giovedì 21 febbraio 2013

Le parole assenti nella campagna elettorale

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/



Le parole che mancano sono laicità e socialismo.

Fanno il livello di cultura e di civiltà della società moderna.


di Carlo Patrignani


Ad esser magnanimi, sono almeno due – e non e’ un caso – le parole assenti totalmente in una campagna elettorale fatta di colpi bassi e agende di vario tipo, in realta’ tutta improntata a difesa dello status quo. Le parole che mancano sono laicità e socialismo che fanno il livello di cultura e di civiltà della società moderna.

    Immediatamente balza agli occhi l’enorme differenza tra l’Italia e la vicina Francia, dove un socialista, François Hollande è tornato all’Eliseo 31 anni dopo François Mitterand, sull’onda di tre parole d’ordine: libertè, ègalitè, laicitè ed una quarta anch’essa impronunciabile in Italia: mon adversaire est la finance! Ossia il neoliberismo imperante che sta devastando alle radici la fragilissima Unione Europea e l’euro stesso.

    Cancellare o tenere vive le due parole, laicita’ e socialismo, fa così la differenza tra due i paesi, non solo sul piano culturale, politico e sociale ma anche economico.

    In Francia, c’e’ stata una rivoluzione contro il potere temporale e il Re, che non si è mai persa, tanto che Hollande vuole inserire la legge 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa (art. 1 – La Repubblica assicura la libertà di coscienza. Garantisce il libero esercizio dei culti sotto le sole restrizioni relative all’interesse dell’ordine pubblico; art.2 – La Repubblica non riconosce né stipendia né sovvenziona alcun culto) nella Costituzione.

    In Italia, invece, da un ventennio, dalla fine della tanto deprecata Prima Repubblica e dalla caduta del Muro di Berlino, ha ripreso forza, in forme diverse, la Restaurazione del potere temporale e del Re, accanto al consolidamento del ‘pensiero unico liberista’.

    Ad essere onesti si dovrebbe dire in Italia un’occasione d’oro per avviare una rivoluzione liberale dopo la caduta del ventennio fascista c’era stata ma è stata bruciata in nome della ‘pacificazione religiosa’ nazionale dal vecchio Pci di Palmiro Togliatti che inauguro’ non la via italiana al socialismo, quanto la via italiana al catto-comunismo, al compromesso storico! E di questa strategia innovativa fece quale ‘antesignano’ Antonio Gramsci tramandandone ai posteri il pensiero deformato dalle sue lenti: stando a quanto Gramsci ha lasciato scritto a proposito del Concordato, sarebbe “la capitolazione” dello Stato, ben difficilmente avrebbe votato l’art. 7 della Costituzione che elevo’ a norma costituzionale i Patti Lateranensi!

    Un Paese, dunque, stretto nella soffocante morsa di due ideologie dominanti tra loro integrate: il ‘catto-comunismo’ e il ‘catto-liberismo’. Come se puo’ uscire? Solo attraverso la ri-costruzione della tradizione socialista laica riformista e libertaria. E’ questa la sfida culturale e politica che fortunatamente si gioca non solo in Italia, ma in Europa.

 

Per i giovani

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Appunti di viaggio al termine di una campagna elettorale che chiuderà il grande equivoco chiamato Seconda repubblica.

di Riccardo Nencini

segretario nazionale del PSI

La fine del ciclo di Berlusconi, certificata paradossalmente dal suo rientro sulla scena con effetti speciali e dosi massicce di populismo; la stagione dei tecnici archiviata dalla metamorfosi del suo interprete principale, il professor Mario Monti, in politico politicante; il bipolarismo mandato in soffitta dalla frammentazione di un quadro politico che offre oggi un catalogo orientato più alla protesta che alla proposta.

    In queste settimane in cui ho girato l’Italia ho trovato grande affetto e grande rispetto. Molte domande, soprattutto. Ad una di queste dobbiamo rispondere, cercando di capire come i valori rappresentati in oltre un secolo di storia socialista possano trovare diritto di cittadinanza in un sistema politico che, dopo il voto, sarà profondamente cambiato. (...)

La nuova legislatura dovrà mettere al centro il tema del lavoro e dell’occupazione, allargando la base dei diritti e delle opportunità per i giovani. Penso ai ragazzi meritevoli ai quali destinare fondi per mandarli all’estero a formarsi. Penso ai giovani professionisti, laureati e con abilitazione professionale, tagliati fuori dal mondo del lavoro e senza ammortizzatori sociali. È un pezzo importante del futuro del nostro Paese. A loro vanno restituite speranze e opportunità.

    Insieme a questa priorità, dovremo occuparci dei diritti individuali. L’Italia ha aderito alla Carta dei diritti di Nizza del 2000, senza mai declinarla totalmente. È un deficit di diritti che non possiamo più permetterci.

    Due brevi riflessioni per quel che resta della campagna elettorale.
La prima riguarda la Lombardia. Il centrosinistra deve concentrare in questa regione un impegno supplementare, perché una duplice vittoria – alle politiche e alle regionali – sarebbe significativa per più motivi: garantirebbe la maggioranza in Senato, provocherebbe il crollo definitivo della Lega Nord (che dopo Bossi vedrebbe eclissarsi anche la stella di Maroni), metterebbe in soffitta la foto di gruppo Maroni-Zaia-Cota-Tondo, che immortala un nord antagonista e autoreferenziale.

    La seconda: a Firenze si tiene da secoli, nel giorno dell’Ascensione, una manifestazione che festeggia l’arrivo della primavera e l’inizio di una nuova stagione di speranza. Per l’occasione si fa ‘la festa al grillo’ e lo si mette in gabbia, invocando così la fortuna e scacciando il timore di danni al raccolto.

