mercoledì 28 ottobre 2015

Bernie Sanders, Hilary Clinton e la Questione socialista negli… Usa

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L'ex first lady Hillary Clinton e il "socialista dem" Bernie Sanders hanno dominato il primo confronto televisivo tra i candidati alle 
primarie del Partito Democratico americano organizzato a Las Vegas dalla CNN. 
    Sul palco anche gli altri tre contendenti, rimasti in ombra: l'ex governatore del Maryland ed ex sindaco di Baltimora Martin O'Malley, l'ex senatore della Virginia ed ex giornalista e scrittore Jim Webb e l'ex senatore indipendente e governatore di Rhode Island Lincoln Chafee.

Il Premier ceco a Beruxelles

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"Nella famiglia socialista le discussioni sono appassionate e vere, ma sempre costruttive e in linea con i nostri valori progressisti generali". Ieri il primo ministro ceco, Bohuslav Sobotka, ha incontrato a Bruxelles gli eurodeputati Socialisti e Democratici. Si è tenuto anche un colloquio con il presidente del gruppo socialista, Gianni Pittella, che ha rilasciato la seguente dichiarazione.
 
di Gianni Pittella, Presidente del Gruppo 
Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo
 
Il tempo delle divisioni è passato. Dobbiamo essere e saremo uniti, connessi e responsabili. Il primo ministro ceco,  Bohuslav Sobotka, ha confermato personalmente l'impegno del suo governo a dare attuazione alle misure adottate sul tema dell'attuale crisi migratoria.
    Accogliamo con favore la visita del premier ceco al nostro gruppo e lo scambio di opinioni franco, onesto e produttivo che abbiamo avuto, non solo sull'immigrazione ma anche sulla strategia di lungo termine sull'Europa della famiglia socialista. Nessuno stato membro può affrontare da solo le sfide globali e per l'intera famiglia progressista è il momento di restare uniti sui nostri principi di solidarietà e responsabilità condivisa. Elogiamo il primo ministro  Bohuslav Sobotka per avere dimostrato la volontà di agire in tal senso e per le straordinarie riforme sociali ed economiche finora realizzate.
    "Nella famiglia socialista le discussioni sono appassionate e vere, ma sempre costruttive e in linea con i nostri valori progressisti generali".

La Svizzera che va a destra, ma… Da Zurigo un segnale di lotta al populismo

 

Il panorama della democrazia svizzera, sempre più subalterna alle sirene xenofobe della destra populista, appare come terremotata dal voto di domenica scorsa che ha sancito una notevole avanzata elettorale delle destre. Ma non ogni speranza è perduta.

 

Domenica scorsa l'elettorato zurighese ha votato in controtendenza rispetto al resto di una Confederazione che appare invece sempre più ansimante e strozzata nella logica chiusa delle piccole patrie di rito alemanno.

    In libera uscita dal trend attuale, gli zurighesi già al primo turno hanno attribuito uno dei due seggi di rappresentanza cantonale al Consiglio degli Stati (il senato svizzero delle regioni) eleggendo il candidato socialista Daniel Jositsch, professore ordinario di diritto penale e parlamentare da due legislature, che ha superato la maggioranza assoluta con 182'776 preferenze. I suoi concorrenti si contenderanno il secondo posto al ballottaggio, in calendario per fine novembre.

    Nella Città sulla Limmat non si vedeva più un senatore socialista dai tempi della "cooperatrice" Emilie Lieberherr, eletta allo Stöckli bernese nel 1978.

 

Non meno rilevante il successo dell'ex ambasciatore elvetico a Berlino, Tim Guldimann, eletto con 102'756 preferenze dopo che era stato candidato a sorpresa candidato dalla "Sezione internazionale" Partito Socialista Svizzero, di cui fa parte anche il "cooperatore" Felice Besostri.

