martedì 28 giugno 2016

La regina del mondo e il suo uso

IPSE DIXIT

 

Inseguire una palla - «Gli uomini si interessano a inseguire una palla o una lepre… L'unica cosa che ci consola delle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie. Perché è esso che principalmente ci impedisce di pensare a noi stessi e ci porta inavvertitamente alla perdizione. Senza di esso noi saremmo annoiati, e questa noia ci spingerebbe a cercare un mezzo più solido per uscirne. Ma il divertimento ci divaga…». – Blaise Pascal

 

Ridersela della filosofia - «Ridersela della filosofia significa filosofare per davvero». – Blaise Pascal

 

E loro ridevano - «Non si riesce a immaginare Platone e Aristotele se non con gran vesti di pedanti. Erano invece delle persone comuni e ridevano, come gli altri, con i loro amici; e quando si sono divertiti a scrivere le Leggi e la Politica l'hanno fatto per divertirsi; questa era la parte meno filosofica e meno seria della loro vita, mentre la più filosofica era di vivere semplicemente e tranquillamente. Se hanno scritto di politica, l'han fatto come per dar norme per un manicomio; e se hanno finto di parlarne come di cosa seria, l'hanno fatto perché i pazzi a cui si rivolgevano credevano di essere re e imperatori, ed essi si immedesimavano dei princìpi di costoro per rendere la loro follia meno dannosa possibile». – Blaise Pascal

 

La follia necessaria - «Gli uomini sono così necessariamente folli che il non essere folle equivarrebbe a essere soggetto a un'altra specie di follia». – Blaise Pascal

 

Miseria e nobiltà - «La grandezza dell'uomo è così evidente che si deduce anche dalla sua miseria». – Blaise Pascal

 

Entusiasticamente - «Gli uomini non fanno mai il male così completamente ed entusiasticamente come quando lo fanno per convinzione religiosa». – Blaise Pascal

 

La regina del mondo e il suo uso - «La forza è la regina del mondo, non già l'opinione. – Ma l'opinione fa uso della forza». – Blaise Pascal

 

Le lunghe lettere - «Questa lettera è più lunga delle altre perché non ho avuto agio di farla più breve». – Blaise Pascal

 

martedì 21 giugno 2016

Verso il Referendum - Perché No

Il mio NO rotondo e motivato, fermo, deciso e intransigente, ma sempre sereno e pacato. Affinché l'ANPI e il PD passino dallo scontro al confronto.

 

di Felice Besostri

 

Lunedì 30 maggio si è tenuto uno dei pochi confronti tra sostenitori del SI' e del NO al referendum costituzionale di ottobre. Luogo di incontro, promosso dall'ANPI e dalla sezione PD Pietro Calamandrei, la Sala Trasparenza in Via della Libertà a Cesano Boscone. Il mio interlocutore è stato un deputato del PD, Matteo Mauri. Ho esordito parlando della necessità che si moltiplichino i confronti tra il Sì e il No, come al tempo del referendum sul divorzio per avere un voto consapevole. Ai banchetti per la raccolta delle firme mi è capitato di incontrare elettori convinti che il Senato fosse stato abolito e non ridotto ad un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci.

    All'incontro partecipavo come relatore designato dall'ANPI per il NO. Non capisco perché gli organizzatori mi abbiano qualificato come ex senatore DS: nostalgia del passato o soddisfazione che non sia più in Senato? Comunque preferisco essere un ex senatore che un ex di sinistra se fossi rimasto nei DS per confluire nel PD. In effetti una proposta di revisione costituzionale, come la Renzi Boschi non avrebbe avuto alcuna probabilità di passare in una Commissione Affari Costituzionali, dove ero il capogruppo dei DS ed era presieduta dal prof. Massimo Villone e non dalla senatrice Finocchiaro.

    In questa riscrittura di 48 articoli della Costituzione manca la trasparenza: il primo ministro è di fatto eletto direttamente, grazie ad un ballottaggio, cui si accede senza quorum di partecipazione al voto e/o di percentuale delle liste ammesse, ma formalmente facendo salve le prerogative del Presidente della Repubblica come prevede la forma di governo parlamentare: quella scelta dai padri costituenti. Malgrado l' art. 92.2 Cost. potrebbe il Capo dello Stato nominare Presidente del Consiglio dei Ministri un personaggio diverso da quello indicato come capo politico della lista, che dispone almeno di 340 seggi su 630 della Camera? No!

