lunedì 15 dicembre 2008

Un socialismo glocal globale e locale

Le idee
Impegnarsi nella costruzione di una trama global-local omogenea tra soluzioni che valgono per il proprio piccolo mondo, e la partecipazione a quello che accade nello spazio planetario. Di seguito riportiamo ampi stralci della relazione tenuta dal professor Papi al seminario "Perché e come essere socialisti nel XXI secolo", promossa dal Circolo La Riforma di Milano il 15 novembre scorso.

di Fulvio Papi *)
La mia tesi è che senza l'elaborazione di una cultura socialista, anzi di una “visione del mondo” socialista, diventa molto difficoltoso avere una propria linea politica coerente, identificabile, durevole nel tempo. Tuttavia una cultura socialista può essere un desiderio o una nostalgia, ma in concreto deve ricostruirsi nella realtà del mondo attuale, in una scena mondiale che lascia al passato gli equilibri politici e il corso economico degli ultimi venticinque anni.

Probabilmente una valutazione approfondita degli effetti della crisi finanziaria a livello economico non è veramente possibile poiché nessuno conosce analiticamente le interdipendenze che esistono nel sistema economico mondiale e nelle sue ramificazioni locali. Gli interventi degli stati sono stati progettati al livello di conoscenza del macrosistema finanziario immaginando di poter assestare il mercato mondiale al livello che avrebbe dovuto avere senza l'infezione di una finanza che mirava alla moltiplicazione del profitto nel più breve tempo possibile. Va detto anche che il capitale finanziario ha avuto la sua importanza nel decollo economico di intere aree mondiali con gli squilibri ben noti per cui i paesi poveri si sono ulteriormente impoveriti. In ogni caso oggi a fronte del disastro è emersa la parola “regole” che va colta in tutti i significati che può avere.

Al livello del discorso che possiamo fare si possono indicare alcuni elementi importanti. La crisi ha mostrato che l'assoluta libertà di mercato, come processo autoregolato, è una ideologia aggressiva e totalitaria. A livello finanziario l'interpretazione di questa norma ha condotto a risultati disastrosi. Tuttavia i manager cui una cultura puritana attribuisce oggi la “colpa” non si sentono poi tanto in colpa, poiché suppongono di aver agito tecnicamente all'interno di una ideologia sostenuta per un ventennio a livello mondiale: la cultura neoliberista che ha caratterizzato la finanza ma anche la cosiddetta economia reale, tutt'altro che indenne da guasti considerevoli a livello planetario. Senza cercare decine di esempi basti pensare ai disastri ambientali che ha provocato l’insediamento di molte multinazionali con l'aiuto di governi locali o corrotti o sedotti dalla medesima ideologia e dai suoi effetti a breve termine.

Dalla crisi emerge a pieno l'importanza decisiva delle decisioni politiche e dei luoghi istituzionali dove queste decisioni possono essere legittimamente prese. Ne consegue l'importanza del livello politico per regolare l'economia. Per la verità l'importanza della struttura politica nei confronti dell'economia si vede benissimo anche a rovescio. Pare almeno curioso che gli stati intervengano solo ora di fronte a una catastrofe e non prima cercando di evitarla con strumenti politici. Sono stati, primo fra tutti gli Usa, che hanno contribuito in modo decisivo a sostenere una ideologia neoliberista come nuova fase di democrazia e di ricchezza del mondo. Va detto che è del tutto omogenea la voluta cecità politica sulle forme estreme della finanza americana con l'apologia del modello politico e di vita sociale degli Stati Uniti da imporre al mondo e, infine, con il rifiuto del protocollo di Kyoto. La politica dello stato ha avuto un ruolo decisivo in queste direzioni, è stata teorizzata dai politologi prossimi al presidente, è stata rappresentata filosoficamente come fine della storia. Del resto non è mai esistita alcuna situazione di mercato che non fosse sostenuta dalla superiore potenza di uno Stato, basti pensare all'Inghilterra nell'’800. Sono considerazioni che portano lontano, ma qui a noi, come a tutti gli osservatori sensati, importa valutare l'importanza decisiva che assume l'antica struttura dello stato per regolare l'economia, quindi il fallimento storico del neoliberismo. A questa ovvietà aggiungo una previsione: non è difficile dire che vi sarà, o, meglio, vi dovrà essere un conflitto politico tra il tentativo di restaurare il mercato puro una volta superata la crisi e puniti i colpevoli, e uno sforzo di trasformazione (moralizzazione vuol dire trasformazione) del capitalismo mondiale, della sua ideologia diffusa a livello comune, dei suoi effetti sociali. Se ci sarà questo scontro politico e a quali risultati esso potrà portare, dipenderà non poco del nostro futuro.

In questa prospettiva emergono due considerazioni: una struttura statuale che è quasi solo il tramite legislativo delle esigenze di mercato e in questa prospettiva si deve leggere la teoria diffusissima della decadenza dello stato nell'economia contemporanea globalizzata. Teoria ora in ombra, ma tuttora esistente e forte in luoghi che contano, dove si sostiene che l'intervento dello stato è da limitare alle emergenze. Come dire assoluta libertà di mercato, teoria dell'autoregolazione; ma se nella realtà va male, allora le perdite non possono che essere sociali. O, al contrario, uno stato che non deve ignorare gli effetti potenzialmente negativi di un capitalismo che fa di se stesso una ideologia del bene. Anzi uno stato che interviene per favorire scelte e opzioni che, compatibili con il mercato che non può non esserci, poiché è la nostra storia obiettiva, indirizza a effetti positivi, per esempio la riduzione della povertà, l’andamento stesso dell'economia. Questo è un tradizionale tema politico socialista, la coesistenza sociale di mercato e politica, di economia e cultura, che in Italia ha avuto la sua stagione, e nei paesi del Nord Europa la migliore realizzazione con effetti molto positivi sull'economia di mercato, com’è sapere comune.

Naturalmente un progetto del genere a livello internazionale non esiste in un libro, o in alcuni libri, ma é possibile tramite un impegno politico che si sviluppi come cultura della società civile. E questo è un problema radicale e difficile che riguarda lo stato delle cose e, in subordine, la qualità dell'azione politica. Nel nostro mondo una cultura politica non può che essere “glocal”, cioè armonizzare le scelte politiche locali con una concezione globale dei problemi del mondo. Poiché se è vero che una crisi della borsa di New York ha che vedere con gli investimenti nell'agricoltura in Asia, è anche vero che il taglio delle foreste o una agricoltura irragionevolmente intensiva hanno a che vedere con il nostro sistema di vita e con la nostra salute. Punti di vista tutt'altro che parassitari.

Nella crisi attuale il commento spesso è stato: ritorno alle imprese e al lavoro. Vediamo il lavoro. La tradizione laica del movimento operaio ha sempre avuto il suo punto fondamentale nella concezione del valore-lavoro, sia nella tradizione socialdemocratica dove diventa il problema della giustizia, sia nella tradizione più rigorosamente marxista dove diventa il problema della storia. Questo significa che, come la merce nel lavoro trovava il suo valore, così la forza lavoro nella sua prestazione lavorativa e, in modo diretto, nella sua dimensione sociale, trovava la sua identità prevalente.

Oggi questo nucleo fondante non è così, sia per quanto riguarda l'identificazione comune nel lavoro, sia per quanto riguarda una linea di continuità tra l'identificazione collettiva nel lavoro con l'identificazione collettiva nel sociale. Quando si parlava di Stalingrado d’Italia si faceva proprio riferimento a una situazione del genere. Le ragioni di questa trasformazione sono molte, ed è difficile vederle tutte. Consideriamone alcune dalla parte della prestazione lavorativa. Anni fa era una moda intellettuale parlare di “lavoro immateriale”. E’ una semplificazione fuorviante della trasformazione del lavoro sociale. E’ una moda che ne fa una questione filosofica piuttosto che un'analisi sociale. Il modo di lavorare è profondamente mutato nel senso che, rispetto al passato, esige un livello di conoscenza che spesso va continuamente rinnovato. Questa situazione non può che favorire una interpretazione personale relativamente al rapporto con il proprio strumento di lavoro. Ma non solo le modalità del lavoro, in cui gli elementi di conoscenza hanno un effetto di individualizzazione della prestazione lavorativa, ma anche l’instabilità del lavoro determina un prevalente timore di discontinuità dell'occupazione che, anch'essa, accentua necessariamente l'individualizzazione. Il caso del precariato è il caso perfetto di questa situazione che è la dimensione collettiva di condizioni che non possono che essere vissute individualmente. L'invenzione di strategie lavorative per facilitare l'occupazione ha necessariamente conseguenze nel modo di vivere l'occupazione stessa.

Ci sono sociologi che immaginano il lavoratore come un imprenditore della propria capacità lavorativa. La conoscenza tecnologica, l'abilità, la disponibilità di tempo toglierebbero al lavoro la condizione di merce. Sono “io” che contratto la mia prestazione. E’ una visione che trasforma nel linguaggio una condizione sociale, una necessità in una possibilità. Ma cambiare il modo di dire, non cambia la forma sociale del rapporto di lavoro e gli effetti sul modo di vivere, sul sentirsi vivere. Anzi introduce una dimensione normativa nell'esistenza: o sei così o non sei all'altezza dei tempi e sarai punito.

Altro è dire che il lavoro, la forma del lavoro, il tempo del lavoro hanno perduto quello che un tempo era il loro valore simbolico, cioè la forza di identificazione sociale. Per fare un esempio: oggi sarebbe inimmaginabile il comportamento degli operai che, alla vigilia della insurrezione dell'aprile del ‘45, occuparono le fabbriche per impedirne la distruzione da parte dell'esercito tedesco. La fabbrica non veniva percepita solo come un mezzo di produzione la cui proprietà era estranea ai lavoratori, ma come il proprio luogo dove il lavoro comporta oltre al salario una identità personale e una dignità collettiva che si sarebbe ripetuta nel futuro. Oggi il luogo sociale del lavoro è un posto qualsiasi e il salario non identifica una figura sociale collettiva, ma un mezzo per raggiungere scopi indispensabili per le condizioni della propria vita, ma non costituisce di per se stesso una identità. Questo vuol dire che esistono certamente sei milioni di operai che però non sono una tendenziale identità sociale. La condizione materiale del lavoro non produce una “cultura”, e questo è un processo che dura da molti anni. Si sono formate altre identificazioni simboliche che hanno concorso a determinare il prevalente individualismo contemporaneo che è anche il modo per trovarsi in una relazione “realistica” con il mondo nel quale si è. E’ del tutto inutile, come talora fanno gli economisti di tradizione marxista, sostenere che, in ogni caso, si tratta di “lavoro vivo”. Questo è un modo di dire astratto, e nemmeno marxista se teniamo presente che Marx ha definitivamente insegnato che non è la coscienza a determinare l'essere sociale, ma l’essere sociale la coscienza.

E allora il problema è cercare di capire, almeno molto in generale, quali siano gli elementi sociali con cui il lavoro è in relazione e assume senso, e che hanno così una capacità identitaria rilevante. Con una sola proposizione si potrebbe dire che, sull'interpretazione della propria situazione lavorativa e sociale, intervengono elementi della dimensione virtuale da cui è condizionata l’esistenza collettiva. Tenendo presente che il “virtuale” è una forma di realtà, e nient’affatto una illusione. In breve: è un errore banale dire che non esistono più gli operai che, quanto al numero, sono all’incirca quelli di trent'anni fa. Non esiste invece la “classe operaia”, se alla parola si dà il significato storico-politico che è corretto e che appartiene a una congiuntura che non c'è più. E che nell'Occidente europeo non è mai esistita con il medesimo significato. Quanto alla dimensione virtuale che contribuisce in modo così rilevante alla formazione della figura sociale della nostra epoca considererò solo due elementi che sono pertinenti in questo discorso: la spettacolarizzazione dell'esistenza attraverso ogni forma di comunicazione come diffusione dell'immaginario che poi diviene la dimensione prevalente del proprio riconoscimento. E la comunicazione stessa come visione eternamente ripetitiva e, in questo modo, esterna alla propria esperienza: il mondo appare raramente come il mondo in cui io stesso sono. L'un caso come l'altro contribuiscono a costruire il perimetro individuale dell’io. Una sola verifica: la solidarietà sociale non è mai una condizione di vita, ma diviene una virtù o un dovere o uno spettacolo. Anni fa, rispetto a questo effetto sociale imputato alla frequenza della televisione nel tempo libero, si sosteneva che Internet potesse rappresentare una risorsa di libertà e di iniziativa individuale. In qualche caso lo è stato, ma se è vero che ogni mezzo, come ogni tecnologia, forma il suo utente, bisogna anche ricordare che i personaggi che frequentano Internet appartengono al medesimo clima sociale che ho ricordato.

