mercoledì 23 dicembre 2015

L’Italia e l’Europa

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Ieri in Parlamento il premier Renzi ha cercato un rilancio del Governo nell'esposizione alle Camere della linea che l'Italia terrà a Bruxelles: "L'Italia è solida e solidale, ma non annuncia interventi militari bombardando a destra e a manca semplicemente perché pensa di essere più forte di quello che pensano gli altri".

 

Sotto schiaffo per le vicende di Banca Etruria col coinvolgimento della ministra Boschi e altri, per i dati non buoni dell'economia e il rapido raffreddamento dei rapporti con l'UE che pare non accontentarsi solo delle promesse, il Presidente del Consiglio ha tentato – illustrando quale sarà la linea dell'Italia al Consiglio europeo di oggi e domani, il primo dopo gli attentati di Parigi – di alzare il profilo del suo Governo partendo proprio dalla politica estera. Ecco alcuni stralci del suo intervento e in coda l'intervento nel dibattito e la dichiarazione di voto alla Camera della capogruppo socialista Pia Locatelli.

    "Siamo tutti impegnati a contrastare Daesh e la terribile azione di morte che persegue in tutto il mondo. Dobbiamo però avere il coraggio di dirci che gli attentati del 13 novembre sono un atto di morte e che pongono una riflessione: bisogna costruire una strategia che sia a tutto campo europea".

    "Per questo, propongo al Parlamento un approccio che vogliamo mettere a disposizione dei colleghi europei per riuscire finalmente ad avere una reazione, ma anche una visione per i prossimi anni. L'Italia propone la questione della sicurezza, elemento cruciale nella percezione quotidiana, che deve essere accompagnata da investimenti per un segnale immediato alle nostre Forze dell'ordine. Ma diciamo che non basta, perché – ha aggiunto – non c'è sicurezza senza un investimento diplomatico. In tal senso l'Italia è tornata nei tavoli che contano. Poi c'è l'investimento militare, ma che non è un racconto superficiale: non è avere 4 Tornado in più che cambia la politica militare del Paese che non si fa sulla base delle emozioni del momento, ma con un disegno strategico di medio-lungo periodo. Bisogna avere la convinzione che l'Italia è l'Italia, non il paese dei balocchi, quindi sicurezza, diplomazia e investimenti militari devono avere la stessa attenzione comune con la convinzione che serve un approccio unitario".

    Per combattere i terroristi "chiudiamo Schengen per fare che cosa? Per tenerli chiusi dentro? Ma coloro i quali sono stati considerati attentatori avevano un passaporto anche europeo".

    "La chiusura di Schengen a che cosa serve se non a dare in pasto all'opinione pubblica un elemento di tranquillità psicologica?", ma "l'alternativa al nichilismo che porta generazioni di giovani a farsi saltare in aria dentro un teatro, un ristorante o fuori da uno stadio viene dalla risposta al senso di vita che ognuno di noi si darà" e "la politica può agevolare questo valorizzando il senso del bene e la cultura dei nostri valori".

    Sulla sicurezza "abbiamo individuato una serie di proposte nella legge di Stabilità. Spero che almeno alcune possano incrociare un consenso più ampio rispetto a quello della maggioranza".

    "Nelle prossime settimane il ministro della Difesa, d'intesa con il ministro degli Esteri, presenterà, presso le commissioni competenti" di Camera e Senato "una ipotesi molto avanzata di ulteriore impegno da parte dell'Italia, che è un impegno serio e non estemporaneo in Iraq".

    "A Mosul c'è una diga che è lesionata, se quella diga crolla, per Bagdad e tutto l'Iraq è una situazione di disastro. È italiana l'azienda che può rimettere a posto quella diga". "Lo faremo se il parlamento sarà d'accordo in sede di commissione, perché l'Italia non si tira indietro di fronte alla proprie responsabilità.

    "L'Italia è solida e solidale, ma non annuncia interventi militari bombardando a destra e a manca semplicemente perché pensa di essere più forte di quello che pensano gli altri". "Trovo strabiliante che in Europa qualcuno abbia voluto aprire una procedura di infrazione perché non tutte le persone che abbiamo salvato in mare sono state identificate con le impronte digitali".

    "Non tutte le persone arrivate in Germania nel mese di agosto sono state identificate e la cancelliera Merkel disse: prima la solidarietà e poi la burocrazia. Quello che vale per la Germania non sembra valere per l'Italia".

    "Cara Europa – ha concluso il premier – qual è il tuo ruolo? Quello di affermare regolamenti, norme burocratiche, linee di indirizzo o quello di risolvere i problemi? Noi pensiamo ci sia bisogno di identificare tutte le sorelle e i fratelli che arrivano in Europa e negli immigrati ultimi mesi siamo sostanzialmente al 100%. Non solo, vogliamo arrivare al riconoscimento facciale, all'identificazione. Non siamo titubanti su questo tema. Quello che vogliamo dire è che l'Europa non può avere il consueto approccio di reazione, senza strategia sul tema dell'immigrazione".

    "L'Italia ha aperto il primo hot spot, domani apre il secondo a Trapani, siamo pronti su Taranto e Pozzallo. Siamo pronti a intervenire tenendo fede ai nostri impegni, chiederemo agli europei se sono in grado di tener fede ai loro impegni. Noi avevamo parlato di hot spot, rimpatri e riallocazioni, sta andando avanti solo ciò che segue l'Italia"."Segno evidente – ha ribadito il residente del Consiglio – che prima di aprire procedure di infrazione si dovrebbe collegare la realtà con le proprie idee, mi pare non sempre accada. Noi siamo europeisti convinti ma talvolta l'Europa fa di tutto per dimenticare cosa è e dovrebbe essere".

 

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La replica di Pia Locatelli - "Grazie, signora Presidente. Signor Presidente del Consiglio, l'agenda del prossimo Consiglio europeo mette, giustamente, al primo posto la lotta al terrorismo. Siamo tutti d'accordo sul fatto che dobbiamo combattere Daesh, annientarlo, come ha detto ieri il Presidente degli Stati Uniti, lo siamo meno, purtroppo, sugli strumenti da adottare. Una strada è senza dubbio quella di bloccare le fonti di finanziamento, un'altra importantissima è quella di dare vita a un sistema di intelligence europeo comune, la sua mancanza, anche solo il mancato coordinamento tra Paesi UE, è una delle cause della presenza di esponenti radicali criminali nei nostri Paesi. Pochi giorni fa, nei Dialoghi del Mediterraneo, organizzati da Farnesina e ISPI, è stato detto che le informazioni in possesso dell'intelligence italiana sono di provenienza USA per l'80 per cento, per il 4 per cento da Israele, 12 per cento dalla Francia e 2 dal Regno Unito; oltre i quattro quinti delle informazioni non ci vengono dall'UE ed è assurdo. Il primo lavoro da fare è quello di creare un ambiente che ci metta in condizioni di fidarci fra noi europei e, quindi, di scambiarci le informazioni.