    La preoccupazione maggiore è che questa revisione sia un antipasto di quella vera, fatta non più da un Parlamento di 945 parlamentari eletti più 6 senatori a vita o di diritto, ma da una Camera di 630 deputati e da un Senato a mezzo servizio di 100 membri. I principi fondamentali sono già stati toccati e proprio l'art. 1.2 Cost. togliendo al popolo sovrano il potere di eleggere il Senato. L'elezione diretta di un Senato di 100 membri non avrebbe migliorato la situazione. La vera soluzione, che avrebbe avuto ampio consenso, era la riduzione della Camera a 400 deputati e del Senato a 200 in totale 600 invece di 730: un risparmio maggiore dei costi della politica. L'altra soluzione sensata era di passare davvero ad un Parlamento monocamerale con una legge elettorale proporzionale, corretta da una soglia di accesso. Per dare stabilità ai governi basta la sfiducia costruttiva.

    I premi di maggioranza non sono conformi alla Costituzione, perché se vincolano il parlamentare, eletto grazie al premio, sono in contrasto con l'art. 67 Cost., che vieta il mandato imperativo. Se, invece, non lo vincolano, come è avvenuto nelle legislature conseguenti alle elezioni del 2006, 2008 e 2013, si sacrifica gravemente e inutilmente la rappresentatività. L'attuale Senato è composto da 315 senatori eletti su base regionale più i senatori di diritto, gli ex Presidenti della Repubblica e i senatori a vita, massimo 5. Il nuovo " Senato della Repubblica è composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica" (art.. 57.1rev).

        L'art. 57 Cost. revisionato è inapplicabile perché richiede che i consigli regionali e di provincia autonoma eleggano i senatori "con metodo proporzionale", impossibile quando i senatori siano 2 o 3 in totale, di cui uno sindaco. Ebbene è il caso di 11 regioni e 2 province autonome su 21, cioè la maggioranza. Con i sindaci tutti e i 5 di nomina presidenziale il totale dei senatori non eletti con sistema proporzionale è il 36% del nuovo Senato.

    Gli attuali senatori a vita non spariranno, ma resteranno in carica vita natural durante e con tutte le prebende ed indennità garantite a loro e agli ex Presidenti della Repubblica da una norma transitoria. Teoricamente il Presidente Mattarella, finché non promulgherà la legge di revisione costituzionale nel deprecabile esito positivo del referendum ex art. 138 Cost., ne può nominare ancora uno, come lascito del suo mandato: l'ultimo mohicano senatore. La superficialità, che ha accompagnato l'arroganza, con la quale è stata approvata la revisione costituzionale ha fatto alcune vittime specifiche, come i 5 senatori, che possono essere nominati dai Presidenti della Repubblica per 7 anni, man mano che muoiono – o si dimettono per scaramanzia – i senatori a vita in carica: non rientrano nella norma transitoria e quindi niente indennità di carica.

    Se la logica è che i consiglieri regionali e i sindaci senatori non ricevono indennità perché già ne godono di un'altra, che succede se i 5 senatori a tempo non sono né consiglieri regionali, né sindaci? Devono essere ricchi o pensionati d'oro? E l'uguaglianza dei cittadini dove la mettiamo? Per persone che hanno illustrato la Patria per meriti artistici e letterali ve ne possono essere di indigenti: proprio per loro si è fatta una apposita legge, chiamata legge Bacchelli, dal primo romanziere che ne beneficiò. Contrariamente a quanti molti pensano, avendo erroneamente interpretato l'espressione dell'art. 57.1rev. "rappresentativi delle istituzioni territoriali" come "maggiormente rappresentativi" non è detto che i senatori sindaci debbano essere sindaci di grandi città: è pura invenzione. Essi devono essere "sindaci dei comuni dei rispettivi territori" (art. 57.2rev.), cioè devono essere sindaci di un comune della regione o provincia autonoma quali che sia il numero degli abitanti.

