lunedì 24 novembre 2014

BUON CONGRESSO ALLA UIL

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

 Il nostro saluto al XVI Congresso nazionale della UIL. Mercoledì, giovedì e venerdì prossimi (19-21 novembre) la UIL va al congresso ed elegge il nuovo segretario che sarà Barbagallo, un sindacalista doc che si è fatto nelle aspre lotte della sua aspra Sicilia.

 

La Fondazione Nenni fa i migliori auguri al sindacato al quale è vicina, perché esso è in “odore di socialismo”. Ma il nostro è più di un saluto fraterno, è anche l’impegno a continuare, ampliare, rafforzare la nostra collaborazione che sta dando ed ha dato risultati positivi e ancor più ne darà in futuro.

    Lo scorso anno insieme alla UIL e con un’altra Fondazione socialista, la tedesca Ebert, abbiamo promosso un convegno sul tema: “I poteri dei lavoratori, Italia- Germania: due modelli a confronto”, al quale hanno partecipato numerosi sindacalisti tedeschi, Angeletti, Pirani, Camusso, Boccia(Confindustria), gli ex ministri del lavoro Treu e Salvi e l’ex sottosegretario Carlo dell’Arringa. Il Convegno ci ha permesso di avanzare numerose proposte per migliorare la qualità della partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’azienda e per arginare i conflitti tra i lavoratori e i padroni (per approfondire vai al sito). Sempre con la UIL abbiamo organizzato numerose iniziative di successo come il Premio Nenni, il 70° Colorni, etc.

    Sulla base di questo rapporto sono stati messe in cantiere per i prossimi anni numerose iniziative volte a riscoprire e valorizzare la “storia, i valori, la cultura del sindacato e del socialismo italiano”.

    Parteciperemo al congresso insieme alla Fondazione Buozzi, con una mostra documentaria su Matteotti(curata da Gianna Granati) e Buozzi(curata dalla Fond. Buozzi): “Due martiri del lavoro, della libertà e della democrazia “. La mostra è un omaggio a due simboli della UIL che riconosce, come noi, in quei personaggi, valori ancora attuali di difesa dei diritti dei lavoratori, della democrazia e della libertà.

    Per concludere teniamo a sottolineare che l’art. 18 dello Statuto sancisce che l’imprenditore non è il datore di lavoro che dispone, versando una somma, del diritto al lavoro del dipendente. E’ una grande conquista! Solo il lavoratore “licenziato” può decidere se rinunciare alla difesa del suo diritto davanti al giudice!

    Le modifiche di Renzi espropriano il lavoratore della sua conquista (art. 18) e restituiscono lo scettro al “padrone”. La nostra proposta(avanzata al Convegno “I poteri dei lavoratori” ), al contrario, restituisce al lavoratore il suo diritto, lo mette alla pari con il datore di lavoro e lascia al comitato paritetico la decisione su chi ha ragione nei fatti.

       

 

 

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

La Bolognina tant’anni dopo

 

di Danilo Di Matteo

 

Trovo dense e toccanti le parole con le quali Claudio Petruccioli l’8 novembre scorso ha ricordato sul sito del quotidiano Europa la svolta della Bolognina. Avviare una fase costituente significava voler mutare profondamente il rapporto fra la società e la politica. I cittadini precedono i partiti; non si diviene cittadini col partito. Ecco il succo di quel tentativo, assai al di là del cambio di nome del Pci.

Ed ecco perché non sarebbe bastato dirsi socialisti per favorire l’inizio di una nuova fase della democrazia italiana, fino ad allora vissuta in una condizione di minorità, sotto la tutela di equilibri consociativi, senza la possibilità concreta dell’alternativa.

    Il problema, in definitiva, era quello di adottare appieno una concezione liberale della democrazia (Achille Occhetto, del resto, aveva già individuato in un pensatore come Ralf Dahrendorf un interlocutore privilegiato). E la questione investiva l’intero assetto politico e sociale italiano, non un solo soggetto.

