mercoledì 7 dicembre 2011

Camusso (Cgil): "Lavoro, l'unica cura per il Paese"

LAVORO E DIRITTI
a cura di 
www.rassegna.it 
 
 
"Pronti a sostenere le scelte giuste, altrettanto determinati a contra-stare quelle che riterremo sbagliate". Le conclusioni di Susanna Ca-musso all'Assemblea Cgil di Roma hanno detto con estrema chiarezza quale sarà la linea di condotta di Corso d'Italia di fronte al nuovo governo.
 
di Giovanni Rispoli
 
Le anticipazioni di questi giorni non inducono all'ottimismo. In ogni caso sarà oggi, domenica 4 dicembre, in occasione dell'incontro convocato dall'esecutivo con le parti sociali, che un giudizio sulla manovra annunciata per lunedì 5 potrà essere formulato in maniera compiuta. L'auspicio è che si possa discutere, non quello di trovarsi di fronte a un catalogo già confeziona-to, a un elenco – anche se esposto con garbo – di semplici informazioni.
    La Cgil esprimerà dunque le sue valutazioni, deciderà di conseguenza. Pre-supposto irrinunciabile, in questo suo giudizio, un segnale vero, netto, di dis-continuità con il governo Berlusconi, un approccio diverso ai problemi che affliggono il paese. Un approccio che Susanna Camusso – riprendendo un termine alle donne molto caro – ha riassunto nella parola "cura". Cura è affet-to, attenzione, passione, riconoscimento, ha detto il segretario generale della Cgil: curare il lavoro vuol dire avere cura, appunto, delle persone, della loro dignità. Al contrario della finanza "il lavoro è misura collettiva della vita, ricchezza di tutti, non di pochi". Il titolo scelto per l'Assemblea – "Lavoro: l'unica cura per il paese" – era dunque qualcosa di più di uno slogan felice.
    Avere cura per il lavoro è innanzitutto difenderlo. Vuol dire contratti, contrattazione, rappresentanza. Significa contratto e rappresentanza per i lavo-ratori pubblici – per questo in marzo si voterà per le Rsu" –, vuol dire opporsi al tentativo di escludere la Fiom e la Cgil dalle fabbriche Fiat.
    Avere cura del lavoro, ancora – e in tanto parlare di dualismo nel mercato del lavoro –, è impegnarsi contro la precarietà. Quarantasei forme di assunzi-one non servono a nulla; se ci devono essere forme contrattuali diverse dal contratto a tempo indeterminato debbono costare di più. Ai giovani va ricon-segnata l'età adulta, tornare all'idea che il lavoro è certezza, identità. Bisogna dare loro – e più in generale a chi perde l'occupazione – un diverso sistema di ammortizzatori sociali, che vanno riformati.
    Impossibile parlare di lavoro senza toccare la questione delle retribuzioni. Oggi siamo tornati a retribuzioni che non tengono più il passo del costo della vita; e questo di fronte allo scandalo delle superliquidazioni dei manager, an-che quando – è il caso di Finmeccanica – distruggono l'immagine di un'azienda. "Quello delle retribuzioni – ha ricordato polemicamente Camusso – non è il tema dei cosiddetti garantiti ma di coloro che hanno costruito ric-chezze inaccettabili".
    Non meno triste, guardando dall'altra parte della scena sociale, l'aumento del numero di coloro che né studiano né lavorano. Portare l'obbligo a 18 anni, far crescere l'istruzione di base è un dovere civile: scuola e conoscenza sono decisivi per la dignità stessa delle persone, per imparare, come diceva Di Vit-torio, a non togliersi la coppola – il cappello – davanti ai potenti.
    Avere cura del lavoro significa promuovere la cittadinanza: dei migranti e delle donne di Barletta e di tante altre città d'Italia costrette al lavoro nero; le cosiddette morti bianche sono solo il segno del disprezzo per la vita. Vuol dire, ancora, cancellare l'articolo 8 – lì non abbiamo nessuna evoluzione del diritto sindacale, come afferma qualcuno – e avere la certezza che c'è un mo-mento in cui si può smettere di lavorare sapendo che si ha diritto a una pensi-one dignitosa, essere tutelati quando la ristrutturazione e le chiusure ti espel-lono dalle fabbriche. Il decreto sulla mobilità del nuovo governo, da questo punto di vista, è importante ma non basta. Il dispositivo a suo tempo deciso riguardava soltanto chi era in mobilità prima del 30 aprile 2010, la riorganiz-zazione delle imprese non è certo finita allora.