    All'indomani dell'elezione l'ex diplomatico ha voluto festeggiare il successo al Coopi con un gruppo di collaboratori. La presenza di Guldimann nello storico locale degli antifascisti italiani sottolinea emblematicamente l'intento di riprendere le epiche battaglie contro la xenofobia condotte dal "cooperatore" Ezio Canonica, il grande leader politico e sindacale ticinese, scomparso nel 1978.

 

    Quasi quarant'anni dopo, la Svizzera sembra tornata al punto di partenza. Ma Tim Guldimann, che si autodefinisce "il primo consigliere internazionale eletto al Consiglio Nazionale di Berna", intende la propria discesa in campo come un contributo al contrasto politicamente efficace delle destre xenofobe svizzere che "con i loro slogan populisti stanno affossando il futuro di questo Paese."

    Sul Cooperativo stesso, di cui lunedì scorso era ospite, il neo-parlamentare ha rilasciato una dichiarazione.

    "In questo 110° anno di attività del Coopi dobbiamo richiamare alla memoria una tradizione dimenticata del nostro socialismo, un socialismo aperto all'Europa e al mondo. Nella lotta contro il nazi-fascismo e, poi, nella battaglia contro la xenofobia degli anni Settanta l'emigrazione italiana ha lavorato con noi in piena solidarietà insieme alla sinistra svizzera di lingua italiana", ha detto l'ex ambasciatore.

    "Oggi però il Canton Ticino si chiude sempre più all'Italia in una logica di ostilità ispirata dalle destre populiste. E nella Svizzera tedesca ci stiamo dimostrando incapaci di comprendere come forza politica la maggiore comunità immigrata del nostro Paese, gli italiani", denuncia Tim Guldimann.

    E conclude con queste parole: "Eppure proprio gli italiani di prima e seconda generazione potrebbero aiutarci a superare la limitatezza mentale della nostra politica. Noi dobbiamo riprendere coscienza dell'italianità nella nostra identità politica, per rimanere europei".