Tant'è che è diventato un luogo comune sostenere che l'opinione pubblica, almeno nel senso di un controllo e di una valutazione dei fenomeni sociali e politici, pare molto poco reattiva. Facile, invece, a essere influenzata da immaginazioni politiche che offrano a ciascuno e a tutti - il famoso individualismo di massa - l'immaginazione di una migliore vita privata nel senso di una disponibilità anche di poco superiore di denaro. La demagogia è sempre demagogia, ma a livello del destinatario non è un inganno poiché aderisce al desiderio immaginario che è diffuso collettivamente. Questo processo si nomina comunemente come riduzione del cittadino al consumatore. E’ il modo di riferirsi al mondo che caratterizza una cultura che ha una sua omogeneità di superficie, del tutto nuova sia rispetto alla società etico-estetica dell'’800 borghese, sia alla società operaia del primo ‘900. E’ una osservazione tutt'altro che nuova, e risale alle prime analisi della società di massa non totalitarie.

Questo percorso conduce a dire che non esiste più alcuna aggregazione politica che nasca a livello della condizione sociale. E temo che anche il sicuro impoverimento della nostra società non abbia esiti politici univoci ed evidenti. Anzi. Esistono oggi culture, identificazioni del proprio desiderio sociale, appartenenze più o meno solide e più o meno durevoli. C'è un totalitarismo educativo nella vita sociale che, in varie guise, riflette l'ideologia dominante. Possiamo invece dire che esiste ancora una identità socialista che è storicamente sedimentata, ma vale più per gli echi del passato che non per il proposito del futuro. Anch'essa solo in alcuni casi è socialmente aggregata, in altri è vissuta come un patrimonio di intelligenza personale che, essendo una morale, dà necessariamente giudizi. Confronta la propria dimensione simbolica con il linguaggio e l'azione del sottosistema di riferimento e, in questo confronto, la rappresentatività può andare in crisi e al suo posto subentra la disillusione, l'amarezza e la sfiducia. Non bisogna sopravvalutare la trasmissione morale tra le generazioni che, nel nostro mondo, ha accorciato la durata. E nemmeno credere che possa esistere una generazione che spontaneamente si possa fare carico di una destinazione politica come quella socialista. Vi si oppone la stessa formazione della personalità che trova la propria “educazione” fondamentale nella condivisione dell'esperienza con i pari di età.

A questa mancanza di una qualsiasi relazione privilegiata tra vita sociale ed espressione politica c’è solo una risposta possibile, ed è la costruzione paziente, in un ambiente avverso o addirittura ostile, di una cultura politica che, rispetto allo stato del mondo, non può che essere anch'essa “glocal”. Capace cioè di costituire una trama omogenea tra le soluzioni che valgono per il proprio piccolo mondo, e la partecipazione etica ma anche politica, se organizzata a quello che accade nello spazio globale. Non è detto che riesca, ha una concorrenza notevole come il ritorno religioso, ma non esistono altre vie.

A livello locale esistono naturalmente molti problemi che la popolazione vive con maggiore o minore intensità. Ma non esiste alcun problema che non assuma una forma, e la forma che esso assume dipende dal modo in cui viene interpretato in una cultura. Per esempio trasformare giardini pubblici per fare garage sotterranei non è la soluzione urbana necessaria per il problema dei parcheggi, ma è la soluzione che appartiene a un modo di concepire la città, cioè appartiene a una cultura. A questo proposito occorre valutare anche il senso di alcune “competenze”, poiché spesso le competenze sono corrispondenti a problemi che hanno già assunto una forma di cultura che garantisca gli interessi economici più potenti. Spesso è il caso dell'architettura contemporanea che non ha una visione urbanistica, e in questo caso la competenza si declina con un’estetica astratta, come se il manufatto architettonico fosse una rappresentazione. Per parlare filosoficamente, si può dire che vi è competenza priva di pensiero. Una città pone problemi che possono essere affrontati da diversi punti di vista talora confliggenti tra loro, si tratta di vedere in quale quadro valutativo, in ordine al bene della città, si trovano posti. La qualità dell'urbanizzazione, la gestione del suolo pubblico, il policentrismo e la sua realizzazione, l'inquinamento della città, le necessità dei cittadini che si sono determinate con il tempo - e sono le più rilevanti -, la sicurezza nella vita economica e sociale, sono tutti temi che dovrebbero essere affrontati da una cultura e non solo da interventi occasionali. Solo la presenza attiva, visibile, quotidiana, può dar luogo a quell'educazione che seleziona i bisogni alla luce di un bene collettivo. Se non si tiene presente che, per quanto possibile, occorre tentare di far nascere la figura del cittadino contemporaneo, sarà quasi fatale che prevalga un’amministrazione che gestisce un compromesso tra “le mani sulla città”, la demagogia e una efficienza di facciata. So bene che non si tratta di provocare un evento, ma solo una direzione di cultura sociale, e questa direzione è immaginabile se il ceto politico trova la propria identità in una cultura che ritraduce la tradizione socialista. Si tratta anche di un processo di auto-educazione del ceto politico che possa trovare un equilibrio tra la propria identità, la gestione di un potere, la propria presenza nell'universo della comunicazione. Sarà proprio impossibile? E’ vero che la professionalizzazione della politica comporta l'adesione, conscia o inconscia, a un’altra cultura rispetto a quella della nostra tradizione?

Una cultura socialista, rispetto al cosmopolitismo illuminista, ha scoperto la dimensione internazionale. Anche se, alla prova storica, fallirà. Noi invece siamo obbligati a pensare la nostra identità socialista in una dimensione mondiale, anche se non abbiamo l'antico comune referente, la classe, ma dobbiamo pensarci attraverso diversità (i filosofi dicono differenze) di culture, di tradizioni religiose, di forme politiche. E’ un compito molto difficile poiché richiede molte più conoscenze e molte più iniziative di quanto non sia necessario per ribadire la nostra tradizione occidentale intorno ai “diritti umani” che, attraverso interpretazioni politiche riduttive e aggressive, può condurre anche a conflitti molto gravi. Molti sostengono che la crisi finanziaria è solo l'inizio di una crisi epocale che vede il declino dell'impero americano (Attali l'aveva detto prima) e apre nuovi equilibri nel mondo. Se le cose stanno così allora noi siamo ancora più obbligati a costruire una cultura socialista a livello mondiale. E’ la medesima cultura che transita dal locale al globale, naturalmente in modi completamente diversi. Nell'America Latina negli ultimi anni appare un decondizionamento nazionale molto sensibile rispetto all'area di dipendenza economica dagli Stati Uniti che è parallelo a una diffusione di prospettive socialiste, se pure diverse tra loro. La crisi degli Stati Uniti renderà più facile questo sviluppo e meno possibile interventi indiretti ma potenti come è accaduto nel Cile.

Il processo di globalizzazione, nei suoi aspetti positivi, viene misurato dallo sviluppo nei paesi asiatici, come l'India e la Cina, attraverso l'ascesa vertiginosa del PIL e dalla occidentalizzazione della vita sociale, anche con grande sviluppo nella ricerca. Ma si dice molto meno che la forma dello sviluppo ha creato situazioni sociali che, per quanto riguarda il lavoro maschile e femminile, ricordano aspetti della nostra rivoluzione industriale.

A livello mondiale sappiamo che l'agricoltura dei paesi poveri non riesce ad acquistare una sua espansione nel mercato a causa dei protezionismi garantiti alle agricolture dei paesi ricchi. L'immigrazione non è un problema da vernacolari ministri degli interni, ma è una questione epocale che si accentuerà e avrà a che vedere con gli equilibri demografici nelle varie parti del mondo. La scarsità d'acqua è a livello mondiale, e c’è un conflitto che si apre a proposito della sua privatizzazione come affare economico. Le mutazioni climatiche che alterano le stesse possibilità di vita delle specie, e anche delle società umane. Ma sono società che, pure nel possibile disastro, stentano molto a trovare una svolta adeguata dalle economie capitaliste. Le malattie che si diffondono senza una adeguata protezione medica e farmacologica. Noi, al di là del nostro spazio sociale, delle dispute quotidiane del sottosistema politico, al di là dell'irresponsabile potenziamento dell'interpretazione individualistica della vita, siamo in questo mondo. E lo saranno i nostri figli.

In questo mondo come eredi di una lunga e difficile storia, possiamo portare la nostra rielaborazione di una cultura socialista che si deve incontrare con altre culture e altre esperienze, con quelle prospettive cresciute culturalmente negli ultimi anni che amano dire: “un altro mondo è possibile”. Nel pensiero e nell'architettura ideale questo è vero. Ma la costruzione reale è un compito collettivo. Non credo ci si possa sottrarre rivendicando nel vuoto una identità socialista: ci si può ripete solo inglobando nel nostro costume i problemi di oggi, anche quando sembrano troppo grandi, se non per la conoscenza, certo per la nostra forza politica. Detto semplicemente, è questione della formazione di un ceto dirigente che, al contrario di una casta separata, immagini il proprio compito come immissione nel mondo di una propria cultura, di un proprio disegno del tempo avvenire. In altre situazioni storiche non fu diverso il compito dei socialisti europei. Certo, come si dice, un rapporto con il territorio, ma è possibile solo se si ha qualcosa da dire che non sia già stato detto, se si danno immagini e possibilità di vita. E’ un nuovo inizio, un investimento a lungo termine e richiede dedizione e grande impegno senza poter sapere prima se “il seme non muore”. Probabilmente direte “ma queste sono solo idee”. Ma che cosa vi aspettavate da un filosofo?

*) Fulvio Papi (Trieste, 1930), direttore dell'Avanti! nei primi ammi Sessanta, professore emerito di filosofia teoretica dell’Università di Pavia, è uno tra i maggiori filosofi italiani contemporanei. Erede della scuola di Milano, ne ha elaborato i criteri in modo originale e proprio. Ha pubblicato autorevoli testi di storia della filosofia, filosofia morale, estetica e politica: circa venticinque volumi, tra i quali Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno (Firenze, 1968), Utilità, oggetto e scrittura in Marx (Milano, 1983), Lezioni sulla Scienza della logica di Hegel (Milano, 1998). Attualmente ha in corso un’opera dal titolo Il lusso e la catastrofe. Nel 2000 è stato insignito dell'Ambrogino d'oro quale cittadino benemerito della Città di Milano.

mercoledì 10 dicembre 2008

Tutto ciò non avverrà più - no comment

Ipse dixit
La questione morale - «La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.» - Enrico Berlinguer

Un sigillo impresso nell'acqua corrente - «Quell'esperienza la cui presenza si chiama memoria è simile a un quadro o un disegno: gli avvenimenti lasciano di sé come un'impressione dell'immagine della percezione, come quando si sigilla con un anello. Perciò il ricordo non si conserva con tanta facilità nelle persone che in conseguenza di stati emotivi o dell'età si trovano in una forte eccitazione: in loro accade esattamente come se il sigillo fosse impresso nell'acqua corrente.» - Aristotele


Dal Dimenticatoio
ACCADEVA NEL 1938 - leggi razziali - vai al sito
ACCADE OGGI - squadrismo: vai al sito
USO PUBLICO DELLA STORIA - razzismo - vai al sito
MILANO RICORDA PIAZZA FONTANA - vai al sito


La Catena di San Libero L'onorevole Trombetta
di Riccardo Orioles *)
L'onorevole Cosimo Trombetta, parlamentare Pd di Voghera, è da oggi segretario del Partito democratico. L'ha deciso il Capo del Governo Silvio Berlusconi per sciogliere la lunga impasse (che data dai corsi delle Frattocchie del 1965) fra Walter Veltroni e Massimo D'Alema. L'obiettivo del Partito Democratico, come tutti sanno, è di tener lontani dal potere Prodi e D'Alema. La "mission" di quest'ultimo, viceversa, è radere al suolo Veltroni e seminarci il sale sopra.

La lotta fra i due leader, con alterne vicende, dura da oltre quarant'anni: più delle due guerre mondiali, delle tre puniche e di tutte le guerre di successione. E' eguagliata solo dal lungo conflitto che ha opposto, in un recente passato, l'Egitto di Ramsete II alla Babilonia di Hammurabi. Ha portato, per logoramento, a un completo disinteresse dell'intero partito - uso ormai a risvegliarsi solo per questa o quella dichiarazione dei due cavalli di razza - a qualsiasi altro argomento.

