lunedì 12 settembre 2011

La spinta propulsiva è finita

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo / Dibattito a sinistra

 

Una fenomenologia della crisi e del possibile passaggio.

di Rodolfo Ricci, Federazione Italiana Emigrazione e Immigrazione

 

L'affannosa discussione agostana sui turbinii delle borse mondiali intorno al vacillare dei debiti sovrani (cioè degli Stati in quanto istituzioni), di fronte al mercato globalizzato della finanza, è penosa.

    Si approccia il problema, generalmente, come scarsa capacità degli Stati di assecondare la fiducia dei mercati, ovvero, per la condizione transitoria, degli investitori (che sono milioni di individui gestiti dai fondi di investimento riconducibili a poche mani), nella loro funzione di risparmiatori.

  Dall'altra parte, abbiamo altri milioni di individui. Questa volta, nella funzione di produttori, che, a causa della crisi, restano disoccupati o, ove si tratti di imprenditori, rischiano di fallire miseramente.

    Poi, vi sono i consumatori, sempre meno entusiasticamente predisposti all'acquisto, a causa del vizioso rapporto tra reddito disponibile e capacità di consumo, ovvero del potere di acquisto, ridotto ai minimi termini.

    Risparmiatori, produttori, consumatori. Tutti in lotta l'uno contro l'altro.

    Ma quegli individui, quelle persone, sono le stesse: di volta in volta inquadrati dall'obiettivo del risparmio, della produzione, del consumo. Una specie di santa trinità intristita dalla crisi.

    Si cerca di spostare l'attenzione sulla possibilità che la competitività di sistema-paese cresca a discapito di altri, affinché i medesimi individui possano rafforzare allo stesso tempo la loro triplice funzione di risparmiatori, produttori e consumatori, facendone pagare dazio ad altri risparmiatori, produttori e consumatori di paesi meno scaltri o attrezzati. Si ipotizzano misure che generalmente prevedono l'abbassamento degli standard di welfare. Del tutto illogico che un paese diventi più competitivo allorché si riducano i servizi sanitari, scolastici ed educativi, ecc. ecc.

    Inoltre, di questi paesi meno scaltri, ve ne sono sempre meno a disposizione (visto anche che hanno, a loro volta, sperimentato il gioco in largo anticipo), quindi la partita diventa sempre più interna, giocata, per così dire, in casa. Dentro i confini storici del capitalismo. E la partita comincia a far emergere la coscienza che il sistema ha limiti strutturali. Ogni sistema è infatti finito. Come la scienza e la logica ci hanno insegnato da tempo. Quando non vi sono più frontiere esterne da conquistare e da superare, ci si deve fermare ad un presente contestuale.

    Qui ed ora si devono fare i conti.

    Qui, dentro la scatola del neoliberismo, la questione pian piano si schiarisce e la sensazione di essere presi per i fondelli, diventa sempre più evidente: io sono allo stesso tempo risparmiatore (piccolo), produttore (dipendente o piccolo imprenditore) e consumatore (nei ristretti limiti della mia capacità di reddito e di risparmio).

    Non avrò molto vantaggio dall'aumento dei tassi di interesse sui miei risparmi a discapito del mio salario o dei servizi pubblici di cui godo; se la mia funzione di produttore e percettore di reddito e quindi di consumo si ridurrà, vale poco sapere che qualcuno (i mercati) sta tutelando i miei risparmi. Li consumerò in poco tempo, come infatti è già avvenuto e continuerà ad accadere fino a che non li avrò definitivamente erosi.

    Avevano inventato, per ovviare a questo inconveniente sistemico, la possibilità di un indebitamento crescente facilitato, attraverso la proliferazione monetaria legittimata fin dall'inizio dalla riserva frazionaria, e si è andati avanti per 70 anni, con successivi rilanci, ma poi, nel 2007, lo hanno drasticamente compresso, poiché, ci hanno spiegato che non potendo più pagare i mutui sulla casa facile a cui erano stati sapientemente indotti, tutto il sistema rischiava di saltare. Per sempre.

    In realtà le rate dei mutui non erano più saldabili perché il livello reddituale medio si era abbassato oltre la soglia necessaria a consentirlo: l'apertura del sistema all'indebitamento non era bilanciata dalla disponibilità di reddito per la sussistenza della famiglie, come era stato per i decenni precedenti. [1]

    Quindi, nel panico generale e senza alcuna alternativa in campo, siamo tornati al punto di partenza. Come nel gioco dell'oca. Niente più indebitamento facile. Né per i singoli, né per gli Stati, che nel frattempo, nel 2008-2009 sono stati chiamati a realizzare l'ultima grande funzione storica di salvataggio pubblico del sistema privato.