    Penso che sia facile prevedere che nelle regioni (per es. la Sardegna) dove non c'è incompatibilità tra consigliere e sindaco di comune sotto i 5.000 abitanti sarà più probabile che sia eletto senatore un consigliere regionale sindaco di piccolo comune che il sindaco del Capoluogo di regione o di un capoluogo di un'ex provincia. All'internodi un partito per esempio uno scambio tra un posto di assessore e consigliere regionale o per far tornare i conti all'interno di una coalizione al governo di una regione, quando i senatori assegnati, ai sensi dell'art. 57.3 rev., siano pochi, al massimo 6, vale a dire in ben 15 regioni/province autonome su 21. Bisogna poi tenere conto che le indennità dei sindaci variano da 2.500 € mensili per i più piccoli fino a 15.100€ per i più grandi, ma chi prende di più non può pensare di andare a Roma non diciamo 2/3 giorni la settimana, ma nemmeno un giorno intero.

    Non solo ci sono queste controindicazioni, come ha detto il Sindaco di Cesano Boscone, una città di 23.000 abitanti, ma i sindaci di Città metropolitana possono essere nominati senatori solo se sono sindaci metropolitani ex lege, come sindaci del comune capoluogo della Città Metropolitana. Se un sindaco metropolitano avesse la cattiva idea di farsi eleggere direttamente dai cittadini insieme con il consiglio metropolitano non può essere nominato senatore, perché cesserebbe di essere sindaco di un Comune. Con l'attuale formulazione dell'art. 57rev. è impossibile, come si è accennato sopra, eleggere il Senato perché ci sono troppe indicazioni contraddittorie: 1) devono i consiglieri regionali/senatori[ non i sindaci/senatori] essere eletti dai consigli regionali o di provincia autonoma con metodo proporzionale... tra i propri componenti (art. 57.2rev.); 2) in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma (art. 57.5rev.); 3) I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio (art. 57.6 ult. periodo rev.). Ogni regione o Provincia autonoma (per questa ragione la regione Trentino Alto Adige con poco più di un milione di abitanti ha 2 senatori sindaci, mentre la Lombardia con 9.7000.000 abitanti ne ha uno solo) deve avere almeno 2 senatori (art. 57.3rev.). La ripartizione dei seggi tra le Regioni, tolti i 2 di diritto si effettua "in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall'ultimo censimento generale" (art. 57.4rev.).

    Nella legge del sesto comma non si può fare un'elezione diretta del consigliere regionale senatore perché bisogna tenere conto anche della composizione di ciascun consiglio: cosa succede se il più votato per il Senato appartiene ad una lista minoritaria della coalizione al governo o comunque della minoranza o addirittura di lista, che non superasse la soglia per entrare in consiglio regionale? Si può obiettare che questo è un caso di scuola, ma è un fatto, come già detto, che in 8 regioni e nelle 2 province autonome ci sono solo due senatori di cui uno sindaco, come si fa ad eleggerli con metodo proporzionale? Per colmo di scarsa rappresentatività, anche indiretta, della popolazione le leggi elettorali regionali sono tutte maggioritarie con premi di maggioranza tra il 55 e il 61% per cento e come l'Italikum la partecipazione al voto non altera l'entità del premio. Nel 2015 in Emilia Romagna ha votato meno del 38% degli aventi diritto, quindi la proposta di governo dei vincitori, ma anche quelle alternative delle opposizioni, non hanno convinto nemmeno la metà degli aventi diritto a recarsi al voto: governabilità imposta contro la volontà della maggioranza dei cittadini elettori.

    In Germania nel 2012 la Merkel, candidata Cancelliera dell'Unione CDU-CSU, ha ottenuto il 43,7% dei voti. Se avesse avuto come legge elettorale un bel Germanikum, traduzione tedesca dell'Italikum, gli sarebbe spettato il 54% del Bundestag, invece ha dovuto penare 2 mesi per trovare una maggioranza con la quale redigere in buona e dovuta forma un Contratto di Governo, non un programma dell'Ulivo (1966) o dell'Unione (2006), con dentro di tutto e il suo contrario, ma impegni precisi e un cronoprogramma. Quando si chiede a politici o costituzionalisti tedeschi. Perché non fanno come da noi? La risposta è semplice: se la Merkel ha il 43,7%, significa che il 56,3% non è s'accordo con lei e in democrazia il 56,3% è di più del 43,7%. Elementare Watson.