In questo clima, ovviamente, alla fine hanno finito per trovar spazio le iniziative politiche più impensate. In alcuni casi, per la verità, s'è trattato di forzature giornalistiche, come nel caso del sindaco di Torino. "Sarebbe come allearsi con la Lega!" aveva detto Chiamparino per illustrare l'assurdità di talune scelte politiche a suo avviso sbagliate: e il giorno dopo i giornali avevano riportato pari pari "Chiamparino vuole accordarsi con la Lega", cosa evidentemente assurda a prima vista.

Anche in Sicilia, a causa principalmente della scarsa comprensibilità del dialetto usato da alcuni esponenti democratici, si erano diffuse voci di operazioni decisamente strane, come gli accordi non solo con i leghisti locali (quelli di Lombardo, noto principalmente per la diffusione di pacchi alimentari fra i suoi elettori) ma addirittura con l'Udc di Cuffaro, noto interlocutore di mafiosi.

- "Tutto ciò non avverrà più - ha dichiarato Trombetta - Da ora in poi la linea del partito sarà chiara e indiscutibile, senza incertezze né inciuci: saremo fedeli collaboratori del Governo nazionale e dell'Uomo che la Provvidenza ha posto al vertice del nostro amato Paese".

- Onorevole, ma... Scusi, ma lei è sicuro di poter esercitare così immediatamente il suo mandato, senza prima consultarsi con...
- "E perché? Quardi, questo è il foglio di nomina. Controlli la firma. Dice che il capo dell'opposizione non può essere scelto dal governo? E perché? Anche per la vigilanza Rai un tempo si diceva così. E invece Villari ora non è al suo posto, non esercita tranquillamente? Li lasci dire, li lasci dire. Tanto, una volta che si sfogano...".

In serata il Collegio dei probiviri del Partito democratico ha comunicato di non avere ancora raggiunto una decisione. "Non ci sembra possibile censurare le scelte politiche dell'on. Trombetta, che in quanto uomo libero ha il diritto di avere le sue posizioni". Contrario l'on. Veltroni, secondo cui "l'iniziativa di Berlusconi e Trombetta è del tutto fuori da ogni prassi istituzionale". Favorevole l'on. La Torre, che ritiene la nomina "rispondente alle attese della parte sana del Paese". "No comment" di D'Alema. "Va bene, ma sarei stata meglio io", ha detto la capogruppo al Senato Finocchiaro. "Deciderà il congresso" ha concluso Fassino. "E quando sarà il congresso?". "Il 29 febbraio 2011, naturalmente". Qui Roma, a voi studio.

*) Riccardo Orioles, giornalista antimafia, fondatore assieme a Giuseppe Fava de "I siciliani", è un punto di riferimento nel panorama delle firme giornalistiche in Sicilia impegnate a contrastare la mafia e la corruzione. www.riccardoorioles.org / www.sanlibero.it

lunedì 1 dicembre 2008

Il manifesto del PSE per le prossime elezioni europee: People first

People first. Così si chiama la bozza del manifesto del PSE a cui hanno lavorato i rappresentanti dei partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti e democratici progressisti d'Europa. Di seguito riportiamo una sintetisi del testo che il Pse discuterà a Madrid lunedì e martedì prossimo. Al manifesto hanno dato il loro contributo anche gli eurodeputati italiani che aderiscono al gruppo Pse del PE e che saranno rappresentati a Madrid da Donata Gottardi e Catiuscia Marini.

Versione italiana a cura di Gianni Pittella *)
L'utilizzo delle nuove tecnologie è stato fondamentale nell'elaborazione del manifesto del PSE per le prossime elezioni europee di giugno 2009. Infatti, il manifesto che i leaders dei partiti che si riconoscono nel Partito del Socialismo europeo adotteranno la prossima settimana a Madrid, ha visto la partecipazione attiva dei militanti europei. Durante la lunga fase di ascolto lanciata via internet e attraverso il social network facebook per la redazione del documento finale sono stati raccolti i commenti e i suggerimenti sulle priorità politiche del PSE. In quindici pagine sono state sviluppate le proposte inerenti alle tematiche considerate di maggior rilevanza per affrontare la prossima campagna elettorale. In primo luogo vengono identificate le sfide che ci attendono. Dalla crisi economica alla sfida del cambiamento climatico. Dal diritto ad un lavoro decente e duraturo alla partecipazione democratica nella presa delle decisioni. Dagli sforzi per gesti re l'immigrazione ai diritti degli immigrati legalmente residenti nel nostro territorio. Dalle sfide alla democrazia e dei diritti dei cittadini alle minacce del terrorismo e del crimine oltre che dell'estremismo che attraversa l'Europa. E infine sul ruolo che l'Europa deve svolgere come attore globale nell'aumentare la nostra sicurezza interessandosi anche delle aree più povere del mondo. Strutturato in 6 capitoli il manifesto avanza, con proposte concrete, le politiche da avviare per offrire risposte europee alle sfide che ci attendono. Non potendo prescindere dalla grave situazione finanziaria mondiale il documento inizia proprio affrontando il tema del rilancio dell'economia e delle azioni da intraprendere per evitare il ripetersi di simili crisi. La crisi finanziaria ha dimostrato, ancora una volta, la necessità di un'Europa unita e coordinata che ha saputo dare un aiuto alla protezione dei risparmi dei cittadini. Si sottolinea così la necessit&agra ve; di proporre una riforma dei mercati finanziari che preveda regole per tutti gli attori finanziari in gioco. Si propone di porre fine alle situazioni dei paradisi fiscali e combattere il riciclaggio di denaro sporco nell'Ue oltre a fare in modo che tutti gli attori del mercato paghino la giusta proporzione di tasse nei paesi in cui operano. Per rilanciare l'economia viene preso in considerazione una strategia europea per una crescita ecologica ed intelligente in grado di creare 10 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020 con un quinto di essi solo nel settore delle energie rinnovabili. Particolare enfasi viene posta sia nel settore delle reti infrastrutturali, dello sviluppo dei trasporti combinati con le ferrovie e nel sostegno alle azioni che stanno conducendo i sindaci social democratici attraverso il loro manifesto della Mobilità Urbana, che nell'ambito del completamento del mercato interno anche attraverso il sostegno alle piccole e medie imprese considerate la spina dorsale dell'economia europea in grado di offrire occupazione a una larga parte dei lavoratori. Il sostegno alle economie per favorire il cambio è ritenuto particolarmente importante. Bisogna anticipare i cambiamenti e per questo si dovrebbe da un lato rafforzare lo strumento già esistente del fondo di aggiustamento alla globalizzazione, dall'altro prevedere forme di maggior flessibilità per i prestiti indirizzati agli investimenti da parte della Banca Europea degli Investimenti.

Il secondo capitolo si concentra sulla nuova Europa sociale che possa offrire un accordo sociale equo alle persone. Non c'è differenza dove uno vive o dove è nato. I cittadini europei condividono gli stessi valori di base sul tipo di società in cui vogliono vivere: un'Europa sicura, con alti livelli di vita, un lavoro stabile e decente e un ambiente sicuro e pulito. Per garantire questi standards non è sufficiente salvaguardare lo status quo. E' invece necessario prevedere nuove azioni più mirate e in particolare attraverso la ricerca di un accordo su un Patto Europeo per il Progresso sociale che preveda obiettivi e standards nazionali per la salute, le politiche educative e per la sicurezza sociale che siano in grado di combattere la povertà e le ineguaglianze. Si propone, tra le altre opzioni, di includere una clausola di progresso sociale in ogni atto legislativo dell'Unione Europea e che vengano presi in considerazione i criteri s ociali e ambientali nello sviluppo della legislazione europea. La protezione dei diritti dei cittadini dev'essere assicurata attraverso il rispetto della Carta dei diritti fondamentali e della Convenzione europea dei diritti umani. Il rafforzamento della legislazione anti discriminatoria è prioritario per assicurare una parità di trattamento a prescindere dal genere, dalla razza, dall'età dalle disabilità dagli orientamenti sessuali e dalle credenze religiose o di pensiero. I cittadini europei devono ricevere uguale trattamento in tutti gli Stati membri come ad esempio per quanto riguarda i diritti parentali e matrimoniali.

Trasformare l'Europa nel leader globale contro il cambiamento climatico è il terzo capitolo del documento. Da un lato l'Europa deve essere il leader mondiale nei negoziati per affrontare la sfida del cambiamento climatico, anche attraverso un aumento dell'aiuto europeo ai paesi in via di sviluppo tanto per combattere come per far fronte al cambiamento climatico. Ma l'Europa deve anche essere in grado di condurre una politica energetica molto più ambiziosa, attraverso una direttiva europea sul clima che assicuri obiettivi e azioni in quei settori non ancora coperti dalle leggi esistenti, ad esempio energia, agricoltura, cibo, costruzioni e trasporti. Tutte le legislazioni climatiche dovrebbe essere adattate per fissare al 30% la riduzione delle emissioni. Ma accanto a questo si dovrà investire per prevedere una rete di trasporto dell'energia in grado di trasportare in modo efficiente l'energia eolica prodotta in alto mare nell'Europa occidentale o quell a solare prodotta nei paesi dell'Europa del sud o del nord Africa.

Il quarto capitolo si concentra sullo sviluppo dell'eguaglianza di genere nel nostro continente. Nonostante siano stati effettuati consistenti progressi per raggiungere una parità tra uomo e donna rimangono persistenti ineguaglianze, le donne guadagnano in media il 15% in meno degli uomini facendo lo stesso lavoro e hanno peggiori condizioni nell'inserimento nel mondo del lavoro. Nel mondo ci sono milioni di donne che soffrono ancora violazioni dei loro diritti e vengono sfruttate e in generale la loro partecipazione alla vita politica è ancora bassa anche in Europa. Per rendere la parità di genere una realtà per tutti si propone di creare una Carta Europea per i diritti delle donne per migliorare i loro diritti e le opportunità, si propone di introdurre gli stessi diritti di congedo parentale per uomini e donne in tutt'Europa e si vuole lanciare una campagna per un'equa rappresentanza di uomini e donne a tutti i livelli del processo decisio nale sul territorio dell'Unione. Tra le proposte si sottolinea anche la necessità di porre in atto politiche che permettano ai genitori di dividere equamente le loro responsabilità familiari e professionali investendo nei settori della cura dei minori sia per la fascia d'età 0-3 anni che in quella 3 anni-età scolare.

Le politiche legate all'immigrazione sono concentrate nel quinto capitolo. Consapevoli del fatto che le persone sono preoccupate delle conseguenze dell'immigrazione è necessario prevedere delle riforme. La risposta non è creare ghetti o alimentare la xenofobia, ma attuare vere riforme per assicurare l'integrazione, combattere l'immigrazione illegale, il traffico di esseri umani e il lavoro nero, e lavorare per creare migliori condizioni di vita nei paesi poveri fuori dall'Europa per prevenire la fuga dei cervelli anche da quelle zone. Per gestire i flussi migratori in modo efficace si propone di stabilire uno standard europeo comune per l'immigrazione legale all'interno dell'Unione europea basata sulla solidarietà, sulla condivisione delle responsabilità rispettando pienamente le competenze dei singoli stati membri in materia. Si propone di combattere l'immigrazione illegale attraverso un controllo di polizia europeo delle frontiere esterne, migliorando la cooperazione per combattere il traffico umano delle organizzazioni criminali e attraverso accordi di partnership con i paesi terzi che includano anche le procedure di riammissione. Bisogna però sostenere ulteriormente lo sviluppo del sistema europeo di asilo basato su norme chiare e giuste per coloro che fuggono dalle persecuzioni nei loro paesi.

Infine, il manifesto affronta il ruolo dell'Unione europea come attore globale per sostenere la pace, lo sviluppo e la sicurezza nel mondo in cui viviamo. Gli ambiti attraverso cui l'Unione deve essere presente vengono identificati attraverso la promozione della pace e della sicurezza tramite un ruolo più attivo nella prevenzione dei conflitti, nella promozione attiva dell'Alleanza delle civilizzazioni attraverso le Nazioni Unite; promuovendo la partnership non solo con le aree geografiche confinanti con l'Ue, ma anche con attori internazionali quali l'India, la Cina, rafforzando i rapporti con l'Africa ristabilendo, con la nuova leadership democratica, un nuovo corso alle relazioni transatlantiche.

