giovedì 22 dicembre 2011

Migranti sempre più discriminati

LAVORO E DIRITTI
a cura di 
www.rassegna.it 
 
Aumenta la manodopera straniera nel settore delle costruzioni. Senza di loro l'anno scorso si sarebbero costruite 30mila case in meno. Ma crescono le disparità con i colleghi italiani. E aumenta anche il lavoro sommerso. Dossier Ires-Fillea: "Siamo al medioevo produttivo".
 
Nei nostri cantieri due lavoratori su dieci sono migranti, per la maggior parte romeni, albanesi, magrebini, polacchi e sloveni. Nonostante la crisi, nel 2010 questo numero è aumentato di 62mila unità, ma si tratta di una crescita "malata": rispetto ai colleghi italiani, infatti, gli stranieri hanno salari inferiori fino al 22 per cento e in sei casi su dieci sono inquadrati con un livello più basso (contro il 31 per cento dei colleghi italiani).
    Cresce addirittura del 160 per cento per loro il ricorso al part time che, come noto, nell'edilizia nasconde quasi sempre il ricorso al lavoro nero. E aumentano gli infortuni e i morti, tanto che il comparto delle costruzioni ha il triste primato di "settore killer" per i lavoratori giunti dall'estero nel nostro paese.
    È quanto emerge dal sesto rapporto sul tema curato dalla Fillea Cgil (il sindacato degli edili) e dall'Ires (l'isituto di ricerca) presentato il 15 dicembre presso la sede nazionale dagli edili Cgil, a Roma, alla presenza del segretario generale Walter Schiavella, di Emanuele Galossi dell'Ires e Kurosh Danesh della Cgil.
    Secondo la Fillea, gli immigrati, senza i quali nel 2010 si sarebbero costruire 30mila case in meno, cioè il 30 per cento del patrimonio edificato, sono i più colpiti dai fenomeni devianti. "Il settore - afferma Schiavella - si è trovato impreparato ad affrontare la crisi, a causa della frammentazione e destrutturazione del sistema delle imprese, troppe e troppo piccole, e a causa di un governo inetto, che è stato incapace di promuovere misure e interventi concreti per rafforzare le regole e liberare risorse per riavviare il settore".
   In questo modo, sottolinea il sindacalista, "l'edilizia italiana è stata scaraventata in un medioevo produttivo, caratterizzato dalla crescita esponenziale di irregolarità e illegalità, dall'esplosione di fenomeni come il caporalato, dalla presenza massiccia di cartelli criminali che hanno inquinato il sistema degli appalti, dalle pratiche opache e corrotte di cui ha troppo spesso dato prova la politica, come dimostrano le tante indagini in corso della magistratura".
    Il risultato è che oggi abbiamo un sistema malato, prosegue il segretario Fillea, "dove in pericolo sono le imprese sane e strutturate, circondate e cannibalizzate dall'impresa irregolare o illegale. È in questo scenario che dobbiamo collocare la vita dei lavoratori stranieri dell'edilizia" quasi 350mila regolari a cui si aggiungono gli oltre 400mila fantasmi, completamente irregolari o sotto caporali "i più ricattati a causa di una legge razzista, la Bossi Fini, che impedisce a questi lavoratori di chiedere aiuto alle istituzioni italiane per uscire dallo stato di sfruttamento e schiavitù in cui sono costretti".
    Un esempio di disparità che emerge dal dossier dell'Ires riguarda i salari. Nel Mezzogiorno, a fronte di uno stipendio medio di 985 euro, gli stranieri ne guadagnano 275 in meno, per una differenza del 21,8 per cento. Proprio sul tema della legalità e dell'affermazione dei diritti del lavoro e di cittadinanza la Fillea lancerà a gennaio una campagna di sensibilizzazione nei cantieri all'interno della più vasta iniziativa confederale "L'Italia sono anch'io". 
 
 

Allarme razzismoPogrom a Torino 
Diciamola, la parola pogrom , per terribile che possa apparire. 
di Marco Revelli
 
Quello di Torino è stato un pogrom in senso proprio, come quelli che avvenivano nella Russia ottocentesca. O nella Germania degli anni Trenta. Di quei riti crudeli ha tutti gli elementi, a cominciare dall'uso distruttivo del fuoco, per liberare la comunità dall'intruso considerato infetto (per "purificarla", si dice).
    E poi l'occasione scatenante, trovata in un presunto - e falso - atto di violenza su una vittima per sua natura innocente (può essere il neonato "rubato", come qualche anno fa a Ponticelli o, appunto, la "vergine" violentata). E lo stato di folla che s'inebria della propria furia vendicatrice, convinta di compiere un "atto di giustizia".
     Ora, che il mostro si sia materializzato, in questo dicembre del 2011, a Torino dovrebbe farci riflettere. Qui, nella ex "capitale operaia". Nella città delle lotte del lavoro, dove è nata la nostra democrazia industriale. Né serve ripetere la stanca litania che Torino è un esempio di "integrazione e di accoglienza". Che la maggioranza la pensa diversamente dalle poche decine di invasati che a colpi di fiaccola e di accendino ha tentato una strage.
    Non è così. Se una ragazzina spaventata e (per questo) bugiarda ha evocato i "due zingari" per accreditare una violenza mai avvenuta, è perché ha pensato che quell'immagine rendesse credibile - in famiglia e nel quartiere - un racconto altrimenti improbabile. Se centinaia di persone sono scese in piazza in una fredda serata d'inverno per manifestare, non è purtroppo perché si trattava di una violenza sessuale (quante sono passate ignorate in questi anni!), ma perché i suoi presunti (e falsi) autori erano di un'etnia odiata a priori .
    Se le decine di incendiari hanno potuto agire sotto lo sguardo compiacente degli altri abitanti del quartiere, è perché mettevano in scena un comportamento condiviso.
    La verità è che la "città dell'accoglienza" è oggi priva di anticorpi contro i nuovi mostri che emergono dalle sue viscere provate dalla crisi. Politica e informazione ne sono responsabili. Da anni ogni discussione in Consiglio comunale sui "campi nomadi" si apre e si chiude sempre e solo su un unico tema, gli sgomberi. E il quotidiano cittadino La Stampa ha dato notizia del fatto, poco prima che la sedicenne confessasse, sotto l'indecente titolo a quattro colonne: Mette in fuga i due rom che violentano la sorella .
    Perché i giovani balordi delle Vallette dovrebbero essere migliori dei loro amministratori e giornalisti? (. . .)
 
