lunedì 4 luglio 2011

Ma Ichino che ci azzecca Con il Centro-sinistra?

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Incredibile Pd: sulle politiche del lavoro il 18 giugno c'è unanimità, il 24 ci si dissocia. Ed è sempre Pietro Ichino a sventolare un vessillo da stato confusionale dietro il quale, in verità, i votanti del centrosinistra sono sempre di meno.

 

di Renato Fioretti

 

Presento qui alcune valutazioni rispetto a un importante appuntamento che ha - recentemente - coinvolto gli "stati maggiori" del Pd. Nei giorni 17 e 18 giugno, si è tenuta la prima Conferenza nazionale per il lavoro del Partito democratico.

    La stessa, come noto, era stata preceduta - nel maggio 2010 - da un'Assemblea nazionale, nel corso della quale erano state indicate le proposte per il "diritto unico  del lavoro".

    Un importante tema, che, se nel 2010 produsse, in realtà, una sostanziale contrapposizione "politica" - nessun voto contrario, ma quasi il 50 per cento di astenuti - nei giorni scorsi ha, eccezionalmente, realizzato un documento finale approvato all'unanimità. 

    In effetti, già lo scorso anno si realizzò una situazione di tipo kafkiano.  

    Poco più della maggioranza semplice dei partecipanti all'Assemblea approvò la risoluzione finale che, in particolare, rispetto al tema del superamento della precarietà, rigettava l'ipotesi di "Contratto unico" di Ichino e accoglieva la tesi del responsabile economico del partito. Tesi secondo la quale, al fine di favorire i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si rendeva necessario aumentare - in termini retributivi e previdenziali - il costo del lavoro "atipico".

    Contemporaneamente, un numero più o meno corrispondente di partecipanti, evidentemente "sedotti" dalla formula del "Tutti a tempo indeterminato, nessuno inamovibile" (di cui al ddl 1481/09 di Pietro Ichino), fu sostanzialmente costretto - a mio parere, allo scopo di non ufficializzare una netta contrapposizione - a limitare il proprio dissenso attraverso l'astensione. 

    Tale "savoir-faire" fu, però, bruscamente interrotto nello scorso mese di aprile.

    In quei giorni, infatti, a un articolo apparso sulle pagine del Corriere della Sera, a firma di Pietro Ichino, Nicola Rossi e Luca Cordero di Montezemolo - attraverso il quale l'inedito "Trio", con l'aggiunta di un entusiasta Piercamillo Falasca (di Futuro e Libertà) faceva il panegirico del ddl 1481/09 - si contrappose un duro intervento di Stefano Fassina.

    Lo stesso, senza più alcun riguardo nei confronti dei colleghi di partito, non esitava, infatti, a parlare di "proposte tendenti a creare illusioni ai giovani afflitti dal dramma della precarietà del lavoro e del protrarsi di un paradigma ideologico e fasullo realizzato attraverso la contrapposizione (forzata e strumentale) della "generazione 1.000 euro" dei figli, a quella 1.200 dei padri"!

    Personalmente, anche se ancora oggi non ritengo che quella proposta del Pd potesse risolvere i problemi (professionali e sociali) dei lavoratori "atipici", né, tanto meno, che la soluzione potesse (e possa) essere affidata al contratto "a protezione crescente" che suggerisce Ichino, avevo, all'epoca, molto apprezzato che, all'interno del maggior partito di opposizione, fosse stata - finalmente - adottata una decisione "di merito" rispetto al dramma della precarietà di milioni di lavoratori italiani; giovani e meno giovani.

    Purtroppo, la recente Conferenza ha - drammaticamente - riproposto una grave contraddizione.

    Infatti, l'epilogo della "due giorni" ha confermato il carattere "distonico" della politica del Pd. Rispetto al lavoro, come a qualsiasi altro tema.

    Esaminiamo i fatti. All'inizio dei lavori del 17 e 18 giugno, a Genova, in effetti, si confrontavano due documenti.