Un manifesto serio, che cerca di individuare i problemi a cui la nostra società deve far fronte offrendo risposte che portano all'idea di Europa come soggetto politico e non come mera aggregazione di Stati in difesa dei propri interessi. Negli ultimi 5 anni i conservatori hanno avuto la maggioranza in Europa. Cosa hanno fatto? Hanno contrastato la crisi finanziaria globale? Hanno contrastato l'aumento dei prezzi di energia e cibo? Hanno combattuto la poverta' e le diseguaglianze? E' una societa' migliore di 5 anni fa? Hanno incoraggiato le nostre iniziative per sviluppare e migliorare il lavoro? Loro seguono solo il mercato e lasciano che il ricco diventi sempre piu' ricco, a spese di chiunque altro. Noi crediamo in una economia sociale di mercato. Noi crediamo nella solidarieta' fra generazioni, non nell'individualismo di destra". Per questo abbiamo un solo messaggio da inviare in tutti i paesi dell'Unione europea: Possiamo costruire una società più giusta mettendo le persone al primo posto. Dobbiamo portare l'Europa in una nuova direzione nel giugno 2009.

*) Europarlamentare (PD/PSE), presidente della delegazione italiana presso il gruppo parlamentare del PSE
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lunedì 17 novembre 2008

PARTIRE DAI MIGRANTI

SALDARE LE LOTTE PER I DIRITTI E I BENI COMUNI IN ITALIA E NEL MONDO A PARTIRE DAI MIGRANTI - 200mila persone a Roma in difesa della scuola pubblica contro la menzognera "riforma Gelmini". In tutta Europa, i nostri giovani partecipanti ai programmi Erasmus o ricercatori all'estero si mobilitano o occupano in segno di solidarietà i consolati di Copenhagen, Paris, Lyon, London, Madrid, Brussels, Lisbon, Amsterdam, Berlin, Barcelona, Valencia, Aarhus, Tubingen e Istanbul supportati dai loro colleghi nei diversi paesi.

di Rodolfo Ricci
Forti iniziative di protesta hanno accolto il Sottosegretario Mantica in visita la scorsa settimana a Berna per giustificare la cosiddetta razionalizzazione della rete consolare italiana nel mondo e i tagli indiscriminati alle poche e misere risorse destinate agli italiani all'estero nel campo del sostegno scolastico, dei corsi di lingua e dell'assistenza.

Domani a Zurigo, svizzeri e frontalieri italiani parteciperanno alla grande manifestazione indetta dal sindacato UNIA per protestare contro le enormi iniezioni di denaro pubblico alle banche svizzere in difficoltà a discapito di servizi e prestazioni sociali che inevitabilmente saranno ridotte.

Nel centro della crisi economica mondiale, lo slogan che raccoglie tutte le iniziative popolari è: "Noi non la vostra crisi non la paghiamo".

Uno slogan semplice, chiarissimo, maturo, per niente ideologico, che anzi più pragmatico e chiaro non si potrebbe; è uno slogan in grado di travalicare i confini e di raccogliere la stragrande maggioranza delle popolazioni dei vari paesi che si sono viste negli ultimi decenni ridurre occasioni di lavoro, di reddito, contrazione di diritti e che parallelamente hanno visto aumentare povertà e marginalità di ogni genere.

Oggi, di fronte alla epocale crisi del neoliberismo, le aspettative dei lavoratori e delle famiglie, ovunque si trovino, sono ancora più nere. Abbiamo di fronte anni di recessione e di indecifrabile futuro.

La potenza di fuoco mediatico e parlamentare dell'animale ferito e in crisi ha già scatenato i classici strumenti di mobilitazione contro gli untori: fannulloni, immigrati, sindacati. A loro si addebitano le difficoltà del nostro e di altri paesi.

La situazione italiana è purtroppo una delle punte di avanguardia di questa strategia che mira a scatenare la guerra tra i poveri e a nascondere il fatto che il 10% degli italiani più ricchi detengono il 47% della ricchezza del paese, mentre al restante 90% rimane il 53%, percentuali che fanno dell'Italia il primo paese del terzo mondo.

Le proposte della Lega nord presentate ieri in Parlamento sono impressionanti per il contenuto di xenofobia e razzismo che contengono e fanno capire chiaramente qual è la posta in gioco in questo scorcio di anni 10 del terzo millennio: le contraddizioni debbono essere sanate nell'ambito di una salutare lotta fratricida tra poveri di prima e seconda categoria, dentro i singoli paesi e successivamente, tra i diversi paesi.
E' la classica strategia dei tempi di crisi, nei quali, oltre al malloppo già trafugato, si debbono ricostruire le condizioni per ristabilire il normale travaso di ricchezza (sviluppo) degli anni di stabilità.

E' bene che tutti ne siano edotti: questa crisi non lascerà indenne nessuno; coloro che ancora godono di un passeggero benessere, lo vedranno scemare sotto i loro occhi nel giro di alcuni mesi e dei prossimi anni.

Sarebbe opportuno che la riflessione individuale travalichi anche gli abituali scenari di destra e sinistra, poiché la crisi non guarderà in faccia tessere di partito o predilezioni di schieramento.

Finito il meccanismo di convinzione basato sull'elargizione di mutui facili e di consumo finanziato con il debito, chi gestisce il potere vero (qualche decina di milioni di persone nel mondo) intenderà disporre delle masse solo per contenere le proprie perdite o addirittura per costruire nuove occasioni di reddito senza riguardi per nessuno, a nord e a sud.

Quindi l'indicazione dovrebbe essere quella di non farsi abbindolare ed inquinare nel mare magnum delle infinite misure preconfezionate e vendute come razionalizzanti di un sistema in crisi e che tendono invece a dividere la gente che lavora; e di sostenere invece ogni movimento di base che sia in grado di fare emergere la natura profonda, ma ormai evidente, delle situazioni reali e di togliere il velo e i veli ideologici che vengono sovrapposti alla realtà: la realtà di una crisi i cui effetti dovrebbero essere nuovamente pagati dai tanti che hanno già pagato e finanziato l'impressionante arricchimento dei pochi.

Bisogna avere la capacità di unificare le tante battaglie per la resistenza ai colpi di coda del neoliberismo morente e per la riconquista degli spazi di diritti, di giustizia e di equità che fanno un paese ed una società civile e democratica.

Nell'ambito delle questioni in cui siamo impegnati da decenni, quella dell'emigrazione e dell'immigrazione, bisogna essere coscienti che esse costituiscono due centri delle dinamiche di scatenamento della crisi:
sul versante dell'immigrazione perché è evidente che l'obiettivo dei poteri forti è quello dello scontro fra cittadini autoctoni e stranieri. Su quello dell'emigrazione perché viene ormai ritenuto superfluo il rapporto con le comunità emigrate in una fase di ritorno a politiche di protezionismo e perché le nuove mobilità di emigrazioni interne e internazionali (manovalanza e cervelli) sono ritenute compatibili (e utili) con la conferma della divisione del paese tra nord avanzato e sud arretrato e, allo stesso tempo, con un modello di sviluppo che assecondi e privilegi i settori economici a basso livello di innovazione che costituiscono la caratteristica peculiare dell'impresa e della borghesia italiana, ancora "la più ignorante d'Europa" come 40 anni or sono Pier Paolo Pisolini aveva decretato.

Nel momento in cui nella potenza guida del pianeta oltre 60 milioni di persone eleggono il primo Presidente multiculturale (e di una minoranza) della storia, in Italia si discute di come contrastare le comunità immigrate (che producono il 10% del PIL e che registrano un livello di scolarizzazione superiore a quello indigeno). Una impostazione che chiarisce il livello di arretratezza culturale della classe dirigente dello stivale che non è neanche in grado di pensare all'enorme potenziale di risorsa di cui dispone.

Lo stesso vale per le comunità italiane all'estero, la cui presenza agli onori (rari) della cronaca viene vissuta addirittura con fastidio perché occupa qualche seggio parlamentare e perché non essendo sottoposta al massaggio sub-culturale quotidiano che emana dai media nostrani, dispone di qualche maggiore elemento di discrezionalità rispetto alla terribile provincia e alla metropoli clientelare che ha conquistato il territorio delle coscienze nazionali.

Bisogna dunque saldare tutte le lotte che si dipanano e si dipaneranno nel prossimo futuro e per quel che possiamo fare, dentro e fuori i confini italiani, siamo impegnati a sostenere quella delle comunità italiane all'estero con quella degli studenti, dei ricercatori e dei nuovi emigrati all'estero, quella dei milioni di immigrati in patria e con quelle dei nuovi migranti (sono anch'essi milioni) dentro i confini nazionali sulla direttrice sud-nord-nord est.

Bisogna assolutamente scongiurare ogni rischio di guerra tra poveri e bloccare ogni tentativo di ulteriore trasferimento di risorse e beni pubblici a favore dei responsabili della crisi. Più che una lotta di classe è una battaglia di civiltà contro la barbarie incombente. (Senza un grande movimento internazionale che si coaguli su questi obiettivi, neanche Obama ce la farà.)

Il Presidente Napolitano ha detto ieri, ricevendo esponenti delle comunità immigrate in Italia, parole importanti sulla questione dei diritti e dei doveri: "essi non riguardano solo gli immigrati, ma anche, ed anzi, soprattutto, gli italiani in Italia".

C'è un diritto ad una informazione seria e corretta sulla natura e sulle ragioni dell'emigrazione e dell'immigrazione e c'è, allo stesso tempo, un dovere di informarsi da parte degli italiani in Italia. Come intorno alla questione della sicurezza, c'è una sicurezza che riguarda gli autoctoni e coloro che arrivano. La sicurezza, i diritti, i doveri, sono indivisibili o come ha detto Napolitano, "contestuali".

Lo abbiamo riaffermato con chiarezza qualche giorno fa al Convegno organizzato dalle Colonie Libere e dalle Fiei del 7 novembre alla Biblioteca del Senato, a Roma.

Peccato solo, che il Presidente abbia limitato agli immigrati "regolari", questo "diritto alla contestualità": infatti gli immigrati regolari oggi in Italia sono solo la somma degli immigrati clandestini regolarizzati dalle successive sanatorie negli ultimi 20 anni.

*) Segretario Generale della Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione (FIEI)

lunedì 3 novembre 2008

Prigionieri del passato

Visti dagli altri
A cura di Internazionale - Prima Pagina
L'Italia non viveva un clima sociale così brutto da molti anni. Gli scontri di ieri tra gli studenti di sinistra e i militanti di estrema destra sono l'espressione di un radicalismo politico esasperato e di un malessere profondo della società. Avvenimenti che si vanno a sommare alle dimostrazioni di intolleranza verso gli immigrati, alle nostalgie verso Benito Mussolini e alle minacce di morte allo scrittore Roberto Saviano da parte della camorra. Un clima molto pericoloso, le cui ragioni sono da rintracciare anche nelle politiche populiste e conflittuali messe in atto da Silvio Berlusconi e nella dobolezza delle forze di centrosinistra. Le proteste di questi giorni, quindi, non sono un capriccio: i giovani stanno cercando di guadagnarsi un futuro migliore.

Le Temps, Svizzera
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lunedì 27 ottobre 2008

La Catena di San Libero Saviani

di Riccardo Orioles *)
Anche oggi Marco ha preso il motorino, è uscito di casa e se n'è andato in cerca di notizie. Ha lavorato tutto il giorno e poi le ha mandate in internet a quelli che conosce. Fa anche un giornaletto (Catania Possibile) di cui finalmente anche i lettori hanno potuto vedere un numero (il primo solo i poliziotti incaricati di sequestrarlo in edicola) con relative inchieste. Non ci guadagna una lira e fa questo tipo di cose da una decina d'anni. Ha perso, per farle, la collaborazione all'Ansa, la possibilità di uno stipendio qualunque e persino di una paga precaria come scaricatore: anche qui, difatti, l'hanno licenziato in quanto "giornalista pacifista". Marco non ha paura (nè della fame sicura nè dei killer eventuali) ed è contento di quel che fa.
Anche oggi Max è contento perché è riuscito a mandare in giro un altro numero della Periferica, il giornaletto che ha fondato con alcuni altri amici del quartiere. Il quartiere è Librino, il più disperato della Sicilia. Se ne parla in cronaca nera e nei pensosi dibattiti sulla miseria. Loro sono riusciti a mettere su una redazione, a organizzare non solo il giornale ma anche un buon doposcuola e dei gruppi locali. Non ci guadagnano niente e i mafiosi del quartiere hanno già fatto assalire una volta una sede. Max non ha paura, almeno non ufficialmente, ed è contento di quel che fa.

Anche oggi Pino ha finito di mandare in onda il telegiornale. Lo prendono a qualche chilometro di distanza (la zona dello Jato, attorno a Partinico) e contiene tutti i nomi dei mafiosi, e amici dei mafiosi, del suo paese. Non ci guadagna niente (a parte la macchina bruciata o un carico di bastonate) ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.