    Si è ironizzato, negli ultimi giorni, sui "numeri magici" della Cgil. Ma i numeri magici non sono fantasie, sono diritti che non possono essere messi in discussione.
    Il primo è l'articolo 18, una norma che è un vero e proprio deterrente contro i licenziamenti discriminatori. L'articolo 18 parla della libertà dei lavoratori: e la libertà d'impresa, senza la libertà dei lavoratori, è inconcepibile, ha osserva-to Camusso. Tutta la discussione sulla ricomposizione del mercato del lavoro, che pure parte da un dato di realtà, non può approdare a risultati che sarebbero solo e semplicemente regressivi.
    "Il nuovo governo non ci rovini la festa cui abbiamo diritto". Dopo Berlus-coni si è tornati a parlare di equità e coesione. Ma per trovarle, la Cgil non vorrebbe essere costretta a usare una lente d'ingrandimento. Equità e coesio-ne, se davvero questa vuol essere la cifra della manovra, significa provvedi-menti precisi: un'imposta sulle grandi ricchezze, innanzitutto – "chi ha di più paghi di più e chi non ha mai pagato cominci a pagare" –; una lotta seria all'evasione; colpire le rendite.
    Sarebbe profondamente ingiusto, al contrario, intervenire sulle pensioni per far cassa. Le proposte di cui si è parlato sono indigeribili. Bloccare la pere-quazione delle pensioni non avrebbe senso, colpire le donne è prerogativa solo di governi misogini.
    Confindustria afferma che non è tempo di veti. Ma è davvero un veto af-fermare il diritto di andare in pensione, altro numero magico, dopo qua-rant'anni di lavoro? "Noi pensiamo ai diritti – ha esclamato Camusso – pensi-amo quindi che chi ha diritto di andare in pensione debba poterlo fare". Si tratta fra l'altro di una platea, si pensi ai vigili del fuoco o agli infermieri, che non è composta solo degli operai del nord. Se c'è bisogno di nuove risorse si punti invece sull'unitarietà del contributivo e dei sistemi pensionistici.
    La crisi è grave, si ripete di continuo. "La Cgil lo dice da tre anni, non ci hanno dato ascolto". Così come non devono spiegare al maggiore sindacato italiano cosa sia l'Europa. Tre sotto questo profilo – ha ricordato Camusso – le cose che urgono: la tassazione delle transazioni finanziarie, gli eurobond, mi-sure concrete per la crescita. "Non si devono dare i compiti a casa, bisogna fare i compiti in classe". C'è un compito comune dell'Europa, in sostanza; fra pochi giorni, al consiglio europeo, il nostro governo dica quale deve essere.
    Equità e crescita. Obiettivi che valgono per l'Europa e che sarebbero irrea-lizzabili, tornando all'Italia, se si tornasse a colpire i redditi da lavoro. La loro difesa, se davvero il paese vuole uscire dalle secche, è condizione basilare. Non ci si può limitare a ridurre l'Irap per le imprese, detto in altro modo. Le vie, dal piano energetico all'allentamento del patto di stabilità interno, così da dare finalmente respiro ai Comuni, sono molteplici. Su tutte, qui ritorna la parola cura, un piano straordinario per l'occupazione giovanile e una politica per l'ambiente e il territorio, per la messa in sicurezza del paese. La terra è un bene che non possiamo continuare a sprecare. Averne cura significa mettere in moto risorse, intelligenze, possibilità di occupazione.
    Sarà possibile invertire la rotta? "La civiltà dei comportamenti" – come ha ricordato Camusso a proposito del governo Monti – "è un passo in avanti. Il 4 dicembre sapremo se oltre alla buona educazione – decisiva, visto come era-vamo ridotti – la Cgil sarà di fronte anche a una reale capacità di ascolto".