    Qui giunti, si pone però una domanda: l’elaborazione politica e culturale del Psi degli anni ’70 e ’80, di certo favorita dal nuovo corso di Bettino Craxi, non andava proprio in quella direzione? Quello sforzo, come è noto, riuscì a tradursi solo in misura modesta in atti concreti, tuttavia poneva le premesse per una sinistra liberale, occidentale, antidogmatica. Forse (ma potrebbe trattarsi di vana dietrologia) il timore dell’annessione, ad opera degli eredi del Pci per ciò che riguarda i socialisti e del Psi per quel che riguarda i postcomunisti, prevaleva sulle ragioni di una ricerca condivisa.

    Detto altrimenti: le considerazioni di Petruccioli non sono a parer mio in contrasto con quelle di coloro che scorgono in quella fase un’occasione mancata e irripetibile per la sinistra italiana.

       

 

 

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Mi mancherai.

 

Ricordo di Sandro Pertini

 

Mercoledì 17 dicembre 2014 si terrà, allo Spazio QCR di via degli Alfani 101r a Firenze, la consueta riunione di auguri della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli.

    Alle 18 verrà proiettato il  documentario "Mi mancherai. Ricordo di Sandro Pertini". Interverrà Stefano Caretti.  Il filmato non è mai stato ancora presentato a Firenze.

    Seguirà, alle 19, il brindisi augurale.

 

      

 

Sarà Sciopero Generale.

Il 12 dicembre contro Jobs act e manovra

  

Lo hanno proclamato Uil e Cgil, il 12 dicembre contro Jobs act e manovra. Questo l'esito del vertice tra leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo

 

Sarà sciopero generale. Lo hanno proclamato Uil e Cgil, il 12 dicembre contro Jobs act e manovra. E' questo l'esito del vertice tra i leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo in occasione dell'apertura del congresso della Uil. La Cisl conferma, invece, solo lo "sciopero unitario" della categoria del pubblico impiego. La Cgil ha, dunque, aderito alla richiesta del sindacato di via Lucullo e la data dello sciopero generale è stata spostata dal 5 al 12 dicembre.

    Dopo l’insoddisfacente confronto con il Governo, il sindacato non ha ottenuto risposte sul rinnovo del contratto del pubblico impiego e sulla riforma della pubblica amministrazione.

    "Lo sciopero varrà per tutte le categorie. Il governo non ha intenzione di discutere con le forze sindacali, noi abbiamo esperito tutta la nostra possibilità di trovare soluzioni - ha riferito Carmelo Barbagallo - a questo punto non resta che agire e dare la parola ai lavoratori, ai pensionati e ai disoccupati".

    Dal palco del XVI congresso nazionale della UIL che chiude la stagione di Angeletti, il segretario uscente ha posto l'accento sul dramma disoccupazione in Italia e in Europa, che "è la dimostrazione che la ricetta per uscire dalla crisi imposta dall'Europa non funziona". “La recessione non è finita né è terminata la distruzione di posti di lavoro” ha affermato Angeletti davanti a una platea di 1100 delegati provenienti da tutta Italia e alle delegazioni straniere. Angeletti ha sottolineato che mentre "negli ultimi quattro anni le condizioni del Paese sono notevolmente peggiorate", la Uil vuole rappresentare i lavoratori "non con le ginocchia piegate, anzi, con una grande voglia di riscatto".

 

Angeletti ha difeso il ruolo delle organizzazioni dei lavoratori messe in discussione dal governo Renzi. "Forse ci sarà ancora qualcuno che prova a far funzionare l'iPhone con un gettone telefonico, ma sarebbe altrettanto fuori dalla realtà chi si ostinasse a governare il paese con un tweet.

    Per Angeletti occorre finalmente avere una politica industriale, attuare una riforma fiscale che riduca le tasse su lavoro e pensioni, programmare una serie di interventi per ridurre burocrazia e sconfiggere la corruzione e infine riformare la legge Fornero.

    Tra applausi e commozione, dopo 14 anni, il leader Angeletti lascia una Uil vincente nelle mani del prossimo segretario generale che sarà formalmente eletto venerdì 21 novembre.

