martedì 6 dicembre 2011

L'assemblea congressuale del PSI a Fiuggi "Per rovesciare l'apartheid" ; QUELLA VALANGA DI SOLDI AI PARTITI ; Camusso (Cgil): "Lavoro, l’unica cura per il Paese";

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

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L'assemblea congressuale del PSI a

Fiuggi "Per rovesciare l'apartheid"

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"L'Italia per la quale lanceremo le nostre proposte è un'Italia alla rovescia" – esordisce la presentazione del segretario Nencini per l'assemblea congressuale convocata dal PSI a Fiuggi "per rovesciare l'apartheid".

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di Riccardo Nencini

Partito Socialista Italiano

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L'Italia che raccontiamo a Fiuggi – e per la quale lanceremo le nostre proposte – è un'Italia alla rovescia.

È l'Italia che in nove anni di governo Berlusconi ha accumulato debito alla velocità doppia - 60 miliardi di euro l'anno, mille per ogni cittadino - rispetto alla media dei governi repubblicani, quelli di Spadolini e Craxi eternamente crocifissi dalla retorica giacobina. Paghiamo il 30% di tasse in più e abbiamo già un piede nella recessione.

È l'Italia dell'apartheid dei diritti, quella in cui gli ammortizzatori sociali esistono per le tute blu, ma non per i precari: un esercito di tre milioni di giovani, molti dei quali laureati, afoni e invisibili. Anche per il sindacato.

È l'Italia della "gerontonepocrazia", un'Italia barocca, pontificia, a tratti feudale, su cui insistono una miriade di caste e in cui avanzano i "figli di".

È l'Italia dei 6000 corsi universitari, delle 370 sedi distaccate, dei professori che non divengono ordinari prima dei 55 anni, l'Italia in cui un giovane su tre è disoccupato e i figli se ne vanno di casa a 32 anni.
È l'Italia in cui per arrivare a una sentenza per i 5 milioni e mezzo di cause civili arretrate ci vogliono in media dieci anni.

Noi vogliamo rovesciare quest'Italia e rimetterla per il verso giusto.
Dando voce ai milioni di indignati che non scendono in piazza, non lanciano estintori, ma si alzano ogni giorno alle sette del mattino per andare a studiare e a lavorare. Pagano le tasse e i contributi, per poi ritrovarsi a fine stipendio con troppo mese che avanza e con la prospettiva di arrivare alla pensione quando la vita sarà all'ultimo chilometro.

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A chi mi chiede e si chiede che senso abbia essere socialisti oggi, rispondo dicendo che laddove trionfa il trinomio libertà-merito-eguaglianza si vive meglio. È questo il "vangelo socialista" del terzo millennio, da contrapporre al populismo, alla demagogia, alla faciloneria e al familismo amorale che ci ha contagiati negli ultimi anni.

Abbiamo un passato imponente, che diventa ingombrante quando si espone come un totem da venerare acriticamente; di quel passato dobbiamo recuperare il coraggio di essere eretici, di dire e fare ciò che gli altri non dicono e non fanno. È un passaggio cruciale, l'unico possibile per costruire un nuovo futuro.

Dobbiamo diventare il partito che combatte le tante "apartheid" che ammorbano l'Italia, l'angelo custode dei ventenni. Diceva Nelson Mandela che "l'istruzione e la formazione sono le armi più potenti per cambiare il mondo". In maniera più prosaica, ma non meno convinta, abbiamo declinato le nostre proposte al nuovo governo, partendo dal presupposto che l'istruzione e la conoscenza sono le molle per la crescita dell'Italia: corsi post laurea gratuiti per chi è meritevole e vive nel bisogno; programmi Erasmus per gli studenti delle scuole superiori; incentivi fiscali a chi finanzia la ricerca; insegnanti meglio retribuiti; diritto di voto a 16 anni.

Da qui si deve partire e non dalla reintroduzione dell'Ici sulla prima casa, unico e vero salvadanaio degli italiani. Nel nostro Paese il 10% delle famiglie più ricche detiene il 45% della ricchezza nazionale: se si chiedono sacrifici è giusto che chi più possiede contribuisca in misura maggiore.

È una questione di equità, ed equità per noi significa patrimoniale, tassazione delle rendite finanziarie, tagli alla politica (e non alla democrazia) con l'abbattimento dei privilegi e il riordino del sistema istituzionale, pagamento dell'Ici sulle attività commerciali ecclesiastiche.