    La relazione introduttiva di Stefano Fassina che, tra l'altro, relativamente al delicato tema dell'occupazione - e, in particolare, a quello della precarietà - prevedeva un "Progetto" da articolare attraverso: a) l'eliminazione dei vantaggi di costo del lavoro precario rispetto al lavoro stabile, b) la drastica riduzione delle tipologie contrattuali, c) la riforma dell'apprendistato, d) l'istituzione di un salario minimo. 

    Un "contributo di un gruppo di parlamentari, studiosi e dirigenti del Pd" (tra i quali autorevoli esponenti quali: Walter Veltroni, Ignazio Marino, Enrico Morando e Sergio Chiamparino) che - allo stesso fine - "sponsorizzavano " il ddl 1873/09 di Ichino, comprendente il nuovo "Codice del lavoro" e l'ossessiva riproposizione del "Tutti a tempo indeterminato, nessuno inamovibile".

    Lo stesso Ichino, nel suo intervento alla Conferenza, aveva ripetuto che "Non può bastare la parificazione contributiva per garantire universalità effettiva al nostro diritto del lavoro….".

    Ebbene, in una situazione di questo tipo, era apparsa (per lo meno) stupefacente la straordinaria capacità del gruppo dirigente del Pd di concludere i lavori con l'approvazione all'unanimità di un OdG con il quale - se il "Progetto" (di cui alla relazione introduttiva) si riduceva fino a prevedere la sola "equiparazione del costo e delle tutele di tutte le forme contrattuali, misure fiscali e politiche sociali di vantaggio per donne lavoratrici e giovani" - i 600 delegati riuscivano nell'ardua impresa di condividere unitariamente tanto la relazione introduttiva di Fassina, quanto il documento - dell'aprile 2011 - "Persone, lavoro e democrazia". 

    Documento attraverso il quale - è opportuno rilevarlo - si riteneva impraticabile la proposta di contratto unico e non condivisibile il superamento dell'art. 18 dello Statuto; ormai storico obiettivo di Pietro Ichino!

    Quindi, delle due l'una: o si era trattato di una farsa, oppure, secondo l'accreditata ipotesi di un soggetto poco avvezzo alle alchimie politiche dei vertici del Pd - tanto abili da riuscire a far coesistere, all'interno del partito, le più bizzarre elucubrazioni - al momento del voto finale, Pietro Ichino e gli altri 36 sottoscrittori del "Contributo" erano alla buvette intenti a sorseggiare un caffè!

    In realtà, il secondo documento era stato, diplomaticamente, ritirato e conservato "agli atti" quale possibile "arricchimento".

    Un chiaro espediente per comunicare all'esterno una comunanza d'intenti che, alla prova dei fatti, ha resistito appena qualche giorno!

    In questo senso, la più eclatante delle conferme, è stata fornita dallo stesso giuslavorista milanese.

    L'occasione è stata fornita da un articolo, pubblicato sul "Sole 24 Ore" del 24 giugno, di Michele Tiraboschi,

    In quella sede, il successore di Marco Biagi nell'incarico di consulente del ministro Sacconi, rilevava - a valle della Conferenza del Pd - un'oggettiva corrispondenza, tra maggioranza e opposizione, su due temi ritenuti centrali nel dibattito sulle riforme del lavoro.

    In estrema sintesi: l'indisponibilità all'adozione del "Contratto unico" e l'intenzione di rilanciare l'apprendistato. Nulla più di questo.

    Sufficiente, però, a scatenare il livore e il risentimento di Pietro Ichino nei confronti di Stefano Fassina, accusato, in sostanza, di realizzare "un'altra sorprendente manifestazione di convergenza" con le forze del male (corsivo mio) dell'opposizione - attraverso Tiraboschi - sulla strategia per il superamento del dualismo del mercato del lavoro. Dimenticando, troppo repentinamente e con discutibilissima superficialità, che la proposta Fassina - pur se non (totalmente) condivisibile - era stata tanto ampia da non poter, in alcun modo, "convergere" con gli unici due elementi di confronto "estrapolati" da Tiraboschi: il contratto unico e l'apprendistato.

