mercoledì 7 dicembre 2011

Parliamo di socialismo - La fine della storia è finita in pezzi

a cura della Fondazione Pietro Nenni
http://fondazionenenni.wordpress.com/
 
Normalmente seguo quasi tutti gli articoli della pagina dei commenti del Corriere della Sera Idee e opinioni , ma il 26 novembre mi sono rifiutato di leggere il commento di Fukuyama: neanche il titolo. Un rifiuto di "indignato".
 
di  Giuseppe Tamburrano
 
Fukuyama si è reso celebre con un libro e una serie di scritti in cui sostenne la "fine della storia". Fu celebrato in Occidente come l'interprete e l'alfiere dei tempi nuovi del liberismo e del mercato.
    "Fine della storia": perché crollato il comunismo nulla si opponeva al trionfo del capitalismo di stampo americano. Hegelianamente è caduta l'antitesi e la storia fatta di tesi e antitesi rimane senza una gamba e muore. Fine della storia, nel senso che il mondo unidimensionale è pacificato: non è più dialettico, ma circolare e possono pacificamente "circolare" capitali e idee, hard e software della globalizzazione americana: il modello unico.
    Come Roma: urbem fecisti quod prius orbis erat.
    Questo fu l'apologo Fukuyama.
    Quella visione del mondo oggi è ridicolmente a pezzi: e non perché abbia vinto il comunismo, che sta perdendo anche in Cina, ma perché il capitalismo è imploso.
    Di fronte al disastro del mercato e della globalizzazione si può dire che la storia davvero sta finendo: morto il comunismo, agonizzante il capitalismo, quale sarà l'avvenire, la storia del mondo?
    Nuovi paesi emergono dall'arretratezza: la Cina, l'India, il Brasile... Ma non emerge una nuova storia. Quei paesi conoscono forti tassi di crescita economica, ma non incarnano un modello. Sono degli ibridi.
    Prendete le Cina che è al top dei nuovi aspiranti padroni del mondo: è comunista? No e sì. E' capitalista? Sì e no.
    Ripeto: la loro presenza nel mondo non è un nuovo modello, non fanno storia ma solo tassi di crescita.
    La culla della storia moderna, l'Occidente, invece, sprofonda sotto i suoi muri maestri: è il nostro crollo del muro di Berlino? Che cosa ci attende?
    E' escluso che possiamo essere invasi dai nuovi barbari: sul piano militare siamo ancora invincibili. Forse la crisi economica non sarà apocalittica. Ma l'Occidente non ha più il primato, lo scettro: il "mirabile" meccanismo del liberismo è un ammasso di ferri vecchi. E sotto la fiaccola della statua della libertà si raccolgono uomini e donne e giovani impauriti, impoveriti e arrabbiati.
    Non sono le risorse che mancano: naturali e tecnologiche; manca il modello.
    Su questo blog noi sosteniamo che il modello ideale c'è: è il socialismo riformista. Ma è nella mente di noi pochi e poveri sognatori convinti che Marx e Stuart Mills, Prampolini e Rosselli hanno nelle loro pagine le soluzioni di una nuova storia, di una nuova società nella quale la libertà individuale di intraprendere si sposa e si armonizza con le decisioni della democrazia di perseguire sempre nuovi e più alti progetti di convivenza umana.
 
 
 
 
IPSE DIXIT
Io so che Mussolini fu un assassino - «Mio padre: arrestato dalla milizia fascista all'inizio dell'anno 1944, prima incarcerato nel carcere delle Murate di Firenze e in seguito deportato nel lager nazista di Auschwitz-Birkenau, insieme alla madre e al padre, che sono i miei nonni, che non ho mai visto. Prima di lui lì l'avevano preceduto il fratello, Enzo Fiano, la cognata, Livia Di Porto e mio cugino Sergio Fiano, di 18 mesi. Mio padre fu arrestato dalla milizia fascista, incarcerato da italiani prima nel carcere delle Murate di Firenze, poi trasferito nel campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, e da lì trasferito, con un viaggio atroce, insieme ai miei nonni, nel campo Birkenau, dove dopo li raggiunse anche la mia bisnonna, portata via dal letto di inferma a 86 anni. Oggi, mio padre è uno, credo, dei dieci sopravvissuti ebrei italiani a quella deportazione, non tutta compiuta con la complicità dei fascisti. Ma di mio padre so. Io so che Benito Mussolini fu un assassino e non me lo dimenticherò mai». - Emanuele Fiano