martedì 5 novembre 2013

Il dibattito politico-costituzionale / Problemi non risolti

Pensieri di un costituzionalista che diffida dei “giuristi puri”

di Felice Besostri

La congiuntura politica istituzionale è condizionata dai problemi non risolti. Con le sentenze n. 15 e 16 del 2008 del 23/01/2012 (l’udienza pubblica nella quale ho discusso l’ammissibilità dei referendum Guzzetta, opponendomi si era tenuta il 13/12/2011), la nostra Corte Costituzionale, non pronta proceduralmente ad accogliere le obiezioni sul premio di maggioranza che i quesiti referendari avrebbero accentuato con il divieto di coalizioni, aveva lanciato un forte monito al Parlamento e alle forze politiche di modificare il premio di maggioranza prevedendo una soglia minima in voti o seggi.

L’invito, reiterato con la sentenza n. 13 del 2012, è rimasto inascoltato al pari degli appelli del Capo dello Stato. Si è votato, invece, con quella legge di dubbia costituzionalità nel 2008 e nel 2013, confidando in quella giurisprudenza, consolidata delle SS.UU. di Cassazione e del Consiglio di Stato sulla carenza assoluta di giurisdizione nei confronti delle operazioni elettorali, grazie ad un’abnorme interpretazione dell’art. 66 della Costituzione, che rende arbitre le Camere elette, anche con legge di dubbia, anzi addirittura manifesta incostituzionalità, di giudicare sui ricorsi contro le operazioni elettorali.

Il risultato pratico è che una legge incostituzionale che fosse votata da una maggioranza artificiale, grazie ad un premio di maggioranza, che fosse promulgata da un Presidente eletto dalla stessa maggioranza non avrebbe un giudice nemmeno per le operazioni elettorali preparatorie; lo stesso decreto di convocazione dei comizi elettorali sarebbe atto inimpugnabile (TAR Lazio Sez.IIbis n. 1855/2008 e CdS, sez.IV, n.1053/2008). Eppure la Corte Costituzionale aveva fatto una richiesta minimale di fissare una soglia di accesso, che ben poteva coincidere con il 25% della fascistissima legge Acerbo.

Il mancato adeguamento della legge elettorale non dipendeva dalla soglia di accesso, ma probabilmente dalle liste bloccate, che sono un bene irrinunciabile per i gruppi dirigenti o per i padroni di partiti e/o liste. Un parlamento di nominati, e la cui ripresentazione dipende da un gruppo ristretto di persone, è un organo più docile di chi debba rispondere ai propri elettori. La docilità e la prevedibilità dei loro comportamenti, salvo quando entrano in gioco altri fenomeni come la corruzione o semplicemente il desiderio di non perdere il posto e i connessi vantaggi, consentono di assicurare la stabilità e quindi la governabilità, che è la chiave di lettura delle scelte compiute in materia elettorale.

Non si è tenuto conto che in una democrazia rappresentativa, che resta, a mio avviso, la miglior forma di governo, che può essere integrata e completata, ma non sostituita, da istituti di partecipazione popolare e democrazia diretta, è il dibattito pubblico che deve precedere le deliberazioni, l'essenza della democrazia, come ci insegna Urbinati, più dei sistemi elettorali, aggiungo io.

Si spiega così scelte come la modifica degli artt. 81, 97, 117 e 117 Cost. con una maggioranza straripante superiore ai due terzi e in condizioni di semi-clandestinità. Stabilità e governabilità spiegano la preferenza per sistemi elettorali maggioritari e bipolarizzanti, come se questo fatto potesse sostituire l’elaborazione di programmi all’altezza dei problemi dei problemi da risolvere e la capacità di organizzare un blocco politico e sociale egemone, in grado di garantire una maggioranza non solo numerica ed apparente, come quella che deriva dalla combinazione di premi in seggi e soglie di accesso che trasformano minoranze occasionalmente più forti in maggioranze eterogene”. Il prof. Onida , che purtroppo non può essere tra noi, ha definito queste scelta: “La fiera dei premi di maggioranza”. NEL VALUTARE POSITIVAMENTE L’ORDINANZA DEL Tar Lombardia, che ha inviato in Corte Costituzionale la L.R. 17/2012 della Lombardia , con norme condivise da altre leggi elettorali regionali. La legge elettorale regionale lombarda può così raggiungere le modifiche introdotte dalla l. 270/2005, la cui discussione è fissata al prossimo 3 dicembre.

Il vertice dell’equivoco si è raggiunto coll’errata convinzione che si debba sapere chi ha vinto le elezioni e quindi governerà la sera stessa delle elezioni. E’ una pretesa che non ha riscontro neppure nei sistemi presidenziali: Obama ne è dimostrazione.

La situazione non è migliore neppure nei sistemi semipresidenziali: non solo ci sono state 2 coabitazioni in Francia, ma in astratto non è garantito, che il Presidente abbia la maggioranza nelle seguenti elezioni dell’Assemblea Nazional. Persino in Gran Bretagna chi avrebbe governato sarebbe dipeso dalle scelte dei liberali, come in Germania il successo personale della Merkel non le garantisce il Governo finché non firma un contratto di coalizione con un secondo partner, perché nel Bundestag è in minoranza come lo era nel 2005.