 

IPSE DIXIT

Mi chiede - «Mi ferma una signora e mi chiede: "Dove si ritira l'Imu?".» – Emma Bonino

Il più fantasioso dei futurologi - «Neppure il più fantasioso dei futurologi, solo un decennio fa, avrebbe immaginato la scena di un africano-americano, presidente degli Stati Uniti, che rende onore alla carriera di un dirigente di spicco del PCI, diventato, per una serie di imprevedibili giravolte della storia, presidente della Repubblica Italiana. Il tutto sullo sfondo delle dimissioni del Papa.» – Guido Moltedo

Brevi parole autobiografiche - «Dal Pci al socialismo europeo.» – Giorgio Napolitano

 

martedì 19 febbraio 2013

Il dibattito politico: Prove di secessione

La proposta della Lega "maronita" è pericolosa

di Felice Besostri

Tra le norme inattuate della nostra Costituzione ve ne sono antiche, come l'articolo 39, sui sindacati, e il 49, sui partiti.

    L’art. 117, penultimo comma, è invece una norma della novella costituzionale del 2001: un prodotto dell’ultimo Ulivo.

    Ecco il testo, inattuato e sconosciuto ai più: “La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni, anche con l’individuazione di organi comuni”.

    L’ultimo comma dell’art. 117, invece, prevede la possibilità che: “Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato”. Questa disposizione è già andata in Corte Costituzionale, su iniziativa della Presidenza de Consiglio dei Ministri, che ha impugnato con un conflitto di attribuzioni la partecipazione della Provincia Autonoma di Bolzano, della Regione Friuli Venezia Giulia e del Veneto a un accordo comunitario di cooperazione transfrontaliera, "Interreg III A, Italia-Austria", con i Länder Carinzia, Salisburgo e Tirolo senza la preventiva intesa con il Governo italiano. Il conflitto di attribuzione è stato risolto a favore della Provincia Autonoma di Bolzano e delle due Regioni dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 258 del 2004.

    E’ facile capire, anche per non esperti, che dal combinato disposto dei due ultimi commi dell’art. 117 Cost. possa uscire una miscela esplosiva per l’assetto del nostro Stato e minacciarne, come non mai nel passato, la stessa unità. L'indipendentismo siciliano aveva dalla sua un’antica tradizione, che ebbe un nuovo periodo di lustro dal 1943, anno di rinascita del separatismo, con due personaggi che propugnavano la separazione e la creazione di una repubblica isolana: Andrea Finocchiaro Aprile, fondatore e leader del Movimento Indipendentista Siciliano, e Antonio Canepa, professore universitario antifascista d'idee socialiste rivoluzionarie e primo capo della sua formazione militare, l’EVIS.

    La differenza fondamentale con l'oggi sta nel fatto che quel separatismo, come quello originario di Bossi e della Lega Nord, era eversivo dell’ordinamento costituzionale, mentre la macro-regione del Nord di cui parla Maroni si fonda su norme della Costituzione e non è incompatibile con l’Unione Europea.

    A distanza di poco più di un decennio si possono vedere i guasti di riforme costituzionali prese per ragioni di contingenza politica, allora si trattava di adescare la Lega Nord, “una costola della sinistra”, per separarla da Forza Italia. L’errore si è ripetuto con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e l’accentramento finanziario in capo allo Stato centrale (legge costituzionale 20.4.2012, n. 1, riforma artt. 81, 97, 117 e 119 della Costituzione).

    Sicché adesso Maroni, candidato governatore della Lombardia, parla vagamente di una "macro-regione del nord", dai confini incerti, senza dire cioè nella sua proposta se essa per esempio comprenda o meno la regione a Statuto speciale Friuli Venezia Giulia. Lo sfondo di riferimento è alla proposta, articolata da Gianfranco Miglio nel 1993, per un compiuto assetto federale del Paese fondato su tre macro-regioni – la "settentrionale", la "centrale" e la "meridionale", oltre alle "isole", alle Regioni a statuto speciale e a un “territorio federale” intorno a Roma (atto a risolvere il difficile nodo della “città capitale” e del suo statuto).

    La riabilitazione postuma del professor Miglio è resa possibile dalla sostituzione di Bossi con Maroni. Il Senatùr non era stato tenero con il professore della Cattolica, quando questo abbandonò il movimento in opposizione all’accordo con Forza Italia. Piccolo florilegio delle opinioni di Bossi raccolto da  Elisabetta Reguitti su Il Fatto Quotidiano del 12.8.11: “Me ne fotto delle minchiate di Miglio”. “Arteriosclerotico, traditore”. Alla domanda se Miglio fosse l’ideologo della Lega il Senatùr rispose: “Ideologo? No, un panchinaro”. “Miglio è una scoreggia nello spazio”. Così Bossi.

    La proposta della Lega Nord è pericolosa proprio perché dettata da considerazioni prettamente politiche di partito. La norma costituzionale è del 2001, quando i leghisti erano al governo della Lombardia e del Veneto, presidenti Formigoni e rispettivamente Galan, entrambi di Forza Italia, poi PdL. Con le elezioni regionali del 2010 l’alleanza Lega Nord-PdL, conquistò anche il Piemonte, con il leghista Cota. Nessuna forma speciale di collaborazione ai sensi dell’art. 117 Cost. è stata varata, né udibilmente proposta, dalla Lega, che nel frattempo conquistava anche la Presidenza della Regione Veneto con Zaia. E la ragione di ciò è semplice: il coordinamento di Piemonte, Lombardia e Veneto in una macro-regione del Nord dotata di organi comuni, avrebbe assegnato la leadership al “Celeste”, Roberto Formigoni.