    La lotta all'ISIS e la paura non devono però farci venir meno al rispetto dei principi fondamentali. La Francia è il Paese UE più colpito e noi dobbiamo avere una sorta di rispetto maggiori per il loro dolore e anche per le loro proposte, ma dobbiamo farlo senza perdere di vista alcuni pilastri della nostra civiltà. A noi pare inaccettabile che la Francia, Paese fondatore dell'Europa, dichiari, comunicandolo alla Corte di Strasburgo, la CEDU, che per i prossimi tre mesi non rispetterà la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

    Le chiedo, quindi, signor Presidente, di svolgere tutte le azioni possibili durante il Consiglio.

    Io credo che, se noi derogassimo a questo, consegneremmo la nostra civiltà, e non solo quella giuridica, a Daesh".

 

Dichiarazione di voto sulla mozione di maggioranza. "Signora Presidente, l'agenda del prossimo Consiglio europeo è molto affollata: il fatto è che i punti in discussione si moltiplicano perché si allarga la crisi che investe l'Unione. Sappiamo bene che costruire un'Unione sempre più integrata richiede tempo, determinazione e visione, ma questi elementi sono spesso mancati e le nuove leadership europee in buona parte hanno manifestato la tendenza a chiudersi in una visione nazionale, se non nazionalistica.

    I muri concreti o virtuali confermano questo atteggiamento, nell'illusione che ciascuno pensando a sé possa salvarsi: ma è appunto un'illusione.

    La mancanza di visione strategica degli ultimi anni ha impedito di riconoscere le nuove sfide in arrivo, e ci si è accontentati di volta in volta di soluzioni parziali, lasciando problemi irrisolti. Il caso dei flussi di persone verso l'Europa è emblematico: un milione di persone ha attraversato il Mediterraneo o percorso la rotta balcanica in quest'ultimo anno, e noi europei abbiamo dato risposte diverse. C'è chi come l'Italia, la Germania, la Svezia si è fatto carico del problema; e chi ha solo alzato la voce, oltre che i muri, pensando così di risolvere il problema del proprio Paese.

    Su questi temi noi italiani, e pure noi socialisti, siamo stati i primi a dire che non di emergenza si trattava, ma di esodo epocale. Siamo stati i primi a dire che la soluzione non poteva che essere europea. Siamo stati i primi a salvare con Mare Nostrum tante vite umane, e a convincere i nostri partner europei che Frontex era inadeguata e andava rafforzata. Ed ancora, i primi a parlare di corridoi umanitari per togliere il fatturato agli scafisti e a tutti coloro che guadagnano sulla pelle di queste persone.

    Andiamo al Consiglio europeo a chiedere una politica europea in tema di immigrazione e di asilo, e andiamo al Consiglio europeo a difendere Schengen, consapevoli che cambiarlo in senso restrittivo sarebbe l'inizio della fine dell'Unione: perché Schengen è il primo atto visibile, tangibile per tante persone, cittadini, uomini e donne dell'Unione. Non facciamo passi indietro: ci aiuteranno non certo a risolvere i problemi, ma solo ad allontanare le soluzioni. I socialisti voteranno a favore della risoluzione di maggioranza!"

 

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mercoledì 16 dicembre 2015

ESCALATION

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  Mentre Putin fa un riferimento tutt’altro che tranquillizzante all’uso dell’arma atomica e fa intensificare i bombardamenti sulle posizioni dell’Isis, dall’altra parte dell’oceano, il Capo del Pentagono, Ash Carter, si lascia sfuggire davanti alla Commissione Difesa del Congresso un’ammissione tutt’altro che tranquillizzante: “La realtà – ha detto – è che siamo in guerra”.

 La situazione in Siria dopo gli attentati di Parigi e quello di San Bernardino, sembra aver imboccato la strada dell’escalation militare. La coalizione di Paesi, Usa, Russia e Francia, – cui di recente si è aggiunta anche la Germania – decisa a sradicare la presenza del terrorismo islamico in Siria, non è ancora né veramente unita né tanto meno coordinata, ma ciò nondimeno, ognuno sembra intenzionato a aumentare la pressione militare e comunque lancia messaggi che non lasciano trasparire nessuna arrendevolezza sul terreno bellico.

    La Russia ha scatenato una vera e propria tempesta di fuoco con i bombardieri e con i missili da crociera. Ieri sera durante un vertice con il ministro della Difesa Sergey Shoigu, Putin ha detto che i missili Kalibr e i missili da crociera A-101 “possono essere armati sia con testate convenzionali sia con testate speciali, cioè quelle nucleari. Certamente nulla di questo è necessario nella lotta ai terroristi, e spero che non sarà mai necessario”. Parole inquietanti mentre si intensificavano i raid ‘contro obiettivi dell’Isis e di altri gruppi terroristici’, – come ha fatto sapere oggi il ministero della Difesa – utilizzando anche un sottomarino, il Rostov-on-Don, – sottomarino della classe Varshavyanka con tecnologia stealth avanzata – dispiegato nel Mediterraneo con lanci di missili che si è unito alle operazioni condotte dai cacciabombardieri Tupolev Tu-22M3. La decisione di moltiplicare i lanci missilistici è stata presa dal presidente Vladimir Putin in persona, precisa una nota del dicastero, nella sua qualità di Comandante supremo delle Forze armate russe.