domenica 4 ottobre 2015

Le elezioni catalane

L'analisi
 

Una lezione politica istituzionale per l'Italia
 
di Felice Besostri
 
Il risultato delle elezioni catalane di domenica 27 settembre 2011 ha carattere costituente secondo la parola d'ordine dei partiti catalanisti indipendentisti (CDC-ERC, con lista unica "Uniti per il Sì", con il sostegno di due piccole formazioni scissioniste del PSC e dell'UDC, e CUP ("Candidatura di Unità Popolare") dopo che il Governo con l'avallo del Tribunale Costituzionale aveva dichiarato illegittimo il referendum istituzionale indetto per il 2014 sostituito da una consultazione popolare senza valore legale. Col senno di poi le forze politiche contrarie alla secessione della Catalogna si pentiranno perché il referendum aveva due quesiti. Il primo sulla dichiarazione di sovranità, cioè il passaggio da Comunità Autonoma (per intendersi come una Regione Autonoma italiana, tipo Sicilia) a stato sovrano (Land tedesco o Cantone svizzero) . Il secondo se questo stato dovesse essere non solo sovrano ma anche indipendente. Un processo con similitudini con quello che portò alla dissoluzione dell'U.R.S.S. in quanto le chiusure alle dichiarazioni di sovranità, accelerarono quelle di indipendenza: in teoria una dichiarazione di sovranità è compatibile con una soluzione federale, che era ed è la posizione dei socialisti spagnoli, PSOE, e catalani, PSC. In base alla rappresentanza parlamentare gli indipendentisti ed alleati hanno una chiara maggioranza. Junts pel Sì (CDC,ERC e alleati) ha 62 seggi, che sommati ai 10 di Candidatura d'Unitat Popular, una forza politica di sinistra alternativa, rappresentata nell'assemblea parlamentare della Generalitat dal 2012 con 3 seggi, costituisce una maggioranza di 72 seggi su 135. In percentuale di voto, con una partecipazione storica del 77,44% (2012 69,6%, 2010 58,8) : una chiara controtendenza rispetto all'Italia e alla Grecia) le due liste indipendentiste raggiungono, invece, il 47,78% (JxSì 39,57%+ CUP 8,21%) , che non è la maggioranza assoluta, ma più omogenea dei contrari.
    La Catalogna non si è fatta impressionare dai sistemi elettorali italiani: ha un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale con una soglia d'accesso provinciale del 3%, quindi più bassa dell'Italikum, che ha la stessa percentuale, ma nazionale. I seggi sono distribuiti su base provinciale con il Metodo d'Hont, che favorisce le liste più votate, non esente da distorsioni. Nelle elezioni precedenti del 2012 uno degli 85 seggi della provincia di Barcellona è costato 47.500 voti, mentre con appena 20.900 voti si conquistava uno dei 15 seggi della provincia di Lerida. Con 30.900 voti si conquistava un seggio su 18 a Terragona, mentre a Girona, con 17 seggi totali, ci volevano 29.500 voti per averne almeno 1. Questi rapporti seggi voti hanno nel passato favorito la CiU (CDC+UDC) di Pujol rispetto al PSC-PSOE, che si contendevano la direzione del governo, in altri tempi: per esempio nel 2006 il PSC era il primo partito in percentuale con il 37,85% dei voti ma il secondo in seggi avendone 52 a fronte dei 56 di CiU con il 37,7%: stessa situazione nel 1999 con il PSC al 38, 21% e 52 seggi e CiU con 56 seggi e il 38,05%.
    Con queste elezioni 2015 il panorama politico è totalmente cambiato e la Catalogna non assomiglia alla Spagna del Parlamento eletto nel 2011 e neppure a quello che uscirà dalle elezioni del dicembre 2015, per il quale le previsioni si son fatte più difficili. L'asse politico in Catalogna non è più contrassegnato dalla contrapposizione destra/sinistra e neppure da una tripartizione destra-centro-sinistra, ma da indipendentisti/non indipendentisti (una definizione questa che è già un segno di debolezza, che in un referendum sì/no potrebbe influenzare il risultato, se per esempio i federalisti optassero per il no o per la non partecipazione al voto o scheda bianca. La legge referendaria potrebbe tenere conto per la proclamazione della maggioranza dei voti o dei votanti e/o pretendere come validante un quorum di partecipazione