Caro compagno Revelli, d'accordo su tutto, ma perché non azzardi tu una risposta intelligente alla domanda finale? - La red dell'ADL
 
 

LAVORO E DIRITTI
a cura di  www.rassegna.it
 
Cgil: La mobilitazione unitaria prosegue tra scioperi e presidi
 
Piccoli passi verso l'equità ma è ancora troppo poco
 
Primi risultati frutto di una mobilitazione che proseguirà anche nei prossimi giorni lungo le tappe dell'iter di approvazione della manovra. Un percorso di mobilitazione che la Cgil ha intrapreso con Cisl e Uil e che, dopo lo sciopero di lunedì 12 dicembre, segnerà nuovi appuntamenti nei prossimi giorni con l'obiettivo di cambiare la manovra per renderla più giusta e più equa.
    Da stamattina è iniziata la due giorni di sciopero (15-16 ottobre) per i lavoratori dei trasporti. Una protesta che interesserà il trasporto pubblico locale e ferroviario, proclamata unitariamente, per rivendicare "il ripristino dei finanziamenti al servizio pubblico locale ed al servizio ferroviario universale e per il nuovo contratto della Mobilità". Lo sciopero interesserà anche il personale di bus, metro e tram dei servizi urbani con modalità diverse da città a città. Ad astenersi dal lavoro domani saranno inoltre anche i lavoratori del settore del credito. Anche qui unitariamente perché le modifiche alla manovra introducono solo "un embrione di equità" ma confermano in pieno le ragioni della protesta.
    La prossima settimana, invece, lunedì 19 dicembre sarà la volta dei lavoratori del pubblico impiego e della scuola. Per i lavoratori pubblici lo sciopero durerà l'intera giornata mentre per il settore della conoscenza le modalità sono diverse. Per la scuola sarà di un'ora mentre per i lavoratori dell'università, della ricerca e Afam per l'intera giornata. Sempre lunedì inoltre è in programma lo sciopero unitario dei lavoratori delle Poste italiane per le ultime tre ore di turno, la stessa modalità e lo stesso giorno per i lavoratori dell'energia (elettrici, petrolio, gas-acqua).
    Parallelamente continuano i presidi di Cgil, Cisl e Uil davanti al Parlamento. Appuntamento in piazza Montecitorio domani pomeriggio e anche sabato mattina. Si riparte poi lunedì della prossima settimana, tutti i giorni, per arrivare a sabato 24 dicembre. Anche alla vigilia di Natale le tre confederazioni si sono date appuntamento davanti alla Camera. La mattina di sabato a partire dalle 10, i leader di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, saranno in piazza per dimostrare come ci sia ben poco da festeggiare per gran parte degli italiani.
    I presidi di Montecitorio andranno avanti per i prossimi giorni con un alternarsi tra le diverse regioni e categorie. Ecco il calendario completo: sabato 17 dalle ore 10 alle 12 Cgil Roma e Lazio; lunedì 19 dalle 9,30 alle ore 12,30 Funzione Pubblica (Lazio e Roma); martedì 20 dalle ore 15 alle ore 18 Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle D'Aosta, Piemonte, Lombardia; mercoledì 21 dalle 15 alle 18 Umbria, Marche, Campania, Liguria, Puglia; giovedì 22 dalle 15 alle 18 Sicilia, Sardegna, Calabria, Abruzzo, Molise, Basilicata; venerdì 23 dalle 15 alle 18 Toscana, Emilia Romagna, Lazio.
 
Sabato 24 dalle ore 10 alle ore 13 la conferenza stampa con Camusso, Bonanni e Angeletti.

Nostri fratelli assassinati

Mor Diop     (2.3.1957 – 13.12.2011)

Samb Modou     (17.5.1971 – 13.12.2011)


Appello del Coordinamento Regionale dei Senegalesi in Toscana

Vai al sito della Rete Antirazzista Firenze


I nostri fratelli Mor Diop e Samb Modou sono stati assassinati e Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike gravemente feriti da una mano armata dall'odio xenofobo, lucido e determinato. Tutti sono vittime della manifestazione estrema di un razzismo quotidiano che umilia sistematicamente la nostra dignità.

    La strage del 13 dicembre a Firenze necessita di una risposta ampia e plurale, che esprima lo sdegno per i barbari assassinii e la ferma volontà di operare concretamente perché simili fatti non si ripetano. E' necessario che non ci si limiti all'abbraccio solidale verso la nostra comunità colpita e alla partecipazione al nostro dolore solo per un giorno.

    Occorre andare più a fondo e individuare tutte e tutti insieme come si è costruito nel tempo il clima che rende possibile l'esplodere della violenza razzista come è avvenuto il 13 dicembre a Firenze e solo due giorni prima a Torino con il pogrom contro un insediamento Rom.

    Bisogna interrogarci su come siano stati dati spazi, per disattenzione e/o per complicità, ai rigurgiti nazi-fascisti di gruppi come Casa Pound, quale ruolo abbiano avuto in questa escalation non solo i veleni sparsi dalle forze "imprenditrici" del razzismo, ma anche gli atti istituzionali che, a livello nazionale e locale, hanno creato, in nome dell'ordine e della sicurezza, discriminazioni e ingiustizie.

    Chiediamo l'impegno di tutte e tutti per cambiare strada, intervenendo sul piano culturale e della formazione del senso comune, promuovendo il rispetto della dignità di ogni persona.

    E' necessario avere come punto di riferimento costante il riconoscimento dei diritti sociali, civili e politici delle persone immigrate, dei rifugiati e richiedenti asilo e dei profughi, eliminando i molti ostacoli istituzionali che contribuiscono a tenere in condizione di marginalità la vita di molti migranti in Italia.

    Occorre dare piena applicazione al dettato costituzionale e alle leggi ordinarie che consentono la chiusura immediata dei luoghi e dei siti come Casa Pound, dove si semina l'odio e si incita alla violenza xenofoba.

    Bisogna che tutte le energie positive, che credono nella costruzione di una città e di un Paese della convivenza e della solidarietà, si mobilitino unite per fare barriera contro l'inciviltà, il razzismo, l'intolleranza.

