giovedì 3 luglio 2014

ANDY ROCCHELLI (1983 – 2014)

CORDOGLIO DELL'ASSEMBLEA DEL COOPI

La scomparsa di Andy Rocchelli, morto il 24 maggio scorso in Ucraina insieme al dissidente russo Andrey Mironov, è stata ricordata domenica 29 giugno 2014 dall'Assemblea annuale della Società Cooperativa Italiana Zurigo con un minuto di silenzio.

La madre del fotoreporter italiano ucciso da un colpo di mortaio a Sloviansk è Elisa Signori, studiosa autorevole dell'emigrazione antifascista e curatrice presso le Edizioni dell'ADL di Frammenti di vita e d'esilio, il carteggio di Giulia Bondanini Schiavetti.

Alla famiglia di Andy Rocchelli l'assemblea della Società Cooperativa ha inviato un commosso messaggio di cordoglio cui si sono associati la Cattedra di Romanistica dell'Università di Zurigo e la Società Dante Alighieri nelle persone della prof. Tatiana Crivelli e del prof. Emilio Speciale.

Di seguito una meditazione di Renzo Balmelli, decano dei giornalisti svizzeri, collaboratore dell'ADL e socio d'onore del Coopi.

Non basta un mese, così come basta una vita intera per asciugare le lacrime di una madre che ha perso il figlio, valente giornalista, partito per una missione al fronte e mai più tornato a casa. Il giornalista era Andy Rocchelli, 30 anni, uno dei migliori fotoreporter italiani, ucciso il 24 maggio in Ucraina, insieme al dissidente russo Andrey Mironov, strenuo oppositore della "sbirrocrazia" putiniana.

La madre di Andy, docente di storia all'università di Pavia, Elisa Signori, biografa di Schiavetti che con noi ha pubblicato il carteggio di Giulia Bondanini Schiavetti. Una carissima amica nostra, Elisa Signori, colpita negli affetti più profondi dall'odissea di quel figlio in giro da un punto caldo all'altro del globo, dove spesso è rischioso aprirsi uno spiraglio, alzare i veli che nascondono la verità.

L'uccisione di Andy Rocchelli è il tragico epilogo della vicenda umana e professionale di un giovane innamorato del suo mestiere che ha sfidato la morte per mostrare i retroscena dei conflitti, anche se il mondo – come ha ricordato Adriano Sofri su Repubblica – non ha voglia di vedere.

Oltre alla pena che ci assale per una vita stroncata nel fiore degli anni, al cospetto di certe notizie si fa largo il sentimento di impotenza che tutti noi proviamo di fronte a drammi che offendono la ragione e il buon senso. Due uomini sono caduti a Sloviansk, città Ucraina di 100 mila abitanti, in passato nota per il commercio del sale, ora ridotta in macerie dalla ferocia dei combattimenti tra le opposte fazioni che non hanno la minima intenzione di abbassare le armi fino a quando non ci sarà più nessuno da ammazzare.

Sembra di muoversi nel labirinto dell'assurdo e della follia e invece è la dura, spietata verità della lotta furibonda per il potere. Quante voci giunte fino ai giorni nostri si sono levate per dire basta, quante madri coraggio hanno lanciato forte e alto il loro grido di ribellione, implacabile denuncia di tutte le guerre e degli orrori che esse producono. Invano. Per fare il reporter degli scontri che insanguinano il pianeta, per andare il più vicino possibile alla fonte della battaglia, bisogna avere la passione per gli altri e la fiducia di ciò che si dice. Loro ce l'avevano. In quella specie di terra di nessuno nell'oblast di Donek i nomi di Rocchelli e Mironov, fedeli al credo che li ha guidati nella loro ricerca della giustizia, sono andati ad aggiungersi all' elenco di inviati e combattenti per la libertà; una lista di nomi che dal duemila in poi non ha cessato di allungarsi. Dall'Ossezia a Beslan, dalla Cecenia all'Afghanistan, dalle primavere arabe mai sbocciate alle atrocità che in Siria e Iraq trasformano la quotidianità in un inferno, sono più di mille - una vera e propria ecatombe- i giornalisti caduti nell'esercizio della loro professione. Ricordarli, come facciamo oggi con Rocchelli e Mironov, non è soltanto un omaggio postumo e neppure un esercizio retorico, ma il modo più concreto per affrontare le minacce che gravano sul diritto all'informazione, soggetto a violazioni, censure subdole, pressioni indebite. E ciò testimonia – si legge nel rapporto promosso in Italia dall'Ordine del giornalisti – tutta l'insofferenza, tutto il cinismo dei poteri sporchi nei confronti della libertà di stampa e del dovere di documentare le prevaricazioni dell'uomo sull'uomo.

Insofferenza criminosa che ignora e calpesta il dolore di una madre che è anche il nostro dolore.