degli aventi diritto: tutte questioni da risolvere nell'arco temporale, che gli indipendentisti si sono dati di 18 mesi e che dipenderà anche dal nuovo governo centrale, se dovrà essere una soluzione unilaterale o bilaterale. La discriminazione indipendentista spiega il successo della lista civica di centro destra Ciutadans (C's) contraria all'autodeterminazione catalana e la singola lista con il maggior successo: 2012 7,57% e 9 seggi vs 2015 17,91% e 25 seggi. Alle prime elezioni catalane del 1980 i partiti rappresentati in Parlamento erano 6, tra cui, con 2 seggi anche un Partito socialista andaluso. Nel 2015 soltanto 6 liste hanno ottenuto rappresentanza, ma espressione di coalizioni, che rappresentano almeno 9/10 formazioni politiche. Nel 1980 la sinistra era chiaramente maggioritaria con 74 seggi o anche 72, per non contare i socialisti andalusi, PSC 33 seggi+ PSUC (la versione catalana dei comunisti spagnoli) 25 + ERC (Sinistra Repubblicana Catalana) 14, ma divisa tanto che ERC votò, insieme alla destra spagnolista di CC-UDC, per la Presidenza di Jordi Pujol. CiU la formazione unitaria nazionalista catalana tradizionale, quella che ha retto più a lungo il governo autonomico con 8 legislature su 10, si è spaccata, in quanto, sia pure di misura, la UCD non ha accettato un processo unilaterale di indipendenza. La UDC con un misero 2,51% come tale non è rientrata in Parlamento e una parte, Demòcrates de Catalunya si è alleata con la CDC di Mas contribuendo alla vittoria di "Uniti per il Sì", e a contenerne la perdita in percentuale rispetto al 2012. Nelle precedenti elezioni, infatti Convergència i Unió aveva il 30,70% e 50 seggi, ma 11 erano UCD, e la ERC il 13,70% e 21 seggi, infatti hanno governato in coalizione , togliendo dal 44,4% del 2012 il 2, 51% di UCD 2015, avrebbero dovuto ottenere lo 41,89%, mentre il guadagno in seggi rispetto al punto di partenza è innegabile , perché i 71 seggi di CiU+ERC erano in effetti 60. Un'altra formazione scissionista socialista Moviment d'Esquerres(Movimento delle sinistre) , di provenienza del PSC ha contribuito al successo, in che misura lo potremo sapere solo con la biografia dei futuri parlamentari. La grande sconfitta è la sinistra tradizionale sia di provenienza socialista, PSC-PSOE, che comunista (PSUC-PCE) : una sinistra che nel 1980 aveva 58 (PSC 33+ PSUC 25) seggi su 135, ma che già nel 1988 ne aveva 47. PSC 41 e PSUC 6, inaugurando così le maggioranze assolute di CiU e Pujol finite con la vittoria del socialista Pasqual Maragall nel 2003. Le elezione anticipate del 2006 riconfermarono la guida socialista della Generalitat di Catalogna, con Josep Montilla a capo di una coalizione tripartita Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC) , Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) e Iniciativa per Catalunya Verts-Esquerra Unida i Alternativa (ICV-EUiA) , come la precedente. Nel 2010 i socialisti sono sconfitti, ma è tutta la coalizione di sinistra ad essere punita dagli elettori con 22 seggi in meno, di cui 11, la metà, imputabile a ERC e 9 al PSC. Dalla sconfitta del scendendo2010 la sinistra tradizionale non si rimetterà il PSC scende nel 2012 al 14,43% e a 16 seggi da 20, per concludere paretito la parabola nel 2015 al 12,72% e 16 seggi, ormai terzo partito, dopo essere stato il secondo o il prima con percentuale di voto anche superiori al 38,1% e 52 seggi. Tuttavia le formazioni a sinistra del PSC non hanno avuto maggior fortuna, recuperando le perdite socialiste in minima parte. Nel 2003, ottenendo 9 seggi si presentavano uniti EA (Esquerra Alternativa,) e ICV, che nelle elezioni del 1999 aveva fatto alleanza con i socialisti in alcune circoscrizioni provinciali eleggendo complessivamente 5 parlamentari. EUiA, esclusa dal Parlamento catalano nel, 1999, con l'unificazione con ICV, formazione che comprende i Verdi, trae vantaggio dalla dinamica unitaria e, infatti, uniti conquistano 12 seggi nel 2006, ma scendendo a 10 nel 2010 e avendo il miglior risultato con 15 seggi e il 9,90% nel 2012. Una dinamica positiva