    Nel 1990 Firenze fu teatro di spedizioni punitive contro gli immigrati e vi fu una reazione popolare, che dette luogo ad una grande manifestazione di carattere nazionale.

    Facciamo un appello rivolto a tutte le persone di buona volontà, nella società e nelle istituzioni, ad unirsi a noi, in una manifestazione ampia, partecipata, pacifica, non violenta e contro la violenza, di carattere nazionale. Una manifestazione che segni una svolta e l'inizio di un cammino nuovo, onorando le persone uccise e ferite in quella tragica giornata e capace di affermare in modo inequivocabile: mai più atti di barbarie come la strage del 13 dicembre.

 

Coordinamento Regionale dei Senegalesi in Toscana

"In memoria de' ragazzi uccisi da mano razzista"

In ventimila sabato a Firenze per Samb e Diop .



Mor Diop e Samb Modou sono anche nostri fratelli. Aderiamo all'appello del Coordinamento Regionale dei Senegalesi in Toscana . La giornata di ieri è stata solo l'inizio di una mobilitazione contro il razzismo e la xenofobia che dovrà andare avanti finché non sarà ristabilito il pricipio del rispetto che si deve alla dignità umana di ciascuno, dovunque. - La red dell'ADL


Lettrici e lettori, aderite numerosi > perMorperModou@gmail.com
 

 

IPSE DIXIT

 

L'emigrante non è un turista - «Un viaggio nel cassone dei cani e uno in vagone letto hanno in comune che il viaggiatore non deve stare seduto... Devo ammettere a onor del vero che un cassone per cani non si può paragonare a un vagone letto. Prima di tutto l'arredamento è sostanzialmente diverso. Inoltre non si può nemmeno nascondere che il paesaggio si può ammirare molto più comodamente dalla finestra del vagone letto che dal cassone per cani. Questa osservazione è confermata dal fatto che i turisti non viaggiano di solito nel cassone per cani ma in vagone letto.» – Ignazio Silone (1933)

 

L'emigrato non è uno straniero - «L'emigrato è un lavoratore non uno straniero. In un paese che considera soltanto il profitto e la produttività, tutti i lavoratori sono stranieri.» – Ezio Canonica (1970)

 

L'immigrato non è uno smemorato - «Io dico a Casa Pound e a tutta l'Europa: l'Europa ha perso la memoria, la memoria storica... Quel che è accaduto nella Seconda guerra mondiale con il nazi-fascismo, con tutti quei morti? Non si ricorda più di niente.» – Pape Diaw (2011)


 

 

 

Da Claudio Bellavita riceviamo e volentieri rilanciamo

Non ridere! Non piangere! Non giocare!

 

Dopo l' assoluzione dell' immigrato che ha introdotto illegalmente in Italia la figlia di 12 anni si è scatenata la solita polemica degli xenofobi all'amatriciana. Che dimenticano la storia della grande emigrazione italiana. Tra cui i 30 mila piccoli italiani illegali nella Svizzera di Schwarzenbach.

 

di Gian Antonio Stella

http://www.corriere.it/

 

Le mogli e i bambini degli immigrati? «Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d' una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». Chi l' ha detto: qualche xenofobo nostrano contro marocchini o albanesi? No: quel razzista svizzero di James Schwarzenbach.

    Contro gli italiani che portavano di nascosto decine di migliaia di figlioletti in Svizzera. E non nell' 800 dei dagherrotipi: negli anni Settanta e Ottanta del ' 900. Quando Berlusconi aveva già le tivù e Gianfranco Fini era già in pista per diventare il leader del Msi.

    Per questo è stupefacente la rivolta di un pezzo della destra contro la sentenza della Cassazione, firmata da Edoardo Fazzioli, che ha assolto l'immigrato macedone Ilco Ristoc, denunciato e processato perché non si era accontentato di portare in Italia con tutte le carte in regola (permesso di soggiorno, lavoro regolare, abitazione decorosa) solo la moglie e il bambino più piccolo ma anche la figlioletta Silvana, che aveva 12 anni.

    Cosa avrebbe dovuto fare: aspettare di avere un giorno o l' altro l' autorizzazione ulteriore e intanto lasciare la piccola in Macedonia? A dodici anni? Rischiando addirittura, al di là del trauma, il reato di abbandono di minore?

    Macché. Il leghista Paolo Grimoldi, indignato, si è chiesto «se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità oppure il fortino dell' eversione». E la forzista Isabella Bertolini ha bollato il verdetto come «un' altra mazzata alla legalità» e censurato la «legittimazione di un comportamento palesemente illegale».

    Lo «stato di necessità» previsto dalla legge e richiamato dalla suprema Corte, a loro avviso, non è in linea con le scelte del Parlamento. L' uno e l' altra, come quelli che fanno loro da sponda, non conoscono niente della grande emigrazione italiana. Niente. Non sanno che larga parte dei nostri emigrati, almeno quattro milioni di persone, è stata clandestina (...). - Vai al sito http://www.corriere.it/

Novità libraria ADL - ZURIGO PER SILONE II

Esce in questi giorni il secondo volume degli atti delle Giornate siloniane in Svizzera

Questo secondo volume Zurigo per Silone raccoglie gli atti del convegno di studi tenutosi il 23 novembre 2008 presso la Società Cooperativa Italiana, che fu sede del Centro Estero del PSI guidato da Silone tra il 1941 e il 1944.

    La Cattedra di Letteratura Italiana dell'Università di Zurigo, la Società Cooperativa Italiana e la Società Dante Alighieri, insieme al Präsidialdepartement der Stadt Zürich e alla Fondazione Pietro Nenni di Roma, hanno promosso una giornata di studi in ricordo dell'illustre esule antifascista nel trentesimo dalla morte, avvenuta in terra elvetica il 22 agosto 1978.

    Gli interventi raccolti nel presente volume contribuiscono ad arricchire il quadro di riflessione sul grande scrittore e padre costituente della nuova Italia repubblicana, "cristiano senza chiesa e socialista senza partito".