    Si è quindi trattato, a mio parere, di un palese tentativo di discredito ai danni di un interlocutore scomodo e poco propenso a condividere quella che allo stato pare rappresentare, per Ichino, una vera e propria ossessione: la cancellazione - a qualsiasi prezzo - dell'art 18 della legge 300/70!

    Tra l'altro, rispetto al tema delle paventate "convergenze", con gli avversari politici di turno, è a tutti ampiamente noto che i più fedeli e tenaci sostenitori delle proposte di Ichino sono - di norma - esponenti e simpatizzanti del centrodestra!

    Che si tratti di riformare il mercato del lavoro e rendere più costosi gli studi universitari, optare per l'energia nucleare o preoccuparsi di garantire "un'adeguata remunerazione dei capitali privati investiti nella gestione dei servizi idrici", è sempre Pietro Ichino a reggere il vessillo dietro il quale, in verità, i rappresentanti e i votanti del centrosinistra sono sempre di meno.

    Tanto che qualcuno potrebbe, legittimamente, chiedersi: "Ma Pietro Ichino, che ci azzecca con il Centro-sinistra?"

Una voce nel vento

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Mauro Rostagno (1942-1988) è stato ricordato a Berlino dallo scrittore amico di una vita Peter Schneider e dal regista Alberto Castiglione, autore del documentario "Una voce nel vento" nella quale ricostruisce l'assassinio mafioso di un giornalista che fu tra i fondatori di Lotta Continua.

di Laura Garavini deputata PD, circoscrizione estero

Era un uomo che aveva il coraggio di denunciare gli intrecci tra mafia, potere ed economia. Un giornalista che con i suoi servizi osava fare i nomi dei colpevoli e spingeva i suoi concittadini a fare altrettanto.

    A Berlino abbiamo ricordato Mauro Rostagno, vissuto da giovane anche in Germania e in Inghilterra, in un dibattito insieme allo scrittore tedesco Peter Schneider, suo amico, e al regista Alberto Castiglione, autore del documentario "Una voce nel vento".

    Il pubblico a Berlino è rimasto impressionato da questo filmato che, con le sue rivelazioni, ha consentito di riaprire il processo a distanza di oltre 20 anni dall'omicidio – consiglio vivamente di mostrarlo anche in altre città.

     Sulla situazione attuale dell'antimafia in Italia e delle collaborazioni internazionali ho parlato questo mese a Napoli con gli esperti della sicurezza interna della SPD bavarese e nazionale. Siamo d'accordo sulla necessità di creare le condizioni politiche per rendere possibile una collaborazione più stretta e moderna in materia di contrasto alla criminalità organizzata.

Anche a Roma, il 19 giugno scorso, si è svolto un incontro pubblico con la partecipazione di Marco Boato, Leoluca Orlando e Paolo Brogi in ricordo di Mauro Rostagno (vai alla registrazione audio su Radio Radicale), per richiamare l'attenzione su quanto sta emergendo nell'Aula Falcone di Trapani dove è in corso il processo per l'assassinio del giornalista: una tra le pagine più vergognose e infami della storia italiana. Vennero accusati i vecchi compagni di Lotta Continua, arrestata la sua compagna, perseguitata la sua comunità terapeutica... Nel 1988 ai funerali di Rostagno l'allora ministro della Giustizia, il socialista Claudio Martelli, disse che a suo giudizio si trattava di un assassinio mafioso. Per queste parole, cinque anni dopo, Martelli non più ministro venne inquisito con l'accusa di "tentato depistaggio".