    La pretesa di sapere la sera delle elezioni chi governerà per tutta la legislatura stabilmente e senza pericolo non è condivisa dagli Stati Uniti, che pure hanno un sistema presidenziale. Il prossimo 4 novembre, alla sera, si saprà il nome del prossimo Presidente USA. Se poi ella/egli potrà realizzare il suo programma, questo dipenderà dalle elezioni della Casa dei Rappresentanti e del Senato. Nel primo mandato, conquistato nel 2008, Obama aveva una maggioranza al Senato, e nella la Casa dei Rappresentanti, ma nella Midterm Election del 2010 mantenne la maggioranza nel solo Senato. Nelle elezioni del 2012 Obama fu riconfermato, ma sempre in minoranza nella Casa dei Rappresentanti. E finì "azzoppato" totalmente nelle Elezioni di Mezzo Termine del 2014, perdendo la maggioranza in entrambe le Camere del Congresso USA.

    Quando si chiede la ragione di ciò la risposta è semplice: il Presidente degli Stati Uniti è molto potente, quindi i controlli e i contrappesi devono essere forti. A metà mandato spetta al popolo mandare un segnale al Presidente. La nostra revisione, invece, lascia il Presidente del Consiglio dei Ministri senza controlli e contrappesi, padrone dell'agenda parlamentare e della Camera dei deputati, che dà la fiducia – dimenticando il monito della Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789, per la quale "La società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione" (Art. 16).

    Con 3 membri della Corte Costituzionale eletti dalla Camera e 2 dal Senato, non è più necessario trovare un'intesa in un Parlamento in seduta comune, più semplice eleggere a maggioranza i 2 giudici di competenza del Senato, male che vada la lista beneficiaria del premio di maggioranza ne eleggerà uno al Senato. Con un Presidente della Repubblica espressione della stessa maggioranza politica della Camera sono assicurati almeno 8 membri su 15, la maggioranza della Corte Costituzionale.

    Non basta: con il metodo di elezione indiretta del Senato, già sperimentata, senza reazioni popolari con la legge Del Rio per Province e Città Metropolitane si è scoperto più facile non abrogare Senato e/o Province, ma la democrazia nella loro elezione: con le elezioni di secondo grado si saprà chi governerà… la sera prima delle elezioni! Nelle passate elezioni provinciali era legittima la candidatura di un solo Presidente di Provincia e di una sola lista di consiglieri provinciali pari ai posti da eleggere: tutti insieme appassionatamente.

    C'è un semplice test: confrontare i testi degli art. 57 e 70 Cost. vigenti e quelli revisionati. Del 57 ho parlato, il 70 vigente era comprensibile da tutti, con licenza elementare: "La funzione legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere". Un comma di nove parole: quello revisionato è di 6 commi e di diverse centinaia di parole. I costituzionalisti, titolari di insegnamento universitario, non si sono ancora accordati su quanti siano i procedimenti di approvazione delle leggi, si va da 4 a 7: una bella semplificazione! Votino SI' chi ha capito i nuovi articoli 57 e 70, chi non li capisce o ha dei dubbi voti NO al referendum di Ottobre, se non altro per il principio di precauzione.

    E non abbiamo parlato della legge elettorale, che si chiama Italicum (io preferisco Italikum), perché in nessuna altra parte del mondo si cumulano premi di maggioranza e soglia di accesso. Inoltre il premio di maggioranza è inversamente proporzionale al consenso elettorale. In altre parole, se hai il 40% dei voti validi espressi, quindi comprese le schede bianche e i voti per liste sotto soglia del 3%, riceverai in premio un 15% di seggi in più, se sei ammesso al ballottaggio con il 25% dei voti espressi, escluse bianche e voti per liste sotto soglia, e lo vincesse, più che raddoppierebbe i seggi di sua spettanza.

    Ci sono italiani di serie A, quelli delle regioni Val d'Aosta e Trentino Alto Adige, quelli di serie B, tutti gli altri italiani residenti sul territorio nazionale ed infine quelli di serie C, quelli della Circoscrizione estero. I primi eleggono i loro rappresentanti al primo turno in collegi uninominali con recupero proporzionale di 3 seggi su 8, che nessuno può toccare, ma partecipano al ballottaggio, decidono quale lista prende il premio di maggioranza, come nel 2006 e nel 2013 con il porcellum e quindi decidono chi governerà gli altri 60 milioni di italiani.

