lunedì 18 maggio 2015

I nodi dell’Italicum

FONDAZIONE NENNI

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 di Cesare Salvi

 

È probabilmente inutile ripetere le critiche di merito e di metodo alla legge elettorale, chiamata Italicum, approvata in via definitiva nei giorni scorsi.

    Quanto al contenuto, la principale critica è la introduzione di una forma di elezione diretta del premier (come ha sottolineato uno dei suoi principali fautori, il politologo D'Alimonte), pur mantenendo formalmente il sistema di governo parlamentare. Si introduce cosi in modo surrettizio il presidenzialismo, senza i contrappesi previsti là dove è adottata questa forma di governo. Ciò è aggravato dalla nuova composizione del Senato, che riduce ulteriormente i contrappesi parlamentari.

    Del resto, il metodo con il quale la legge è stata approvata conferma già da oggi questi rischi. I presidenti del Senato e della Camera hanno accettato supinamente le forzature del governo: Grasso, ammettendo l'emendamento presentato, su sollecitazione del governo, del sen. Esposito; Boldrini ammettendo il controverso voto di fiducia senza nemmeno convocare la Giunta per il regolamento. L'effetto è stato di precludere la possibilità di modificare la legge, con una compressione del potere emandativo del Parlamento che non lascia ben sperare per il futuro.

    Ma, come ho detto, queste criticità sono state già segnalate con efficacia, in particolare da Gianni Ferrara e Massimo Villone.

    Ormai la legge è approvata (anche se entrerà in vigore tra un anno), e bisogna essere consapevoli che sarà molto difficile rimetterla in discussione (per ragioni tecnico-giuridiche e politiche, sulle quali è qui inutile soffermarsi) con gli strumenti di cui oggi si parla, il referendum abrogativo o il ricorso alla Corte costituzionale.

    L'unica via per fermare la deriva autoritaria è far saltare la riforma costituzionale: con il voto del Senato (previsto a giugno), impedendo che il testo raggiunga la maggioranza assoluta dei voti; o con il referendum, che avrà luogo se la nuova normativa avrà invece i voti parlamentari sufficienti.

    Se la riforma costituzionale non sarà approvata, infatti, per il Senato rimarrà l'elezione diretta, con la legge di impianto proporzionale che risulta dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la legge chiamata "porcellum".

    Ma sarà possibile fermare , in parlamento o nel paese, la riforma del Senato?

    Per rispondere a questa domanda, bisogna intanto domandarsi come sia stato possibile che il parlamento eletto nel 2013 sia arrivato a questo punto, pur avendo una larga maggioranza di centro sinistra.

    Oggi Bersani e altri esponenti del PD parlano di deriva autoritaria. Ma come mai se ne sono accorti solo ora, alla quarta lettura della legge?

    Credo che ci sia una ragione di fondo al di là quelle legate ai tatticismi e all'evoluzione della lotta politica interna al PD.

    Questa ragione risiede in un profondo deficit di cultura politica. Quando Stefano Rodotà e altri eminenti studiosi segnalarono fin dalla presentazione dei progetti, il rischio della deriva autoritaria, furono lasciati soli di fronte a Renzi che li chiamava gufi e professoroni.

    La cultura politica della sinistra maggioritaria é debole o inesistente, e ciò impediva di leggere la sostanza di quanto si veniva proponendo.

    Essa era (e in buona parte ancora è) subalterna alle ideologie del decisionismo e della governabilità, ben espressa dalla sciocca formula "la sera del voto si deve sapere chi ha vinto". Come se finora non lo si fosse, nella sostanza, saputo, senza bisogno di investiture plebiscitarie, sia ai tempi della legge proporzionale che in quelli successivi del maggioritario. E quanto al decisionismo ultramaggioritario (che solo consentirebbe di approvare riforme) come dare una spiegazione del fatto che, con la legge proporzionale, negli anni '60 e '70 del secolo scorso sono state approvate riforme come il divorzio, lo Statuto dei lavoratori, la scuola media unificata, il sistema sanitario nazionale, ecc.?

    Il problema della democrazia italiana oggi non è la difficoltà di decidere, ma il deficit drammatico di partecipazione e di rappresentatività democratica, che sta causando un crescente e inquietante distacco dei cittadini e delle istituzioni. Le riforme dovrebbero dare una risposta a questo problema, non accentuare il distacco tra cittadini e istituzioni.

    Una riflessione di questo tipo è stata, almeno finora, del tutto assente dalla cultura politica della sinistra (tutta).

    Ma se non si avrà il coraggio e la determinazione di costruire una piattaforma istituzionale, alternativa a quella di Renzi perché basata su un'altra idea della democrazia, mi pare evidente che i prossimi appuntamenti, a cominciare dall'impegno contro la riforma del Senato, difficilmente potranno avere il necessario consenso popolare.

    Spero quindi che quanto accaduto suoni la sveglia a sinistra, dopo l'occasione mancata sulla legge elettorale. Senza idee innovative e alternative, la battaglia democratica sarà purtroppo limitata a restare minoranza.