giovedì 28 novembre 2013

Le idee - Che fare? A saperlo!

Crisi di una democrazia

di Fabio Vander

Il sistema politico italiano è terremotato. Precisamente lo sono i soggetti politici della Seconda Repubblica. Quelli che avrebbero dovuto essere i Träger della nuova democrazia finalmente compiuta, dell’alternanza, del bipolarismo, del Nuovo Millennio.

Dovevano essere il nuovo e sono già il vecchio.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni e mesi ne sono la riprova. La fine politica di Berlusconi ha portato alla fine del PDL, cioè del maggiore partito della destra italiana di questi anni. La scissione di Scelta Civica d’altro canto ha dimostrato che non c’è un’alternativa democratica alla destra berlusconiana.

Solo pochi mesi fa è scomparsa Italia dei Valori travolta dagli scandali che era nata per combattere. Sinistra ecologia e libertà è scossa dalla sua insussistenza politica. È fallito il tentativo di costruire un soggetto alla sinistra del PD. Fallimento già sancito sul piano elettorale dal disastro di Sinistra Arcobaleno nel 2008 e su quello politico appunto dalla vicenda di SEL. Partito personale di Vendola e del gruppo di potere ex-Rifondazione (Migliore, Ferrara, Smeriglio, ecc.), che mai ha voluto darsi un autentico progetto politico di rifondazione della sinistra, sopravvivendo piuttosto da parassita del PD (prima con l’illusione della scalata di Vendola alle primarie di quel partito, poi con il fallimento di Italia Bene Comune). Di aborti politici come Rivoluzione Civile o Alba non vale nemmeno la pena di dire.

Resta il PD. Quel che fu nelle sue vite precedenti un grande partito della sinistra italiana è stato scalato da uno come Renzi: ecco il crisma di uno sfacelo. E delle responsabilità di una classe ‘dirigente’. Quella degli ex-comunisti, assolutamente incapaci di venire a capo del proprio problema storico. Proprio e del Paese, della nostra democrazia. Ha perfettamente ragione Asor Rosa a sostenere che Renzi è la degna conclusione di una sciagurata parabola iniziata alla Bolognina. C’è continuità diretta, si tratta di momenti successivi di uno stesso destino. Continuità di premesse (una certa analisi dell’Italia, per cui si doveva eliminare il PCI, ma poi anche il socialismo, infine la sinistra per arrivare al ‘partito perfetto’, democratico). Ma continuità anche di risultati. Dato che, dal PDS al PD, dal 1994 al 2013, sono stati capaci solo di perdere.

Il PD altro non è che un partito nato per perdere. E che sempre ha perso, nelle città come alle politiche. Costituendo la vera ‘assicurazione sulla vita’ di Berlusconi. Un tizio che in nessun paese democratico, mai, avrebbe potuto esistere e resistere.

Un punto dev’essere quindi chiaro: non ci sarà futuro per la sinistra, per il centro-sinistra e per la nostra democrazia finché ci saranno PD e SEL. Bisogna lavorare per favorire la disarticolazione di questi soggetti. In questo senso non tutto il male viene per nuocere. La crisi in corso aiuta. Ma certo va aiutata a sua volta, con la messa in campo di un progetto politico alternativo. Proprio quello che finora è mancato. Il che incancrenisce la crisi. Le preclude esisti positivi.

Questo il quadro. Implementato per altro da un governo delle “larghe intese”, cioè appunto di convergenza fra quelli che dovrebbero essere per natura alternativi e invece da anni (cioè compreso Monti) governano insieme.

Il quadro, si diceva, di una crisi. Di una crisi di sistema. Cioè di istituzioni, di valori, di classe dirigente.

Che fare? ...saperlo.

Come accennato, ci vorrebbe una risposta di respiro, di sistema. Dello stesso livello della crisi che si ha di fronte.

Intanto partire da un’altra lettura della storia d’Italia. Delle tare di una democrazia, di ciò che la ha resa perennemente “incompiuta” e “difficile”. Una nuova lettura che non parta dalla tabula rasa. Che non presupponga la necessità di liquidare tutto (appunto comunismo, socialismo, sinistra, sindacati, diritti e tutele del lavoro) nell’illusione che così ci si legittima finalmente a governare. Perché così si arriva solo a Renzi. E poi, tra l’altro, manco si vince, né si governa.

Insieme a questo, la proposizione di un soggetto politico a sinistra del PD. Organizzato intorno ad una idea di socialismo e di libertà, del lavoro e dei saperi, di una sinistra capace di critica, di proposta, di governo. Disposta ad avere un rapporto con il centro democratico (il PD, ma non solo), ma entro un centro-sinistra ‘col trattino’, in cui la sinistra dispieghi precisamente un ruolo autonomo, visibile, credibile.

Quanto all’Europa, il rapporto con il Socialismo europeo deve essere stretto e stringente, ma mantenendo intatta la curiosità di conoscere quanto di nuovo e migliore la sinistra europea in genere è capace di produrre.

Solo una sinistra autonoma e dinamica può dare chance ad un nuovo centro-sinistra capace di riorganizzare il quadro politico oltre le macerie del berlusconismo e le gore dell’anti-politica e del grillismo.

Sarà questo il nostro contributo al futuro della nostra democrazia.

 

IPSE DIXIT

Breve storia dell'umanità - «Nel corso della storia le società umane hanno inventato le gerarchie più disparate. La razza svolge un ruolo importante negli Stati Uniti, ma non possedeva praticamente alcun significato per i mussulmani del medioevo. La casta era nell'India medievale una faccenda di vita o di morte, ma nell'Europa moderna è pressoché sconosciuta. Una gerarchia ha svolto per contro un ruolo centrale in tutte le società conosciute: la gerarchia dei sessi. In ogni società umana ci sono uomini e donne, e in tutte le società umane, ma proprio in tutte, gli uomini vengono privilegiati rispetto alle donne.» – Yuval Noah Harari

Chiamare le cose con il proprio nome - «Potrebbe essere utile, innanzitutto a partire dai giornali, iniziare a chiamare le cose con il proprio nome. Sostituire la parola gelosia, per esempio, con volontà di possesso, amore con dominio, avances con molestie, passione con aggressione. E forse inizierebbe a cambiare anche la nostra percezione della realtà. Non si uccide perché si ama ma perché non si riesce a concepire la propria compagna al di fuori della funzione che le è stata assegnata. (…) La parola “femminicidio” è stata introdotta dalla criminologa statunitense Diana Russell nel 1992, per indicare una categoria criminologica vera e propria: una violenza da parte dell’uomo contro la donna in quanto donna; un atto in cui, cioè, la violenza è il risultato di una precisa cultura del possesso e della sopraffazione. Quello quindi che distingue il femminicidio da ogni altro omicidio, sia di uomini che di donne, è il movente di genere: la donna vittima di femminicidio ha messo in qualche modo in discussione l'idea che l'assassino aveva del suo ruolo.» – Cinzia Sciuto