    Quelli di serie B subiscono i capilista bloccati, non sanno chi sarà eletto nel proprio collegio con le preferenze, perché li decide l'algoritmo, che distribuisce i seggi del premio di maggioranza su scala nazionale e se appartengono ad una minoranza linguistica diversa dalla francese della Val d'Aosta o tedesca della Provincia di Bolzano, per esempio sei un sardo, un friulano, uno sloveno o un occitano identitario non hai garanzia di rappresentanza.

    Infine se siete italiani della Circoscrizione estero vi possono rubare il voto, alterare i risultati e siete esclusi dal ballottaggio, anche se siete molti milioni in più dei trentin-altoatesini.

    Con un popolo informato, la vittoria dei NO è scontata, ma va da sé: questo dovrà essere evitato ad ogni costo con il controllo dei mass-media, senza alcun rispetto del pluralismo informativo. Ma neanche questo basterà. Quindi nella parte finale della campagna referendaria ci sarà il terrorismo politico-finanziario sulle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile: il diritto di voto dei cittadini sarà espropriato dalle agenzie di rating, dal FMI e dalla BCE: alla faccia del voto libero, uguale e personale previsto dal nostro art. 48.2 Cost.

 

 

IPSE DIXIT

 

Coro di deportati - di Franco Fortini

 

Quando il ghiaccio striderà

dentro le rive verdi, e romperanno

dai celesti d'aria amara

nelle pozze delle carraie

globi barbari di primavera

noi saremo lontani.

 

Vorremmo tornare e guardare,

carezzare il trifoglio dei prati,

gli stipiti della casa nuova,

piangere di pietà

dove passò nostra madre:

invece saremo lontani.

 

Invece noi prigionieri

rideremo senza requie

e odieremo fin dove le lame

dei coltelli s'impugnano.

Maledetto chi ci conduce

lontano, sempre lontano.

 

E quando saremo tornati

l'erba pazza sarà nei cortili,

e il fiato dei morti nell'aria.

Le rughe sopra le mani,

la ruggine sopra i badili:

e ancora saremo lontani.

 

Saremo ancora lontani

dal viso che in sogno ci accoglie

qui, stanchi d'odio e d'amore.

Ma verranno nuove le mani

come vengono nuove le foglie

ora ai nostri campi lontani.

 

Ma la gemma s'aprirà,

e la fonte parlerà, come una volta.

Splenderai, pietra sepolta,

nostro antico cuore umano,

scheggia cruda, legge nuda,

all'occhio del cielo lontano.

 

Da L'Avvenire dei lavoratori, quindicinale socialista, 15 aprile 1944

 

  

Roma-Auschwitz 

Cominciò attorno alle 5,30 - «La grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma cominciò attorno alle 5,30 del 16 ottobre 1943. Oltre cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico. Con­tem­poraneamente altri duecento militari si distribuirono nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Quando il gigantesco rastrellamento si concluse erano stati catturati 1022 ebrei romani. / Due giorni dopo in 18 vagoni piombati furono tutti trasferiti ad Auschwitz. Solo 15 di loro sono tornati alla fine del conflitto: 14 uomini e una donna. / Tutti gli altri… sono morti, in gran parte appena arrivati, nelle camere a gas. Nessuno degli oltre duecento bambini è sopravvissuto.» - Fausto Coen, 16 ot­tobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma

Giuntina, Firenze, 1983

 

mercoledì 15 giugno 2016

Andy Rocchelli: quale verità?