    Ora, dopo l'ennesimo mega-indebitamento a favore della finanza, ci dicono che per salvaguardare l'architettura di sistema c'è bisogno di contrarre drasticamente le spese, ridurre e saldare i debiti, affinché l'equilibrio venga riacchiappato in extremis: si tratta dell'equilibrio della finanza, nello specifico, cioè dell'equilibrio sistemico che afferma che i debiti prima o poi debbono essere ripagati con gli interessi maturati.

    Dopo un lungo periodo di bisbocce (di proliferazione asintotica di successive bolle causate dalla facilità di credito) attuata per mantenere l'equilibrio tra domanda e offerta di beni e servizi fisici e monetari, gli usurai chiedono quindi la solvibilità dei prestiti. Perché?

    Apparentemente, per un motivo semplice e fondamentale come l'acqua: non vi è sostenibilità del credito/debito che non compendi il ritorno alla fonte di capitale + interessi concessi. La circolazione monetaria implica la chiusura del circuito di valorizzazione. Tale fase non può essere rimandata ad libitum.

    Siccome l'interesse è la forma più astratta e cogente del profitto (estorto per via dogmatica a differenza del plusvalore estorto per via di sfruttamento fisico e intellettuale del lavoro dipendente), tutto il sistema può continuare ad avere credibilità solo se, di volta in volta, viene riconfermata la possibilità di solvibilità dei titoli di debito.

    Altrimenti, si potrebbe correre il rischio che il meccanismo dell'indebitamento possa essere svelato nella sua effettiva natura di mera convenzionalità.

    A rigore, infatti, la leva finanziaria potrebbe procedere all'infinito senza alcun bisogno di verifica. Rispetto ai debiti pubblici, basterebbe rimandare sine die il rimborso dei capitali ed interessi prestati (oppure, come peraltro accaduto per quasi un secolo sarebbe sufficiente saldare solo gli interessi attraverso l'emissione di nuovi titoli), per far sì che la macchina riproduca se stessa senza alcun limite. [2]

    In questo caso, la crescita sarebbe auto-sostenibile e (a prescindere dalle modalità storica della crescita che può coniugarsi anche come decrescita o crescita immateriale) essa potrebbe non conoscere stop. La scadenza dei titoli di credito può inoltre essere sempre ricontrattata e rimandata, rinviata nel tempo o comunque, come detto, rifinanziata attraverso nuove emissioni. [3]

    Vi sono esempi storici duraturi che confermano questa possibilità. Negli ultimi 30 anni, ciò è avvenuto anche con la proliferazione dei titoli derivati che costituiscono, in un certo senso, una modalità di posticipazione scalare della proprietà di un rischio o di una opportunità. Una specie di gioco del cerino che passa di mano in mano e che resta in piedi finché c'è una mano ulteriore disponibile ad acquistarlo e a ritrasferirlo. L'antica catena di Sant'Antonio è la base logica perpetua di queste operazioni.

    Il sistema funziona cioè, finché la catena non si rompe; o come oggi accade, finché qualcuno non si presenti a incassare i frutti degli investimenti, poiché comincia a crescere il dubbio se la catena sia effettivamente realistica o non sia altro che una pericolosa architettura, un'invenzione. Solo allora il sistema va in crisi. Ma non necessariamente: quando le navi di De Gaulle piene di dollari, si presentarono alla Federal Reserve per incassare il controvalore in oro, fu improvvisata la soluzione delle soluzioni, cioè l'inconvertibilità del dollaro…

    E poiché colui che doveva pagare era più forte di quello che chiedeva l'incasso, la cosa si placò. Da quella magica soluzione nacque la globalizzazione che conosciamo.

    Ma adesso, perché qualcuno (anzi in diversi) si presenta improvvisamente all'incasso ? E' forse colpa della Cina o dei Brics che reclamano il riconoscimento della loro crescente e fondamentale funzione di creditori ?

    Forse, ma solo indirettamente. La Cina in verità, non ha chiesto alcunché; ha chiesto solo di continuare a sostenere il gioco. Gli attori essenziali che controllano il sistema globale della finanza non sono cinesi, o russi, o indiani, o brasiliani. Sono invece sempre, e principalmente, americani, inglesi ed europei; quindi la questione è diversa.

