lunedì 4 febbraio 2013

Parliamo di socialismo - Ricordando Vivà

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/



“Faremo fare a tuo padre la stessa fine di Matteotti!”, le avevano detto a Milano i fascisti quand'era ancora bambina. Poi l'esilio. Il matrimonio con Henri Daubeuf. La lotta clandestina. Vittoria, figlia terzogenita di Pietro Nenni, venne arrestata a Parigi insieme al marito. Fu deporatata e morì ad Auschwitz.


di Giuseppe Tamburrano


“Molti non sono tornati - non è tornata la mia figliuola Vittoria - e pure domani è giorno ancora, cioè la morte stessa è un atto di vita, quando chi l’affronta, e non la teme, con il sangue sottoscrive i più alti ideali della umanità ” (Pietro Nenni).

    La terza figlia di Nenni nasce il 31 ottobre 1915 nel corso dell’offensiva delle truppe italiane per conquistare Gorizia. Nenni la chiama con un nome augurale: Vittoria - poi affettuosamente chiamata Vivà -. Ma, come amaramente commenta Nenni nelle sue pagine del diario: “il bel nome non le ha portato fortuna”.

    L’infanzia di Vivà fu subito segnata dal clima di odio e dalla barbarie fascista: “Faremo fare a tuo padre la stessa fine di Matteotti!”. Con questa espressione nel 1926, un gruppetto di fascisti terrorizzarono una bambina di appena 11 anni che si apprestava ad andare a scuola. I fascisti devastarono l’appartamento della famiglia Nenni. Questo avvenimento convinse Pietro Nenni ad intraprendere la via dell’esilio.

    La famiglia si rifugiò in Francia. Poco prima dello scoppio della guerra a Parigi Vivà sposò Henri Daubeuf. Vivà divise con il marito i rischi della lotta clandestina e furono arrestati a Parigi il 20 giugno del 1942.


Henri fu fucilato a Mont Valerièn l’11 agosto. Vivà, dopo una detenzione al forte Romainville, fu deportata ad Auschwitz.

    Il 30 gennaio del 1943 Nenni riceve una cartolina di Vittoria. Poche righe tracciate in fretta e assai probabilmente gettate da un finestrino del treno. Poche parole di saluto e un grido di fiducia “Nous nous reverrons!(ci rivedremo)”.

    Il pensiero di Vittoria non abbandona mai Nenni che nei suoi Diari la ricorda frequentemente, sempre sostenuto dalla speranza di rivederla.

    Degli ultimi anni di vita e della tragica esperienza nel campo di sterminio di Auschwitz resta solo una foto di Vivà, che i russi hanno inviato a Nenni.

    Vivà se avesse rivendicato la propria nazionalità italiana avrebbe evitato la deportazione in Germania. Ma rifiutò, perchè volle condividere il destino delle compagne francesi.

    Nenni seppe della morte della figlia solo nel maggio del 1945 da Saragat, all’epoca ambasciatore d’Italia a Parigi.

    Nell’agosto del 1945 Pietro Nenni incontra a Parigi Charlotte Delbo Dudach, l’amica di Vivà sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz.

    Il racconto di Charlotte fu straziante: Sul braccio destro delle deportate era tatuato il numero di matricola. Quello di Vittoria era il 31635. Vivà aveva saputo partendo da Romainville che suo marito era stato fucilato. Nel campo fu assegnata al lavoro nelle paludi. Fu colpita dal tifo e da una complicazione nefritica. Piaghe si erano aperte nelle gambe.

    L’ultima volta che Charlotte la vide viva fu l’8 luglio. Nonostante il delirio pregò una compagna di giaciglio di far sapere a suo padre che era stata coraggiosa fino alla fine e che non rimpiangeva nulla.

    I giornali resero omaggio alla morte di Vivà e da ogni parte d’Italia arrivarono a Nenni lettere e telegrammi.

    La lettera che più colpì Nenni fu quella di Benedetto Croce: “Mi consenta di unirmi anch’io a Lei in questo momento altamente doloroso che Ella sorpasserà ma come si sorpassano le tragedie della nostra vita: col chiuderle nel cuore e accettarle perpetue compagne, parti inseparabili della nostra anima.”

    Ad agosto del 1947 Nenni fece visita al campo di Auschwitz.

    E negli anni successivi non mancò di incontrare altre superstiti, compagne di prigionia della figlia.

    Scrive nel suo diario: “Mi è sembrato che chi può fiorire una tomba conserva un’apparenza almeno di legame con i suoi morti. Non così per me che penso disperatamente alla mia Vittoria e non ho neppure una tomba dove volgere i miei passi”.

    Nel maggio del 1971 Nenni, accompagnato dalla figlia Giuliana, fece un viaggio in Israele.

    A circa 25 chilometri da Gerusalemme visitarono la foresta dei martiri dove un cippo e una lapide riportavano una semplice scritta: ”Bosco in memoria di Vittoria Nenni Daubeuf 1915-1943”.

    Quel giorno nel suo diario Nenni annotò “Da oggi in poi ho un luogo in Israele dove venire o al quale pensare quando più forte mi assale l’angoscia per la morte crudele di mia figlia”.