Radio 3 Mondo

 

Chi si ricorda di Andy Rocchelli, il giovane fotografo italiano che il 24 maggio del 2014 perse la vita in Ucraina? Due anni fa a Sloviansk, mentre era in corso l'offensiva dell'esercito ucraino, che avrebbe por­tato alla riconquista della città in mano ai filo-russi, Andy Rocchelli era lì, insieme all'interprete Andrey Mironov. A due anni di distanza le circostanze sulla sua morte rimangono ancora poco chiare. Nel frat­tem­po la sua famiglia continua a lottare per la ricerca della verità. La storia di Rocchelli oggi ricorda la storia di Giulio Regeni, entrambi mor­ti in nome della verità. - Nella puntata di giovedì 26 maggio alle 11.00 Roberto Zichittella ne hanno parlato con Rino ed Elisa Roc­chelli, genitori di Andy Rocchelli. >>> Vai all’audio della puntata

 

 

Confessione Reporter

 

Il servizio di Stella Pende a “Confessione Reporter”

 

Stella Pende è partita in Ucraina per cercare giustizia per Andy Rocchelli. Ne è nato un toccante servizio di Confessione Reporter (Rete 4, 6.6.2016) >>> Vai al video del servizio

 

            

Per Andrea Rocchelli

 

Fotografare al modo di mio figlio Andrea

 

Il testo dell’intervento della madre di Andrea Rocchelli alla Matinée a lui dedicata presso il Coopi di Zurigo

 

di Elisa Signori

 

Sono stata più volte qui a Zurigo a discutere di storia del Novecento, di antifascismo all’estero, di emigrazione italiana, di Resistenza, ma non avrei mai detto che un giorno mi sarebbe capitato di trovarmici per parlare di fotografie e di un fotografo ucciso due anni fa in Ucraina, mio figlio Andrea Rocchelli. Armato solo della sua macchina fotografica Andrea e il suo amico russo, Andrej Mironov, sono stati bersaglio di un lungo attacco con i mortai a Sloviansk nell’Ucraina nordorientale nel pomeriggio del 24 maggio 2014.

    Non sono un critico fotografico, ma ho visto da vicino il modo di Andrea di essere un fotografo e posso cercare di spiegarlo. Molte tematiche d’interesse coltivate in parallelo, molti, continui viaggi per andare vicino, molto vicino a vedere e capire quanto avveniva: fenomeni di costume in Italia – il velinismo – fenomeni di sfruttamento – i migranti in Calabria – la mercificazione dell’identità femminile – concorsi di bellezza agganciati a ideologie politiche, miss Padania – ma poi rivoluzioni, guerre, persecuzioni. I luoghi: la Libia e la Tunisia della primavera araba, l’Afghanistan, e poi l’Est Europa, Cecenia, Dagestan, Inguscezia, Kirghizistan, Mosca, l’eredità dell’implosione dell’Urss. Scenari drammatici che Andrea indagava con uno sguardo partecipe, dall’interno. Non solo scatti da reporter di guerra, non solo cronaca in presa diretta, ma storie di uomini e donne che quella guerra, rivoluzione, persecuzione vivevano. In qualche modo la violenza più che esibita in sé era riflessa nella dimensione dell’esistenza, dell’esperienza individuale e collettiva.

    Per mantenersi in questi viaggi lavorava per ONG o aveva strategie fantasiose. Come in Russia quando si inventò come fotografo a domicilio e raccolse un’antologia di ritratti femminili sullo sfondo degli ambienti domestici scelti dalle stesse donne fotografate. Tutto era nato dall’incontro simpatetico tra Andrea e molte giovani e meno giovani donne russe, desiderose di avere un bel ritratto, per ragioni e necessità diverse. Scatti a prezzo contenuto, realizzati direttamente a casa, sono stati l’occasione di una esplorazione dell’universo femminile che ha poi assunto gradualmente la valenza di una ricerca antropologica. Volti e contesti, gesti e sguardi, tessuti e arredi compongono un mosaico di atmosfere private e parlano linguaggi di confidente intimità. Ogni scatto coglie il soggetto in una posa spontanea, liberamente assunta mentre racconta al fotografo della propria vita. E gli interni diventano la chiave per interpretare le aspirazioni di chi li vive, li ha scelti o li subisce. I motivi cromatici e gli attributi tattili degli oggetti arricchiscono ogni scena come quinte teatrali e le pagine si aprono come sipari a svelare, e a nascondere, sogni, ambizioni, solitudini. Ne è uscito un libro Russian Interiors, apparso ahimè postumo e le foto sono state premiate dal World Press Photo 2015.

    In Ucraina nel febbraio 2014 si è trovato a documentare la cosiddetta “rivoluzione della dignità” di Maidan, ha vissuto con i manifestanti, li ha ritratti, uomini e donne di tutti i ceti, armati con arnesi da scontro medioevale, ha colto la rabbiosa reazione della polizia, le violenze, fino a trovarsi tra i primi all’epilogo, il vuoto di potere creatosi al vertice con la fuga dell’establishment.