   

 

 

Al congresso della UIL

 

Camusso: “Non ci rassegniamo, arrivederci al 12 dicembre”

 

"Non si esce dalla crisi senza risposte sul lavoro. Differenziare le tutele è la prima forma di divisione". Gli auguri a Barbagallo, nuovo leader Uil: "Faremo una lunga strada assieme". Prima tappa, lo sciopero generale: "Non ci rassegniamo"

    “Non ci sarà uscita dalla crisi senza risposte concrete sul lavoro. Differenziare le tutele, come sta facendo il governo, è la prima forma di divisione del mondo del lavoro”. A dirlo è il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, intervenendo al congresso della Uil che sancisce il passaggio di consegne da Luigi Angeletti a Carmelo Barbagallo, e rilanciando dal palco l'appuntamento al 12 dicembre, giorno dello sciopero generale della due confederazioni (la Cisl non aderisce). “Non ci rassegniamo, noi siamo parte della soluzione - ha detto Camusso - non del problema”.

    "Arrivederci al 12 dicembre - ha aggiunto - per costruire in tutti i luoghi quelle scelte che vanno fatte e che devono dare come messaggio fondamentale quello che noi continueremo a difendere il lavoro, quello di chi lo ha, di chi lo cerca e di chi lo vuol far diventare stabile. E un grandissimo augurio a Carmelo. So che faremo una lunga strada assieme".

 

Il leader di Corso d'Italia ha ribadito le critiche ai provvedimenti dell'esecutivo, in particolare la riforma Pa, il Jobs Act e la manovra. “Tanti capitoli - ha osservato - hanno un titolo positivo ma un andamento che va in tutt'altra direzione. Non si può dire che togliendo l'art.18 si estendono i diritti, oppure che si estendono gli ammortizzatori a tutti se non è così”.

    “Troviamo davvero irresponsabile - aggiunge - che il governo teorizzi che tutti i luoghi della mediazione sociale vadano non esercitati e cancellati". Per riformare il paese, secondo il leader Cgil, occorre ridurre le disuguaglianze e superare la frantumazione sociale seguita alla crisi economica. "I lavoratori e i pensionati ci dicono che non ce la fanno, ma noi non possiamo dire che ci rassegniamo: il sindacato questa scelta non la può fare”.

   

 

lunedì 17 novembre 2014

TU PARLES !

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

 di Giuseppe Tamburrano

 

E’ contestato dagli operai e riverito dai paperoni della finanza italiana che hanno affollato l’elegante sala da pranzo del Salone delle fontane all’Eur di Roma: qui Renzi ha primeggiato nel chiedere soldi per il partito.

    E’ riuscito ad agganciare sia Berlusconi che Grillo per le elezioni dei membri della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura.

    Gli va tutto bene! Eppure la sua attività di governo si limita ai discorsi, alle interviste: parole, parole, parole, ho già notato tempo fa.

    Presidente dell’Europa ha accettato che Mare Nostrum, che ha salvato tante vite di disperati migranti, fosse trasformato in attività di pattugliamento del Mediterraneo a cura dell’Europa: vite in cambio di soldi risparmiati.

    Ha ottenuto di far modificare il Senato, ma dovrà affrontare il voto della Camera, la doppia lettura e l’eventuale referendum.

    Vuole cambiare la legge elettorale concordata con Berlusconi e forse vi riuscirà con i voti dei Cinque stelle.

    E l’economia? E il debito e il deficit? E i redditi delle famiglie (a parte gli ottanta euro: unica, modesta cosa positiva fatta)? E i disoccupati, di cui il jobs act non si occupa minimamente? E tutto il resto delle cose da fare?

    Chi è e che cosa vuole fare Renzi? Difficile capirlo non perché taciturno, ma al contrario perché parla: come cavolo fa ad aprire bocca in modo appropriato su tutto, con tutti! Parla, parla, parla e non fa niente, niente, niente. Ma forse l’ho capito: Renzi è... Renzi.