SOMMARIO

 

Emilio Speciale, «Per ordine del Podestà sono proibiti tutti i ragionamenti» – Un'introduzione ai testi

Vreni Hubmann, Saluto della presidente dell'Associazione Amici del Coopi

Elmar Ledergerber, Grusswort des Zuercher Stadtpräsidenten

Giuseppe Tamburrano, Un grande italiano

Felice Besostri, Silone e la visione europea del socialismo

Sergio Soave, L'epoca d'oro del Silone svizzero: realtà e false rappresentazioni

Elisa Signori, Generazioni a confronto. Fortini, Bolis e un dibattito su giovani e fascismo nella Zurigo di Silone

Paolo Bagnoli, Silone e Rosselli

Alessandro La Monica, Ignazio Silone: nuove prospettive di studio

Andrea Ermano, Noterelle cosmopolite sulla dignità della persona

 

Zurigo per Silone II – Le idee. Atti delle Giornate Siloniane in Svizzera. Volume secondo a cura di Emilio Speciale . Edizioni de L'Avvenire dei lavoratori , Zurigo, 2011, pp. 170, € 19.00 ~ CHF 28.00.

 
Infomazioni e ordinazioni > red@avvenirelavoratori.ch

martedì 13 dicembre 2011

150 - Salvaguardare il futuro dei giovani e dell'Italia

Alcuni stralci dal discorso del Presidente al Teatro Scientifico del Bibiena di Mantova

di Giorgio Napolitano

Presidente della Repubblica

Abbiamo un compito duro. Io mi sono trovato - voi lo sapete - in un momento di particolarissima, straordinaria difficoltà, in un momento di difficile transizione, e ho creduto di dover fare, negli stretti limiti che la Costituzione mi impone, una scelta che aprisse uno spiraglio migliore per il nostro Paese affidando al prof. Mario Monti l'incarico di formare questo governo. Spetta poi a voi seguire tutto quello che il governo deciderà e quello che le Camere vorranno in proposito a loro volta deliberare.

    Quando certe riforme, decisioni e misure arrivano in ritardo, allora è maggiore l'impatto, anche l'impatto di insoddisfazione o di preoccupazione o di dissenso. Dobbiamo dirci, con tutta franchezza, che stanno arrivando giusto in tempo per evitare veramente sviluppi in senso catastrofico della nostra situazione.

    E in questo spirito io sono convinto che riusciremo tutti insieme a fare ciascuno la propria parte con senso di giustizia, ma anche con alto senso di responsabilità e spirito di sacrificio. Non siamo chiamati, per fortuna delle nostre generazioni, a sacrifici come quelli che affrontarono patrioti in nome di un'ansia di libertà e di un attaccamento inespugnabile alla causa dell'indipendenza e della nazione. Noi però abbiamo da fare oggi quello che ci chiede l'esigenza di salvaguardare il futuro dei giovani e il futuro dell'Italia. Siamo chiamati a fare quello che oggi ci chiede la nostra appartenenza alla grande comune Patria europea. Questo lo facciamo, e lo dobbiamo fare, anche in modo da acquistare rinnovata autorevolezza e capacità di contribuire alla costruzione su basi più solide dell'Europa unita.

I sindacati da Monti, ipotesi fiducia

LAVORO E DIRITTI
 
a cura di www.rassegna.it
 
Riunione informale domenica sera, a poche ore dallo sciopero generale del 12 dicembre. Oltre mille emendamenti. Camusso: "Non mi sembra ci siano grandi spazi di cambiamento". Per alleggerire il peso su pensioni e casa servirebbero 4-5 miliardi
 
Incontro informale sulla manovra domenica 11 dicembre alle ore 20 tra il presidente del Consiglio, Mario Monti, e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. La riunione era stata sollecitata nei giorni scorsi dai sindacati ed è stata convocata a poche ore dallo sciopero generale di tre ore proclamato dalle tre sigle per lunedì 12 dicembre.
 
    Nel mirino ci sono le misure su pensioni e fisco. La richiesta delle rappresentanze dei lavoratori è di aprire una trattativa sulle correzioni a salvaguardia dei redditi più bassi. Una prima sintesi delle loro posizioni è stata già depositata alla Camera con una serie di emendamenti.
 
    "Non mi sembra ci siano grandi spazi di cambiamenti", ha detto Susanna Camusso, a Radio2. "Prima di poter discutere di una revoca, ci vorrebbero risposte all'altezza delle nostre richieste di equità. Non si possono fare adesso ipotesi". L'intesa con Cisl e Uil sullo sciopero è comunque "importante, perché è un segno di ritrovata capacità a fare cose insieme".
 
    In queste ore il ruolo chiave è giocato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, che sta tenendo una serie d'incontri con i partiti che sostengono il governo (Pdl, Pd e Terzo Polo).
 
    Secondo l'agenzia Tmnews, l'esecutivo si sarebbe impegnato a cercare le coperture finanziarie per arrivare all'indicizzazione delle pensioni fino a tre volte la minima e per rimodulare l'Imu (la nuova tassa sulla casa) tenendo conto dei carichi familiari. Ma si tratta di impegni ancora generici, perché lo stesso Giarda ha tenuto il punto sul fatto che i saldi devono restare invariati.
 
    Pesano dunque i costi: per gli interventi appena citati servirebbero infatti 4-5 miliardi di euro, una cifra enorme. Ci lavoreranno fino a domenica sera i tecnici del governo. La Commissione Bilancio della Camera tornerà a riunirsi subito dopo per dare il via libera entro lunedì e spedire poi il testo in aula a Motecitorio.
 
    Tempi più lunghi per il taglio degli stipendi ai parlamentari, provvedimento contenuto nel comma 7 dell'articolo 23, sul quale la commissione Affari costituzionali ha già dato parere negativo. Il provvedimento avrebbe portato alla riduzione fino a 5mila euro degli stipendi di deputati e senatori.
 
    Resta l'incognita sulla questione di fiducia. Il governo e i partiti puntano a uscire già dalle commissioni con un testo condiviso e blindato ma è una strada in salita, che per essere percorsa richiede il placet di tutti. "Certamente il numero degli emendamenti che è stato presentato (oltre mille, ndr) è cospicuo ed induce a pensare veramente l'apposizione della fiducia", ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini. (mm – Rassegna.it)
 
 
 
Parliamo di socialismo
 
a cura della Fondazione Pietro Nenni
 

Un nuovo islamismo?
 