    La decisione russa sembra avere una portata politica che va ben al di là dello scontro sul terreno con i miliziani del Califfo. L’obiettivo politico sembra essere ancora una volta il governo turco cui non solo Mosca non ha perdonato l’abbattimento del suo cacciabombardiere SU-24, ma anche, evidentemente, il protrarsi di un sostegno alle milizie che combattono contro Assad e chissà, forse anche ancora allo stesso Isis. Un gioco sul filo del rasoio perché la Turchia è membro della Nato e un coinvolgimento diretto negli scontri potrebbe avere ripercussioni terribilmente gravi. >>> Continua la lettura sull’avantionline

       

   

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 Spagna: È sfida a sinistratra Podemos e il PSOE

 di Silvia Gernini - @sgernini

 In Spagna mancano poco più di dieci giorni alle elezioni e la campagna elettorale si sta trasformando in un campo di battaglia per la sinistra. Mentre il Partido Popular di Mariano Rajoy al governo si confermerebbe, secondo l’ultimo sondaggio, il favorito con oltre il 28% dei voti che però non gli consentirebbero di governare senza un accordo. A otto punti percentuali di distanza dal Pp si piazza il Psoe, seconda forza politica del Paese.

    Ed è in questa situazione che Rajoy continua a smarcarsi dai dibattiti tv per evitare gli attacchi degli altri partiti, mentre all’interno della sinistra è iniziata, insieme alla campagna elettorale, una guerra tra Psoe e Podemos per accaparrarsi i voti degli indecisi che potrebbero fare la differenza per i socialisti.

    Il leader socialista Pedro Sánchez punta a battere Podemos per concentrarsi sulla competizione contro il partito di Rajoy e con un’unica battuta attacca sia Iglesias che il leader dei popolari: “L’unica garanzia di cambiamento è il Psoe; non votarlo (votando Podemos, ndr) significa regalare il voto al presidente della disoccupazione e della corruzione, ovvero Rajoy”.

    Iglesias, aggiunge Sánchez, “ha un modo strano di fare politica. Dice che il Psoe non può contare sui voti di Podemos se vogliamo formare il governo. Il fatto è che Iglesias ama solo se stesso”, così il leader socialista, che accusa Podemos di voler sottrarre voti al Psoe anche se “è chiaro che non vincerà le elezioni”.

    Iglesias, da parte sua, teme il calo di consensi registrato negli ultimi sondaggi (sarebbe la quarta forza politica con meno del 10%) e cerca, in questi pochi giorni che restano, di recuperare terreno, cercando di prendere il voto degli elettori socialisti delusi. E con lui anche il segretario politico di Podemos Íñigo Errejón che proprio al popolo socialista ha annunciato la “buona notizia”: per queste elezioni hanno un’alternativa, possono votare Podemos. “Sánchez – ha commentato invece Iglesias – è fuori dalla corsa elettorale. E lo dico con amarezza”.

    In questa guerra all’ultimo voto tra Psoe e Podemos, la sinistra sembra dimenticare Ciudadanos, il partito liberale moderato, che continua a crescere nelle rilevazioni posizionandosi come terza forza politica del Paese con un leggero distacco dal Psoe. Il partito di Albert Rivera sarebbe ai livelli dei due principali partiti che hanno governato dal 1982 a oggi e nelle elezioni del 20 dicembre potrebbe rappresentare il vero ago della bilancia.

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martedì 1 dicembre 2015

ALTA TENSIONE

Da Avanti! online www.avantionline.it/

 

Non è mai stata così alta la tensione tra la Russia e un Paese della Nato dagli anni della guerra fredda.

 

di Armando Marchio

 

L’abbattimento ieri di un jet russo a opera dell’aviazione militare turca sul confine tra Siria e Turchia con la morte di uno dei due piloti, probabilmente ucciso dai ribelli turcomanni anti-Assad e protetti dal governo di Ankara, ha portato la temperatura delle relazioni tra i due Paesi al calor bianco. L’unica buona notizia fino a oggi è che il secondo uomo dell’equipaggio del Sukhoi SU-24 abbattuto con un missile aria-aria dal caccia F16 turco, è stato recuperato dalle forze di soccorso in un’operazione congiunta tra siriani e russi. Per il resto continuano ad addensarsi nubi nere sull’orizzonte delle relazioni tra i due Paesi e sull’intera regione con pesanti riflessi sui tentativi di costruire una coalizione internazionale per combattere contro il terrorismo dell’Isis.

    Mosca, da cui è lecito attendersi una rappresaglia mirata contro la Turchia perché non è immaginabile che Putin incassi un colpo di questo genere senza reagire, ha schierato batterie di missili nella base di Latakia destinate a sconsigliare eventuali bis dell’aviazione turca mentre è arrivata – ha annunciato il ministro della Difesa russa Serghiei Shoigu – nelle acque prospicienti le coste siriane, un incrociatore – il Moskva – che si unisce alle altre cinque navi da guerra già presenti e ad almeno due sottomarini. I sistemi di difesa anti missilistica S-400 spostati ora nella base di Khmeimim, a Latakia, completano il quadro dello schieramento militare russo che, a detta degli analisti occidentali, ha trasformato la ‘storica’ base navale di Tartus, in un avamposto “inespugnabile”.

    E a rendere se possibile ancora più delicato il quadro, c’è anche la presenza cinese. Secondo l’agenzia di intelligence israeliana DEBKA, i cinesi avrebbero già schierato a ridosso delle coste siriana la portaerei Liaoning ed un incrociatore lanciamissili.

    Le Forze armate turche intanto hanno rafforzato i controlli aerei del confine con la Siria e da oggi i caccia F-16 turchi di pattuglia saranno 18 e non più 12. >>> Continua la lettura sul sito Vai al sito dell’avantionline

 

 

 

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La Germania interverrà in Siria

 

Berlino invierà i Tornado nella guerra contro l’Isis. Lo riferisce Henning Otte, parlamentare Cdu e membro della Commissione Difesa del Bundestag. “Non rinforzeremo solo la missione di addestramento nel nord dell’Iraq”, dice, “ma invieremo i nostri Tornado di ricognizione in Siria per la guerra contro l’Isis”.

 

Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Dpa, la decisione è stata presa da Angela Merkel insieme ai ministri competenti “come conseguenza degli attentati di Parigi”.

    Secondo quanto riferisce la Sueddeutsche Zeitung, la flotta dei Tornado tedeschi è composta da 85 velivoli dotati di fotocamere ottiche e di uno scanner a raggi infrarossi. Una parte di essi sarà impiegata in Siria, se il Bundestag darà il via libera.

    Sempre in base a quanto riportato dalla Dpa, la Germania parteciperà inviando anche una nave da guerra. Vai al sito dell’Unità

 

 

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Pacifismo e nonviolenza

 

Vorrei contribuire a cogliere alcuni dei motivi profondi della crisi del movimento per la pace. Potrebbe trattarsi, infatti, di una crisi di crescita.