    I regimi personali normalmente si appoggiano alla forza. Renzi si appoggia solo a se stesso, si autosostiene e si alimenta a parole. E’ uno straordinario fenomeno: tutto parole e niente cose, progetti, ideali, Renzi è la sinistra? Forse perché la sinistra non c’è più. Gli esponenti del PD che lo osteggiano sono ombre che si aggirano nel cimitero di quella che fu la sinistra.

    Gubernar no es asfaltar dicono gli spagnoli. Ma Renzi non asfalta nemmeno: vedi i disastri per il maltempo.

    Che fare, oltre a sfogarsi con la penna? Il fenomeno si esaurirà da sé e lascerà un deserto.

           

       

 

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

In ogni treno c’è un prefetto

 

Nasce l’Alfanellum col vincolo del tre per cento e, come dicevano i latini, omne trinum est perfectum…

 

di Mauro Del Bue

 

Sarà perché tre è numero perfetto. “Omne trinum est perfectum”, recitavano i latini. E un mio distratto compagno di Liceo tradusse maccheronicamente: “In ogni treno c’è un prefetto”. Ma siamo ancora di fronte al vincolo del tre per cento. Quello europeo tra deficit e Pil pare sia stato inventato nella Francia di Mitterrand da un anonimo suo collaboratore, poi ripreso dall’Unione europea per misurare il tasso di credibilità economica dei vari paesi. Ora ritorna lo stesso numero per fissare, nella nuova legge elettorale, lo sbarramento della rappresentanza delle liste in Parlamento. Cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando.

    Vi è un inevitabile intreccio tra la possibilità di varare una legge elettorale e quella di tenere insieme una maggioranza politica. Renzi si è esposto col patto del Nazareno, ma non può dimenticarsi di quello che gli garantisce Palazzo Chigi. E siccome la maggioranza si è raggiunta grazie ai voti del cosiddetto Nuovo Centrodestra è evidente che non lo si può cancellare per legge con uno sbarramento alto. Dunque, si è scesi dal 5, al 4, al 3 per cento. Berlusconi però non può lavorare apertamente per far sì che Alfano e Renzi possano governare insieme. E poiché il suo tasso di renzismo deve fare i conti con una minoranza che dal mugugno è passata ormai alla contestazione, alza la voce e anche l’asticella.

    Tutto ruota sul ruolo di Alfano. Personalmente ho sempre pensato che un partito che si chiama Nuovo Centrodestra non possa stare eternamente con il Centro-sinistra. E dunque o cambia nome, e il tema pare anche all’ordine del giorno, o dovrebbe rompere prima delle elezioni del 2018, senza arrivare al termine della legislatura, col Centro sinistra per poi contestarlo, senza alcuna credibilità, alle elezioni.

    Il premio alla lista, eliminando le coalizioni, risolve anche questo problema. Alfano può presentarsi da solo, non coalizzato, e tornare alla Camera con qualche amico. Gli basta superare il 3 per cento. Per evitare che la minima barriera venga contestata da Berlusconi oggi Alfano gli manda segnali di pace e di disponibilità a ricomporre la vecchia alleanza.

    C’è solo un piccolo particolare. E cioè che col premio di lista non ci sarà nessuna alleanza, perché non serve a nulla, se il 3 per cento varrà per tutte le liste. La rivoluzione non è di poco conto. Serve ad Alfano (soglia al 3% e premio alla lista, il che elimina le coalizioni), più che a tutti gli altri. È gradita al Pd per la sua vocazione maggioritaria. Ma lo è anche a Vendola, che potrebbe non coalizzarsi e superare anche lui il 3%.

    Non capisco cosa ci guadagni il Centro-destra. Le promesse del figliol prodigo Alfano sono senza consistenza. Forza Italia è stimata al 15% e solo coalizzandosi con la Lega e Fratelli d’Italia, ed eventualmente Alfano, potrebbe nutrire una piccola speranza di vittoria. Ma, senza coalizioni, Forza Italia dove va?

    Questa legge servirebbe al Paese?