Se siamo arrivati a Fiuggi, con un partito vivo e vibrante, lo dobbiamo solo a noi.

Al lavoro e alla passione di chi ha presidiato giorno e notte i nostri confini, di chi ha riportato in vita le nostre voci storiche, Mondoperaio e l'Avanti!, di chi ha sempre creduto che un Paese senza una rappresentanza socialista nelle istituzioni è un Paese più arretrato.

La tempesta è passata e la barca ha ripreso la rotta.

È finito il tempo della navigazione a vista e a Fiuggi vogliamo dare a tutti i socialisti - quelli di ieri, di oggi e di domani - il portolano per veleggiare più spediti verso una nuova Italia.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

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QUELLA VALANGA

DI SOLDI AI PARTITI

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Cari amici, vi invio un articolo sul finanziamento ai partiti, apparso oggi sull'Espresso che forse vi può interessare.

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di Massimo Teodori

http://espresso.repubblica.it/

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I finanziamenti illegali ai partiti da parte di imprenditori, faccendieri e perfino cooperative dilagano più che mai. Gli enti pubblici locali sono in buona parte divenuti macchine per incanalare il denaro alla politica. Importanti personalità economiche attaccano le degenerazioni dei politici. Nei partiti personali, con il controllo del denaro pubblico, i capi diventano i padroni dei loro stessi iscritti. L'ingente (e fasullo) rimborso spese elettorali è ormai una voragine che ingoia miliardi della collettività contro la volontà di tutti. In questo orizzonte è doveroso chiedersi senza demagogia se si può andare avanti su questo registro o se, invece, si devono trovare metodi alternativi sul terreno decisivo di "soldi & partiti".

Negli ultimi tempi la polemica pubblica si è concentrata sugli stipendi degli eletti ma è stato trascurato il nodo del finanziamento alle forze politiche che pure costituisce una delle maggiori colonne portanti della "partitocrazia senza partiti". I fautori dell'attuale finanziamento sostengono che la politica costa ed è quindi doveroso che vi sia un (sostanzioso) contributo pubblico quale conquista della moderna politica democratica. A tale argomento si può rispondere che è sì vero che la politica costa, ma non è detto che l'unica soluzione debba necessariamente essere l'attuale metodo di finanziamento interamente statalista e centralizzato, istituto nel 1972 e dilatatosi proprio dopo il referendum che nel 1993 ne decretava l'abrogazione. Vorrei perciò suggerire una strada alternativa consistente in un finanziamento misto privato-pubblico non statalista e centralizzato, fondato sulle scelte esplicite di ciascun cittadino piuttosto che sull'imposizione statale.

E' il metodo del finanziamento volontario effettuato da persone fisiche e giuridiche (società, associazioni, sindacati…) che per libera scelta possono donare contributi non soltanto ai partiti ma anche alle loro articolazioni territoriali, ai candidati e ad altri soggetti quali movimenti ad hoc, referendari, ecc. Ovviamente le donazioni devono essere contenute entro soglie massime relative sia a chi dà sia a chi riceve. L'obiezione a questo metodo in uso in molti paesi occidentali è duplice: di non riuscire a coprire e di mettere il denaro sopra la politica. L'esperienza, al contrario, dimostra che la scelta di donare volontariamente danaro a soggetti politici senza passare dallo Stato incentiva soprattutto i contribuenti più modesti, qualora vi sia un meccanismo chiaro di completa deducibilità dalle tasse entro regole e limiti stabiliti che tengono a freno le velleità dei ricchi. Un tale sistema dovrebbe poggiare sulla semplice registrazione dei soggetti abilitati a ricevere finanziamenti i quali devono tenere un analitico rendiconto dei contributi ricevuti così come i donatori devono fare per tutte le donazioni nominali. Alle spese elettorali andrebbero messi dei tetti massimi accompagnati da rigorose sanzioni oltre che penali anche amministrative (la perdita dei diritti) per chi non rispetta le regole. Tale sistema volontario-privatistico può essere accoppiato con un limitato rimborso pubblico elettorale in proporzione al voto da effettuarsi direttamente ai soggetti locali che concorrono alle elezioni.