che si è interrotta con il 8,93% e 11 seggi nel 2015, ma in unione con Podemos che alle municipali del maggio 2015 lasciavano sperare in un risultato di ben maggiore consistenza e comunque ben lontano dai migliori risultati del PSUC in Catalogna e di Izquedia Unida in Spagna. A sinistra un solo successo è incontrovertibile quella della lista CUP (Candidatura per l'unità popolare) con 10 seggi e il 8,21% Guadagna 7 seggi, rispetto al 2012, elezioni dove aveva superato la soglia con il 3,48%, ma la forza è di essere decisivo per la maggioranza indipendentista. Il suo successo deriva dalla chiara scelta per l'autodeterminazione della Catalogna e per il rifiuto di una consiste quota dell'elettorato della EUiA (Sinistra per l'Unità e l'Alternativa) con Podemos, considerato un movimento populista, quindi non di sinistra. Un giudizio analogo di squalifica ideologica, radicato anche nella sinistra italiana nei confronti del M5S. In Italia, come in Spagna, per fare propria l'esortazione rosselliana (" oggi in Spagna, domani in Italia") la sinistra dovrebbe interrogarsi se è possibile una sconfitta del Partito della Nazione, senza un'alleanza con il M5S , ma soprattutto per quale incapacità di analisi e/o mancanza di radicamento sociale non sia stata in grado di percepire, raccogliere e rappresentare quelle pulsioni di rinnovamento politico-sociale radicale, che i movimenti come M5S e hPodemos esprimono. A sinistra la per la prima volta, nhel superato la percentuale del PSC, se nella lista indipendentista unita conservasse la percentuale del 2012 (13,7%) , ma non potrà mai raggiungere le percentuali più elevate del PSC 37%/38% pur avendo superato con più del 16% nel 2003 e nel 2006 le percentuali del PSC del 2012 e 2015. Si conferma che la sinistra in Catalogna come consenso popolare è in progressiva diminuzione dal 1980, sia pure in diversa composizione, ma nel corso degli anni è stata capace di andare al governo con coalizioni, ma in solo due occasioni, 2003 e 2006,, ma soltanto nel 2003, a differenza del 2006, essendo il PSC il primo partito e il suo candidato alla presidente il più votato.. Il candidato alla presidenza della Genaralitat è il leader del Partito vincitore, ma i catalani hanno mantenuto l'elezione del presidente dal parlamento. Una legge elettorale proporzionale con una bassa soglia d'accesso e una forma di governo parlamentare hanno consentito alla Catalogna di governarsi, di compiere scelte anche in coalizione e di trasformare il sistema politico. In 35 anni si sono avute quattro legislature anticipate rispetto alla scadenza quadriennale 1992-1995, 2003-2006 e 2010-2012 e 2012-2015. La prossima sarà piena di tensioni e lo scontro con il governo centrale , il Parlamento nazionale e il Tribunale Costituzionale sarà affrontato contando su una maggioranza parlamentare vera e non frutto di premi di maggioranza arbitrari, ma di una partecipazione del 77,44% degli elettori. Dalla Catalogna arriva anche una lezione per la Lega Nord, la cui parola d'ordine secessionista non ha avuto molto seguito. CiU era una lista unitaria di partiti moderati in politica economica e sociale, tipicamente centrista e cattolica popolare, capace di aggregare nel progetto formazioni di sinistra, come ERC, anche estrema come CUP, che ha sottratto voti a EUiA. La Lega, invece, ha fatto una scelta di destra come programmi ed alleanze e poi manca nel nord il fattore della lingua, che in Catalogna, da fattore di esclusione individuale e di divisione tra città e campagna in appartenenza comunitaria. Fino alla vittoria del socialista Maragall i socialisti erano penalizzati alle elezioni autonomiche, perché i residenti originari da altre regioni non partecipavano a quelle elezioni, ma solo a quelle nazionali e municipali assicurando al PSC la supremazia in quelle elezioni: la più forte delegazione parlamentare catalana in Madrid e il controllo della Municipalità di Barcellona e della sua area metropolitana. Una tristezza vedere come quel capitale politico sia stato dissipato, soprattutto per colpa del PSOE.