    Diciamo la verità, l’Alfanellum è meglio dell’Italicum. Introduce le preferenze, fuoriuscendo da quel mostro che è il Parlamento dei nominati. E la soglia del premio di maggioranza passa (dal 35 e poi dal 37) al 40%. Elimina le coalizioni, che sono il virus della governabilità dell’Italia, premiando la prima lista.

    Più difficile capire a quale modello l’Alfanellum si ispiri.

    Sarebbe una legge utile a tutelare i piccoli, a dare il potere a un partito solo, a stabilire per legge che alla fine una lista, al primo o al secondo turno, vincerà.

    Se esistessero ancora i partiti, però. Già non esistono più, se pensiamo che si dovrebbero trasformare in liste pigliatutto… Perciò io mi domando se in Italia questi partiti, e ancor di più le future liste, saranno in grado di assicurare la governabilità. Ne dubito.

 

Vai al sito dell’avantionline

       

 

Analisi. La manovra che non cambia verso

LAVORO E DIRITTI - 2

a cura di www.rassegna.it

 

 

La legge di Stabilità non risponde alla necessità del paese in materia di politica economica. Punta alla riduzione della spesa e degli investimenti pubblici, sperando in un aumento degli investimenti privati che non arriveranno

 

di Mauro Beschi, coordinatore nazionale

del dipartimento Politiche economiche della Cgil

 

L’andamento dell’economia europea continua a dimostrarsi complessivamente debole. Le prospettive di crescita dipendono più che mai dal recupero della domanda interna. Occorre allentare esplicitamente la morsa depressiva imposta dai vincoli europei, per spingere gli investimenti e creare occupazione, in primo luogo attraverso politiche pubbliche. Occorre una spinta più forte per aumentare gli investimenti pubblici direttamente europei (per 2.600 miliardi di euro in 10 anni, come dice la Confederazione europea dei sindacati, non 260 in 5 anni come sostiene Juncker) nei settori innovativi e nei bisogni sociali; creare direttamente occupazione invece che svalutare il lavoro. Questo consentirebbe di dare spazio maggiore a politiche di crescita in Europa e, soprattutto, in Italia. Questo è il passaggio più importante per aiutare lo sviluppo e uscire da condizioni di deflazione (oggi ampiamente sottovalutate) che possono produrre effetti di depressione e stagnazione di lungo periodo.

    Dall’inizio della crisi a oggi, l’Italia registra la maggiore intensità recessiva tra tutti i principali paesi industrializzati: in 6 anni, si contano 8,8 punti percentuali in meno di Pil; 12,2 punti in meno di domanda interna; 28,2 punti in meno di investimenti fissi. Non solo. La produzione industriale italiana si è ridotta di oltre il 25 per cento e la disoccupazione è a livelli mai registrati negli ultimi decenni. Anche nel nostro paese si possono percorrere politiche diverse, più efficaci contro la deflazione e più eque, come proponiamo con il nostro Piano del lavoro. Nuove politiche industriali che innovino e qualifichino la nostra struttura produttiva e dei servizi, aumentandone la produttività attraverso riforme di struttura giuste (innovazione, ricerca, investimenti nella scuola e formazione e, quindi, nel capitale umano, che oggi viene sprecato in attività dequalificate e mal retribuite).

    Impostare nuove politiche per l’uguaglianza in un paese, e qui sta la grande anomalia italiana, in cui evasione e concentrazione di ricchezza hanno fatto sì che il capitale privato sia passato, in 30 anni, dal 240 per cento del reddito nazionale al 680, mentre il capitale pubblico si sia ridotto dal più 20 al meno 70 per cento. Da tempo la Cgil propone di tassare i grandi patrimoni, con un gettito potenziale di circa 10 miliardi di euro che potrebbe sostenere un piano straordinario per l’occupazione, soprattutto giovanile e femminile, per la produzione di beni e servizi utili socialmente, beni ambientali (pensiamo al dissesto idrogeologico), beni pubblici, beni comuni, beni sociali. Un impegno di spesa pubblica 2014-2016 di 10 miliardi genererebbe quasi 290.000 nuovi posti di lavoro pubblici e oltre 740.000 nuovi occupati totali, tra pubblico e privato, con un tasso di disoccupazione al 2016 che si ridurrebbe al 6,9 per cento.