Anche oggi Luca ha chiuso la porta della redazione, al vicolo Sanità. Il suo giornale, Napoli Monitor, esce da un po' più di due anni e dice le cose che i giornalisti grossi non hanno voglia di dire. E' da quando è ragazzo (ha iniziato presto) che fa un lavoro così. Non ci guadagna nulla, manco il caso di dirlo, e non è un momento facile da attraversare. Ma lui continua lo stesso, ed è contento di quel che fa.

Ho messo i primi che mi sono venuti in mente, così per far scena. Ma, e Antonella di Censurati.it? Sta passando guai seri, a Pescara, per quell'inchiesta sui padri-padroni. E Fabio, a Catania? Fa il cameriere, per vivere, ed è giornalista (serio) da circa quindici anni. E ti sei dimenticato di Antonio, a Bologna? Vent'anni sono passati, da quando gli puntarono la pistola in faccia per via di quell'inchiesta sui clan Vassallo e gli affitti delle scuole. Eppure non ha cambiato idea. E Graziella? E Carlo Ruta, a Ragusa? E Nadia? E... Vabbè, lasciamo andare. Mi sembra che un'idea ve la siate fatta. C'è tutta una serie, in Italia, di piccoli giornali e siti, coi loro - seri e professionali - redattori. Ogni tanto ne fanno fuori qualcuno, o lo minacciano platealmente; e allora se ne parla un po'. Tutti gli altri giorni fanno il loro lavoro così, serenamente e soli, senza che a nessuno importi affatto - fra giornalisti "alti" e politici - se sono vivi o no. Eppure, almeno nel settore dell'antimafia, il novanta per cento delle notizie reali viene da loro.

Saviano è uno di loro. Quasi tutti i capitoli di Gomorra sono usciti prima su un sito (un buon sito, Nazione Indiana) e nessuno, salvo chi di mafia s'interessava davvero, se l'è cagati. Poi è successa una cosa ottima, cioè che l'industria culturale, il mercato, ci ha messo (o ha creduto di metterci) le mani sopra. Ne è derivato qualche privilegio, ma pagato carissimo, per lui. Ma ne è derivato soprattutto che - poiché l'industria culturale è stupida: vorrebbe creare personaggi mediatici, da digerire, e finisce per mettere in circolo contenuti "sovversivi" - un sacco di gente ha potuto farsi delle idee chiarissime sulla vera realtà della camorra, che è un'imprenditoria un po' più armata delle altre ma rispettatissima e tollerata e, in quanto anche armata, vincente.

* * *
Ci sono tre cose precisissime che, in quanto antimafiosi militanti, dobbiamo a Saviano. Una, quella che abbiamo accennato sopra: la camorra non è la degenerazione di qualcosa ma la cosa in sè, il "sistema". Due, che il lato vulnerabile del sistema è la ribellione anche individuale, etica. Tre, che lo strumento giornalistico per combattere questo sistema non è solo la notizia classica, ma anche la sua narrazione "alta", "culturale"; non solo "giornalismo" ma anche, e contemporaneamente, "letteratura". (Quante virgolette bisogna usare in questa fase fondante, primordiale: fra una decina d'anni non occorreranno più). Dove "letteratura" non è l'abbellimento laterale e tutto sommato folklorico, alla Sciascia, ma il nucleo della stessa notizia che si fa militanza.

Nessuna di queste cose è stata inventata da Saviano. Il concetto di "sistema", anziché di semplice (folkloristica) "camorra" è stato espresso contemporaneamente, e credo sempre su Nazione Indiana, da Sergio Nazzaro (non meno bravo di Saviano: e vive vendendo elettrodomestici); e forse prima ancora, sempre a Napoli, da Cirelli. L'aspetto fortemente etico-personale della lotta non alla "mafia" ma al complessivo sistema mafioso è egemone già nelle lotte degli studenti (siciliani ma non solo) dei tardi anni Ottanta. La simbiosi fra giornalismo e "letteratura", che è forse l'aspetto più "scandaloso" (e che più scandalizza; e non solo a destra) di Saviano è già forte e completa in Giuseppe Fava, e nella sua scuola.

Le "scoperte" di Saviano sono dunque in realtà scoperte non di un singolo essere umano ma di una intera generazione, sedimentate a poco a poco, nell'estraneità e indifferenza dell'industria culturale, in tutta una filiera di giovani cervelli e cuori. Alla fine, maturando i tempi, è venuto uno che ha saputo (ed ha osato) sintetizzarle; e che ha avuto la "fortuna" di incontrare, esattamente nel momento-chiave, anche l'industria culturale. Che tuttavia non l'ha, nelle grandi linee, strumentalizzato ed è stata anzi (grazie allo spessore culturale di Saviano, ma soprattutto dell'humus da cui vien fuori) in un certo qual senso strumentalizzata essa stessa.

* * *

Questa è la nostra solidarietà con Saviano. Non siamo degli Umberto Eco o dei Veltroni, benevoli ma sostanzialmente estranei, che raccolgano firme e promuovano (in buona fede) questa o quella iniziativa. Siamo degli intellettuali organici, dei militanti ("siamo" qui ha un senso profondissimo, di collettivo) che hanno un lavoro da compiere, ed è lo stesso lavoro cui sta accudendo lui. Anche noi abbiamo avuto paura, spesso ne abbiamo, e sappiamo che in essa nessuno essere umano può attendersi altro conforto che da se stesso. Roberto, che è giovane, vedrà certo la fine di di questo orrendo "sistema" e avrà l'orgoglio di avervi contribuito: non - poveramente - da solo ma volando alto e insieme, con le più forti anime di tutta una generazione.

*) Riccardo Orioles, giornalista antimafia, fondatore assieme a Giuseppe Fava de "I siciliani", è un punto di riferimento nel panorama delle firme giornalistiche in Sicilia impegnate a contrastare la mafia e la corruzione. - www.riccardoorioles.org / www.sanlibero.it

lunedì 20 ottobre 2008

Il dibattito a sinistra : Unire i riformisti per cambiare l'Italia

"Vogliamo guardare al futuro. C’è in noi il convincimento profondo che il pensiero e la cultura socialista costituiscano il più importante e decisivo fattore di innovazione, di partecipazione, di giustizia e di libertà delle moderne democrazie e delle società contemporanee". Il dibattito sulla sinistra e il socialismo in Italia si è arricchito del documento del gruppo “Democrazia e Socialismo” che gravita intorno a Gavino Angius. Pubblichiamo il testo e segnaliamo che “Democrazia e Socialismo” ha convocato un'assemblea a Roma il 18 ottobre prossimo, presso la Sala della Conferenze di Piazza Montecitorio 123, dalle ore 9.30

1.
La tempesta economica e finanziaria che ha colpito le piazze economiche mondiali ha assunto connotati eccezionali ed è destinata a produrre i suoi effetti per lungo tempo. E’ sempre più chiaro che la crisi partita dagli Stati Uniti d’America sta avendo conseguenze gravi in tutta Europa e anche in Italia, sia per quanto riguarda il contesto economico generale sia per il suo impatto di breve e medio termine sull’economia reale. Il tema non è quello della sopravvivenza del capitalismo e nemmeno è in discussione la funzione decisiva del mercato, perché essi hanno assunto nel corso della storia forme e connotati diversi, ma semmai di questa loro versione “virtuale” che da molti era stata indicata come una loro inevitabile evoluzione alla quale occorreva prontamente rassegnarsi. Le positive trasformazioni del capitalismo in senso redistributivo nel corso del secolo scorso sono state determinate dalla grande vicenda del socialismo democratico, dal movimento dei lavoratori e da scelte di politica economica a partire dal New Deal rooseveltiano. Esperienze preziose e irrinunciabili per poter effettuare una analisi rigorosa a cui far seguire delle scelte efficaci. Le sfide che stanno di fronte alla sinistra socialista, democratica e riformista sono quindi squisitamente politiche: tra esse hanno assunto particolare rilievo le regole che dovrebbero governare il mercato, i caratteri, i contenuti, le forme dell’intervento dello Stato nell’economia e ancora le politiche pubbliche di sostegno alla domanda e le politiche fiscali redistributive. Ma la crisi in atto è destinata a produrre i suoi effetti anche in uno storico cambiamento degli equilibri politici mondiali a vantaggio di paesi come la Cina, l’India, la Russia e il Brasile.

Il capitalismo finanziario e le economie dei paesi più avanzati usciranno trasformati da questa crisi. Nelle grandi democrazie occidentali la rottura dell’alleanza storica tra capitalismo globalizzato, capitalismo nazionale e Stato Sociale a vantaggio di una finanziarizzazione diffusa e di un liberismo selvaggio teorizzato prima dal reaganismo e dal thatcherismo poi dall’amministrazione Bush, hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe. Il liberismo di fine secolo e quello del terzo millennio non hanno affatto mantenuto le loro promesse. Le economie sono cresciute, ma le disuguaglianze sono aumentate. L’economia di carta ha sopraffatto l’economia reale e il lavoro. La Democrazia si è diffusa ma le libertà sono state spesso limitate e compresse. In questo drammatico contesto il pensiero e le culture socialiste e democratiche insieme a quelle liberali e democratiche si riappropriano del loro valore, come fonte inesauribile di giustizia, di crescita, di benessere. Il socialismo democratico e liberale come pensiero politico e culturale non può essere espunto da un qualsiasi progetto che abbia ora l’ambizione di superare queste grandi contraddizioni e questo lascito di rovine, non solo economiche e finanziarie, che ereditiamo dalla destra conservatrice che negli Usa e in Europa ha egemonizzato culturalmente la guida dei governi.

2.
Anche per le ragioni appena esposte e per le conseguenze economiche e sociali che da esse scaturiscono c’è in noi la piena consapevolezza dell’immane compito cui sono chiamate oggi in Italia le forze democratiche e di sinistra.

Il centrosinistra ha subito una sconfitta storica, nessuna forza di sinistra è in Parlamento e il Pd ha perso la sua sfida con il Pdl. Il centrodestra è maggioranza in Parlamento e nel Paese. L’Italia attraversa una crisi economica e sociale tra le più gravi della sua storia. Il carattere congiunturale della crisi si intreccia però con carenze strutturali con un sempre più accentuato divario economico e sociale tra nord e sud del paese che rischia di sospingere l’Italia verso una recessione reale, tra alta inflazione e crescita zero. In un paese percorso da tensioni e paure per il futuro la sua coesione sociale è sul punto di sgretolarsi. Intolleranza, violenza, xenofobia e razzismo si diffondono in modo crescente. L’allarme sollevato da una parte importante della Chiesa italiana è, a questo proposito, di grande significato. I valori fondanti della Repubblica e della nostra Costituzione sono messi a rischio. Una destra aggressiva e senza ritegno porta l’Italia verso una regressione politica, ideale, morale, che mina le fondamenta e gli equilibri della nostra democrazia e della convivenza civile. Ci sono valori come l’unità del nostro paese, la sua coesione sociale, la sua aspirazione alla giustizia, il suo insopprimibile diritto di libertà, senza distinzione alcuna, che non sono né trattabili né discutibili. Così come ci sono principi come quello della laicità dello Stato che costituiscono una barriera insormontabile a tutela della effettiva pienezza della nostra democrazia.

Nel governo del Paese, e nella sua costituzione materiale, si affermano forme abnormi di presidenzialismo nell’essenza del potere, se non di autoritarismo, che, senza contrappesi e senza controllo, svuotano le funzioni degli organi di garanzia a cominciare da quella del Parlamento. Siamo in presenza di una alterazione crescente degli equilibri democratici su cui si regge l’ordinamento della Repubblica. Non è in discussione la legittimità del governo e la facoltà di attuare il suo programma. Parliamo della necessità di preservare beni comuni: la nostra democrazia, la nostra libertà, la nostra società. Noi avvertiamo il rischio che in una situazione tanto difficile, l’opposizione al governo Berlusconi appaia impotente, evanescente e divisa. Sentiamo di correre il pericolo che un’Italia che è “contro”, stenti a trovare voce, che perda fiducia in se stessa e in ciò in cui crede, che possa aumentare quella sorta di frustrazione civile che già esiste, e infine temiamo che una grande parte del paese non riesca a esprimere ciò che sente. Qui c’è il compito nuovo della politica. Un compito non solo nostro.