 

 

IPSE DIXIT

Elementi minimi - «È impossibile una qualunque cazzo di battaglia in questo Paese se non si ripristinano elementi minimi di legalità e di stato di diritto.» – Emma Bonino

Parla anche di noi - «Credo che ben pochi italiani abbiano avuto notizia dello sciopero della fame di Marco Pannella, iniziato il 20 aprile scorso, dunque 75 giorni fa. Pannella e i Radicali protestano contro la situazione inumana delle carceri italiane, un problema che si protrae ormai da anni, e ogni estate assume tratti drammatici. Nelle carceri italiane sono rinchiusi quasi 70 mila detenuti, a fronte di una capienza che non raggiunge i 45 mila posti . . . E la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha già richiamato più volte l'Italia per le condizioni dei detenuti nelle carceri. Nonostante tutto ciò il tema non è mai, non dico al centro, ma neppure alla periferia del dibattito politico . . . Perciò, non auto-inganniamoci. Lo sciopero della fame di Marco Pannella sembra parlare solo dei detenuti, ma parla anche di noi.» – Luca Ricolfi
 
 

LEGALITÀ

L'ARRESTO DI GIUSEPPE RIINA E L'IMPORTANZA DELLE INTERCETTAZIONI

"Il mandamento di Corleone ha ancora un peso  notevole negli equilibri di Cosa nostra. L'arresto di quattro boss, tra cui il fratello di Totò Riina, infligge un duro colpo all'organizzazione e conferma l'importanza delle intercettazioni quale strumento indispensabile per l'attività investigativa. Il governo, quindi, la smetta di minacciare un provvedimento che ne limiti l'utilizzo. Piuttosto faccia il possibile per assicurare ai magistrati e alle forze dell'ordine più risorse e mezzi". Lo dichiara il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia, commentando l'operazione "Apice".
 
 

Nebbia in Val Padana

Mercedes Bresso aveva vinto

È stato condannato il truccatore di firme a favore dell'attuale presidente della Regione Piemonte, il leghista Cota

Dal manifesto del 1° luglio 2011

Traballa, e parecchio, la poltrona del presidente del Piemonte Roberto Cota che, nel 2010, aveva vinto su Mercedes Bresso per soli 9mila di voti. Il processo per falso avviato a Torino nel dicembre scorso ha portato ieri alla condanna a due anni e otto mesi di Michele Giovine, la cui lista Pensionati per Cota ha contribuito con 27 mila voti alla vittoria del leghista. Per il tribunale erano false le firme racconte in 17 circoscrizioni su 19. Una bella soddisfazione per Bresso e per i radicali che sin dall'inizio hanno denunciato l'illegalità di quel voto. Anche perché con ogni probabilità la sentenza avrà effetti decisivi sul procedimento in corso per accertare la regolarità delle elezioni.

    Cota tira dritto: «I problemi legati alle autentiche delle firme di una lista non mi riguardano. Se qualcuno ha sbagliato, paghi. I voti che i piemontesi mi hanno dato sono veri e validi».

    Bresso è di un altro parere: «Cota che non poteva non conoscere le modalità con cui Giovine operava». E finalmente il Pd chiede, insieme al resto della coalizione, «il ritorno alle urne, perché Cota non ha vinto, e la elezioni sono state viziate da una vera e propria truffa» (così il segretario regionale Morgando).

    La sentenza dà ragione a Bresso e ai radicali, e ancora una volta punisce la prudenza con cui il Pd si è schierato all'indomani della sconfitta, diviso da una delle sue guerre interne. Dal punto di vista tecnico, la condanna penale non ha conseguenze amministrative automatiche. Ma il procedimento amministrativo intentato all'indomani del voto da Bresso e altri è ancora aperto. Il 4 ottobre ci sarà l'udienza della Consulta, coinvolta dal Consiglio di Stato che ha ritenuto incostituzionale la sentenza del Tar nel punto in cui rinviava il procedimento amministrativo su Giovine alla conclusione dell'iter giudiziario civile a suo carico. I tempi lunghi di questo ulteriore processo potrebbero portare alla sentenza dopo la fine della legislatura.