    Il Pil cumulato nel triennio 2014-2016 sarebbe pari al 4,4 per cento. Ma la Cgil insiste anche, da anni, sulla necessità di dare una vera svolta alla lotta all’evasione fiscale e, se si riportasse il livello italiano alla stregua di quello francese o tedesco, si avrebbero benefici, rispettivamente, per 65 e 80 miliardi di euro all’anno. Fatte queste dovute premesse, bisogna dire che la legge di stabilità presentata in Parlamento non offre risposte alla necessità di un cambio di passo nella politica economica. Si tratta di un provvedimento che programma la riduzione della spesa e degli investimenti pubblici, sperando in un aumento degli investimenti privati finanziati da riduzioni fiscali a pioggia. La riduzione della spesa è riduzione certa di domanda aggregata che non solo non sostiene lo sviluppo, ma determina anche una riduzione della spesa sociale e/o di aumento del prelievo fiscale, in particolare quello a livello locale. Si continuano a non riconoscere i tratti strutturali della crisi, rinviando la ripresa al superamento della sfavorevole congiuntura internazionale e scommettendo sui mai comprovati “effetti di lungo periodo” delle politiche strutturali, che però si limitano alla compressione di diritti e salari.

    In questo quadro negativo, la legge di stabilità evidenzia anche provvedimenti specifici particolarmente gravi e non accettabili:

    1) La prosecuzione di una politica che in tema di spesa pubblica e di pubbliche amministrazioni si muove nella stessa direzione “di miope rigore” scelta dai precedenti governi e che produce effetti perversi anche sul lavoro pubblico. Il blocco della contrattazione nazionale fino al 2015 porta a 6 gli anni di blocco dei contratti nazionali, con una perdita di potere d’acquisto di non meno di 5.000 euro per lavoratore e, oggi, si prevede di mantenerla bloccata fino al 2018.

    2) Il bonus di 80 euro rimane limitato agli stessi beneficiari, mentre il sindacato ha più volte insistito per allargarne la fruizione ai pensionati, ai titolari di partite Iva iscritti alla gestione separata Inps e agli incapienti con redditi da lavoro dipendente e assimilati. Questo non solo per ragioni di equità, ma anche per il bisogno che il paese ha di una scossa verso il sostegno alla domanda e ai consumi. Il sindacato, inoltre, ne richiedeva la stabilizzazione, non essendo il bonus, come più volte annunciato e come fatto con l’Irap, effettivamente strutturale, ma sarà necessario trovare le risorse per la sua conferma anno per anno.

    3) Per quanto riguarda il Tfr, ribadiamo i nostri dubbi su un provvedimento che prova a far crescere i consumi senza immettere risorse, semplicemente anticipando in una partita di giro soldi dei lavoratori, mettendo a rischio il risparmio previdenziale dei lavoratori. Il tutto senza contare che il tfr liberato sarà tassato con l’aliquota marginale ordinaria Irpef (anziché con l’attuale agevolata), con l’aggiunta delle addizionali locali, che altrimenti non sarebbero state applicate in regime di tassazione separata. Gli effetti negativi della normativa relativa al Tfr in busta paga si sommano e sono aggravati dalla previsione relativa all’aumento della tassazione sui rendimenti, che non è coerente con gli impegni del Parlamento e del governo a sostegno di una politica di previdenza complementare in grado di integrare la futura prestazione del sistema pubblico, ostacolando il perseguimento di più elevati livelli di copertura previdenziale. L’auspicata spinta a liberare liquidità immediata molto probabilmente non ci sarà (né, tantomeno, i maggiori consumi), proprio a causa dell’innalzamento della tassazione che scoraggerà il lavoratore a liberare il proprio Tfr.