 

di Danilo Di Matteo

 

Polemos è padre di tutte le cose, sosteneva Eraclito: la dimensione conflittuale è parte integrante dell’esistenza dei singoli e dei gruppi, e anzi la vivifica. Pretendere di estirparla sarebbe irragionevole. Potrebbe trattarsi di uno degli errori di un pacifismo ingenuo: che inoltre è forse attraversato da alcuni retropensieri che lo condizionano assai, riguardo in particolare al rapporto fra Nord e Sud del pianeta, il primo visto quasi sempre come “oppressore” e “sfruttatore”, con la complicità delle classi dirigenti del secondo.

    La ricerca della pace, dunque, concepita per lo più come una forma di tutela dei “poveri” e degli “emarginati” del mondo (si scorge insomma l’eco di una visione “di classe” delle relazioni internazionali).

    L’esperienza della nonviolenza, invece, si inserisce proprio nel quadro dei conflitti, divenendo una forma formidabile di conquista della libertà. Affermava il Mahatma Gandhi: “La mia resistenza alla guerra non mi porta al punto di ostacolare coloro che desiderano parteciparvi. Ragiono con loro. Presento loro la via migliore e li lascio fare la loro scelta”. La scelta come dimensione umana fondamentale: decisione e responsabilità. E che dire del pastore battista nero Martin Luther King e della sua “guerra alla povertà”? Il gesto di Rosa Parks, che il 1° dicembre 1955 viene arrestata per il suo rifiuto di sedere nella sezione posteriore dell’autobus, riservata ai neri, non è a suo modo conflittuale?

    L’ignavia, accanto all’indifferenza, è il peso morto della storia; il rifiuto di prendere posizione. Per pigrizia o per averne assunta una fin dall’inizio, magari in maniera implicita: quella antioccidentale. Ma noi perseguiamo pace e giustizia anche perché figli dell’Occidente.

 

 

 

mercoledì 25 novembre 2015

Il tempo delle responsabilità

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L’Europa non c’è. Irriconoscibile. Il Mediterraneo è in fiamme e noi ci balocchiamo nel buonismo. Una dignitosa esecrazione e poco più.

 

di Riccardo Nencini, segretario nazionale del Psi

 

Eccole là le tre voragini, pozzi neri nei quali ci specchiamo con disinvoltura e dabbenaggine. Le metto in ordine: la crisi della nostra identità, scalpellata quotidianamente in omaggio a un multiculturalismo peloso e irrispettoso dei valori di uguaglianza e libertà, la perdita di ruolo delle Nazioni Unite, afone da almeno un ventennio, e l’apatia dell’Europa, altro rispetto alla lungimiranza dei pionieri e alla grandezza di capi di stato e di governo dell’ultimo ventennio del secolo scorso.

    Abbiamo ridotto l’identità dell’Occidente a un feticcio. E invece dovremmo essere fieri di una storia che ha sottratto all’anonimato masse di donne e di uomini nel nome della libertà e dell’uguaglianza. Lo sosteniamo da tempo: nessuna tolleranza verso il fanatismo culturale o religioso, nessuna cautela verso chi calpesta i diritti fondamentali delle persone, nessun senso di colpa verso chi predica valori in contrasto con i cardini della nostra società. E nessuna comprensione verso chi nega la visita a una mostra di capolavori artistici per timore di offendere la sensibilità di chi professa una diversa religione. I fanatici sono pericolosi da ogni parte. Se intanto non difendiamo la bussola della nostra identità, se non abbiamo certezza di chi siamo non saremo in grado ne’ di confrontarci con le diversità né sapremo reagire con convinzione al dramma di questi giorni. So bene come la pensava Oriana Fallaci. Ne abbiamo parlato più volte. Non ho condiviso le previsioni cupe sull’Eurabia ma su un punto aveva ragione, e proprio su quel punto venne attaccata, vilipesa, lapidata da professionisti del pacifismo al caviale e da intellettuali che dovrebbero almeno chiedere scusa per averla offesa e soprattutto per aver sbagliato ogni analisi. Il punto, allora: l’Europa sta diventando molle, ha perso la sua spinta vitale. Già. Chi può dissentire?

    La guerra ha assunto da tempo caratteristiche inimmaginabili ai conflitti tradizionali combattuti da eserciti nazionali. L’Onu nacque per dirimere le guerre tra Stati. E invece i focolai che insanguinano lo scenario internazionale si sono accesi soprattutto all’interno degli stati. Perlopiù si tratta di conflitti etnici, religiosi, moltiplicatisi nel quinquennio in corso tra il Medio Oriente e l’Africa del nord. Non ho notizia recente di decisioni risolute da parte dell’Onu. Un silenzio assordante. Rivederne la fisionomia e l’organizzazione e’ una priorità. Il mondo non si avvia verso l’età dell’oro. Chi pensa di affrontare il problema al solo grido di je suis Paris fa la cosa giusta, ma insufficiente.

    L’Europa non c’è. Irriconoscibile. Il Mediterraneo è in fiamme e noi ci balocchiamo nel buonismo. Una dignitosa esecrazione e poco più.

    Se, come sostiene il presidente Obama, a Parigi si è commesso un crimine contro l’umanità; se, come affermano capi di governo, siamo di fronte a una nuova guerra; se, come ci informano servizi e diplomazie, l’Isis ha colpito e colpirà ancora, alla retorica vanno sostituiti mezzi più convincenti: strutture di intelligence che si coordinano e si scambiano informazioni, tutte le informazioni, il coinvolgimento pieno della Russia, l’uso sinergico di strumenti militari, la rinuncia a far prevalere su tutto l’interesse economico di singoli stati.

    Non è indispensabile appartenere agli ultimi della terra per essere reclutati dal fondamentalismo religioso. Sono altri, e più profondi, i sentimenti che si muovono. I sentimenti che noi abbiamo smarrito e che non saremo in grado di afferrare se non ci diamo una nuova Dichiarazione Universale. L’umanesimo liberale deve essere innaffiato ogni giorno, rinnovato, cresciuto. Altrimenti si spegne.    Vai al sito dell’avantionline

 

 

 

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Abaaoud, “mente” delle stragi, tra le vittime del blitz a Sant-Denis

 

La conferma è arrivata da fonti della magistratura

 

l jihadista belga Abdelhamid Abaaoud, presunta “mente” degli attentati di Parigi, è stato ucciso nel raid di ieri a Saint-Denis.  Lo hanno reso noto fonti della magistratura parigina.  Il procuratore Francois Molins, che ieri sera non lo aveva escluso, aveva dichiarato di voler attendere il risultato degli esami del Dna dei corpi ritrovati.