Prime bombe russe


Putin nella palude siriana?
 
di Maria Teresa Olivieri
 
Mosca non voleva rimanere esclusa dalla costruzione della nuova Siria, ma soprattutto non poteva rimanere esclusa dai giochi in Medio Oriente mentre un paese amico come la Siria viene riorganizzato dall'Occidente con in testa la Casa Bianca. Così dopo il discorso davanti all'Onu, Putin passa dalle parole ai fatti. Stamattina il parlamento russo, su richiesta di Putin, ha dato il via libera e sono iniziati i raid aerei di Mosca sulla Siria. A darne conferma l'amministrazione americana, che è stata avvertita dal Cremlino prima degli attacchi (contatti sono stati inoltre avviati tra Usa e Russia per la gestione dello spazio aereo al fine di evitare scontri). "L'unico modo giusto di lottare contro il terrorismo internazionale è agire in anticipo, combattere e distruggere miliziani e terroristi sui territori già occupati da loro e non aspettare che arrivano a casa nostra" ha commentato da parte sua il presidente Putin.
    Alla base della decisione di Putin ci sarebbe la preoccupazione per l'aumento dei foreign fighters, combattenti dell'area dell'ex Unione Sovietica che sono andati in Siria, sono tornati a casa e costituiscono una diretta minaccia. Ma secondo i la Casa Bianca quella di Mosca "è improvvisazione", tanto che gli attacchi aerei russi si sono concentrati nelle province di Hama, Homs e Latakia, ma non in aree controllate dai jihadisti dello Stato islamico. Tanto da lasciar intendere che sotto le bombe russe sono finiti obiettivi diversi dai combattenti dello Stato islamico e che quindi i russi hanno agito in appoggio ad Assad contro tutti i suoi oppositori, più che contro lo Stato islamico.
    La speranza per gli Stati Uniti, che nel frattempo hanno dovuto sospendere i raid aerei per evitare sovrapposizioni con le operazioni russe, è che Putin finisca impantanato in una nuova guerra così come successo agli Usa, ma il capo dell'amministrazione presidenziale russa, Serghei Ivanov, ha spiegato che le operazioni dell'aviazione russa si svolgeranno in "un arco di tempo definito" e "non potranno andare avanti indefinitamente". "In Siria in queste ore si sta creando uno spiraglio di via di uscita", ha commentato dal Consiglio di Sicurezza Onu il Ministro degli esteri Paolo Gentiloni. "Una transizione politica graduale che però non dia vita a un vuoto di poteri come successo in Libia, e prima della Libia, in Iraq", ricalcando le affermazioni di Renzi di questi giorni.
    Diversa la posizione dei francesi che non vogliono certo che la Siria finisca nell'orbita di Putin, la procura di Parigi ha aperto un'inchiesta sui presunti crimini commessi dal regime di Damasco di Assad tra il 2011 e il 2013 sulla testimonianza di un ex fotografo della polizia militare siriana, fuggito dal paese nel 2013 con 55mila fotografie che proverebbero gli abusi e le brutalità commesse durante il conflitto. La Francia, inoltre, punta a sottolineare che le bombe russe hanno in realtà come obiettivo non l'Isis ma l'opposizione siriana. "Se hanno colpito a Homs, come sembra", ha affermato una fonte militare di Parigi, non è lo Stato islamico l'obiettivo ma probabilmente i gruppi di opposizione. Ciò conferma che "i russi vanno più in aiuto di Assad che contro l'Isis", a supporto della tesi di Parigi anche il capo della Coalizione nazionale siriana, il principale gruppo politico di opposizione ad Assad, Khaled Khoja. Secondo Khaled Khoja nei raid aerei russi sulla Siria sarebbero morti almeno 36 civili e le bombe hanno colpito zone dove i combattenti dello Stato islamico e Al Qaeda non sono presenti. "Tutti gli obiettivi colpiti dai raid aerei russi a nord di Homs erano civili" ha scritto Khaled Khoja, sul suo profilo Twitter. "Le zone colpite nelle operazioni aeree russe a Homs sono le stesse in cui lo Stato islamico combatteva ed è stato sconfitto già un anno fa".
    Mosca si affretta, nel frattempo, a dare per "legittimo" il suo intervento, facendo sapere che è stato il presidente Assad a chiedere "l'aiuto militare" di Mosca, anche per quanto riguarda specificamente l'invio di aerei. "D'accordo con la decisione del comandante supremo delle forze armate della Federazione russa, Vladimir Putin, le forze aeree russe hanno cominciato oggi bombardamenti mirati contro obiettivi dello Stato islamico sul territorio della Repubblica araba siriana", ha annunciato un portavoce del ministero della difesa di Mosca citato dall'agenzia di stampa Interfax.