Il nostro mondo apparentemente unito dalla "globalizzazione" – un fenomeno essenzialmente mediatico-finanziario –
è politicamente frammentato. Con un "buco nero". . .

di Giuseppe Tamburrano

Nella pubblicistica politica si usa bipartire il mondo: Occidente e paesi emergenti come Brasile, Russia, India, Cina (acronimo BRIC).
 
    Forse tra gli emergenti occorre porre anche Sud Africa e Australia e riconoscere alla Cina lo statuto di grande potenza antagonista.
 
    Ma davvero il mondo evolve in quella direzione? Ho i miei dubbi: la Cina ha interessi geo-stategici che ne fanno la seconda potenza del mondo. E l'India è potenzialmente ostile alla Cina e alleata dell'America.
 
    Non è facile disegnare le grandi coordinate del nostro mondo come fu a cavallo degli anni '50-'60, gli anni della decolonizzazione, quando si formò il Gruppo di Bandung (o dei "Non allineati") tra URSS e USA, che giocò allora un grande ruolo internazionale.
 
    Questo nostro mondo apparentemente unito dalla globalizzazione – che è fenomeno essenzialmente finanziario e di immagine – è politicamente frammentato.
 
    L'Europa – alleata dipendente – degli Stati Uniti vive una situazione economica disastrosa. Gli Stati Uniti sono in crisi di identità. Nuovi paesi si affacciano al benessere. Ad Oriente la Cina giganteggia militarmente, si espande con i suoi traffici specie in Africa, condiziona gli Stati Uniti con la sua moneta, ma non ha un chiaro indirizzo strategico, che non sia quello dell'infiltrazione con l'accorta politica delle termiti. La Russia è una grande potenza immobile, percorsa da un pericoloso fremito revanchista. L'Africa tende a rialzarsi, ci dice l'ultimo numero dell'Economist.
 
    Non vi sono guerre. Quella dell'Iraq sembra conclusa, quella dell'Afghanistan cronicizzata.
 
    Ma c'è un buco nero: è il mondo arabo musulmano. Abbiamo gioito delle rivolte nordafricane. Eppure è in quel mondo che si annida la coda del diavolo. Assad in Siria finirà nella polvere, ma il suo posto sarà preso dal potere sciita. In Egitto si rischia di pensare che si stava meglio quando si stava peggio. Nelle ultime elezioni hanno trionfato le correnti islamiste (65%); anche se quella più importante, i Fratelli musulmani, sembra moderata (ma è la protettrice di Hamas , gli estremisti di Gaza). Vi sono poi gli estremisti salafiti, con il 25%. In tutto gli estremisti sono il 65%; la scrittrice Ghada Abdel Aal ha detto "noi donne egiziane temiamo una deriva iraniana" (e noto incidentalmente che anche in Marocco e in Tunisia vi è stata una vittoria islamista).
 
    Questo fenomeno islamista prenderà a modello la Turchia di Erdogan? O sarà attratto in una deriva filo-iraniana e anti israeliana? Per essere più precisi se il "nemico" resta Israele, l'intransigente Israele di Netanyahu, prevarrà l'attrazione iraniana?
 
    Israele non fa nulla per conciliarsi con i palestinesi della Cisgiordania, anzi continua a programmare insediamenti nei Territori.
 
    Ecco dove spirano venti minacciosi.

La diaspora è finita

Dalla Direzione nazionale del PSI

riceviamo e volentieri pubblichiamo

Nencini:"Il 2012 sarà il centoventesimo anno dalla

fondazione del PSI - il momento buono per tornare a casa".

 

LA DICHIARAZIONE DI FIUGGI

Il Partito Socialista Italiano ha riunito il proprio Congresso in tempi di crisi di gravità inaudita. Crisi che non è soltanto economica e finanziaria ma è altrettanto crisi di democrazia, della partecipazione politica, di fiducia e di speranze.

    In un momento storico che richiede la massima coesione in Italia, e tra le nazioni dell'Unione Europea, abbiamo approvato la costituzione del governo presieduto da Mario Monti. L'azione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stata di eccezionale efficacia, sfruttando al meglio le proprie prerogative costituzionali per uscire da una impasse ogni giorno più delicata. Un governo definito come "tecnico" deve comunque compiere ogni giorno scelte politiche, e non è quindi al di sopra di un giudizio politico sulle iniziative che metterà in campo. I socialisti faranno sentire la loro voce perché queste iniziative vadano nella direzione dell'equità, della ripresa economica e dello sviluppo, del rilancio dell'occupazione, della promozione di merito e pari opportunità.

    In tutto questo, cresce la consapevolezza che niente potremo fare senza l'Europa: né efficaci politiche di risanamento finanziario, né nuovi modelli di società e di sviluppo. C'è quindi bisogno di un'Unione Europea che risolva il suo storico deficit di democrazia, in direzione degli Stati Uniti d'Europa; non vogliamo lasciare ad alcuni leader conservatori, con alla testa il binomio Merkel - Sarkozy, il privilegio, che si sono arrogati, di parlare e decidere a nome dell'Europa. Per questo occorre guardare lontano, e prevedere l'elezione diretta del Presidente della Commissione Europea.

Fare, creare, innovare

 La risposta alla crisi non può ridursi ai sacrifici: si devono tagliare sprechi e privilegi, ma ancor più necessario sarà rilanciare la fiducia, superare l'attuale clima di timore e incertezza, riguadagnare credibilità internazionale. Scommettere sull'intelligenza, la creatività, il coraggio. Per questo servono merito e inclusione. Occorre promuovere la crescita, sostenendo con investimenti adeguati ricerca e tecnologia, formazione professionale ed educazione. Rimettendo al lavoro le risorse oggi emarginate, a cominciare dall'emergenza degli oltre due milioni di giovani che risultano senza lavoro né formazione. Riportando al centro la questione delle pari opportunità, svilita da modelli mediatici umilianti per le donne. Mettendo al centro la qualità dell'economia, da quella delle nostre migliori tradizioni, turismo, economia, arte e cultura, a quella più innovativa, dell'energia sostenibile, la comunicazione, le infrastrutture.

    Promuovere sviluppo e ripresa economica richiede il reperimento di nuove risorse, sia per gli investimenti che per un nuovo stato sociale, che garantisca la serenità delle famiglie, così come la sicurezza del numero crescente di anziani soli e la libertà dei giovani che devono essere messi in grado di lasciare la famiglia d'origine.

