8 della manovra.
Infatti, il Segretario generale della Uil afferma:
"La manovra non rappresenta una minaccia per l'articolo 18";
"Per modificare l'articolo 18 occorrerebbe un accordo tra le parti sociali e noi non lo faremo mai";
"L'attacco (della Cgil) alla misura che stabilisce il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa è <immaginario>".
Appare quindi evidente il - patetico - tentativo del leader della Uil di smentire e occultare la reale portata di quanto previsto all'art. 8, comma 2, lettera e, del decreto.
Perché è evidente che prevedere specifiche intese tra le parti - contratti sottoscritti a livello aziendale o territoriale - al fine di "regolare le materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative ( ) alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio", rappresenta - contrariamente a quanto cerca di nascondere Angeletti - la strada attraverso la quale lo stesso Bonanni dichiara possibili (previo accordo tra le parti) le deroghe all'articolo 18!
Si tratta, quindi, di prendere definitivamente atto di una realtà, a mio parere, incontrovertibile.
Di là da quelle che possano essere le simpatie e le opzioni "politiche" dei maggiori rappresentanti delle OO. SS. Confederali, il futuro delle scelte "strategiche" di Cgil, Cisl e Uil continuerà a essere caratterizzato da un dato che - dai più - solo fino a qualche anno fa sarebbe stato definito blasfemo.
La sostanziale diversità di vedute - in termini di riferimenti, alleanze, strategie e obiettivi - che accentuerà sempre più le distanze tra le tre sigle sindacali.
In questo quadro, il rischio maggiore, a mio avviso, lo corrono i lavoratori.
A una Cgil comunque osteggiata, a Cisl e Uil preda di un (inevitabilmente) esiziale approdo "filogovernativo e aziendalistico", non potranno non corrispondere rappresentanze sindacali ridimensionate e, direi, "normalizzate", rispetto a quelle che hanno consentito la crescita morale e civile di milioni di lavoratori italiani.