    La Lombardia ha 9.917.714 abitanti, il Veneto 4.937.854 e il Piemonte 4.457.335. La preminenza lombarda è avvalorata dal suo contributo al PIL nazionale: il 20,8% con il 16,3% della popolazione. Seguono il Veneto con il 9,3% di Pil con l' 8,1% della popolazione e, a distanza, il Piemonte con il 7,4% di PIL e popolazione. Come si vede da questi indicatori la Lombardia, sia come popolazione sia come contributo percentuale al PIL nazionale, supera la somma delle due altre Regioni “padane”.

    Se ora si costituisse l’entità macro-regionale dotata di organi comuni come propone Maroni, le tre regioni del Nord sarebbero governate da una sola forza politica e nessun governo nazionale potrebbe non tenerne conto. Sarebbe in un certo senso come una Terza Camera accanto a Montecitorio e Palazzo Madama. Oltretutto il Trattato di Lisbona ha rafforzato la partecipazione dei Parlamenti nazionali e delle Regioni alla fase ascendente delle direttive comunitarie, quindi si può facilmente immaginare quale peso potrebbe esercitare sulle decisioni comunitarie un’entità macro-regionale, coesa e determinata, che assomma 19.312.903 abitanti. Per popolazione sarebbe l’ottavo Stato dell’Unione tra la Romania (21.498.616 abitanti) e i Paesi Bassi (16.485.787 abitanti).

    Tale peso politico si accrescerebbe ulteriormente se al Governo ci fosse una coalizione affetta da dissidi interni che non potesse contare su una chiara maggioranza in entrambe le Camere.

    Ebbene, questa maggioranza per la coalizione PD, SEL, PSI e Centro Democratico è sicuramente a rischio al Senato.

    Se si deve compiere una scelta, speriamo di no, tra vincere al Senato in Lombardia o vincere le elezioni regionali per il "Pirellone", non c’è alcun dubbio che la sfida per il Governo regionale sia quella più importante.

    Dopodiché l’art. 117 Cost. andrebbe riformato, prevedendo un passaggio al Parlamento nazionale per deliberazioni di coordinamento pluriregionale che prevedano anche l’istituzione di organi comuni. Non si può lasciare tutta la materia del contendere ai conflitti di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Semmai si tratterebbe di accentuarne le motivazioni di funzionalità ed efficienza amministrativa rispetto a motivazioni puramente politiche (al limite dell’ideologia).

    Un esempio cui guardare è L'AIPO, l’Agenzia Interregionale per il Po, ente strumentale di quattro delle Regioni su cui insiste il bacino del grande fiume: Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. La Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano usufruiscono di speciali uffici locali. Le regioni Liguria e Toscana affidano all'AIPO, quanto ai corsi d'acqua afferenti, la gestione dei compiti connessi al bacino padano mediante "protocolli d'intesa" e particolari "convenzioni". L'attività di pianificazione delle risorse e degli interventi relativi al bacino è curata dall'Autorità di bacino del fiume Po (AdBPo), organismo misto Stato-Regioni.

    Per inciso: si tenga presente che nella visione politico-ideologica della Lega Nord non c’è spazio per intese con la Regione Emilia Romagna, governata dalla sinistra.

    Altro elemento di valutazione: l’AIPO è sorta dopo la soppressione del Magistrato del Po, un organismo statale di grande competenza tecnica, che regolava l'integrazione tra il livello statale e quello regionale e che si era dimostrato capace di assicurare il massimo di efficienza, cioè di cooperazione al posto del conflitto istituzionalizzato.

    La coalizione guidata da Umberto Ambrosoli dovrebbe già in questa campagna elaborare un modello di cooperazione interregionale efficiente, alternativa a quella conflittuale e ideologica della Lega Nord, per esempio con la Liguria per il sistema infrastrutturale correlato ai porti tirrenici. Nell’ambito delle competenze e funzioni regionali, che ci sono anche quelle delegate, ci sono materie importanti per lo sviluppo economico, sociale e civile, che se pensate in un quadro interregionale possono consentire economie di scala per i costi organizzativi e di gestione. Una rete di eccellenza può essere costituita dalle Università e dagli Istituti di ricovero e cura di carattere scientifico senza riguardo alla colorazione politica della Regione di appartenenza e con estensione, nell’ambito della cooperazione transfrontaliera, a organismi e istituti degli Stati confinanti.

 

mercoledì 13 febbraio 2013

Bersani: "Mai sottovalutata la destra"

VERSO IL VOTO

a cura di www.rassegna.it / In collaborazione con Adnkronos



"Berlusconi si rimpannuccia con le sue forze, che sono quelle che ha. abbiamo bisogno di 5 anni di stabilità e li avremo. Non sarà un percorso facile perché c'è una crisi gravissima, ma ne verremo fuori"


"Sommando Berlusconi e la Lega" la destra è "attorno al 24%". Lo ha detto ieri, il 5 febbraio, Pier Luigi Bersani, parlando a Berlino in un incontro trasmesso su YoudemTv. Il segretario del Partito democratico è tornato sul tema anche oggi, ai microfoni di Radio Anch'io, su Radio uno: "Berlusconi sta richiamando i suoi – ha detto - , io non l'ho mai sottovalutato e non ho mai pensato di avere la vittoria in tasca. Ma non sento il fiato sul collo. Ho sempre pensato ci fosse la destra e non ho mai sottovalutato" il Cavaliere. "Ma quando sento parlare di sorpasso, io rispondo 'col binocolo'". Prosegue Bersani: "Sento che Berlusconi si rimpannuccia con le sue forze, che sono quelle che ha".