Per noi che abbiamo gioito per la chiara vittoria di Hollande sia alle presidenziali che alle legislative desta preoccupazione il fatto che a poco meno di un anno e mezzo dal maggio 2012 non sia garantito di poter governare, cioè malgrado una confortevole maggioranza, frutto del sistema maggioritario a doppio turno, che piace a molti, anche nel centro-sinistra. Ebbene senza la disciplina repubblicana il sistema maggioritario a doppio turno non assicurerebbe stabili maggioranze.

La cultura politica, che determina i comportamenti, pare non far parte delle riflessioni o del bagaglio di conoscenze ,di chi si occupa da politico o da giurista di leggi elettorali. Il maggioritario di collegio uninominale con ballottaggio eventuale, che ha il consenso di molti, senza disciplina repubblicana, senza la polarizzazione destra-sinistra e la discriminante anti-fascista verso la destra estrema e con, a contrario, forti partiti regionali e vaste porzioni del territorio a forte dominanza clientelare, quando non di influenza elettorale della criminalità organizzata, avrebbe esiti diversi, se non opposti, in un Paese come l’Italia. Lo stesso con un sistema elettorale, come quello tedesco -l’altro grande modello di riferimento- con un sistema tripartito prima Union-SPD e FDP e quadripartito poi con i Verdi si poteva scommettere che in Italia non avremo avuti Cancellieri Democristiani o Socialdemocratici ma Liberali o Verdi, finché DC e PCI non fossero stati pronti a praticare larghe intese o una sorta di Große Koalition grazie al Compromesso Storico.

Nei paesi scandinavi, quando tramontò il periodo delle maggioranze assolute dei socialdemocratici furono possibili stabili governi di minoranza perché i partiti a sinistra dei socialdemocratici, mai avrebbero unito i loro voti a quelli dei partiti borghesi per sfiduciare o mettere in minoranza il governo: questo scrupolo è invece stato assente in Italia per sfiduciare il governo Prodi nell’ottobre 1998 e nel gennaio 2008.

Vogliamo pensare ai paradossi della governabilità e del bipolarismo, che avrebbero dovuto essere favoriti da leggi elettorali con premio di maggioranza, si sono avute legislature anticipate dopo le elezioni del 2006 e senza la crisi economica e l’emergenza dopo quelle del 2008 e la stessa legislatura del 2013 non è destinata a durare fino al 2018, anzi sarebbe già terminata come la precedente se si potesse tornare a votare con una legge elettorale riformata.

Nel dibattito attuale preoccupa, che invece di trarre lezione da quanto accaduto si pensi di accentuare l’artificialità di maggioranze con l’introduzione di un premio di maggioranza nazionale anche al Senato, malgrado l’art. 57 Cost., quando la differenza di possibili maggioranze politiche tra Camera e Senato non dipende dal premio di maggioranza nazionale per la prima e regionale per il secondo, ma delle diverse soglie di accesso e di deroghe per le liste coalizzate, che contro ogni nozione minima di matematica, sono più elevate per il Senato anche fino al doppio, benché abbia la metà dei componenti della Camera. Questo fatto impedisce che ci sia la stessa offerta politica alla Camera e al Senato.

L’elezione diretta dei vertici esecutivi, insieme con la prevalenza dell’esposizione mediatica, nella scelta dei cittadini ha modificato il criterio di scelta della classe politica i cui effetti non positivi cominciano ad emergere nel caso dei Sindaci di grandi città. Tra i criteri di scelta non compare la valutazione della capacità di essere un buon sindaco, ma solo quello di poter abbattere l’avversario nei consensi. Se questo è il criterio è logico che il Sindaco di Milano non voglia fare un secondo mandato e quello di Firenze abbia da tempo concepito la carica come trampolino per altri destini, avendo un chiaro obiettivo finale la Presidenza del Consiglio. La stessa logica di stabilità ha presieduto alle riforme elettorali di comuni, province e regioni, con accentuazione per queste ultime dalla mancata previsioni di un secondo turno di ballottaggio.

Siamo riusciti ad inventare un sistema elettorale sui generis, che subordina l’assemblea rappresentativa al vertice del potere esecutivo, contraddicendo 200 anni di sviluppo di democrazia e assegnando al vertice esecutivo, Sindaco, Presidente di Provincia (specie in via di esaurimento) e di Regione un potere inesistente persino nelle forme di governo presidenziale(dove non può sciogliere il Congresso) o semi-presidenziale.

Negli Stati Uniti il Presidente non ha la garanzia di controllare il Congresso, le elezioni non sono mai totalmente contestuali e neppure in Francia. In questi due paesi a nessuno è mai venuto in mente di eleggere presidente e assemblee legislative in un unico election’s day, assegnando un premio di maggioranza al presidente con più voti al primo ed unico turno negli USA o al ballottaggio in Francia.

L’esperienza ha provveduto a smentire nei fatti che per assicurare stabilità fosse sufficiente assegnare un alto premio di maggioranza( se volessimo pulire il linguaggio dovremo chiamarlo premio alla minoranza più forte), senza tener conto che il premio è incentivo a raccogliere il più ampio arco di forze e quindi senza badare troppo alla loro eterogeneità. Il premio, quando si presentano problemi politici, non costituisce legame per il governo , così è stato con le elezioni del 2006, del 2008 e persino del 2013 la coalizione IBC non ha resistito 60 giorni alla mezza vittoria della coalizione (Parafrasando il Talmud sulle mezze verità, che sono una bugia intera, le mezze vittorie sono una sconfitta totale).