domenica 5 aprile 2020

THE TEMPEST

La tempesta passerà, ma abiteremo in un mondo diverso…
 
di Andrea Ermano
 
Qualcuno mi presta Adulti nella stanza? È un film di Costa-Gavras di cui riesco a vedere in rete solo poche scene (vai alla clip). Parla del trattamento riservato alla Grecia dopo l'esplosione della crisi finanziaria del decennio scorso. La storia è tratta dal libro omonimo di Yanis Varoufakis, ex ministro greco delle finanze, che ha raccolto in un libro i suoi ricordi di quei mesi drammatici. Iniziò allora una "lenta catastrofe" tuttora in corso: «Molti sostenitori del Partito laburista in Inghilterra votarono poi per l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea... La vittoria del referendum sulla Brexit (51,9%) contribuì alla vittoria di Donald Trump. Il trionfo di Donald Trump diede nuovo vigore ai movimenti nazionalisti xenofobi in Europa e nel mondo».
    Questo scriveva Varoufakis nel 2017, concludendo sarcasticamente così: «Putin si starà stropicciando gli occhi incredulo nel vedere lo straordinario successo con il quale l'Occidente si sta distruggendo».Oggi, e sarà per sottile bizzarria della storia o per grossolana ironia della sorte, stiamo approdando a una crisi economica simile a quella ellenica, ma molto più grande.
     Dalla pandemia di Covid-19 usciremo. Solo che il problema è globale e la soluzione non potrà essere locale. Lo sottolinea Yuval Harari in un saggio apparso sul Financial Times del 23 marzo scorso. Alle tesi dello storico israeliano ci dedicheremo nelle considerazioni che seguono (per il testo completo vai al Financial Times. Sintesi in italiano al sito linkiesta.it).
    «L'umanità sta affrontando una crisi globale… Probabilmente, le decisioni che le persone e i governi prenderanno nelle prossime settimane daranno forma al mondo per gli anni a venire», osserva Harari: «Dobbiamo chiederci non solo come superare la minaccia immediata, ma anche in che tipo di mondo vivremo una volta che la tempesta sarà passata. Sì, la tempesta passerà, l'umanità sopravvivrà, la maggior parte di noi sarà ancora viva, ma abiteremo in un mondo diverso».
    Come in un dramma sperimentale ad esito aperto, le maschere, una dopo l'altra, fanno il loro ingresso sulla scena. Aprono il corteo un imperatore della Cina vestito in tuta stachanoviana e un Papa che vagamente ricorda Cipputi, ma in abito talare bianco. Seguono Falstaff, Trump, Capitan Fracassa, i liberi cittadini del Far West, un diciassettenne morto in California di coronavirus perché sprovvisto di assicurazione sanitaria. I soldati guidano a Bergamo carri funebri in grigioverde. Uno "scippatore della spesa" taglia di corsa il proscenio. Poi le annunciatrici televisive, belle senza belletto, con truccatrici quietamente in sciopero, e così le parrucchiere e le manicure. E pure le pedicure. In cotanto giusto ossequio della giusta distanza sociale, s'ode a destra un colpo di scena. È l'Ungheria! La nobile Ungheria... Che succede colà, di grazia, messere? 
    Un dispaccio dell'Agenzia Telegrafica Svizzera, inviatomi alcuni giorni fa da Renzo Balmelli, riassumeva così quel che tutti i sinceri democratici hanno ormai appreso non senza costernazione: «IlParlamento ungherese ha votato i pieni poteri per il premier Viktor Orban... Orban, senza limiti di tempo, può governare con decreti, chiudere il Parlamento, cambiare o sospendere leggi esistenti e ha la facoltà di bloccare le elezioni. Spetta a lui determinare quando finirà lo stato di emergenza. Chi diramerà "false notizie" rischierà da uno a cinque anni di carcere… L'opposizione ha cercato di far inserire nel testo una limitazione temporale di 90 giorni, garantendo in cambio il suo appoggio, ma Orban ha rifiutato».