    Alla domanda se il futuro governo durerà 5 anni Bersani risponde: "Io penso di si, penso che abbiamo bisogno di 5 anni di stabilità e che li avremo". "Non sarà un percorso facile - aggiunge - perché c'è una crisi gravissima, ma ne verremo fuori. Ci vuole stabilità, serietà e anche un po' di coraggio".

Dialogo con Monti in carta intenti -  "Sono disponibilissimo a rivolgermi anche a forze come quella del professor Monti", aggiunge Bersani riguardo alla Scelta Civica dei centristi guidati dal Professore."Basta leggere la carta d'intenti, che si è data una credibilità in termini di rigore e di serietà. Dopo di che - puntualizza il segretario democratico - c'è scritto che a contrasto delle regressioni populiste di una destra europea e nazionale, noi abbiamo un atteggiamento di apertura nei confronti di forze europeiste e costituzionali".

    Nel corso di un’iniziativa sulla sanità, Bersani poi ha aggiunto: “Non se ne può più di questa questione di quanti metri di distanza ci sono con Monti. Da due mesi dico sempre la stessa frase: puntiamo al 51% ma ci comporteremo come se avessimo il 49 perché il Paese ha problemi seri. La stessa frase che da due mesi porta a titoli dei giornali differenti: Bersani apre a Monti o Bersani chiude a Monti. Non mi occupo tutti i giorni di questa cosa”.

L’aut aut di Monti - "Non c'è stato nessun accordo tra Bersani e me, tra nessuno e Scelta civica. Il tema delle alleanze è prematuro, verrà dopo il voto. Immagino che se Bersani è interessato, come dichiarato, ad una collaborazione con le forze che rappresento, dovrà fare delle scelte all'interno del suo polo". Lo ha detto il premier uscente Mario Monti oggi nel corso di un incontro con i giovani alla fiera di Verona.

    Mentre il leader di Sel Nichi Vendola, in un tweet, ha commentato: "Spero che Bersani non si voglia assumere la responsabilità di rompere l'alleanza del centrosinistra".

 

 

 

 

Parliamo di socialismo - a cura della Fondazione Pietro Nenni

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Come al solito


Le non-persone della neolingua nella cosiddetta Seconda repubblica.


di Gianna Granati


Sull’inserto”La lettura” del Corriere della Sera del 27 gennaio è apparso l’articolo “Toghe con le gonne. La Rivincita” a firma di Giovanni Bianconi.

    Nel testo si ricostruisce il travagliato percorso delle norme che consentirono l’accesso delle donne all’amministrazione della giustizia. E’ un articolo interessante, pieno di dati e di nomi. Sono citate, ad esempio, le deputate Maria Federici, democristiana, e Maria Maria Maddalena Rossi, comunista, per la loro battaglia in seno all’Assemblea costituente. Come al solito non sono citati i socialisti. In particolare Bianca Bianchi e soprattutto Lina Merlin che non meno della Federici e della Rossi si batterono per i diritti delle donne.

    E questo impegno fu sottolineato dalla Merlin, nel dibattito che si tenne in Senato il 15 novembre del 1956 sul disegno di legge “Partecipazione delle donne all’amministrazione della giustizia nelle Corti di assise e nei Tribunali per i minorenni”.

    La Merlin rintuzzò in modo argomentato, ma anche con sarcasmo le obiezioni, anzi i luoghi comuni maschili – che andavano dalla convinzione che le donne in genere sono fatue, leggere, superficiali e si farebbero condizionare da un bel giovane sottoposto al loro giudizio fino alla differenza della circonferenza del cranio femminile rispetto a quello maschile – avanzati contro questo provvedimento: “Poche donne si entusiasmano per i bei giovani che siano vuoti di cervello, come invece gli uomini, anche togati, si entusiasmano per le donne, specie quando sono oche”.

 

lunedì 4 febbraio 2013

Chiudere l’eclissi del governo tecnico

Il dibattito politico


Se ci viene passata una battuta abbiamo avuto, in contemporanea, tanto per non farci mancare niente, sia l'uomo della Provvidenza, Mario Monti, che la donna della Previdenza, Elsa Fornero. I risultati sono sotto gli occhi di tutti!


di Paolo Bagnoli


Qualche settimana fa il presidente della Repubblica, non sappiamo se per prassi di ruolo o per convincimento, aveva raccomandato una campagna elettorale misurata. Con il massimo rispetto verso Giorgio Napolitano osserviamo, qualunque fosse la sua intenzione, che essa avrebbe, per forza, scontato un'ingenuità. I fatti dimostrano quanto non era difficile prevedere. Premesso che in ogni campagna elettorale, fisiologicamente, i toni si fanno sempre più alti del dovuto, come sarebbe stato possibile che, da un quadro politico fortemente anomalo e democraticamente alterato, potesse scaturire un clima di pacatezza? Lo svolgimento della campagna elettorale altro non è che l'epifania delle condizioni cui è giunto il Paese; siamo, infatti, convinti che le elezioni non rappresenteranno un passaggio ricostruttivo, ma solo uno ulteriore nello smottamento di un sistema che da tempo, troppo tempo, non è più tale.

    Il contesto complessivo si è ulteriormente aggravato e non perché, siamo sinceri, Mario Monti dal governo ha fatto – cosa previdibilissima – una specie di partito, ma perché queste elezioni sono inficiate da un'improprietà politica, funzionale e gestionale, del governo tecnico espressosi in un'illogica superbia e ruvidità sapienziale che ha peggiorato il quadro d'insieme. Esso, già fortemente guastato, è stato aggravato per i metodi usati, l'arroganza nel porsi, il cinismo sociale applicato e la totale assenza di ogni intenzione politica: vale a dire, ricostruire un'idea dell'Italia e di come rifondare lo Stato avendo cognizione, come avviene peraltro in ogni altro Paese, della propria memoria storica. Un'operazione, quest'ultima, per cercare di riavviare il Paese chiudendo vent'anni di non politica i quali, inevitabilmente, hanno prodotto uno Stato che, evirato dalla dimensione della politica, naviga verso derive, ora cesaristiche, ora di una sapienza tecnica per di più aggravata da un ridicolo porsi. Come se la democrazia fosse frutto della Provvidenza.