    E in Ucraina è voluto tornare qualche mese più tardi: insieme al suo amico Andrej Mironov, russo, attivista dei diritti umani, raccoglievano testimonianze sulla vita della popolazione civile, li intervistavano, li ritraevano. La serie dei bunker è l’eredità di quei giorni: la guerra è raccontata attraverso le immagini dei bambini rifugiati nei bunker, stipati tra i vasi di sottaceti e di marmellate, terrorizzati dai bombardamenti notturni, dalla perdita dei genitori o dei fratelli colpiti negli attacchi.

    Avevano dei lasciapassare e Andrea fotografava postazioni e trincee che facevano pensare alla guerra di un secolo fa, registrava le parole di chi narrava come il conflitto li avesse sorpresi ignari ed estranei, una guerra voluta altrove, da qualcun altro. La retorica della guerra pa­triottica contro i separatisti s’infrangeva di fronte alle sofferenze di chi della guerra era solo una vittima. Mi disse che stava seguendo la storia di due ragazzi amici sin dall’infanzia che la guerra aveva trasformato in nemici schierati su fronti opposti, pronti a darsi vicendevolmente la morte. Non ho mai visto le immagini di questa storia.

    Cosa è successo il 24 maggio 2014 ormai lo sappiamo. L’alibi della guerra ai confini ha sin qui consentito alle autorità ucraine una strategia elusiva e a tutt’oggi non si dispone nemmeno di una versione ufficiale dell’accaduto. Ma le dichiarazioni rese dai testimoni oculari sopravvissuti – del gruppo si è salvato un giovane fotografo e il taxista – i dati emersi – luogo / ora –, le tracce raccolte da giornalisti scrupolosi e impegnati lasciano pochi dubbi sulla dinamica fattuale e sulle responsabilità, mentre resta ignota la ragione dell’attacco contro giornalisti inermi, come pure la catena di comando che ha scatenato l’attacco contro di loro. Non sono incappati in una scaramuccia tra postazioni nemiche, ma armati solo delle loro macchine fotografiche sono stati oggetto di un fuoco accanito e metodico. Ciò che è accaduto a Andrea Rocchelli è parte di un’ampia casistica, di cui vorrei sottolineare due aspetti.

    È entrata nell’uso la parola freelance per indicare chi come lui girava il mondo senza rete protettiva e senza un contratto fisso con una testata o una rete tv, ma la parola che fa perno sul concetto di libertà è fuorviante. Tutti i fotografi sono stati a forza spinti nello status di free lance dalla rivoluzione digitale che ha cambiato il mondo della stampa e ha destrutturato la loro professione: le testate hanno budget ridotti, usano foto di repertorio, lavorano in velocità, acquistano le foto che i fotografi propongono ma non li assumono, non esiste più la partnership giornalista/fotografo che nei decenni ha scritto la storia del giornalismo e fotogiornalismo nel mondo. Per questo Andrea aveva fondato con altri fotografi il collettivo autonomo Cesura, con l’ambizione dell’indipendenza e l’obiettivo di affermarsi grazie a un lavoro ben fatto. Una strada ardua e coraggiosa percorsa coltivando un’idea alta e eticamente impegnativa del lavoro di testimonianza e di informazione, ben lontana e diversa dalla superficialità stereotipata che ci è offerta dai media.

    L’altra considerazione riguarda l’incolumità dei giornalisti. Non è un caso che giornalisti e fotografi vengano rapiti, siano uccisi selettivamente nei contesti di dittature, di guerre, di violenze. Guerre anomale, non convenzionali e asimmetriche si moltiplicano nel mondo del terzo millennio.

    La terza commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu, quella sui diritti umani, ha approvato il 29 novembre 2013 all’unanimità una risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti e ha istituito il 2 novembre come Giornata internazionale per porre fine all’impunità dei crimini contro i giornalisti.