    L’annuncio ufficiale arriva comunque dal premier francese, Manuel Valls, davanti all’Assemblea nazionale dopo l’identificazione formale della mente delle stragi di Parigi, il belga Abdelhamid Abaaoud, tra i morti nel blitz a Saint-Denis.

    “Il cervello, o uno dei cervelli è morto. Saluto il lavoro eccezionale della polizia”. Valls ha reso omaggio al “lavoro eccezionale dei nostri servizi e della polizia” per l’operazione che ha portato all’uccisione a St. Denis del terrorista.

 

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mercoledì 18 novembre 2015

L’Italicum come il Porcellum

Riceviamo e volentieri rilanciamo

 

 

www.coordinamentodemocraziacostituzionale.net

 

  

Parla Felice Besostri: "L'Italicum come il Porcellum. È incostituzionale".

 

di CLAUDIO MADRICARDO

 

Avvocato Besostri, lei venerdì 6 novembre ha presentato ricorso al tribunale di Milano contro l'italicum. cI vuol spiegare come è giunto all'idea di opporsi alla nuova legge elettorale? Ha forse nostalgie proporzionaste? Non le è bastato di aver già affossato il porcellum?

    Ai Tribunali civili di Milano e Venezia sono stati presentati i primi due ricorsi per far accertare il diritto dei cittadini italiani di votare secondo Costituzione. Ne seguirà un'altra ventina presso i Tribunali delle città capoluogo di Distretto di Corte d'Appello: in generale i capoluoghi di Regione. La ragione è semplice l'italicum presenta gli stessi problemi di costituzionalità del porcellum, una legge che con gli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani avevo contribuito a far annullare dalla Corte costituzionale nel gennaio 2014. Le leggi elettorali proporzionali sono state demonizzate ingiustamente, ma questo non c'entra nulla. Davanti alla Corte costituzionale ho detto chiaramente che un sistema maggioritario all'inglese o alla francese sono assolutamente costituzionali.

    Quindi, avvocato, qual è il vero problema secondo lei?

    Il trucco di dare la maggioranza a chi non ce l'ha. Cerco di spiegarmi meglio. Nei sistemi maggioritari bisogna conquistare la metà più uno dei seggi. In quelli proporzionali avvicinarsi al cinquanta per cento dei voti validi. La Corte Costituzionale nella sentenza n. 1/2014 ha detto che se il legislatore vuol adottare un sistema maggioritario lo può fare, ma se sceglie un sistema, anche parzialmente proporzionale, deve essere coerente.

    Tuttavia i sistemi proporzionali sono generalmente instabili.

    Non è vero. La Germania, che è il paese più stabile d'Europa, ha un sistema proporzionale con una soglia di accesso del cinque per cento. Ebbene, dal 1949 ad oggi ha avuto in sessantasei anni appena otto cancellieri e si vota ogni quattro anni e non ogni cinque come in Italia. Da noi non è il sistema elettorale, ma il sistema dei partiti che crea instabilità,. Nella tredicesima legislatura (1996-2001) con la legge maggioritaria chiamata mattarellum abbiamo avuto quattro governi. Nella quindicesima (2006-2008) con l'iper maggioritario porcellum, la legislatura è finita prima. Berlusconi nel 2008 ha avuto la più grande maggioranza della storia repubblicana alla Camera e al Senato. Non ha finito la legislatura. L'ha portata a termine Mario Monti, ma con una maggioranza diversa.

    Quali sono, a suo modo di vedere, i motivi più eclatanti che renderebbero l'italicum incostituzionale? Li vuol spiegare in termini comprensibili a un profano della materia?

    Il premio di maggioranza prefissato nel cinquantaquattro per cento dei seggi. Ovvero trecento quaranta seggi e senza contare i dodici della circoscrizione estero, e indipendentemente dal consenso elettorale. Prendo lo stesso premio con il quaranta o con il quarantacinque per cento. O addirittura il cinquanta per cento dei voti. Lo scandalo comunque è il ballottaggio, dove una lista con il venticinque per cento dei voti al primo turno può conquistare il cinquantaquattro per cento dei seggi. Cioè può più che raddoppiare quelli che gli elettori le avrebbero assegnato. Questo non esiste in nessuna parte del mondo democratico. Inoltre, per far scattare il premio non c'è nessun quorum di partecipazione: che vada a votare il settanta per cento degli elettori o il trentacinque per cento, il premio è uguale. Un partito che rappresenta in termini reali meno del venti per cento degli italiani, governerebbe da solo. Si eleggerebbe il Presidente della Repubblica e quindi la maggioranza dei giudici costituzionali. >>> Continua la lettura sul sito di Ytali

 

martedì 10 novembre 2015

Macaluso: “Berlinguer? Un grande togliattiano”

Da l'Unità online http://www.unita.tv/

  

Intervista a Emanuele Macaluso: "Lo strappo da Mosca fu una cosa seria. I limiti del segretario e del suo gruppo dirigente, me compreso, emersero con la crisi della solidarietà nazionale. Di lì in poi ci mancò un rapporto coerente tra tattica e strategia"

 

di Francesco Cundari

 

«Quella di Biagio de Giovanni è un'analisi seria, che parte da un'affermazione indiscutibile, e cioè che Enrico Berlinguer è stato ed è rimasto sempre un comunista. E io aggiungo: un comunista italiano». Il punto di vista di Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci che con Berlinguer ha lavorato a lungo fianco a fianco, sta tutto in questa precisazione, che segnala però una differenza di fondo, subito esplicitata in tre espressioni che per Macaluso sono evidentemente quasi equivalenti: «Un comunista italiano, un comunista togliattiano, un comunista che ha sviluppato e portato più avanti la linea della via italiana al socialismo». La differenza tra «comunista» e «comunista italiano» non è una pignoleria di filologia politica, ma il cuore del dissenso con de Giovanni, di cui pure Macaluso ha apprezzato l'intervento, che ai suoi occhi ha innanzi tutto il merito di «restituire a Enrico Berlinguer la sua complessità e la sua importanza, contrariamente a una parte della sinistra e anche del mondo giornalistico, per i quali sembra che l'unica cosa che abbia fatto Berlinguer in vita sua sia un'intervista sulla questione morale».