    All'epoca della crisi greca – dalla quale prese innesco tutta questa "lenta catastrofe" fino all'attuale impennata nazional-sovranista di Budapest che riscuote l'approvazione delle "nostre" destre – l'ambientalista tedesco Joschka Fischer aveva esortato la Germania e l'Europa a un comportamento meno affetto da cecità. Ricordate, invece, quel severissimo ministro della Cancelliera Merkel che ai Paesi meno solidi impartiva lezioni di draconiano rigorismo ordoliberale? Ricordate le famose Hausaufgaben, i "compiti a casa"? Be', sta arrivando un bastimento carico di "compiti a casa", stavolta per tutti. E davvero avranno bisogno di eroi quei Paesi che reputino possibile salvarsi da soli. 
    In Ungheria, fino a nuovo ordine, le persone verranno sorvegliate e punite da Orban. L'analogia più degna di nota è quella cinese: «Controllando attentamente gli smartphone delle persone, utilizzando centinaia di milioni di telecamere che riconoscono il volto e obbligando le persone a rilevare e segnalare la propria temperatura corporea…, le autorità cinesi non solo possono identificare rapidamente i sospetti portatori di coronavirus, ma anche tracciare i loro movimenti e identificare chiunque sia venuto con loro a contatto», afferma Harari. 
    Naturalmente, la sorveglianza biometrica come misura temporanea durante uno stato d'emergenza sanitaria sarebbe una cosa accettabile: finita l'emergenza, finita la sorveglianza. «Senonché le misure temporanee hanno la brutta abitudine di sopravvivere alle emergenze, soprattutto perché c'è sempre una nuova emergenza in agguato all'orizzonte», argomenta lo storico. Anche quando questo contagio sarà cessato, la bulimia di dati biometrici, ormai quasi indistinguibile dalla fame di potere tout court, potrebbe continuare a necessitare di sistemi di sorveglianza, o perché si teme un ritorno epidemico di qua, o perché un nuovo ceppo virale emerge di là, eccetera. 
    Qui in gioco c'è la nostra privacy. Intorno a essa negli ultimi anni s'è combattuta una grande battaglia, ma ora «la crisi da coronavirus potrebbe essere il punto di svolta della battaglia. Perché quando alle persone viene data una scelta tra privacy e salute, di solito esse scelgono la salute». E proprio in questa falsa antitesi si cela un grave errore. Perché proteggere la vita personale e ad un tempo contrastare l'epidemia è certamente possibile: non ci servono le dittature per fare questo! Ma occorre la fiducia delle persone nella scienza e nelle istituzioni. In effetti, il coinvolgimento trasparente dei cittadini nella formazione di un consenso informato intorno alle misure da adottarsi per contrastare il Covid-19 si è rivelato decisivo in diversi paesi come la Corea del Sud e la stessa Italia. E così dev'essere in tutte le democrazie fondate sullo stato di diritto. 
    Ma quali forme potrebbe assumere la sorveglianza nelle mani di chi detiene il potere in paesi a "democrazia illiberale"? 
    Quanto a possibilità di monitoraggio e anche di manipolazione, le tecnologie si stanno sviluppando a velocità fantascientifica. Se non stiamo attenti, ammonisce Harari, l'epidemia potrebbe portarci a fenomeni di controllo totale mai visti prima. Il KGB non poteva pedinare 240 milioni di cittadini sovietici 24 ore su 24, né poteva elaborare efficacemente l'enorme massa delle informazioni raccolte, ma oggi «per la prima volta nella storia dell'umanità, la tecnologia permette di monitorare ininterrottamente tutti», constata lo storico israeliano. 