Oggi si sottovaluta l'importanza del finanziamento della politica quale elemento costitutivo della democrazia. Un sistema regolato di finanziamento volontario dal cittadino al soggetto politico preferito avrebbe alcuni effetti positivi: assicurerebbe l'uguaglianza dei punti di partenza dei soggetti elettorali; scoraggerebbe la nascita di partiti (e giornali tipo Lavitola) fasulli che si reggono con i nostri soldi; rispetterebbe le volontà individuali deprimendo le pulsioni antipolitiche; metterebbe i gruppi d'ogni genere in condizione di sostenere legittimamente le forze e le persone che difendono i loro interessi; solleciterebbe i partiti a funzionare secondo regole trasparenti; sottrarrebbe gli iscritti alla dittatura dei capi e capetti di partito che controllano il pubblico denaro.

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Pubblicato da "L'Espresso<http://espresso.repubblica.it/>", 8 dicembre 2011

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it<http://www.rassegna.it/>

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Camusso (Cgil): "Lavoro,

l'unica cura per il Paese"

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"Pronti a sostenere le scelte giuste, altrettanto determinati a contrastare quelle che riterremo sbagliate". Le conclusioni di Susanna Camusso all'Assemblea Cgil di Roma hanno detto con estrema chiarezza quale sarà la linea di condotta di Corso d'Italia di fronte al nuovo governo.

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di Giovanni Rispoli

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Le anticipazioni di questi giorni non inducono all'ottimismo. In ogni caso sarà oggi, domenica 4 dicembre, in occasione dell'incontro convocato dall'esecutivo con le parti sociali, che un giudizio sulla manovra annunciata per lunedì 5 potrà essere formulato in maniera compiuta. L'auspicio è che si possa discutere, non quello di trovarsi di fronte a un catalogo già confezionato, a un elenco – anche se esposto con garbo – di semplici informazioni.

La Cgil esprimerà dunque le sue valutazioni, deciderà di conseguenza. Presupposto irrinunciabile, in questo suo giudizio, un segnale vero, netto, di discontinuità con il governo Berlusconi, un approccio diverso ai problemi che affliggono il paese. Un approccio che Susanna Camusso – riprendendo un termine alle donne molto caro – ha riassunto nella parola "cura". Cura è affetto, attenzione, passione, riconoscimento, ha detto il segretario generale della Cgil: curare il lavoro vuol dire avere cura, appunto, delle persone, della loro dignità. Al contrario della finanza "il lavoro è misura collettiva della vita, ricchezza di tutti, non di pochi". Il titolo scelto per l'Assemblea – "Lavoro: l'unica cura per il paese" – era dunque qualcosa di più di uno slogan felice.

Avere cura per il lavoro è innanzitutto difenderlo. Vuol dire contratti, contrattazione, rappresentanza. Significa contratto e rappresentanza per i lavoratori pubblici – per questo in marzo si voterà per le Rsu" –, vuol dire opporsi al tentativo di escludere la Fiom e la Cgil dalle fabbriche Fiat.

Avere cura del lavoro, ancora – e in tanto parlare di dualismo nel mercato del lavoro –, è impegnarsi contro la precarietà. Quarantasei forme di assunzione non servono a nulla; se ci devono essere forme contrattuali diverse dal contratto a tempo indeterminato debbono costare di più. Ai giovani va riconsegnata l'età adulta, tornare all'idea che il lavoro è certezza, identità. Bisogna dare loro – e più in generale a chi perde l'occupazione – un diverso sistema di ammortizzatori sociali, che vanno riformati.

Impossibile parlare di lavoro senza toccare la questione delle retribuzioni. Oggi siamo tornati a retribuzioni che non tengono più il passo del costo della vita; e questo di fronte allo scandalo delle superliquidazioni dei manager, anche quando – è il caso di Finmeccanica – distruggono l'immagine di un'azienda. "Quello delle retribuzioni – ha ricordato polemicamente Camusso – non è il tema dei cosiddetti garantiti ma di coloro che hanno costruito ricchezze inaccettabili".

Non meno triste, guardando dall'altra parte della scena sociale, l'aumento del numero di coloro che né studiano né lavorano. Portare l'obbligo a 18 anni, far crescere l'istruzione di base è un dovere civile: scuola e conoscenza sono decisivi per la dignità stessa delle persone, per imparare, come diceva Di Vittorio, a non togliersi la coppola – il cappello – davanti ai potenti.