    In sostanza, de Giovanni dice che Berlinguer, nonostante tutti i famosi strappi, non si distaccò mai pienamente dall'Unione sovietica e dal campo del socialismo reale. Di più, che non uscì mai da una visione del mondo che aveva nella rivoluzione russa del 1917 il suo discrimine fondamentale. Le sembra un giudizio fondato?

    «Che un condizionamento ci fosse è innegabile, e non vale solo per Berlinguer, ma per tutta la storia del Pci, compreso Occhetto, che fu gorbacioviano fino all'ultimo. Dopodiché, quando Berlinguer dice di sentirsi più tranquillo, per la sua idea di via italiana al socialismo, sotto l'ombrello della Nato, o quando proclama, a Mosca, il valore universale della democrazia, o ancora quando dichiara che la rivoluzione d'Ottobre ha perso la sua spinta propulsiva, che cosa sta dicendo, se non che il 1917 ha ormai una funzione conservatrice?»

    E allora dov'era il «condizionamento»?

    «Nel fatto che si considerava l'esistenza dell'Urss e delle cosiddette democrazie popolari un dato che oggettivamente indeboliva il capitalismo e dava quindi alla via democratica al socialismo del Pci un atout, rendendola più forte e anche più comprensibile».

    De Giovanni ha ricordato parole molto chiare di Berlinguer sulla «immensa portata» che aveva per il mondo l'esistenza di stati socialisti.

    «Parole che però, come ricorda lo stesso de Giovanni, risalgono proprio agli anni dell'eurocomunismo, e cioè a quando Berlinguer si sforza maggiormente di fuoriuscire da quell'esperienza. Mi sembra evidente l'aspetto tattico».

    De Giovanni tuttavia mette in discussione anzitutto l'analisi di Berlinguer, e cioè il fatto che abbia continuato a credere fino all'ultimo a una crisi terminale del capitalismo, non vedendo invece come a essere condannato fosse il socialismo reale, mentre il capitalismo si apprestava, proprio in quegli anni, a una nuova fase di espansione che avrebbe aperto le porte alla rivoluzione tecnologica e alla globalizzazione.

    «Berlinguer non aveva previsto la rivoluzione tecnologica, né la globalizzazione, né il fatto che oggi, a guidare il più impressionante e spietato processo di sviluppo capitalistico mai visto nella storia sarebbe stato il partito comunista cinese. È vero. Aggiungerei: e non solo lui»

    I socialisti potrebbero obiettare che nello scontro con Bettino Craxi, sulla crisi terminale del comunismo e la modernizzazione capitalista, loro avevano visto giusto, Berlinguer e il Pci no.

    «Stiamo attenti: de Giovanni dice che quando arriva Craxi, subito nel Pci scatta l'allarme. Ma il primo Craxi è quello che pone il problema dell'alternativa (ai governi guidati dalla Dc, ndr), sia pure tenendo sempre un atteggiamento critico con il Pci. E anche se Berlinguer sin dall'inizio ha molte riserve sul modo di fare politica di Craxi, sul tipo di modernizzazione che propone, tuttavia non abbandona mai la possibilità di un rapporto con il Psi. Il conflitto esplode quando Craxi va al governo. Lì c'è un errore di valutazione del Pci, e anche mio. Ricordo bene l'editoriale aspramente critico che scrissi sull'Unità».

    Anche ai tempi del compromesso storico non è che fossero proprio rose e fiori…

    «In realtà i veri problemi cominciano dopo. Il punto è come usciamo dalla solidarietà nazionale. Ricordo che nel 1980 diedi un'intervista in cui dicevo che il Pci doveva continuare sulla linea della solidarietà nazionale, ma con una variante: che la direzione del governo non doveva andare più a un democristiano, ma a un socialista. Il giornalista mi chiese: ma se andasse a un socialista, allora potrebbe essere Craxi? E io dissi sì. Uscì un comunicato della segreteria del Pci per dire che si trattava di "opinioni personali", una cosa che non si faceva dai tempi delle dichiarazioni di Umberto Terracini sui rapporti con Usa e Urss, nel 1947. Capii che era cambiato qualcosa, e infatti qualche tempo dopo Berlinguer venne in direzione con un progetto di risoluzione in cui faceva la cosiddetta svolta: non si parlava più di solidarietà nazionale, non si nominavano più i rapporti con la Dc, con il Psi, con nessuno. Io però continuo a pensare nonostante tutto che queste oscillazioni fossero dettate da esigenze tattiche, mentre la strategia di Berlinguer rimaneva sempre la stessa».

    Cosa glielo fa dire?

    «Ad esempio il fatto che dopo tutto questo, alla vigilia delle elezioni del 1983, Berlinguer e Craxi si incontrano a Frattocchie e siglano un documento comune sui problemi sociali, lo sviluppo, la giustizia. Come dire che sì, ovviamente Pci e Psi andavano alle elezioni su posizioni diverse, ma c'era una prospettiva comune. Devo anche dire che quando poi Craxi va al governo accentua la polemica con il Pci. Nella rottura, insomma, ci sono responsabilità da una parte e dall'altra».

    Resta il problema da cui siamo partiti, e cioè, tracciando un bilancio, quale sia stato il ruolo di Berlinguer. Ha svolto una funzione di conservazione, come sembra concludere de Giovanni, o di rottura?

    «Io ritengo che Berlinguer, con alcuni errori tattici, cui mi associo, abbia sempre mantenuto ferma la linea della via italiana al socialismo, cioè una via democratica, non rivoluzionaria, con quei passi che ho ricordato sulla Nato e sul valore universale della democrazia che rappresentarono una accelerazione straordinaria. Il problema è che dopo la solidarietà nazionale quella linea va in crisi e il Pci non riesce più a trovare un rapporto coerente tra tattica e strategia. Questo è il vero limite che emerge, da quel momento in poi, di Berlinguer e di tutto il suo gruppo dirigente, me compreso. Quanto alle questioni ideologiche, capiamoci: anche Togliatti non uscì mai dal leninismo, però fece un partito di massa attrezzato per le elezioni, invece di un partito di quadri attrezzato per la rivoluzione, cioè l'esatto contrario del leninismo. Un partito che prende "l'attuazione della Costituzione come programma". La vera doppiezza è che nel momento in cui, nei fatti, il Pci rompeva con quella tradizione, non lo voleva dire. Ma la sua politica non fu mai doppia: dalla linea democratica non si tornò mai indietro».