3.
Noi avvertiamo la necessità di una riforma profonda della politica: il rinnovamento dei suoi contenuti, delle sue forme organizzative e partecipative, dei suoi fini, della sua capacità di ascolto delle sue motivazioni di fondo. E’ su queste basi che le culture politiche riformiste che si riconoscono nel centrosinistra dovranno impegnarsi per offrire agli italiani un progetto nuovo per la crescita non solo economica, ma sociale, civile, culturale del nostro Paese. Non sconfiggeremo né il governo né il Pdl con furbizie tattiche, manovre contingenti o mosse politiche di corto respiro. Possiamo imprimere contenuto ideale alle nostre politiche, dare ad esse un respiro innovativo e riformatore, possiamo avere l’ambizione di offrire a questo nostro Paese un’alternativa seria, credibile e giusta rispetto alle disastrose scelte del governo. Ma ciò dipende in buona misura da noi. E’ sulla base di questa considerazione che pensiamo si debba lavorare per costruire un nuovo centrosinistra riformista. Il Pd ne è la forza principale. Noi ci sentiamo parte significativa di quelle forze, democratiche e socialiste, di centro e di sinistra, laiche, cattoliche, ambientaliste che in questi anni hanno affrontato le difficili sfide prima contro il governo di centrodestra e poi nel governo del Paese guidato da Prodi. La nascita del Pd non ha risolto la crisi politica in cui a lungo si è dibattuto nel centrosinistra, lacerato da insanabili contraddizioni. Era necessario a nostro giudizio un chiaro confronto e un’aperta battaglia politica che le forze riformiste avrebbero dovuto condurre contro ogni forma di radicalismo, di settarismo, di ideologismo che ha lacerato il nostro campo politico e che è stato la causa del venir meno del rapporto di fiducia con larghi strati di cittadinanza. Non solo dopo la crisi del governo Prodi ma anche prima è stato un errore pensare di poter fare a meno di quelle forze che ai valori e alle idee del socialismo democratico europeo hanno sempre fatto riferimento.

4.
Vogliamo guardare al futuro. C’è in noi il convincimento profondo che il pensiero e la cultura socialista costituiscano il più importante e decisivo fattore di innovazione, di partecipazione, di giustizia e di libertà delle moderne democrazie e delle società contemporanee. A quei valori non solo non rinunciamo ma intendiamo riaffermarli in un impegno politico e in una battaglia ideale di cui vogliamo essere protagonisti. Noi abbiamo profuso le nostre energie – e in essa abbiamo profondamente creduto – nel sostegno e nell’avvio della Costituente socialista. Essa aveva come fine la costruzione di un partito nuovo, socialista, di sinistra, europeo, riformista e di governo, che fosse aperto ad altre culture politiche e che potesse finalmente avviare in Italia la costruzione di un partito che per insediamento sociale, forza organizzata, consensi elettorali, e quindi capacità rappresentativa, fosse paragonabile ad altri partiti europei. Era un progetto certamente ambizioso e sicuramente difficile da realizzare. Ma non impossibile. Questo nostro impegno e questo nostro sforzo è stato vanificato da errori e limiti soggettivi, ma anche da ragioni oggettive. In tutta la sinistra italiana ha infatti prevalso, sia durante il biennio del governo Prodi, che successivamente, quando la sua caduta ha portato allo scioglimento del Parlamento, un riflesso identitario autorefernziale. Ciascuna delle componenti di sinistra è stata risucchiata dal vortice delle dichiarazioni quotidiane; ciò ha fatto smarrire alla sinistra, sia radicale sia riformista, il senso della sua missione e della sua funzione politica. La Costituente socialista così come era stata pensata si è esaurita. E’ stata un’occasione perduta.

Lo stesso risultato elettorale, per la sinistra e per i socialisti, ne è stata la prova. Quel voto ha segnato anche la disfatta della sinistra radicale e la sconfitta del disegno politico del Pd. Il governo del Paese, infatti, è andato al Pdl. Nessuna forza politica del centrosinistra ha fatto una seria analisi degli errori, delle ragioni e delle caratteristiche, aggiungerei anche, di quella sconfitta politica. Anche da qui derivano le difficoltà e lo smarrimento di oggi. A noi pare chiara una cosa. Le autosufficienze identitarie dei diversi partiti del centrosinistra, così tenacemente difese dalle diverse nomenclature, sono un ostacolo se non addirittura un danno, al ritorno di una politica di lungo respiro capace di creare quelle condizioni indispensabili al cambiamento e al rinnovamento di cui ha bisogno l’Italia. Lo stesso Pd, così com’è, non basta. C’è un divario tra la sua ambizione ad essere una forza politica a vocazione maggioritaria e la forza e i consensi che raccoglie.

E forse è proprio per il suo modo di essere che non riesce ad espandere sufficientemente i suoi consensi.
Ma dal Pd non si può prescindere. Questo ci dice la rapida trasformazione del sistema politico italiano. Una trasformazione sempre più bipolare. Come abbiamo detto, il Pd è quel che è, ma è quel che c’è.

5.
Il sistema politico italiano, per una serie di diversi fattori è radicalmente cambiato. Si è affermato un bipolarismo a maglie strette che è destinato ad accentuarsi ulteriormente fino ad arrivare ad un sostanziale bipartitismo. Questo impressionante e rapido mutamento produrrà i suoi effetti sui partiti politici, sulle istituzioni, sul Parlamento, sui suoi regolamenti, e sull’intero ordinamento costituzionale. Nel centrosinistra dunque la funzione politica del Pd diventa fondamentale. Ma non sarà affatto insignificante la funzione che altre culture politiche democratiche e di sinistra che oggi non si riconoscono nel Pd possono svolgere. Noi avvertiamo la urgente necessità di una svolta. In un anno è cambiato tutto. Misurarsi con questi mutamenti vuol dire anzitutto prendere atto di essi e affrontarli in modi nuovi e diversi dal passato, affinché quelle idee e quei valori che costituiscono il nucleo essenziale della storia, della cultura e del pensiero socialista, laico e democratico, non siano dispersi vanificati e affidati alla memoria storica. Noi pensiamo che in forme diverse dal passato e con una progettualità fortemente innovativa ci si debba porre l’obiettivo di raccogliere un insieme di forze, e di culture politiche diverse che possano riconoscersi in un nuovo centrosinistra riformista e condividere un progetto di rinnovamento della società italiana e dello Stato. Noi vediamo i limiti e le criticità del modo di essere del Pd. Restano per noi irrisolte questioni non secondarie come la piena e chiara affermazione del principio di laicità, la collocazione internazionale, la definizione della forma partito. Ma in una forza politica in cui convivono diverse culture ed esperienze la definizione di queste questioni è affidata al dibattito aperto, al confronto schietto e infine alle decisioni del partito stesso. Sarebbe tuttavia insensato non valutare come essenziali le forze, le persone e il ruolo che nella società italiana e nelle istituzioni repubblicane ha il PD e non aprire con esso un dialogo e cercare di assumere impegni comuni.

D’altra parte le sfide della competizione globale e le crisi che su scala mondiale stanno così marcatamente segnando la società contemporanea, - parliamo dei rischi di ritorno alla guerra fredda, della non sopita minaccia del terrorismo fondamentalista, dei cambiamenti climatici indotti dal riscaldamento del pianeta, e dal diffondersi delle condizioni di miseria e di fame in cui vivono oltre un miliardo di esseri umani - devono indurre ad una riflessione nuova sul ruolo dell’Italia nella crisi internazionale.

I riflessi possibili in Europa e in Italia del crollo dei santuari della finanza mondiale negli Usa e delle drammatiche conseguenze su milioni di cittadini e di famiglie stanno portando a riflettere sulla precarietà e sui pericoli cui espone quel liberismo sfrenato che ha costituito per anni il credo della destra conservatrice non solo in America.

Il fallimento del cd. ‘Washington Consensus’ pone l’urgenza di ridisegnare le regole che presiedono al trasparente funzionamento dei mercati e dei prodotti a livello globale, e un ruolo chiave dovrà essere assolto da una ben più coordinata e convincente politica europea che ancora stenta ad affermarsi. Occorre dunque riflettere attentamente su questa dimensione.

6.
L’area politica che noi rappresentiamo si compone di personalità che hanno alle spalle percorsi politici diversi ma che sono unite nel convincimento profondo che una sinistra riformista, socialista, laica europea possa dare un contributo importante nella battaglia ideale, culturale e politica oggi in Italia.

Per queste ragioni è nostro intendimento riaprire con il PD un dialogo e un confronto che si erano spezzati, sapendo che il riformismo italiano nelle sue componenti essenziali socialiste democratiche, cattolico popolari, laiche, ambientaliste, costituiscono un bene prezioso della democrazia italiana. Mettere a frutto questo grande patrimonio di energie, di volontà, di pensieri, è compito di tutti noi. Perché questa è la grande responsabilità che grava sulle nostre spalle. Unirle in un progetto comune è un compito molto difficile. Ma è il solo, oggi, praticabile. In un momento così carico di incertezze per il futuro dell’Italia noi siamo persuasi che valori di libertà e di giustizia, principi di laicità e di rispetto, vadano riaffermati come fondamento della nostra costituzione e della nostra democrazia. E siamo fermamente convinti che una forza politica democratica e di sinistra possa assolvere alla sua funzione e alla sua missione se è capace di dare al suo agire una dimensione europea e un orizzonte globale. In questo senso rimane per noi decisivo non solo il rapporto ma l’appartenenza al campo delle forze socialiste, democratiche e progressiste europee, uniche ed essenziali, per noi, in grado di affrontare le sfide cui siamo chiamati per costruire un nuovo modello di sviluppo che riconosca la dignità della persona umana, l’affermazione delle sue esperienze, l’espansione delle sue capacità, il valore delle sue competenze e del suo lavoro.

E’ dunque a noi del tutto chiaro che oggi si inizia un percorso che noi auspichiamo di compiere con quanti hanno creduto e credono che le idealità socialiste non siano affatto morte e pensano al contrario che quei valori e quel pensiero in rapporto con altre culture politiche, possano costituire il nerbo del più avanzato riformismo italiano da mettere a disposizione per un nuovo impegno e una nuova battaglia politica al fine di rafforzare la democrazia italiana, per rendere più giusta e più sicura la nostra società e per restituire agli italiani una rinnovata fiducia nel proprio futuro.

Gavino Angius, Antonio Foccillo, Alberto Nigra, Franco Grillini, Accursio Montalbano, Fabio Baratella.

Politicamente irrealistico

Ipse dixit
La via dell'impero - «Sparita l'Urss, c'erano soggetti potenti che avrebbero voluto svolgere la loro parte attivamente: Cina, India, Brasile, Sudafrica, Indonesia e, naturalmente, la Russia. Invece, a Washington scelsero la via più facile, quella dell'impero. Pensarono di potere, anzi di dovere, decidere da soli e per conto di tutti. Adesso tocchiamo con mano che il mondo unipolare ha fallito. Perché, oltre a essere profondamente ingiusto, era ed è politicamente irrealistico e insostenibile fisicamente». - Michail Gorbaciov, premio nobel per la pace 1990

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Visti dagli altri
A cura di Internazionale - Prima Pagina

Classi separate per gli immigrati

Il parlamento ha approvato un emendamento proposto dalla Lega nord che prevede la creazione di un sistema d'accesso alla scuola solo per gli alunni immigrati, mediante un testd'ingresso e corsi separati.
I partiti di opposizione hanno criticato duramente questa misura, giudicandola discriminatoria. Il progetto italiano è simile a quello già in vigore in Catalogna, dove i bambini provenienti da altri paesi vengono
scolarizzati in centri specifici. Quando questa misura venne approvata, molti la giudicarono "segregazionista".