    Chi si presenta all'incasso oggi, e nel presentarsi all'incasso genera la grande crisi sistemica, lo fa per un principio millenario che attraversa lo spazio storico: si tratta senza dubbio di business, e, nella fattispecie, il business monumentale a cui stiamo assisteremo è la svendita definitiva di proprietà fisiche reali (degli Stati, cioè dei popoli) che saranno acquisiti per pochi denari e andranno a solidificare in termini di patrimonializzazione le entità extraterritoriali multinazionali private.

    Ma forse, ancora di più, si tratta di riconfermare la funzione di potere e dominio globale che si era andata affievolendo nel proliferare dell'indebitamento pubblico e privato.

    Se infatti saltasse il principio della "naturalità" e "necessità" del profitto finanziario, se intervenisse una sorta di oblio delle masse rispetto a questa presunta oggettività del profitto, il sistema di poteri potrebbe evaporare.

    Rimandare all'infinito la solvibilità del capitale consentirebbe una crescita infinita (in termini meramente economici, a prescindere dalla direzione culturale della crescita), ma rischierebbe di minare alle fondamenta, l'evidenza dei poteri che controllano il sistema.

    Quindi, a scadenza variabile, il sistema va ricondotto all'ordine; va operata un'azione di reminiscenza dell'effettività dei poteri in campo. E in queste occasioni si deve cogliere l'opportunità di una ridistribuzione verso l'alto dei valori effettivi che la leva monetaria ha prodotto attraverso lo sfruttamento del lavoro reale.

    La finanza, la grande finanza, in questo frangente, sta producendo questa azione di reminiscenza globale. Con una differenza sostanziale rispetto al passato: ora i poteri pretendono di essere riconosciuti nella loro natura definitivamente extraterritoriale ed astratta.

    Bisogna ricordare che il potere di indebitamento è concentrato in alcune specifiche mani: che chiamiamo mercati, ma che in realtà significano poche specifiche entità: grandi fondi e banche di investimento, che salvo qualche variabile, sono le stesse da circa un secolo a questa parte. - (1/2 - Continua )

 

NOTE

[1] – In realtà il meccanismo dell'indebitamento facile si amplia proprio a causa della contrazione dei salari che inizia in modo consistente negli anni '80 e che continua per tutti i 3 decenni del neoliberismo. Proprio per mantenere alto il livello della domanda, viene applicato il meccanismo dell'indebitamento privato, che consente un doppio obiettivo: sostituire appunto la mancanza di reddito adeguato per consentire il consumo dei beni fisici e dei servizi prodotti (equilibrio domanda-offerta di beni), da una parte e, dall'altra, consentire una adeguata lubrificazione del circuito di valorizzazione del capitale monetario attraverso il flusso degli interessi (equilirio domanda-offerta di capitali). Ciò che le famiglie e i consumatori non possono più comprarsi grazie ad un salario adeguato, se lo comprano ora attraverso la facilitazione dell'indebitamento, con il risultato che il sistema resterà in equilibrio, ma solo finché le rate dei vari debiti contratti non supereranno la fisiologica possibilità di farvi fronte. L'altro risultato sarà che, nello stesso periodo, i consumatori potranno mantenere il loro standard di vita pur in un regime di contrazione salariale. Si eviteranno così dinamiche conflittuali e si otterrà il fantastico obiettivo di tenere legati al carro neoliberista centinaia di milioni di persone anche se sottoposte ad un doppio scacco: riduzione salariale e aumento della dipendenza dalle banche e dagli istituti di credito. D'altra parte, questo dispositivo cementa l'alleanza tra capitale produttivo e capitale finanziario: l'orientamento al mercato del sistema di imprese produttive con la conseguente dinamica di riduzione dei costi fissi (ivi incluso il costo del lavoro), le consente di restare competitiva sul mercato mondiale, mentre il capitale finanziario può continuare a far affluire gli interessi sui crediti prestati al consumo e a costruire su di esso la grande proliferazione dei titoli derivati.

     [2] - A conferma di ciò, va ricordato che ancora non stanno chiedendo il ritorno dell'intero ammontare del debito sovrano -che è completamente inesigibile-, ma solo del deficit sul PIL; si passerà solo più avanti ad una ventennale riduzione del 40% dell'ammontare dei debiti come previsto da Maastricht.

     [3] – Quando vi è accordo su tali procedure si parla di ricontrattazione del debito; se non vi è accordo si giunge al default. Il default non è quindi un fatto tecnico, ma sempre relativo alle decisioni e alle volontà degli attori coinvolti.