    Restava però l'obiettivo di superare il capitalismo, o no?

    «Sì, certo: anche Berlinguer credeva nella possibilità di superare il capitalismo. Democraticamente».

    E lei come giudica questa posizione?

    «Io ormai sono vecchio. Vedo che molti pensano che il capitalismo sia l'ultima categoria della storia, che dopo non possa esserci nulla. Io, invece, non so cosa avverrà dopo, ma che sia l'ultima categoria della storia non lo credo. Ho letto un libro in cui si racconta quello che accadde in Russia quando abolirono la servitù della gleba: ci furono persone che si suicidarono perché pensavano che fosse la fine del mondo. E invece il mondo è andato avanti. Io credo che la sinistra debba battersi per uguaglianza e progresso. Quali sbocchi avrà questa lotta non lo so, ma credo resti una battaglia da fare. E va fatta nel mondo di oggi, che non è più quello di Berlinguer, né il mio».

 

Vai al sito dell'Unità

 

Istituzioni democratiche - Deformata la Costituzione, nasce il Comitato per il No

 La presidenza del Comitato è stata assunta dal prof. Alessandro Pace, che sarà coadiuvato da due vicepresidenti, Anna Falcone e Alfiero Grandi.i

 

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale annuncia la costituzione del Comitato che sosterra’ il No nel referendum confermativo sulle modifiche della Costituzione, che sono state fortemente volute dal governo Renzi ed imposte al Parlamento come parte essenziale del suo programma politico. Il Senato il 13 ottobre ha approvato il ddl Boschi Renzi con modifiche marginali, senza ascoltare gli appelli a non manomettere la Costituzione provenienti da autorevoli costituzionalisti e da tanti cittadini che pensano che i principi fondamentali su cui si regge la democrazia in Italia dovrebbero essere affrontati con la prudenza e il rispetto che meritano.

    Il giudizio negativo sul testo della riforma approvata dal Parlamento si fonda anche sull’interazione fra le modifiche costituzionali e la nuova legge elettorale (l’Italicum) che ripropone amplificandoli gli stessi aspetti di incostituzionalità del porcellum, che la Consulta ha censurato con la sentenza n. 1/2014. Con queste riforme si crea un contesto istituzionale che sterilizza il sistema di pesi e contrappesi che i Costituenti vollero instaurare per evitare pericolose concentrazioni di potere nelle mani di un unico soggetto politico (un uomo solo al comando) e si finisce per dissolvere l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza.

    Per contrastare gli effetti perversi dell’Italicum il Coordinamento ha già depositato in Cassazione, il 16 ottobre la richiesta di due referendum abrogativi e si prepara ad organizzare la campagna di raccolta di firme. Per contrastare la riforma costituzionale è stato deciso di costituire in via anticipata il Comitato per il No.

  

Naturalmente la speranza è che il Parlamento, riveda le sue posizioni. Se ciò non dovesse avvenire sarà giocoforza affrontare il referendum previsto dall’art. 138 della Costituzione, che permetterà ai cittadini italiani di potersi finalmente esprimere e di bocciare questa inaccettabile manomissione della Costituzione, come è già avvenuto nel 2006 quando è stata cancellata la riforma voluta da Berlusconi. In ogni caso il governo Renzi deve sapere fin da ora che ci sara’ chi sosterra’ il no nel referendum senza farsi scoraggiare dalla retorica delle riforme con la quale si cerca di neutralizzare ogni dissenso.

    Il Comitato è apartitico e nasce dall’incontro fra le associazioni attive nella società civile sui temi della democrazia, alcuni soggetti politici e sindacali e la migliore cultura giuridica costituzionale italiana e chiederà l’adesione delle forze politiche e sindacali che vorranno impegnarsi per il no.

    Vi partecipano autorevoli giuristi e costituzionalisti come Gaetano Azzariti, Felice Besostri, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare, Claudio De Fiores, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Francesco Rescigno, Cesare Salvi, Federico Sorrentino, Massimo Villone, Mauro Volpi, Gustavo Zagrebelsky e personalità della cultura o esponenti delle associazioni come Sandra Bonsanti Anna Falcone, Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Alberto Asor Rosa, Francesco Baicchi, Antonello Falomi, Giovanni Palombarini, Pancho Pardi, Livio Pepino, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Vincenzo Vita e tanti altri.

 

Vai su RadioRadicale al video della conferenza stampa promossa dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale sulla Presentazione dei quesiti referendari e dei ricorsi all'Italicum

 

Istituzioni democratiche - La “Deforma costituzionale”

 Le ragioni politiche e giuridiche per dire NO alla deforma costituzionale di Renzi-Boschi

 

di Alessandro Pace, Presidente del Comitato per il No alla "deforma costituzionale"

 

Qualora si volesse individuare il vizio più grave e omnicomprensivo che caratterizza la riforma costituzionale Renzi-Boschi questo andrebbe identificato nell'assenza di contro-poteri: uno dei principi fondamentali del costituzionalismo liberale.

    Da questo angolo visuale è evidente lo scompenso tra Camera e Senato sia sotto il profilo delle funzioni – in conseguenza del quale il Senato non potrebbe più costituire un'eventuale contro-potere della Camera -, sia sotto il profilo del numero dei componenti dell'una e dell'altro che rende praticamente irrilevante la presenza del Senato nelle riunioni del Parlamento in seduta comune. A ciò si aggiungano sia l'irrazionalità di far esercitare le funzioni di senatore a consiglieri regionali e a sindaci che eserciterebbero le loro funzioni part-time, come se le residue attribuzioni riconosciute al Senato fossero di poco peso; sia l'assurdità di far valutare, da parte del Senato delle autonomie locali – costituito (non lo si dimentichi, da meri consiglieri regionali) – i requisiti per l'elezione di due dei cinque giudici costituzionali.

  

Sempre con riferimento al futuro Senato devono essere sottolineati due ulteriori punti critici: uno relativo ai cinque senatori di nomina presidenziale che hanno un senso in un Senato come l'attuale, il quale persegue finalità generali, ma che non ha senso in un Senato che rappresenterebbe le istituzioni territoriali (nuovo art. 55 comma 4), la durata dei quali è comunque discutibile in quanto sembrerebbe che essi dovessero rappresentare nel Senato il Presidente della Repubblica che li ha nominati.