El Mundo, Spagna vai al sito

martedì 14 ottobre 2008

Italiani all'estero

Una catastrofe annunciata
I drammatici tagli ai capitoli di spesa per gli italiani all’estero: necessaria una forte mobilitazione democratica in ogni circoscrizione consolare. Il rispetto della data prevista per il rinnovo dei Comites e del Cgie. Il lavoro e l’impegno unitario degli eletti in Parlamento.

di Gianni Farina *)
Le spese per la tutela e l’assistenza diretta ai connazionali all’estero, soprattutto indispensabili per gli interventi in America latina, meno 18 milioni; lo stanziamento per l’assistenza educativa, scolastica e culturale dei lavoratori italiani all’estero e delle loro famiglie, da trentaquattro a quattordici milioni, vanificando di fatto ogni possibilità di proseguire con successo nell’opera di crescita culturale e formativa della nostra collettività. Per i contributi ai Comitati degli italiani all’estero, meno cinquecentomila; una tosatura di oltre cinquantamila per le riunioni annuali dei presidenti dei Comites; consistenze limature agli stanziamenti annuali per il funzionamento del Consiglio Generale e dei Comitati degli Italiani all’estero. Azzeramento dello stanziamento per l’istituzione del Museo dell’Emigrazione Italiana. Il pur insufficiente tentativo di ricreare la memoria e il senso di appartenenza della moltitudine italofona nel mondo, cancellato con un tratto di penna, la penna della vergogna e dell’irriconoscenza. Non è nemmeno il tutto di una pur sommaria lettura di una catastrofe annunciata. Il segno di un governo arrogante e allo sbando nei cui provvedimenti possiamo persino scorgere, e sarebbe di una gravità senza precedenti, un intento punitivo verso la comunità italiana nel mondo. Nulla di più facile, nulla di più possibile Basta una pur labile memoria, riandare indietro di poche settimane e di pochi mesi, per scorgere i segni premonitori dello tsunami che si sta abbattendo sul Parlamento, ridotto ad esercitare l’unico atto finale del suo fondamentale e costituzionale ruolo legislativo: il voto di fiducia. Non abbisognano, i cittadini emigrati, di straordinarie conoscenze nel campo della economia e della finanza (dato e non concesso che i presunti specialisti, viste le catastrofi finanziarie di questi giorni, ne sappiano molto di più) per comprendere che, sull’ICI e sulla tassa dei rifiuti in Italia, si sia tolto ai nostri connazionali nel mondo, ripristinando, e solo per loro, l’ingiusta gabella, togliendola, nel contempo, ai ricchi proprietari in Italia. Cosa fare? Ora, quali gli obblighi e i doveri per i rappresentanti dei nostri emigrati nel parlamento repubblicano. Diritti e doveri per il Consiglio Generale, gli organismi elettivi dei Comitati degli Italiani all’estero, l’associazionismo democratico, le espressioni sindacali e patronali italiane in Europa e nel modo. Essenziale mi appare l’esigenza di una forte e marcata mobilitazione in ogni paese o continente ove più grave è lo smacco e più forte la preoccupazione per quanto sta accadendo. Mobilitarsi in ogni circoscrizione consolare per raccogliere il massimo di consenso e dare quindi strumenti più efficaci ai nostri rappresentarsi in parlamento nel continuare una battaglia di lunga lena a difesa degli interessi della nostra collettività. Si rischia di esaurire il rapporto tra l’Italia e gli italiani nel mondo Particolare attenzione meritano i documenti finali scaturiti dalle riunioni continentale e del comitato di presidenza del CGIE di fine settembre a Parigi. Una preoccupazione, matura e consapevole, dei rischi di un possibile esaurimento del rapporto dell’Italia con i propri connazionali nel mondo. La riaffermazione della richiesta del rispetto delle scadenze naturali degli organismi elettivi (Comites e Consiglio Generale) e del loro rinnovo nella primavera del 2009. Raccogliere le sirene interessate di chi, nel MAE (on. Sottosegretario Mantica?), e ne capiamo i motivi e altrove, meno comprensibile!, lega il rinnovo dei consigli alla riforma di due pur buone leggi (naturalmente perfettibili, anche in un futuro prossimo), mi appare una drammatica e irresponsabile operazione a difesa dei gravi atti di governo. Permettere che tutto quanto sta avvenendo si disperda nelle nebbie della rassegnazione e del disinteresse generale per ogni tipo di rappresentanza delle nostre collettività. Nella catastrofe dei tagli, i capitoli riguardanti le spese per le elezioni di tali organismi, risultano, miracolosamente, invariati. Vanno utilizzati per lo scopo indicato, e se così non fosse, il governo se ne assumerebbe intera la responsabilità. La premessa per una efficace e lunga campagna di sensibilizzazione e di attenzione ai problemi dei nostri cittadini, per atti concreti di rinnovamento e di rispetto del pluralismo associativo e democratico, per poter uscire dal momento elettivo con organismi ricchi di nuovi soggetti disponibili a dare un loro innovativo e creativo contributo. Penso e spero nell’onestà di ogni attore protagonista e nella saggezza degli eletti in Parlamento perchè sappiano, pur nella dialettica maggioranza opposizione, trovare le ragioni dell’unità nei superiori interessi della comunità italiana nel mondo.

*) Deputato (PD) eletto nella Circoscrizione Estero

IL MEZZOGIORNO E IL MEDITERRANEO

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Gianni Pittella
Alfredo Reichlin sulle colonne de "l'Unità" e Predrag Metvejevic su "Il Mattino" del 30 settembre hanno offerto un contributo di riflessione importante sui temi del Mezzogiorno e del Mediterraneo che mi auguro aprano finalmente un confronto di respiro politico e culturale slegato da una visione emergenziale.

L'analisi di Reichlin è un'istantanea impietosa e vera della condizione socio economica del Mezzogiorno (e mi chiedo cosa accadrà quando la stagflazione si trasformerà in recessione anche per l'effetto domino della tempesta finanziaria americana).

Ed è anche un autorevole richiamo ad una maggior attenzione, anche del Pd, alla durezza della crisi meridionale ed alla sua "crucialità" ai fini della ripresa del Paese. E Metvejevic scrive del Mediterraneo, mare trascurato e incapace di diventare progetto, e di un'Italia e di un'Europa che crescono fuori dalla loro culla. La mia opinione è che non esista una via di uscita credibile alla crisi del Mezzogiorno, senza che sia identificata una sua "funzione" utile all'Italia e preziosa all'Europa. E questa funzione è indissolubilmente legata al Mediterraneo. Del Mediterraneo il Mezzogiorno d'Italia può essere la piattaforma logistica. Il Governo italiano si faccia promotore di un Tavolo interistituzionale per il Mezzogiorno.

Questa è la mia proposta. Un Tavolo per il confronto tra i vari livelli istituzionali per varare un piano finalmente moderno e razionale per l'infrastrutturazione del meridione. Possiamo trasformare il Mezzogiorno in una grande piattaforma logistica del Mediterraneo intercettando le navi che provengono dall'Oriente e dall'Africa e che oggi fanno scalo in altri Paesi come la Spagna. Per fare questo è necessario rendere idonea la nostra rete a partire dal porto di Gioia Tauro, dall'intera rete portuale e infrastrutturale meridionale, a cominciare dall'alta velocità ferroviaria e soprattutto coinvolgere le Regioni e la deputazione italiana al Parlamento europeo per concentrare una parte delle risorse europee e nazionali su questo obiettivo.

Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere la piattaforma per lo sviluppo e la valorizzazione dell'energia da fonti alternative. Del Mediterraneo il Mezzogiorno può essere il motore progettuale nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico, della cooperazione, dell'Università del Mediterraneo.
Ricerca e sviluppo tecnologico rappresentano l'ombrello sotto il quale sviluppare prodotti e programmi destinati tanto a migliorare la sicurezza dei cittadini europei quanto a combattere i cambiamenti climatici. Funzionali a questi obiettivi sono i finanziamenti del Settimo Programma Quadro ed è bene ricordare che l'industria italiana ricopre posizioni di rilievo in settori di punta che vanno dalla sicurezza dei porti alle celle a combustibile, dai satelliti al trasporto aereo pulito, ambiti importanti considerato che la riduzione delle emissioni è legata anche allo sviluppo di energie alternative.

Ma L'Europa sta "investendo" anche nella sicurezza e nell'ambiente, elementi centrali di uno dei grandi programmi tecnologici su cui punta l'UE per i prossimi anni: il GMES (Global Monitoring system for Environment and Security), un sistema concepito per fornire ai decisori europei le informazioni necessarie ad affrontare le crisi legate all'ambiente ed alla sicurezza con cui si dovrà confrontare l'Europa nei prossimi anni. Il contributo del GMES, nell'area mediterranea, può essere particolarmente importante laddove consideriamo i servizi legati all'ambiente marittimo. Catastrofi ambientali dovute ad eventi naturali, incidenti o azioni illegali richiedono un impegno condiviso da tutti i paesi dell'area.

Ma ci sono anche altre iniziative che potrebbero rilanciare l'asse Mezzogiorno-Mediterraneo come ad esempio:
- creare un fondo di investimenti per lo sviluppo del Mediterraneo a partire dal fondo apposito di cui è dotata la Bei;
- istituire un osservatorio delle popolazioni delle emigrazioni e della regolazione dei movimenti delle persone;
- favorire le cooperazioni trasversali al livello delle regioni e delle città (con) la creazione di un consiglio permanente delle regioni mediterranee, che sarebbe l'interlocutore privilegiato delle istituzioni europee;
- la creazione di un agenzia di formazione professionale per favorire una immigrazione qualificata attraverso un programma di formazione degli ingegneri e tecnici specializzati nelle energie rinnovabili;
- creazione di un programma Erasmus mediterraneo, a termine, la creazione di una Università mediterranea a pieno titolo, che potrebbe svilupparsi più avanti anche in molte città del nord e del sud;
- istituire una federazione che riunisca le fondazioni culturali del mediterraneo.

Perché ciò si realizzi, tuttavia, occorrono tre condizioni:
- un'Europa che smetta di concentrare le sue azioni lungo l'asse est ovest e comprenda pienamente la sua "convinzione" nell'essere "mediterranea"
- una classe politica italiana che riconosca l'utilità del Mezzogiorno, il suo valore prezioso per l'intero Paese e per l'Europa, legato ad una funzione che svolge appunto nel Mediterraneo;
- una classe dirigente meridionale meno dedita alle faccende della cucina domestica e capace di misurarsi su una grande sfida. Su quest'ultimo punto, io dico, iniziamo da noi del Partito democratico.

La fondazione Italianieuropei e Mezzogiorno Europa aprendo una sede di lavoro comune a Napoli potranno certamente darci una mano per riportare il gusto del progetto, dell'elaborazione e della sfida su un terreno così decisivo per il Pd, per il Paese e per l'Europa.

*) Europarlamentare, presidente della delegazione italiana presso il gruppo PSE








lunedì 6 ottobre 2008

La libertà d'informazione nel non-regime del Cav

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Due perquisizioni in otto giorni. Criminale? No, giornalista. Alcuni giorni fa, in seguito alla pubblicazione di una inchiesta sugli affari della Camorra nel nord Italia la Guardia di Finanza, su ordine della Procura di Napoli, ha perquisito (per la seconda volta nell'arco di otto giorni) la redazione del settimanale l'Espresso e gli appartamenti dei giornalisti, Emiliano Fittipaldi e Gianluca Di Feo, autori dell'inchiesta. La prima perquisizione risaliva a venerdi 12 settembre subito dopo la pubblicazione dell'articolo "Così ho avvelenato Napoli". Poi è uscita l'inchiesta "Gomorra fronte del Nord". Ed ecco la seconda perquisizione. Cosa sta succedendo alla libertà di stampa in Italia? Lo chiediamo a uno dei due "perquisiti".

di Gabriele Paglino *)

Gianluca Di Feo, avete toccato un nervo scoperto, questo è indubbio. Ma due perquisizioni nel'arco di otto giorni sono preoccupanti, praticamente come se foste voi i camorristi. A questo punto la prima domanda che sorge spontanea è perchè i cittadini non possono essere informati su cosa realmente accade? A chi non piaciono questi articoli, la serenità di chi vanno ad intaccare?

Di Feo: La Procura interviene a tutela del segreto istruttorio. Noi riteniamo però che questo intervento sia assolutamente sproporzionato nei modi e nei mezzi utilizzati: personalmente ho subito nella mia attività professionale una decina di perquisizioni e una cinquantina di procedimenti penali però non si era mai vista una azione del genere non soltanto nei confronti dei singoli giornalisti ma anche nei riguardi della redazione. La perquisizione di sabato mattina (20 settembre), scattata in un momento in cui il settimanale era chiuso, in un momento quindi in cui non c'era assolutamente nessuno, ha visto l'ingresso di una dozzina di finanzieri con dei periti tecnici esterni in tutta la redazione de l'Espresso, con un mandato della Procura di Napoli che permetteva a loro le ricerche più vaste e indiscriminate sull'attività di un intero giornale. Questo è qualcosa che non ha precedenti nella storia del giornalismo di qualunque democrazia occidentale.

Qual'è esattamente l'ipotesi di reato contenuta nel mandato di perquisizione?
Di Feo: L'ipotesi di reato è abnorme: noi la consideriamo un insulto alla storia de l'Espresso e all'attività professionale mia e di Emiliano Fittipaldi. Perchè oltre ad essere accusati della violazione del segreto istruttorio, che ci aspettavamo e che abbiamo violato consci di servire un bene pubblico superiore ovvero la libertà di stampa, in più ci accusano di aver favorito la camorra casalese. Con questa contestazione, che personalmente vivo come un insulto, possono utilizzare contro di noi tutti gli strumenti di indagine antimafia: dalle intercettazioni alle microspie, con qualunque procedura invasiva. A noi sono state perquisite la macchina (ad Emiliano Fittipaldi due volte) e il motorino. Però anche il numero di persone impiegate è veramente abnorme: per una settimana oltre venti finanzieri si sono occupati de l'Espresso e questo è accaduto nella settimana in cui i Casalesi mettevano a segno altri otto omicidi.