    Quando si creano giornate per qualcosa è segno che la situazione è incontrollabile e infatti l’escalation delle morti di fotografi e giornalisti continua, segnalata dai bollettini di Reporter sans frontières. Nel febbraio 2012 ricordo che Andrea andò a Parigi a intervistare la compagna del fotografo francese Remi Ochlik, 28 anni, ucciso da un bombardamento selettivo a Homs in Siria. Vidi la registrazione di quell’incontro, da cui emergeva il fatto che la casa dove erano Ochlik e i suoi colleghi, tra cui un’americana, lei pure uccisa, era nel mirino dei bombardamenti, era un obiettivo messo a fuoco con cura. I testimoni indipendenti, terminazioni del mondo libero esterno, dovevano essere annientati e così è stato. Una sorta di presagio, che mi è tornato in mente due anni più tardi. Ma quando si sparano cannonate contro i giornalisti si spara contro la nostra libertà di informazione, contro il nostro diritto di sapere e capire cosa succede.

    Un fotografo, un giornalista che muore è una voce libera che si spegne, uno sguardo attento e coraggioso che ci viene tolto, che non andrà più per noi a documentare e a raccontare con le immagini la complessità del reale. Senza di loro siamo più indifesi di fronte alle manipolazioni del potere, agli stereotipi, alle ricostruzioni artefatte degli attori interessati. Non possiamo guardare a queste morti come a effetti collaterali e normali dei conflitti. Gli antichi dicevano de re nostra agitur: si tratta di noi.

 

 

mercoledì 1 giugno 2016

Austria - Hofer ha perso, ma…

La sinistra di fronte ai populismi

 

Siamo stati un giorno e una notte col fiato sospeso: la vittoria è stata decisa dagli austriaci che hanno votato per posta.

 

di Felice Besostri

 

Gli austriaci residenti all'estero hanno deciso la partita, influenzati dall'opinione pubblica espressa dai grandi mezzi di comunicazione dei paesi che li ospitano. Vittoria non scontata.

    In Svizzera, Francia, Finlandia e persino nelle scandinave Norvegia, Svezia e Danimarca c'è un'altra opinione pubblica, quella dei votanti, che ha gli stessi sentimenti dell'elettore austriaco di Hofer. Certamente i simboli hanno importanza, se avesse vinto Hofer sarebbe stata la prima vittoria di un partito, che, nel secondo dopoguerra, è stato punto di raccolta dei nostalgici del totalitarismo nazista: come se in Italia avesse vinto il MSI di Almirante e Rauti. 

    La Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ) non è più quel partito, che non superava il 5%: è stato sdoganato due volte (un po' come il MSI diventato Alleanza Nazionale), prima dai socialdemocratici e poi dai popolari austriaci. Oltre a ciò si era fatto un'immagine di "governabilità-governante" con Haider in Carinzia.

    Se Hofer avesse vinto, tra l'altro, ci si accorgerebbe che l'Austria è un regime semipresidenziale, dove il Presidente di fatto non ha mai esercitato le sue prerogative perché espressione di due partiti, il socialdemocratico e il popolare, i cui leader aspiravano alla guida del governo.

    Se si prescinde dai simboli, le politiche della FPÖ non sono diverse da quelle della FIDESZ di Orban in Ungheria e della SMER di Fico in Slovacchia, che però hanno l'ipocrisia di far parte, il primo del PPE, il secondo del PSE. Ungheria e Slovacchia formano con la Polonia un trio di Governi, che quindi co-decidono nel Consiglio Europeo sulle politiche di migrazione.

    La sinistra è stretta nella morsa dei suoi valori da un lato e del concreto pericolo che i migranti siano usati come esercito industriale di riserva per comprimere ulteriormente i salari e destrutturare il welfare. Si dà così nuovo alimento ai populisti xenofobi, che imputano agli stranieri, e non al capitalismo, la perdita del lavoro. Costoro si oppongono allo smantellamento del welfare, ma sono del pari contrari la sua estensione ai non-cittadini stranieri.

    C'è una bella strada in salita davanti alla sinistra.

    Il pericolo è stato sventato di minima misura grazie al soccorso postale verde in favore di Van den Bellen: una distanza minore di quando in Francia la gauche, per stoppare la vittoria del vecchio Le Pen, dovette votare per l'ultra-conservatore Chirac. Turandosi il naso.

    Tiriamo, quindi, un sospiro di sollievo.

    Fino alla prossima volta.