    C'è quindi l'urgenza di attingere alle rendite e alle transazioni finanziarie, ai grandi patrimoni, di combattere l'evasione fiscale, di rendere sempre più trasparente la spesa dello Stato e degli enti locali e regionali. Non semplici risparmi, ma una grande opera di rimodulazione del prelievo fiscale e di reindirizzamento delle risorse, che confermi quel "modello sociale europeo" di alta qualità dei servizi pubblici, in primo luogo scuola e sanità. Proponiamo, tra l'altro, un Prestito per l'Italia: un prelievo progressivo, pluriennale, per i cittadini a reddito medio - alto e dotati di patrimoni mobiliari e immobiliari, garantito da titoli di Stato con rendimento pari all'inflazione programmata. Questo ridurrebbe la spirale perversa degli attuali tassi d'interesse producendo liquidità indispensabile per far fronte alle urgenze e alle nuove sfide.

    La promozione del merito e delle migliori capacità non si può avere senza adeguate politiche di inclusione. Modello sociale europeo significa anche fissare per legge livelli minimi, tendenzialmente universali, di reddito e di salario. L'attuale dualismo del mercato del lavoro, tra più e meno garantiti, così come le differenze tra generazioni, non si possono affrontare esasperando i conflitti; la precarietà e l'incertezza del futuro colpiscono del resto tutti, ed ogni generazione. Garanzie di reddito e ammortizzatori sociali vanno rivolti quindi a tutti coloro che sono a rischio di perdere il posto di lavoro o la propria attività professionale, ed a qualunque età.

    Superare gli interessi particolari, per rimettere al centro le ragioni generali della convivenza civile, è poi una necessità imposta dall'emergenza ambientale, da cui nessuno può dirsi al riparo: la minaccia dei disastri ambientali, aggravata dal cambiamento climatico, la riduzione delle risorse comuni, a cominciare dall'acqua, il problema dell'energia e delle risorse alimentari per far fronte all'aumento della popolazione mondiale, non consentono nemmeno ai più privilegiati di acquistarsi una sicurezza personale.

 Un nuovo repubblicanesimo, una nuova Europa

 Ricostruire la coesione sociale e nazionale è il primo compito della politica nei prossimi anni: dopo i disastri di un malinteso federalismo che ha scaricato sugli enti locali responsabilità dell'amministrazione centrale senza dotarli dei poteri e delle risorse adeguate, e attizzato il conflitto tra Nord e Sud, occorre portare l'accento su ciò che ci unisce. In particolare, lo sviluppo del Mezzogiorno, liberato dalle mafie, va inserito nell'apertura delle grandi reti commerciali tra Europa, Mediterraneo e Oriente. Una grande nazione, l'Italia, deve saper trovare al suo interno, a 150 anni dall'unità istituzionale, una più grande unità di princìpi, per guardare al futuro: è di primaria importanza una riforma della cittadinanza per i figli degli immigrati nati e cresciuti tra di noi, ed è urgente una più rigorosa laicità, nel rispetto reale al moderno differenziarsi delle identità e delle confessioni religiose, tutte egualmente rispettabili.

    Pensiamo che si debba rifondare in maniera condivisa la base della nostra convivenza, con un'Assemblea Costituente che porti, tra l'altro, ad una rinnovata centralità del Parlamento e all'elezione diretta del Presidente della Repubblica, punti cardine di rappresentatività e unità.

    Per questo, i valori del socialismo riformista rimangono una risorsa per l'intera comunità nazionale: ideali di umanità, dignità, rispetto per sé e per gli altri che possono ispirare politiche condivise e sostenute da un consenso assai ampio. In termini di azione politica, questo significa dedicare le nostre energie ad un nuovo e ampio centrosinistra, che sappia parlare con convinzione con entusiasmo, con gentilezza e mitezza, al più ampio numero di italiani e di italiane. Gli elettori devono poter essere in grado di esercitare la scelta non solo dei partiti, ma anche dei candidati, e questo si fa con una riforma della legge elettorale, ma anche, e forse in primo luogo, della vita dei partiti politici, che deve essere trasparente e davvero partecipata, secondo il dettato costituzionale. Altrimenti la politica non riguadagnerà il prestigio perduto, a tutto danno della democrazia.

    Vogliamo un'Europa, dove popoli e cittadini abbiano voce nelle decisioni, e dove le scelte siano votate e non imposte da una tecnocrazia, sotto la finzione di un'unanimità istituzionale che del resto il Partito del Socialismo Europeo ha già cominciato a contestare, richiamando l'attenzione sulla necessità di una dialettica politica tra progressisti e conservatori a livello europeo. Tutto ciò ripropone il problema di una forza politica riformista in Italia, che sia partecipe della costruzione di un Partito del socialismo europeo sempre più adeguato alla dimensione globale delle sfide. Confermiamo la nostra aspirazione a farci promotori di un rinnovamento complessivo della sinistra riformista italiana, attraverso una nuova unità tra tutte le forze espressione della sua storia, e quelle forze del riformismo cristiano e laico aperte a parteciparvi.

    Prevediamo la scomposizione del bipolarismo italiano che abbiamo conosciuto negli ultimi anni.

    Per questo fine ci diamo tre impegni:

    Primo passo: ci rivolgiamo a color che si riconoscono nell'esperienza e nella tradizione socialista italiana, affinché il 2012, centoventesimo anniversario della nascita del PSI, sia il tempo della definitiva riunificazione del popolo socialista italiano.

    Secondo passo: proponiamo la Convenzione dei Socialisti e dei Liberalsocialisti che rimetta in campo una cultura laica e riformista oggi tanto essenziale quanto dispersa e compressa dal sistema politico attuale.