    Se ci viene passata una battuta abbiamo avuto, in contemporanea, tanto per non farci mancare niente, sia l'uomo della Provvidenza, Mario Monti, che la donna della Previdenza, Elsa Fornero. I risultati sono sotto gli occhi di tutti!

    Naturalmente la Provvidenza di Monti, in un Paese in cui chiudono mille attività commerciali al giorno, non ha prodotto "provvidenze" visto l'accrescersi dell'impoverimento generale perché la tassazione è iniqua e perché il profilo finanziario ha sostituito quello politico.

    Ora, tutti sanno che la "politica" è tale perché, di là delle misure che adottano coloro che sono chiamati a gestirla, si fonda su una concezione collettiva del Paese e non sugli interessi di un singolo comparto. Quando, poi, alcuni di questi interessi vanno in emergenza e in taluni momenti risultano preminenti, è doveroso affrontarli; sempre, però, nell'ottica della "coesione sociale" e non di particolarità esclusive; nello specifico, di genere finanziario.

    Al corpo ferito e martoriato del Paese il governo tecnico ha causato ulteriori lacerazioni aggravando la deriva di allontanamento dallo spirito repubblicano della Costituzione; quello spirito che avevano assicurato al senso di essere della democrazia italiana i vecchi partiti politici – ed è un dato di fatto che quelli appaiono, alla luce degli odierni, addirittura meritevoli, nonostante i loro limiti.

    Così, se l'unica proposta del raggruppamento montiano, ma soprattutto del suo leader, è di demonizzare Vendola e la Cgil, – la matrice berlusconiana non si smentisce e il marchionismo si palesa mentre Giorgio Squinzi ragiona con serietà e senso del Paese – e Berlusconi, da sconfitto storico procedendo brillantemente sui vecchi percorsi della sue pantomime, dice tutto e il contrario di tutto ringalluzzito com'è dal fatto che lo hanno resuscitato. Ed è poi veramente singolare la posizione del Pd il quale ha sostenuto Monti ac perinde cadavere ricevendone pesci in faccia a più non posso. Il Pd, infatti, ne ha votato tutti i provvedimenti antisociali, salvo dire un minuto dopo che non era d'accordo; alla fine è sceso in battaglia contro di lui pur auspicando un'intesa dopo le elezioni e pure parlando di "polvere sotto il tappeto".

    Monti si è arrabbiato. Bersani non ha detto di quale "polvere" di tratti, ma siccome la polvere non si accumula in un giorno, non poteva il Pd, che chiede "un po' di lavoro" mentre tace sulla patrimoniale, cercare di alzare il tappeto invece di fare il soldatino ubbidiente agli ordini del generale incapace?

    La questione della democrazia è del tutto assente. Non si capisce se interessa ancora a qualcuno. Sulla legge elettorale si è assistito, per mesi, a una commedia in cui ognuno voleva esattamente quello che è avvenuto: non cambiare l'ignominia calderoliana. Il tema nella campagna elettorale latita. Anzi, dimostrando carenza di senso dello Stato, il Pd ebbro delle primarie, le ha rappresentate come la risoluzione alla violenza costituzionale perpetrata, aggiungendo, così, alla gravità generale un'altra cifra di pericolosa confusione.

    Ancora: la discriminazione verso gli operai è norma. E la norma, quella della legge vera, non sembra valere. La ripresa, tanto invocata, è solo il secondo tempo delle partite di calcio, mentre la corsa all'arricchimento personale, con lo scialo dei soldi destinati alla politica, sembra fenomeno così esteso che Tangentopoli recupera una dimensione strapaesana.

    Potremmo aggiungere il progressivo smantellamento dell'università pubblica, lo stato delle scuole di ogni ordine e grado, parte della magistratura che appare sempre più come la necessaria scuola di formazione per entrare in Parlamento.

    Il tutto rimbalza tra scandali, "retroscena" giornalistici, pollai televisivi, untuose e false dichiarazioni di europeismo, in un esplodere di quell'Italia provinciale, particolaristica, anticivica e dallo spiccato senso pezzentesco-proprietario che, liberata da ogni vincolo sia giuridico che morale, riemerge con forza: è l' Italia della "desistenza" di calamandreiana memoria; quella stessa che ordì la pugnalata a Ferruccio Parri.

    Cancellata l'idea fondante del partito politico come corpo che vive di gente e, quindi, fattore vivo della sovranità democratica, confermato un corpo rappresentativo imposto dalle oligarchie delle varie formazioni, demonizzato il sindacato e vessato il mondo del lavoro, considerato addirittura pestilenziale chi emblematizza in qualche modo la sinistra – ridotta al tardo bertinottismo di Vendola – in assenza di ogni contrafforto serio, come sarebbe un partito socialista finalmente degno di una gloriosa tradizione e di un'altrettanto gloriosa storia che il craxismo non ha sminuito pur portandolo alla tomba, l'Italia, scomparsa oramai anche la falsità del bipolarismo – falsità sì, perché quello italiano era solo lo scontro tra berlusconismo e antibelusconismo per la conquista del governo – queste elezioni appaiono destinate a non risolvere niente, se non a chiudere l'eclissi del governo tecnico. Che torni il sole, tuttavia, appare veramente improbabile.