    4) Per le assunzioni di nuovi addetti a tempo indeterminato (e dovremo per comprendere cosa vorrà dire concretamente), è prevista la totale esenzione della quota di contribuzione a carico dei datori di lavoro, senza una precisa finalizzazione verso nuovi investimenti e occupazione aggiuntiva. L’assoluta indeterminatezza dei criteri attraverso i quali dovrebbe essere reso cogente il sostegno a nuova occupazione (aggiuntiva) rende il provvedimento una pura riduzione del costo del lavoro stabile a tutto vantaggio delle imprese. Giocare con i numeri degli occupati è molto rischioso, si creano aspettative che non verranno rispettate e gli 800.000 nuovi posti di lavoro previsti sono, ha dichiarato il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, “del tutto virtuali”.

    5) Nella scelta di riduzione dell’Irap non si intravede un’adeguata funzione di politica economica. Essa non effettua distinzioni tra aziende che vogliono investire e aziende che sono in smobilitazione (l’Ast di Terni risparmierebbe circa 7 milioni di euro), tra aziende che innovano e assumono e aziende che invece puntano solo alla svalutazione del lavoro. Per questo crediamo che tale ingente sgravio debba essere più selettivo e orientato e per sostenere l’occupazione. In mancanza di ciò, la ricaduta più probabile sarà quella di un mero aumento dei profitti d’impresa.

    6) Il provvedimento prevede anche un pesante intervento nei confronti dei patronati. Questi tagli pregiudicheranno l’attività di assistenza e di tutela svolti in maniera gratuita nei confronti di milioni di cittadini, privandoli del diritto di avere accesso ai servizi. È da rilevare che l’Inps ha evidenziato come “senza l’attività dei patronati, la pubblica amministrazione dovrebbe aprire e gestire circa 6.000 uffici permanenti, che si tradurrebbe in un aumento degli organici di 5.130 unità, 564 milioni di euro di risparmio per l’Inps, occorrenti per garantire annualmente gli stessi servizi”.

 

lunedì 3 novembre 2014

SCONCERTAZIONE

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

 

Scontri al centro di Roma nel corso del corteo degli operai delle Acciaierie Ast di Terni. I manifestanti si stavano dirigendo verso il ministero dello Sviluppo Economico, quando sono stati bloccati dagli agenti della polizia. Il corteo si stava spostando dal presidio sotto all’ambasciata tedesca e ha cercato di forzare il cordone. I manifestanti sono stati respinti delle forze dell’ordine. Sono scoppiati dei tafferugli in cui in tre persone sono rimaste ferite. Contuso anche Gianni Venturi, coordinatore nazionale Fiom e Alessandro Unia del Rsu Fim Cis.

    “Hanno caricato i lavoratori, tre sono in ospedale”. Ha detto il segretario generale Fiom, Maurizio Landini, che era presente agli scontri avvenuti intorno a piazza Indipendenza. “Non c’è stata nessuna carica, ma un’azione di contenimento” è stata la replica della Questura di Roma. “Sono stati i manifestanti ad andare verso il cordone degli agenti lanciando oggetti e ferendo un funzionario e tre poliziotti che li hanno dovuti contenere”.

    E il caso è arrivato in Parlamento con la richiesta di tutti i gruppi parlamentari del Senato, in apertura dei lavori d’Aula, al ministro degli Interni Angelino Alfano di riferire domani al question time. Come risposta il Ministero dell’Interno aprirà un’inchiesta per verificare le responsabilità della carica di polizia nei confronti dei manifestanti. Lo ha fatto sapere il vice ministro dell’Interno, Filippo Bubbico, durante l’incontro con i rappresentanti di Fim, Fiom. Mentre il sottosegretario Graziano Delrio, che ha telefonato al leader della Fiom, ha assicurato che il Governo continua a essere impegnato nell’affrontare la crisi di Ast Terni: “Abbiamo seguito la vicenda da subito, siamo stati in contatto con Guidi, Alfano ed i responsabili sindacali. Vogliamo la massima trasparenza e verificheremo l’accaduto: in poche ore Alfano ha garantito tutta la documentazione per ricostruire in modo puntuale l’accaduto”.