    Terzo passo: dopo il tempo degli appelli e delle convenzioni, viene il tempo dell'azione quotidiana. I circoli, le risorse, i mezzi di comunicazione del PSI, compreso il ricostituito Avanti!, saranno a disposizione ogni giorno di questa proposta che siamo certi che non potrà che trovare nei valori di eguaglianza e giustizia del socialismo democratico, libertario, liberale il suo cemento, nella socialdemocrazia europea il suo schieramento, e nel cuore e nelle menti degli italiani un suo certo successo. (3 dicembre 2011)

L'unica soluzione è politica

Economia politica
a cura di
www.rassegna.it
 
Il mercato può essere placato solo da un recupero straordinario di guida politico che è possibile soltanto a livello di istituzioni europee. Per questo è sbagliato fermarsi all'interno della cornice nazionale
 
di Michele Prospero
 
La vicenda greca, l'apparizione degli esecutivi tecnici, la rimozione dei governi in carica in tutti i paesi in cui si è finora votato svelano un momento di grande difficoltà della politica. Dalla crisi o grande contrazione scoppiata nel 2007 non è ancora scaturita una risposta efficace da parte della politica. Nata dall'asimmetria creatasi negli ultimi trent'anni nel rapporto tra mercato e potere politico, la crisi viene affrontata con delle sterili ricette che non fanno altro che ribadire la continuità del terreno molto marcio che ha provocato l'insorgenza dell'infezione all'origine dell'attuale collasso.
    La pretesa cura ribadisce la centralità del mercato, delle banche, della finanza e prevede poco spazio per le politiche pubbliche, le misure di spesa sociale, il mantenimento dei diritti sindacali. Desta più allarme politico il possibile fallimento di una banca che il sempre più vicino fallimento di uno Stato o la disoccupazione di massa e l'impoverimento dei ceti medi. Perciò i pochi fondi pubblici ancora a disposizione dei governi servono per ricapitalizzare le banche, non per arginare una crisi che lascia moltitudini di disperati senza nessun'altra prospettiva se non quella di incendiare cassonetti e bancomat.
    Sembra che la Grande depressione del 1929, l'unica crisi che abbia assonanze con quella odierna, non abbia insegnato nulla alle classi dirigenti d'Occidente. Allora la differenza la fece proprio la politica. Al mercato, in preda a un distruttivo sentimento di panico, la politica oppose lo spazio pubblico come momento di rassicurazione (sostegno della domanda) e di parziale razionalità (nuove regole, normative per le Borse, le banche, le imprese). Oggi la politica non ha invece la forza per guidare le turbolenze del mercato e per questo suo deficit organico si affida proprio al mercato per rassicurare le Borse. Così facendo paradossalmente proprio la politica accentua le incertezze e i momenti di angoscia degli investitori. Il mercato non si placa con politiche deboli, ma solo con una politica forte in grado di domare le inquietudini. Una politica che produce incertezza e genera angoscia non serve neppure al mercato che di per sé cade in acute depressioni periodiche e avrebbe bisogno di autorità solide in grado di tranquillizzarlo.
    Anche quando si inaugura una stagione tecnica o di decantazione e di tregua, non andrebbe mai dimenticato che la soluzione ai guai dell'economia è nella politica, non nella competenza che conquista il potere. A destra si odono ancora sordi rancori contro il capo dello Stato, reo di aver guidato dietro le quinte un golpe di velluto attuato con le maniere postmoderne di una usurpazione dolce perpetrata ai danni del Cavaliere abilmente disarcionato. La destra, che ora grida alla violazione della Costituzione, all'ingerenza del Quirinale e delle potenze straniere, aveva un solo modo per fermare la aborrita tecnocrazia: giocare in anticipo per non subire il precipitare degli eventi. L'impossibilità di un'intesa politica gestita direttamente dai partiti ha reso possibile l'apertura dello spazio di decisione del capo dello Stato dinanzi al quale si spalancava lo spettro di un paese al collasso.
    Il vuoto dell'iniziativa politica del partito maggioritario ha consegnato poteri d'eccezione al Quirinale che non poteva certo attendere oltre dinanzi alla sfida dell'emergenza economica che così è stata sfruttata per avviare una nuova stagione, densa di incognite oltre che di opportunità potenziali. Al Colle dopo il mercoledì nero dei mercati non restava che una scelta: o un'iniziativa al di fuori della norma ma non certo illegale o la difesa statica di una forma (attesa della sfiducia formale delle Camere eccetera.) mentre però cresceva l'angoscia più cupa dinanzi alla speculazione incontrollata. Il problema è insomma politico, non c'entra nulla il grido di dolore degli orfani del diritto costituzionale strattonato per accontentare una richiesta mondiale di rimuovere il Cavaliere. Questo non significa che siano fondati gli acritici incoraggiamenti a brindare al tempo nuovo con uno spirito euforico che trascura le incognite di un passaggio politico tra i più incerti e imprevedibili negli esiti conclusivi.
    Molti rassicurano le truppe ancora stordite dagli eventi con una mera petizione di principio: la politica è stata certo sacrificata, ma per la politica proprio questa morte dolce è una splendida occasione. Basta adottare il programma unico, quello della lettera della Bce, e attendere gli eventi che mai come adesso promettono sorti magnifiche e progressive. Troppo facile però metterla così. Nessun dato obiettivo sorregge queste asserzioni che non vanno oltre un'edificante invocazione retorica per cui proprio con la vigilanza europea comincerebbe il tempo della politica. Certo, anche nel baratro occorre tracciare un percorso che consenta di reagire e quindi fornisca almeno un'occasione per invertire il passo. Senza un'analisi delle condizioni obiettive non si costruiscono però alternative reali.
    Bisogna nominare il punto di sofferenza, non rimuoverlo con ottimistiche esortazioni. Per afferrare l'occasione di una svolta, che pur nelle insidie estreme può comunque maturare, non è necessario inneggiare a una rinascita della politica che non c'è (ancora) stata, perché l'opposizione sente il fiato sul collo di una crisi che impone scelte controverse e minacciose per il suo blocco sociale di riferimento, mentre il vecchio personale del governo di destra può almeno respirare scaricando anche sugli altri il peso della responsabilità di sacrifici.
    Occorre, per creare occasioni favorevoli e volgerle in un senso propizio alla politica, decifrare la realtà per quella che è, senza infingimenti. Magari ci saranno opportunità di una rimotivazione culturale della politica (questo dipende da come si agisce nell'immediato per conciliare rigore ed equità, risanamento e coinvolgimento attivo dei soggetti del pluralismo sociale), ma intanto è in corso un possibile arretramento della politica e bisogna riconoscerlo come tale.
    Va peraltro colta una regolarità nella storia repubblicana. Gli ultimi vent'anni della storia italiana hanno visto due sole brevi parentesi di guida politica: il governo D'Alema e quello Amato che prese il suo posto. A chi grida per la fine della politica, andrebbe rammentato che proprio nella Seconda repubblica la guida politica è stata una momentanea eccezione. Non più di due anni sono stati ricoperti da premier politici. Per il resto, il ventennio ha oscillato tra il populismo come fuga dalla responsabilità delle scelte ponderate e la tecnocrazia come trasformatore dei nodi politici e sociali in faccende di competenza. Dini, Ciampi, lo stesso Prodi, vantavano forti credenziali tecniche.
    La parentesi tecnica oggi inaugurata rientra in una consuetudine italiana di affrontare le crisi di regime (governo Badoglio) e le cadute dei sistemi di partito (governo Ciampi) con soluzioni metapolitiche. Il passaggio tecnico non può però significare far tacere a lungo la politica (la crisi dell'euro non è in primo luogo una grande faccenda politica scaturita dall'anomalia di una moneta sovranazionale sprovvista di un'autorità politica sovranazionale?) e umiliare i soggetti sociali e il lavoro. Se il momento tecnico comporta sospendere la politica come conflitto culturale aperto sui fini pubblici e maltrattare le parti sociali organizzate dal sindacato, allora non solo la crisi non verrà risolta ma dopo la stagione della tecnica tornerà a bussare alla porta un qualche capo carismatico con il vangelo rigenerato dell'antipolitica e del populismo.
    Non si cura, infatti, un sistema destrutturato puntando sulla polarità tra l'incompetenza del populista narratore e la competenza del tecnocrate risanatore. Se per superare l'eccezione di una crisi economica devastante si invoca un tecnico non come garante di una tregua ma come distruttore di ogni preziosa coesione sociale, si annebbia il ruolo di ricambio dell'opposizione, la forza coesiva del sindacato e si conferma così l'inaffidabilità del sistema che con i suoi strumenti politici regolari e con i suoi soggetti sociali è inadeguato a decidere le cose più importanti.
    Proprio quando la soluzione tecnica prende il posto del ricambio politico i partiti dovrebbero approfondire il lavoro di manutenzione organizzativa e di ridefinizione culturale e identitaria. Senza questo lavoro si rischia di uscire dalla tregua senza più solidità e identità. La politica deve essere rimotivata come la sola risorsa disponibile. Come si fa del resto a recuperare la credibilità del sistema se persino la sopravvivenza del paese è al di fuori del gioco politico? La scorciatoia tecnica (che Eugenio Scalfari vorrebbe trasformare da momentanea a strutturale) accentua la percezione della crisi come sfuggente e senza rimedi politici efficaci nel pendolo dell'alternanza tra destra e sinistra. Quando la tecnica si offre per dare la soluzione definitiva, il ritorno della politica si configura come un problema di per sé. L'affidabilità del sistema non può nascere entro un quadro politico sospeso su cui a tempo si profila il cammino rigeneratore dei tecnici. L'immagine di una democrazia non risoluta non incoraggia certo la rapida rinascita politica ed economica.
    Ma anche svolgere le elezioni e affidarsi a nuovi leader non cambia in maniera istantanea il panorama fosco delle oscillazioni impazzite della Borsa. Ciò perché il problema è europeo più che nazionale. La mancanza di uno spazio politico europeo è il vero nodo. Finché manca questo anello istituzionale che, al denaro comune faccia coincidere un potere comune, il gioco politico risulta del tutto impotente dinanzi alle ondate speculative. Si potrà prevedere il governo dei custodi o la repubblica dei soviet, l'agorà o la teocrazia, ma nulla cambierebbe, perché quello attuale non è un problema interno a uno Stato. Il mercato può essere placato solo da un recupero straordinario di comando politico che è possibile soltanto a livello di istituzioni europee. Per questo è sbagliato fermarsi all'interno della cornice nazionale per verificare lo stato del duello tra tecnica e politica. Quello che occorre combattere è la soverchiante potenza della speculazione che punta diritta sul momento di reale sofferenza europea di una moneta senza un potere capace di un'inclusione sociale europea. (Rassegna.it)
 