    Ma c'è di più. Ora c'è «una drammatica transizione dalla sorveglianza "sulla pelle" alla sorveglianza "sotto la pelle". Fino ad ora, quando il tuo dito toccava lo schermo dello smartphone cliccando un link, il governo poteva voler sapere che cosa quel dito stesse cliccando esattamente. E però, con il coronavirus, il punto focale degli interessi si trasla. Ora il governo può voler conoscere la temperatura del tuo dito e la pressione sanguigna sotto la sua pelle»
    Qui Harari ci propone un esperimento mentale: «Si consideri che un certo governo richieda a ogni cittadino d'indossare un braccialetto biometrico idoneo al monitoraggio di temperatura corporea e frequenza cardiaca 24 ore su 24… A quel punto gli algoritmi sapranno che sei malato prima che tu stesso te ne accorga, e sapranno anche dove sei stato e chi hai incontrato. Così, le catene di un'infezione potrebbero essere drasticamente accorciate e tranciate… Il rovescio della medaglia è, naturalmente, che si conferirebbe legittimità a un nuovo e terrificante sistema di sorveglianza. Se sai, per esempio, che ho cliccato 
un link della Fox News piuttosto che un link della CNN, questo può insegnarti qualcosa sulle mie opinioni politiche e forse anche sulla mia personalità. Ma se riesci a monitorare ciò che accade alla mia temperatura corporea, pressione sanguigna e frequenza cardiaca mentre guardo un certo video, potrai sapere che cosa mi fa ridere, piangere o imbufalire… Se le corporations e i governi iniziano a raccogliere massicciamente i nostri dati biometrici, potranno conoscerci molto meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, e non solo prevedere i nostri sentimenti, ma anche manipolarli per propinarci tutto quel pare a loro – da un certo prodotto a un certo leader politico... Immaginate la Corea del Nord nell'anno 2030, dove ogni cittadino sia obbligato a indossare sempre il suo bel braccialetto biometrico. Se ascolterà un discorso del Grande Capo e il braccialetto rileverà indizi di collera, quella persona avrà presto finito di vivere»
    Nessuno di noi accetterebbe uno stato d'eccezione globale oltre il tempo strettamente necessario. «Ma questi non sono tempi normali», sottolinea Harari. E ora abbiamo scelte particolarmente importanti davanti a noi: «La prima è tra sorveglianza totalitaria e "empowerment"dei cittadini». 
    Questa parola inglese (vedi empowerment su Wikipedia) significa in sostanza partecipazione attiva dei cittadini. La sola capace di accrescere la consapevolezza dei problemi e delle risorse creando le condizioni di un progresso generale. Ma è del tutto evidente che – se parliamo di questioni su larga scala – sarebbe illusorio credere che una tale partecipazione possa strutturarsi utilmente in modo solo episodico e volontaristico. 
    Per questa ragione in Italia si dovrebbe avviare una riflessione sull'art. 52 della Costituzione, per altro sospeso da una ventina d'anni. Esso parla del servizio militare, ma è evidente che la "guerra" ormai in corso contro la pandemia e parallelamente in difesa della democrazia ha bisogno non di cannoni, ma di un empowerment effettivo e costante. 
    Quel che serve è l'assorbimento dell'ondata di disoccupati che verrà dopo la "tempesta". Lo si potrebbe ottenere combinando il reddito di cittadinanza e di emergenza con un certo numero di ore lavorative settimanali nell'ambito di una grande riorganizzazione democratico-partecipativa del Servizio civile in senso universale e obbligatorio, sul piano locale, nazionale ed europeo. È ciò che qui abbiamo denominato "Esercito del Lavoro", in ossequio al grande esponente radical-socialista Ernesto Rossi (1897-1967), coautore del Manifesto di Ventotene insieme ad Altiero Spinelli e a Eugenio Colorni.
    Ma, oltre al conseguimento della piena occupazione, l'Esercito del Lavoro dovrà fornire alle persone lo "strumento degli strumenti" tramite il quale tutte/i possano articolare in forma di empowerment l'enorme lavoro necessario ad affrontare la transizione sociale, economica ed ecologica iniziata e ormai manifestamente ineludibile.