    “Dica Alfano – ha affermato il segretario del Psi Riccardo Nencini – cosa è successo a Roma. E lo dica in Parlamento. E se vi sono responsabilità, non le taccia. C’è troppa tensione e dentro un clima di tensione si moltiplicano i fattori destabilizzanti. Il contrario di cui ha bisogno l’Italia. Fermarsi, sedersi e parlarsi”.

    Durissimo Maurizio Landini: “Il governo deve rispondere, siamo noi che paghiamo le tasse e che lavoriamo. La presidenza del Consiglio dica una parola invece di fare slogan del cazzo! Devono chiedere scusa, perché paghiamo le tasse anche per loro. Devono sapere che questo Paese esiste grazie alla gente che lavora”.

    Successivamente una delegazione dell’acciaieria di Terni, guidata da Landini, ha ottenuto un incontro al ministero dello Sviluppo Economico. Un incontro in cui, hanno riferito i sindacati, il Governo si è impegnato affinché l’azienda ricominci a pagare gli stipendi a condizione che i lavoratori lascino entrare le tre persone dell’amministrazione. I sindacati si sono detti disponibili e hanno aggiunto che la settimana prossima saranno riconvocati per capire se ci sono stati passi avanti. In sostanza il Governo, come ha spiegato il ministro dello Sviluppo Federica Guidi, ha chiesto alla Ast “di ridurre l’impatto sull’occupazione a circa la metà della cifra proposta” dall’azienda, pari “al massimo a 290 unità invece di 550, e da gestire in un periodo di 24 mesi utilizzando la mobilità incentivata, con incentivi che l’azienda è stata disponibile a valutare tra i 50mila e gli 80mila euro”. Un nuovo tavolo tra azienda e sindacati sul piano industriale si terrà la settimana prossima al ministero dello Sviluppo economico mentre il ministro Alfano ha incontrato in serata al Viminale i leader dei sindacati presenti oggi in piazza a Roma.

    “Ci sono persone che rischiano il posto di lavoro – ha detto il leader della Cgil Susanna Camusso – che oggi sono state picchiate dalla polizia. Si parli di questo e non delle sciocchezze”. Il numero uno del sindacato si è poi recato in ospedale a visitare i lavoratori condannando “con forza e sdegno” le cariche, esprimendo “piena vicinanza e solidarietà” alla piazza. Reazioni anche dagli altri leader sindacali: “Quanto successo è un fatto grave e inaccettabile – ha sottolineato Luigi Angeletti della Uil – sono le cariche la cifra della politica di attacco ai sindacati? In piazza c’erano solo lavoratori e non sindacalisti. Le forze dell’ordine non devono alimentare il disordine. Il governo deve intervenire e risponderne, perché episodi del genere non possono passare sotto silenzio”.

    “Noi – ha aggiunto il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan – abbiamo sempre il massimo rispetto nei confronti delle forze dell’ordine che fanno il loro dovere. Ma è davvero incomprensibile e grave quello che è accaduto oggi. Caricare e picchiare i lavoratori e i dirigenti sindacali non è certamente un bel segnale per il clima generale del paese. Speriamo che il Governo faccia subito chiarezza su quanto è accaduto”.

    Reazioni sono arrivate ovviamente anche da mondo politico: Dal Pd, il presidente del partito Matteo Orfini ha scritto su Twitter che “in casi così drammatici ci può essere tensione, ma i lavoratori dell’Ast vanno ascoltati non caricati”. E Stefano Fassina ha dichiarato: “In piazza c’erano dei lavoratori ed è gravissimo quello che è successo. Dobbiamo rispondere con la politica industriale non con la polizia”. “Gli operai – ha detto Gianni Cuperlo, deputato del Pd – si ascoltano. Non si caricano. Il sindacato si rispetta. Non si insulta”.

    Da Bruxelles è arrivato anche il commento del vicepresidente dell’Europarlamento Antonio Tajani: “Il governo non perda altro tempo per risolvere la vicenda delle acciaierie di Terni. Serve un’azione forte a Bruxelles e a Berlino”.