Parliamo di socialismo - Ricordando Vivà

a cura della Fondazione Pietro Nenni

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“Faremo fare a tuo padre la stessa fine di Matteotti!”, le avevano detto a Milano i fascisti quand'era ancora bambina. Poi l'esilio. Il matrimonio con Henri Daubeuf. La lotta clandestina. Vittoria, figlia terzogenita di Pietro Nenni, venne arrestata a Parigi insieme al marito. Fu deporatata e morì ad Auschwitz.


di Giuseppe Tamburrano


“Molti non sono tornati - non è tornata la mia figliuola Vittoria - e pure domani è giorno ancora, cioè la morte stessa è un atto di vita, quando chi l’affronta, e non la teme, con il sangue sottoscrive i più alti ideali della umanità ” (Pietro Nenni).

    La terza figlia di Nenni nasce il 31 ottobre 1915 nel corso dell’offensiva delle truppe italiane per conquistare Gorizia. Nenni la chiama con un nome augurale: Vittoria - poi affettuosamente chiamata Vivà -. Ma, come amaramente commenta Nenni nelle sue pagine del diario: “il bel nome non le ha portato fortuna”.

    L’infanzia di Vivà fu subito segnata dal clima di odio e dalla barbarie fascista: “Faremo fare a tuo padre la stessa fine di Matteotti!”. Con questa espressione nel 1926, un gruppetto di fascisti terrorizzarono una bambina di appena 11 anni che si apprestava ad andare a scuola. I fascisti devastarono l’appartamento della famiglia Nenni. Questo avvenimento convinse Pietro Nenni ad intraprendere la via dell’esilio.

    La famiglia si rifugiò in Francia. Poco prima dello scoppio della guerra a Parigi Vivà sposò Henri Daubeuf. Vivà divise con il marito i rischi della lotta clandestina e furono arrestati a Parigi il 20 giugno del 1942.


Henri fu fucilato a Mont Valerièn l’11 agosto. Vivà, dopo una detenzione al forte Romainville, fu deportata ad Auschwitz.

    Il 30 gennaio del 1943 Nenni riceve una cartolina di Vittoria. Poche righe tracciate in fretta e assai probabilmente gettate da un finestrino del treno. Poche parole di saluto e un grido di fiducia “Nous nous reverrons!(ci rivedremo)”.

    Il pensiero di Vittoria non abbandona mai Nenni che nei suoi Diari la ricorda frequentemente, sempre sostenuto dalla speranza di rivederla.

    Degli ultimi anni di vita e della tragica esperienza nel campo di sterminio di Auschwitz resta solo una foto di Vivà, che i russi hanno inviato a Nenni.

    Vivà se avesse rivendicato la propria nazionalità italiana avrebbe evitato la deportazione in Germania. Ma rifiutò, perchè volle condividere il destino delle compagne francesi.

    Nenni seppe della morte della figlia solo nel maggio del 1945 da Saragat, all’epoca ambasciatore d’Italia a Parigi.

    Nell’agosto del 1945 Pietro Nenni incontra a Parigi Charlotte Delbo Dudach, l’amica di Vivà sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz.

    Il racconto di Charlotte fu straziante: Sul braccio destro delle deportate era tatuato il numero di matricola. Quello di Vittoria era il 31635. Vivà aveva saputo partendo da Romainville che suo marito era stato fucilato. Nel campo fu assegnata al lavoro nelle paludi. Fu colpita dal tifo e da una complicazione nefritica. Piaghe si erano aperte nelle gambe.

    L’ultima volta che Charlotte la vide viva fu l’8 luglio. Nonostante il delirio pregò una compagna di giaciglio di far sapere a suo padre che era stata coraggiosa fino alla fine e che non rimpiangeva nulla.

    I giornali resero omaggio alla morte di Vivà e da ogni parte d’Italia arrivarono a Nenni lettere e telegrammi.

    La lettera che più colpì Nenni fu quella di Benedetto Croce: “Mi consenta di unirmi anch’io a Lei in questo momento altamente doloroso che Ella sorpasserà ma come si sorpassano le tragedie della nostra vita: col chiuderle nel cuore e accettarle perpetue compagne, parti inseparabili della nostra anima.”

    Ad agosto del 1947 Nenni fece visita al campo di Auschwitz.

    E negli anni successivi non mancò di incontrare altre superstiti, compagne di prigionia della figlia.

    Scrive nel suo diario: “Mi è sembrato che chi può fiorire una tomba conserva un’apparenza almeno di legame con i suoi morti. Non così per me che penso disperatamente alla mia Vittoria e non ho neppure una tomba dove volgere i miei passi”.

    Nel maggio del 1971 Nenni, accompagnato dalla figlia Giuliana, fece un viaggio in Israele.

    A circa 25 chilometri da Gerusalemme visitarono la foresta dei martiri dove un cippo e una lapide riportavano una semplice scritta: ”Bosco in memoria di Vittoria Nenni Daubeuf 1915-1943”.

    Quel giorno nel suo diario Nenni annotò “Da oggi in poi ho un luogo in Israele dove venire o al quale pensare quando più forte mi assale l’angoscia per la morte crudele di mia figlia”.

Giorno della Memoria 2013 - La più dura risposta

Pubblichiamo di seguito ampi stralci dall'intervento del Presidente Napolitano alla celebrazione del "Giorno della Memoria"


di Giorgio Napolitano 

Presidente della Repubblica


Palazzo del Quirinale, 29/01/2013 - Rendo ancora omaggio agli ex internati e deportati, vittime e testimoni dell'orrore dei campi in Germania, cui abbiamo appena conferito la Medaglia d'onore.