IPSE DIXIT

Stati Uniti d'Europa I - «Avremo pace vera quando avremo gli Stati Uniti d'Europa.» – Carlo Cattaneo (1848)

Stati Uniti d'Europa II - « La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.» – Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni (1941)

Stati Uniti d'Europa III - «La rivendicazione dell'unità europea esprime oggi l'aspirazione molto diffusa per un ordine tra le nazioni europee che sia veramente atto a garantire la pace, la libertà e la giustizia.» – Eugenio Colorni (1944)

Anche se - «Anche se questa vecchia Europa è troppo onusta di Storia e troppo ancor carica di rancori per poter adottare quel puro modello svizzero o americano additatole come unica salvezza di pace (. . .), soltanto un assetto federativo potrà troncare in sul nascere le superstiti cause di conflitti.» – Alessandro Levi (1945)

Un'atto di fiducia - «Affinché questo possa venirsi a costituire occorre un'atto di fiducia cui debbono predere consapevolmente parte milioni di famiglie delle diverse lingue (. . .) È l'incorreggibilità degli esseri umani l'unico insegnamento della Storia? Fate sì che la Giustizia, la Grazia e la Libertà prevalgano! I popoli debbono solo volerlo (. . .) Perciò io dico a voi: fate sorgere l'Europa!» – Winston Churchill (1946)

Per misurare il regresso - «Per misurare il regresso da noi subito – se non altro nell'impostazione dei problemi – in questi soli due anni trascorsi dalla fine della guerra, basti ricordare il fervore quasi unanime che allora suscitava nei movimenti di resistenza dei vari Paesi l'idea di una non lontana unificazione politica dell'Europa.» – Ignazio Silone (1947)

Un progresso incredibile! - «Se oggi la più parte del continente gode dei diritti umani e della pace, noi questo progresso non ce lo eravamo neanche immaginato: né nel 1918 né nel '33 né nel 1945. Ma questo progresso incredibile è, insieme, anche un obbligo, per tutti noi. E dunque noi dobbiamo lavorare, e noi dobbiamo combattere, affinché l'Unione Europea, unicum della storia, sappia uscire dalla sua attuale debolezza, forte e consapevole di sé.» – Helmut Schmidt (2011)