    Ma il secondo punto critico – che è quello più grave in assoluto – sta nella carente legittimità democratica del futuro Senato. Giustamente la minoranza Dem aveva sostenuto che tale fondamento dovesse risiedere nel voto popolare, in quanto le elezioni politiche costituiscono, ai sensi dell'art. 1 Cost., una delle forme di esercizio della sovranità popolare. L'art. 2 co. 2 del d.d.l. approvato dal Senato ha però sostanzialmente disatteso tale tesi, in quanto, da un lato, la scelta dei senatori-sindaci non si conforma a nessuna precedente elezione popolare, e quindi è manifestamente incostituzionale; dall'altro, la scelta dei senatori-consiglieri regionali, dovendosi conformare al risultato delle elezioni regionali o ne costituisce un duplicato (e quindi è inutile), oppure se ne distacca e allora viola l'art. 1 della Costituzione.

    Fermo restando il grave errore consistente nell'attribuzione della potestà legislativa e di revisione costituzionale ad un organo avente pertanto una discutibile legittimazione democratica, ciò che ulteriormente preoccupa – in questa riforma, posta in essere, non a caso, da un Parlamento formalmente e sostanzialmente delegittimato dalla sent. n. 1/14 della Corte Costituzionale – sono due aspetti.

    In primo luogo, grazie all'attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo, l'asse istituzionale viene spostato in favore dell'esecutivo, che diventerebbe a pieno titolo il dominus dell'agenda dei lavori parlamentari, "la governabilità" essendo privilegiata alla "rappresentatività", in contrasto con quanto sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sent. n. 1/14.

    In secondo luogo, non sussiste un esplicito riconoscimento delle garanzie per le opposizioni, il quale viene demandato ai regolamenti parlamentari, con la conseguenza che sarebbe il partito politico avente la maggioranza parlamentare, grazie all'Italicum, a precisare i contenuti dei diritti dell'opposizione. Il Governo e la maggioranza parlamentare hanno infatti malauguratamente respinto i pregevoli emendamenti presentati dalla minoranza Dem e del M5S intesi a prevedere il diritto delle minoranze di istituire le commissioni parlamentari d'inchiesta, così come previsto dalla legge fondamentale tedesca.

 

mercoledì 4 novembre 2015

Contro l’Italicum

Istituzioni democratiche

 

Dopo avere portato il "Porcellum" all'abrogazione, nel silenzio quasi assoluto dei mass media italiani, l'avvocato socialista Felice Besostri sta ora coordinando la presentazione di una raffica di ricorsi contro il cosiddetto "Italicum", affinché anch'esso venga sottoposto al vaglio costituzionale della Consulta.

 

Vai all'intervista con Felice Besostri su Radio Radicale

 

I ricorsi in preparazione, finalizzati ad ottenere una pronuncia della Corte Costituzionale, hanno già prodotto un risultato, quello di rompere il muro del silenzio che era calato per anni sul "Porcellum".

    Stavolta la stampa nazionale si è accorta che esiste una vasta e articolata opposizione al tentativo, l'ennesimo, di stravolgere gli equilibri costituzionali a colpi di legge elettorale.

    Così i giornali italiani hanno diffusamente riferito dell'iniziativa portata avanti da Besostri e dai Comitati in difesa della Costituzione (di seguito una rassegna stampa). Due rettifiche sono tuttavia necessarie perché contrariamente a quanto annunciato dai mass media: 1) I ricorsi contro l'Italicum non sono stati ancora presentati. 2) Essi riguardano i tribunali civili e non le corti d'appello.

 

 

RASSEGNA STAMPA SULL'ITALICUM

 

Cliccando sulla testata (sottolineata in rosso) si accede all'articolo sul sito corrispondente

 

·         Rai news24 - Legge elettorale. Italicum, raffica di ricorsi in corti d'appello.

·         ANSA - Italicum: in arrivo raffica di ricorsi su premio e ballottaggio. Anche M5S li sostiene l'iniziativa del coordinamento democrazia costituzionale.

·         AGI - Italicum, pioggia di ricorsi "è incostituzionale".

·         La Repubblica - Referendum contro Italicum, pronta anche raffica di ricorsi. Renzi: "Darà stabilità".

·         La Stampa - Raffica di ricorsi e due referendum in Cassazione contro la nuova legge elettorale.

·         Il Messaggero - Italicum, una raffica di ricorsi in quindici Corti d'Appello sulla nuova legge elettorale.

·         Il Mattino - Italicum impugnato: presentati ricorsi a raffica in una quindicina di Corti di appello.

·         Il Giornale - Bomba sull'Italicum: ricorsi in tutta Italia.

·         Il Fatto quotidiano - Italicum, 15 ricorsi in Corte d'appello su premio di maggioranza e ballottaggio. Due quesiti referendum in Cassazione.

·         Avvenire - Ricorsi anti Italicum in 15 tribunali.

·         Secolo d'Italia - Fioccano i ricorsi contro l'Italicum: la legge impugnata in 15 Corti d'Appello.

·         L'Espresso - Italicum, è in arrivo una pioggia di ricorsi. Il Coordinamento per la democrazia costituzionale, che raccoglie i critici alla riforma elettorale targata Renzi, presenterà ricorsi nelle Corti d'Appello di tutto il Paese. Adesioni in arrivo anche da sinistra Pd e Cinque stelle.

·         Panorama - Guerra sull'Italicum: i punti contestati nei ricorsi.

·         Huffington post - Scatta l'assedio all'Italicum: tra ricorsi e referendum, prove generali per fermare l'asse portante del renzismo.

·         Lettera43 - Italicum, rivolta a suon di ricorsi.

·         ArticoloTre - Italicum. Pioggia di ricorsi in tutte le Corti d'Appello.

Rassegna stampa curata da:

Comitato in Difesa della Costituzione di Ravenna

 

 

 

IPSE DIXIT

 

E poi credono a ciò che leggono - «Come è governato il mondo e come cominciano le guerre? I diplomatici raccontano bugie ai giornalisti e poi credono a ciò che leggono». – Karl Kraus

 

Ordinalità - «Non so con quali armi verrà combattuta la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sarà combattuta con i bastoni e le pietre.». – Albert Einstein