    A conclusione di questa cerimonia, ancora una volta così significativa e coinvolgente per l'intensità della riflessione e per la ricchezza di voci cui ogni anno dà spazio qui in Quirinale, vorrei dire brevi parole, anche - in qualche modo - di bilancio. Caro Presidente Gattegna, può immaginare come io condivida la sua emozione nell'accomiatarci dopo sette anni, per quel che mi riguarda almeno nelle funzioni di Presidente della Repubblica. Con lei, d'altronde, abbiamo condiviso sempre sentimenti e pensieri celebrando il Giorno della Memoria.

    E' stato questo tra gli impegni ricorrenti con cui mi sono maggiormente identificato, dal punto di vista non solo istituzionale ma personale, in senso storico e morale. Ringrazio anche il ministro Profumo per aver sottolineato il contributo di impulso e sostegno che è stato da me rivolto in particolare al mondo della scuola.

    Vedete, credo che possiamo, tutti insieme, esprimere soddisfazione per il cammino percorso e i risultati raggiunti in questi anni nel coltivare la memoria della Shoah, nel diffonderne l'esercizio attivo e consapevole, nel farne sprigionare - in tutta la loro straordinaria molteplicità e ricchezza - insegnamenti e messaggi essenziali non solo per la comprensione della storia ma per la costruzione del futuro.

    L'esempio più eloquente ce l'offre la scuola. Abbiamo ascoltato dal ministro cifre e fatti che testimoniano quale estensione e quali diverse concrete espressioni abbia assunto un impegno di conoscenza e di partecipazione sui temi della Shoah, ormai divenuto parte integrante del percorso scolastico e di formazione civile degli studenti in ogni parte d'Italia.

    Ma meritano egualmente di essere valorizzate tutte le iniziative che hanno rispecchiato un'accresciuta sensibilità delle istituzioni, della società civile, dei cittadini. Ringrazio il dottor De Bortoli per averci presentato l'appena aperto Memoriale della Shoah presso quel Binario 21 della stazione di Milano centrale la cui visita, qualche anno fa, mi è rimasta fortemente impressa.

    Egli ha avuto ragione di richiamarci nello stesso tempo alla necessità di tenere alta la guardia, di vigilare e reagire contro persistenti e nuove insidie di negazionismo e revisionismo magari canalizzate attraverso la Rete. E anche di evocare un fenomeno che rischiamo di sottovalutare, e che invece si lega, come grave fattore inquinante, a vicende e processi politici in atto non solo nel Medio Oriente : il fenomeno cioè dell'antisemitismo come dimensione del fondamentalismo islamico.

    Da noi, in Italia, propagande aberranti si traducono in diverse città in fatti di violenza e contestazione eversiva da parte di gruppi organizzati : come quelli su cui è intervenuta, nei giorni scorsi, con provvedimenti motivati, la Procura della Repubblica di Napoli. C'è da interrogarsi con sgomento sia sul circolare, tra giovani e giovanissimi, di una miserabile paccottiglia ideologica apertamente neonazista, sia sul fondersi di violenze di diversa matrice, da quella del fanatismo calcistico a quella del razzismo ancora una volta innanzitutto antiebraico. Abbiamo letto perfino di progetti che a Napoli si sarebbero ventilati di distruzione di un negozio ebreo, o di aggressione e stupro di una studentessa ebrea. Mostruosità anche se solo enunciate, che sollecitano la più dura risposta dello Stato e la più forte mobilitazione di energie nelle scuole, nella politica, nell'informazione, a sostegno degli ideali democratici.

    C'è da fare della memoria della Shoah l'asse di una chiarificazione costante e diffusa e di una battaglia ideale e politica non di parte, che vadano al di là degli stessi confini storici della persecuzione, fino allo sterminio, contro gli ebrei (e anche, non dimentichiamolo, contro i Rom e i Sinti). E non solo perché razzismo e xenofobia hanno molteplici bersagli, che fanno tutt'uno con quello posto al centro del criminale disegno hitleriano. Ma perché sono in giuoco valori supremi, che nei ghetti di Cracovia, Lodz o Varsavia - protagonista quest'ultimo della storica rivolta di 70 anni fa - e nei lager di Auschwitz-Birkenau, o Dachau, sono stati calpestati come in nessuna costruzione di pensiero si era prima immaginato potesse catastroficamente accadere : valori di civiltà e umanità senza frontiere di luogo e di tempo, che si chiamano rispetto della dignità della persona, che abbiamo vista invece ridotta a brandello umano, a sopravvivenza nel terrore fino alla soppressione più brutale.

 

    Ma torno alle mie parole iniziali di bilancio per mettere ancora in luce quel che nel concreto siamo riusciti nel nostro paese a realizzare in questi anni di sempre più larga, partecipata e creativa consapevolezza dell'aberrazione introdotta anche in Italia dal fascismo con l'antisemitismo. Attraverso, ad esempio, la scoperta, per tanti delle generazioni più giovani, e quindi la denuncia dell'infamia delle leggi razziali del 1938, di cui Benedetto Croce - che abbiamo di recente commemorato a 60 anni dalla scomparsa - scrisse allora, collocandole tra "gli atroci delitti" che il fascismo stava perpetrando : "la fredda spoliazione e persecuzione", furono le sue parole, "degli ebrei nostri concittadini, che per l'Italia lavoravano e l'Italia amavano né più né meno di ogni altro di noi". Di quelle leggi, di quel clima fu vittima, in quanto stroncata nelle sue possibilità di lavoro scientifico e quindi costretta a lasciare l'Italia, la nostra grande Rita Levi Montalcini, cui rivolgo anch'io un pensiero triste e commosso a breve distanza di tempo dalla sua scomparsa.