Avere cura del lavoro significa promuovere la cittadinanza: dei migranti e delle donne di Barletta e di tante altre città d'Italia costrette al lavoro nero; le cosiddette morti bianche sono solo il segno del disprezzo per la vita. Vuol dire, ancora, cancellare l'articolo 8 – lì non abbiamo nessuna evoluzione del diritto sindacale, come afferma qualcuno – e avere la certezza che c'è un momento in cui si può smettere di lavorare sapendo che si ha diritto a una pensione dignitosa, essere tutelati quando la ristrutturazione e le chiusure ti espellono dalle fabbriche. Il decreto sulla mobilità del nuovo governo, da questo punto di vista, è importante ma non basta. Il dispositivo a suo tempo deciso riguardava soltanto chi era in mobilità prima del 30 aprile 2010, la riorganizzazione delle imprese non è certo finita allora.

Si è ironizzato, negli ultimi giorni, sui "numeri magici" della Cgil. Ma i numeri magici non sono fantasie, sono diritti che non possono essere messi in discussione.

Il primo è l'articolo 18, una norma che è un vero e proprio deterrente contro i licenziamenti discriminatori. L'articolo 18 parla della libertà dei lavoratori: e la libertà d'impresa, senza la libertà dei lavoratori, è inconcepibile, ha osservato Camusso. Tutta la discussione sulla ricomposizione del mercato del lavoro, che pure parte da un dato di realtà, non può approdare a risultati che sarebbero solo e semplicemente regressivi.

"Il nuovo governo non ci rovini la festa cui abbiamo diritto". Dopo Berlusconi si è tornati a parlare di equità e coesione. Ma per trovarle, la Cgil non vorrebbe essere costretta a usare una lente d'ingrandimento. Equità e coesione, se davvero questa vuol essere la cifra della manovra, significa provvedimenti precisi: un'imposta sulle grandi ricchezze, innanzitutto – "chi ha di più paghi di più e chi non ha mai pagato cominci a pagare" –; una lotta seria all'evasione; colpire le rendite.

Sarebbe profondamente ingiusto, al contrario, intervenire sulle pensioni per far cassa. Le proposte di cui si è parlato sono indigeribili. Bloccare la perequazione delle pensioni non avrebbe senso, colpire le donne è prerogativa solo di governi misogini.

Confindustria afferma che non è tempo di veti. Ma è davvero un veto affermare il diritto di andare in pensione, altro numero magico, dopo quarant'anni di lavoro? "Noi pensiamo ai diritti – ha esclamato Camusso – pensiamo quindi che chi ha diritto di andare in pensione debba poterlo fare". Si tratta fra l'altro di una platea, si pensi ai vigili del fuoco o agli infermieri, che non è composta solo degli operai del nord. Se c'è bisogno di nuove risorse si punti invece sull'unitarietà del contributivo e dei sistemi pensionistici.

La crisi è grave, si ripete di continuo. "La Cgil lo dice da tre anni, non ci hanno dato ascolto". Così come non devono spiegare al maggiore sindacato italiano cosa sia l'Europa. Tre sotto questo profilo – ha ricordato Camusso – le cose che urgono: la tassazione delle transazioni finanziarie, gli eurobond, misure concrete per la crescita. "Non si devono dare i compiti a casa, bisogna fare i compiti in classe". C'è un compito comune dell'Europa, in sostanza; fra pochi giorni, al consiglio europeo, il nostro governo dica quale deve essere.

Equità e crescita. Obiettivi che valgono per l'Europa e che sarebbero irrealizzabili, tornando all'Italia, se si tornasse a colpire i redditi da lavoro. La loro difesa, se davvero il paese vuole uscire dalle secche, è condizione basilare. Non ci si può limitare a ridurre l'Irap per le imprese, detto in altro modo. Le vie, dal piano energetico all'allentamento del patto di stabilità interno, così da dare finalmente respiro ai Comuni, sono molteplici. Su tutte, qui ritorna la parola cura, un piano straordinario per l'occupazione giovanile e una politica per l'ambiente e il territorio, per la messa in sicurezza del paese. La terra è un bene che non possiamo continuare a sprecare. Averne cura significa mettere in moto risorse, intelligenze, possibilità di occupazione.

Sarà possibile invertire la rotta? "La civiltà dei comportamenti" – come ha ricordato Camusso a proposito del governo Monti – "è un passo in avanti. Il 4 dicembre sapremo se oltre alla buona educazione – decisiva, visto come eravamo ridotti – la Cgil sarà di fronte anche a una reale capacità di ascolto".