Cosa vi hanno sequestrato?
Di Feo: Hanno sequestrato completamente i nostri computer. La prima volta hanno sequestrato il mio hard-disk e hanno fatto copia della memoria di Fittipaldi. La seconda volta hanno proprio portato via integralmete il mio computer e a Fittipaldi, oltre al computer, hanno portato via le copie che glia avevano consegnato la prima volta. Quindi noi abbiamo perso completamente tutte le nostre banche dati, le nostre mail, gli archivi e tutto quello che era il nostro background informatico. In più a me hanno sequestrato diverso materiale riguardante i Casalesi e i loro rapporti con la politica. Tutto materiale lecitamente acquisito, nulla insomma che fosse coperto da segreto istruttorio. A casa non hanno sequestrato nulla ma le perquisizioni a casa dei giornalisti sono un qualcosa di assurdo: nessuno in un mondo di informatica si tiene a casa qualcosa, sia per non esporre le famiglie al rischio di perquisizioni invasive, diventate ormai prassi, sia perchè in un settimanale si lavora in redazione non si va a casa. Eppure questa prassi viene ripetuta, anche di sera: a casa della collega Fiorenza Sarzanini (NdR redattrice de Il Corriere della Sera) hanno identificato la figlia quindicenne e le amicche della figlia. Cosa pensavano che fosse un raduno di brigatisti?

In questo secondo "raid", nelle stesse ore a Napoli veniva perquisita anche la casa di collaboratore de l'Espresso «del tutto estraneo» alle inchieste no?

Di Feo: Lui non ha firmato nessuno degli articoli di questa inchiesta, aveva cofirmato con me un precedente ritratto del personaggio chiave dell'inchiesta, ed è probabilmente la figura che ha determinato indirettamente la violenza delle perquisizioni, ovvero il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino. Io e il collega Claudio Papaianni avevamo scritto assieme un ritratto delle relazioni pericolose di Cosentino. Papaianni è un collaboratore esterno ed è anche un testimone della vicenda, quindi in qualità di testimone non ha diritto alla facoltà di non rispondere, che abbiamo noi, è obbligato a fornire informazioni. A lui, oltre ad aver perquisito la casa e averlo trattenuto fino al pomeriggio sotto interrogatorio, hanno sequestrato il computer della moglie senza rilasciargli una copia, creando con ciò un danno professionale gravissimo all'attività della moglie.

Purtroppo il vostro caso (tuo, di Fittipaldi e di Papaianni) non è isolato. Poco più di una settimana fa perquisizioni sono arrivate anche contro, come ricordavi tu, Fiorenza Sarzanini e Guido Ruotolo colleghi rispettivamente del Corriere della sera e de La stampa "rei" di aver informato gli italiani sugli sviluppi delle indagini di polizia e magistratura sugli appalti legati alla Expò Milano 2015. Ecco alla luce di questo pensi che in Italia abbiano valore le sentenze europee che tutelano la libertà di stampa?

Di Feo: Le sentenze europee che tutelano la libertà di stampa vengono sistematicamente ignorate dalle procure italiane le quali ignorano anche alcune sentenze di Cassazione che hanno annulato i sequestri e le perquisizioni nei confronti dei giornalisti soprattutto quando vengono eseguite in modo indiscriminato. Cioè se loro stanno indagando su una fuga di notizie per stabilire chi ha commesso questo reato devono ricercare materiali attenenti la fuga di notizie, non possono impadronirsi della mia intera vita professionale contenuta nel mio computer. Perchè la legge riconosce ai giornalisti il segreto professionale, ma non perchè siamo una categoria privilegiata ma, perchè la possibilità di mantenere la riservatezza sulle fonti è l'unica garanzia di poter accedere a notizie riservate, a notizie scomode, e quindi è l'unica garanzia che permette ai giornalisti di esercitare quella libertà di stampa fondamentale per il funzionamento di una democrazia. La prassi delle perquisizioni con modo intimidatorio è incominciata a dilagare in Italia nel 1993, fu la prima ondata. Io ne subii una enorme nel '94, quando feci la fuga di notizie sull'avviso di garanzia a Berlusconi per Il Corriere della sera, e poi tanti colleghi la subiscono. La subiscono i colleghi che scrivono cose scomode. Scrivere di rapporti tra Casalesi e politica a me non darà nessun vantaggio, contrariamente alla contestazione che è stata fatta, ma può soltanto dare guai. Questo sistema adottato dalle procure italiane, nonostante le sentenze, non è stato sanzionato da nessuno, perchè a fronte dei contenuti dell'inchiesta de l'Espresso e a fronte delle perquisizioni tutta la classe politica, tutti gli organi istituzionali preposti alla libertà di stampa se ne sono beatamente fregati. E alla fine anche la maggior parte dei giornali italiani scrivono "C'è stata una perquisizione qual'è il problema?" La duplice perquisizione de l'Espresso ha innalzato l'invasività: la perquisizione dell'intera redazione in assenza di testimoni negli uffici della direzione non c'era mai stata. Ma le reazioni quali sono state? Voi mi state intervistando, ieri l'altro Il manifesto ha intervistato la mia direttrice (NdR Daniela Hamaui ), la grande stampa, i grandi media, soprattutto il mondo delle tv se ne frega. La politica compatta se ne frega. E' un segnale drammatico, cosi come è drammatico che sui contenuti dell'inchiesta, ossia i rapporti, evidenziati dalle indagini della Procura di Napoli, tra un sottosegretario di Stato e i gruppi camorristici che hanno trasformato l'emergenza rifiuti campana in un'occasione per avvelenare un'intera regione e fare tanti soldi, siano completamente taciuti dalla classe politica. E' un argomento che l'opposizione ha sostanzialmente ignorato e che tutti i partiti hanno fatto finta di non vedere.

Arriviamo a ciò che ha fatto scattare queste perquisizioni: ovvero la pubblicazione dei vostri due articoli. Il primo "Cosi ho avvelenato Napoli", mea culpa dell'ex boss e attuale collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, che svela, con l'ausilio anche di alcuni documenti, 20 anni di nefandezze legate allo smaltimento illegale di rifiuti tossici con la complicità di alcuni politici e imprenditori. Un articolo dal quale vengono fuori verità agghiaccianti che confermano come i rifiuti, siano essi urbani o industriali, sono una fonte ineseauribile di ricchezze, legata spesso ad attività illecite, ma non solo in Campania?

Di Feo: Si è vero il business dei rifiuti è un'attività italiana ed europea. Il problema è che in quell'articolo la figura di Gaetano Vassalo riguarda un aspetto drammatico: come per 20 anni i rifiuti tossici e nocivi di tutta Italia siano stati sistematicamente smaltiti in una parte della Campania grazie ad un accordo tra imprenditori, massoneria, politica e clan. Ci tengo a dire che quando abbiamo avuto in mano questi verbali, abbiamo avuto un'unica preoccupazione evitare dei favoreggiamenti (in questi verbali c'è un elenco mostruoso di pubblici ufficiali, amministratori locali e imprenditori coinvolti in questa attività criminale) quindi abbiamo riportato soltanto nomi di personaggi che fossero indagati. Allo stesso tempo ci siamo posti quello che è il nostro dovere ossia informare i lettori. E non si poteva tacere delle accuse circostanziate, supportate a un membro del Governo (Nicola Cosentino) che in questo momento ha responsabilità nella gestione attuale della situazione rifiuti a Napoli e soprattutto, quale sottosegretario all'Economia, gli è stata affidata la gestione di un budget enorme. Lui ha respinto le accuse, è giusta la presunzione di innocenza ma è anche da vedere la compatibilità di una persona sotto accusa per crimini cosi gravi con un incarico di Governo. Tantissimi ministri nel momento in cui è stata aperta un'indagine contro di loro hanno scelto le dimissioni. Ricordo una prassi che era stata mantenuta anche durante la prima Repubblica. Non capisco perchè invece adesso siamo arrivati al paradosso che neanche venga posto il problema.

Possibile che la magistratura, la GdF, che ha perquisito la sede de L'espresso, l'appartamento tuo e quello di Fittipaldi, non hanno mai effettuato dei reali controlli in queste imprese che si occupano ( usiamo questo termine) di rifiuti? Nessuno ha mai ispezionato quei 70/80 autotreni carichi di rifiuti che - come racconta Vassallo - ogni giorno formavano sulla strada una fila di 1,5 Km?

Di Feo: Vassallo descrive un sistema di corruzione in cui ci sono uomini delle forze dell'ordine, gli ispettori dele asl, gli ispettori della regione ein cui ci sono gli uomini del commissariato di Governo. Vassallo descrive come le varie emergenze dei rifiuti urbani siano servite per poter mantenere intatto per 20 anni il sistema di smaltimento dei rifiuti tossici. "Noi - racconta Vassallo - avevamo delle discariche legali ma senza confini: la regione ci autorizzava ad aprire una discarica senza stabilire quanto materiale ci dovessimo mettere dentro e che confini dovessimo avere. Noi continuavamo ad allargare la discarica e la riempivamo di rifiuti tossici provenienti da tutta Italia. Poi quando c'era la prima emergenza di rifiuti (urbani) a Napoli, interveniva il commissariato di Governo che gettava nelle nostre discariche, pagandoci a caro prezzo tutti i rifiuti urbani di Napoli". Quindi sopra ai rifiuti tossici veniva fatto un gigantesco strato di rifiuti urbani con un effetto micidiale sull'ambiente. Ma allo stesso tempo legalizzando e rendendo impossibile ogni controllo sull'attività illegale precedentemente svolta, per 20 anni! Gaetano Vassallo nel corso di questi 20 anni è stato arrestato almeno tre volte. Lui stesso racconta che dopo l'arresto per circa un anno e mezzo era tagliato fuori dall'attività, poi, appena esplodeva una nuova emergenza rifiuti Napoli, la priorità di rendere pulite le strade di Napoli faceva si che si rivolgessero a lui nonostante fosse sotto processo per poter sfruttare la sua "professionalità" e ricominciare a trovare buchi dove versare rifiuti.

Dalla vostra inchiesta, che lo ricordiamo, fa riferimento alle confessioni di un pentito, saltano fuori i nomi di alcuni politici collusi con la camorra come il sottosegretario all'Economia, Cosentino ma anche il presidente della Commissione di vigilanza della Rai, Mario Landolfi se non sbaglio?

Di Feo: Si anche Landolfi. Lui è chiamato in causa da Vassallo per le vicende di un consorzio di raccolta rifiuti di Mondragone. Per questa vicende Landolfi è stato già indagato, ha già ricevuto un avviso di garanzia con l'accusa di corruzione aggravata dal favoreggiamento alla camorra. Attualmente dovrebbe essere in corso l'udienza preliminare per decidere il rinvio a giudizio. Anche Landolfi ha smentito i fatti che si basano sulle dichiarazioni di imprenditori e su intercettazioni telefoniche. Teniamo presente che uno dei protagonisti di questa vicenda, uno dei personaggi che ha accusato Landolfi e Cosentino per le attività di questo consorzio, è l'imprenditore Orsi assassinato dai casalesi il 1° giugno 2008. Non stiamo parlando di vicende banali come bustarelle o cose del genere.

A proposito di politici coinvolti: qualche mese fa, Marco Travaglio per aver ricordato durante una trasmissione tv le confessioni di un altro pentito, Francesco Campanella, riportate peraltro qualche anno prima dal tuo collega di redazione Marco Lillo, confessioni relative ai rapporti di amicizia del presidente del Senato, Schifani con persone condannate per mafia. Ebbene Travaglio, cosi come illo tempore anche Lillo, è stato querelato. Pensi che oltre alle perquisizioni possa arrivare anche la querela da parte di alcuni dei politici menzionati?

Di Feo: Loro l'hanno già annunciata ma non vedo che problema ci sia. La querela non mi preoccupa perché io sono in grado di portare elementi a suffragio di tutto quello che ho scritto. Mi sento assolutamente tranquillo nei confronti di una querela per diffamazione. Anzi la querela per diffamazione può essere la sede per affrontare tantissimi aspetti sulla "carriera" di questi politici. Mi permette di portare davanti ad un giudice tantissimi elementi che altrimenti restano chiuse nei cassetti delle procure. Non vedo l'ora.

*) Radio Città Aperta, www.radiocittaperta.it