    Ma non è solo per le infamie del fascismo che l'Italia è presente nella ricostruzione storica cui ci sollecita la memoria della Shoah nel Giorno della Memoria. E' presente in senso positivo e in piena luce per tutte le forme di solidarietà che vennero dagli italiani verso gli ebrei perseguitati e braccati dai nazisti durante l'occupazione tedesca da Roma in su. E' presente con gli italiani che hanno meritato il riconoscimento di Israele col titolo di "Giusti tra le Nazioni". E' presente con storie straordinarie, assai poco note, come quella - raccontata in un libro biografico apparso in italiano, con grande ritardo, solo l'anno scorso - della vita di pensiero e di azione di Enzo Sereni, trasferitosi poco più che ventenne in Eretz Israel, fattosi pioniere e messaggero nel mondo del futuro Stato di Israele, partito nel marzo 1944 per Bari nell'Italia già liberata e di lì fattosi paracadutare al Nord, dove fu catturato dai tedeschi e dopo mesi di terribili ed eroiche prove deportato e ucciso a Dachau. (...)

Il 71% ha già scelto

IPSE DIXIT


Molti deportati non sono tornati – «Molti non sono tornati – non è tornata la mia figliuola Vittoria.» – Pietro Nenni


Dite a mio padre – «Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla.» – Vittoria "Vivà" Nenni

 

 

 

Sondaggio Digis > ilRetroscena.it / www.ilretroscena.it


A un mese dal voto il 71% degli italiani ha già scelto per chi votare e la patrimoniale resta il tema sensibile.

Tra i leader, Bersani finora il più convincente.


di  Nicola Cesare


La campagna elettorale può ancora orientare il voto di quasi un italiano su tre, anche all’interno delle coalizioni. La campagna elettorale vera e propria è iniziata ormai da un mese, ovvero da quando Mario Monti e Antonio Ingroia hanno sciolto le proprie riserve e hanno deciso di entrare nell’agone politico ciascuno con una propria lista e con un proprio progetto politico, contribuendo in maniera sostanziale a definire l’offerta politica per le prossime elezioni. Fino a quel momento in campo erano stati presenti solo alcuni attori della scena politica e le loro proposte, sia in termini di iniziative programmatiche che di assetto di coalizione, erano rimaste sfumate e poco comprensibili per buona parte degli elettori. Questa situazione aveva dunque causato quel permanere – più o meno costante negli scorsi mesi – di una grande massa di indecisi che infatti allo strutturarsi delle nuove offerte politiche, ha iniziato sostanzialmente a decrescere, andando a definire meglio i rapporti di forza tra le varie proposte in campo.



    Bersani convincente, Ingroia (ancora) sconosciuto. Dopo un mese di informazione politica serrata e quando mancano ancora circa quattro settimane alle prossime elezioni politiche, si è voluto verificare quale sia stata la percezioni degli elettori sull’efficacia delle campagne elettorali messe in campo dai vari candidati premier o leader di coalizione. Il più “efficace nell’esporre la propria proposta politica” sarebbe stato fino ad ora Pier Luigi Bersani con il 23% delle preferenze, seguito da Silvio Berlusconi con il 19%, Beppe Grillo al 16%, mentre Mario Monti sarebbe quarto, con il 13% dei consensi. Ultimo Antonio Ingroia, peraltro il meno conosciuto del gruppo, che realizza comunque quasi il 10%. Dichiara invece di non aver trovato convincente nessuno dei leader proposti il 19% degli intervistati.

    Patrimoniale e tasse, qui la vera differenza. Ma, al di là dell’efficacia generale della comunicazione, entrando più nel merito delle singole proposte espresse dai leader politici fino a questo momento, si è voluto definire quali tematiche vengano percepite come maggiormente differenzianti tra le diverse offerte politiche. La patrimoniale sembra essere la vera cartina al tornasole tra le varie tematiche emerse fino ad ora, visto che circa il 30% del campione ritiene il tema “patrimoniale e tasse” il principale elemento in grado di qualificare i vari programmi politici. Sarà dunque certamente uno degli argomenti su cui gli elettori indecisi confronteranno le varie proposte all’ultimo minuto utile, proprio a ridosso del voto, per definire la propria scelta. Anche i “diritti civili” vengono percepiti dal 24% degli intervistati come un argomento che divide fortemente le offerte politiche delle varie coalizioni e anche qui il dato non stupisce vista la varietà – spesso irriducibile – delle posizioni in campo. Le proposte legate al mondo del lavoro (assunzioni, detassazioni, incentivi, ecc.) invece vengono ritenuti un elemento differenziante dal 22% del campione. Infine il welfare, scelto solo dall’15%. Mentre il 9% ritiene che siano altri i temi che definiscono le vere differenze programmatiche tra le forze politiche.

    Quasi uno su tre da conquistare. Infine è stato chiesto agli elettori se pensano che il prossimo mese di campagna elettorale potrà modificare in qualche modo le proprie scelte. Ben il 71% ritiene di aver già definito le proprie scelte, sia con riferimento alle coalizione che al partito che intende votare e dunque ritiene la campagna elettorale ormai ininfluente. Il 14% dichiara invece di avere già scelto la coalizione di riferimento, ma di non aver ancora deciso per quale partito votare e quindi aspetta ancora di conoscere ulteriori parti del programma per scegliere. Esiste infine un 15% di elettori che ritiene di poter anche cambiare coalizione nel prosieguo della campagna elettorale, perché deciderà soltanto negli ultimi giorni. Sono questi chiaramente il bottino pregiato e più ricercato dai leader, i principali obiettivi della comunicazione elettorale dei partiti delle prossime settimane.