La tesi di Macaluso nel suo ultimo libro Comunisti e riformisti è in frontale contrasto con quanti hanno visto nel partito togliattiano un potente impedimento alla diffusione della cultura politica socialista-riformista nel nostro disgraziato Paese.
di Luciano Pellicani
Il titolo dell'ultimo libro di Emanuele Macaluso – Comunisti e riformisti – sintetizza assai bene qual è la tesi che vi è argomentata con passione e lucidità. Una tesi che è in frontale contrasto con quanti hanno visto proprio nel partito creato da Palmiro Togliatti l'istituzione che ha impedito che nel nostro Paese prevalesse la cultura politica del socialismo riformista. E' accaduto che l'ipertrofica crescita del Pci – battezzata da Alberto Ronchey "il fattore K" — ha fatto sì che in luogo dell'alternanza di governo c'era l'alternativa di sistema , vale a dire la fuoriuscita dell'Italia dall'Occidente . Di qui il carattere plebiscitario che , a partire dal 1948 sino al crollo del Muro di Berlino ( 1989 ) , hanno assunto le elezioni nel nostro Paese. Eppure – controbatte Macaluso – , se si vanno a leggere i testi programmatici elaborati da Togliatti , non si può non convenire che in essi il riconoscimento dei valori cardinali della civiltà liberale – lo Stato costituzionale, le libertà individuali , il pluralismo politico, ecc. – è onnipresente. Sennonché – sempre secondo Macaluso – tutto ciò che per Togliatti aveva una "caratura strategica per una parte del suo partito era invece solo tattica". Di qui la "doppiezza" che al Pci si è sempre rimproverato . Una "doppiezza" che nasceva dal fatto che , contemporaneamente alla elaborazione della "via italiana al socialismo", c'era la legittimazione del sistema nato dalla Rivoluzione leninista ; una legittimazione che nasceva dal fatto che – le parole sono di Macaluso – nella visione togliattiana "il campo socialista continuava ad essere essenziale per mantenere viva la prospettiva del superamento del capitalismo". Di qui l'aspra , accanita, instancabile polemica contro la socialdemocrazia , rea di aver rinunciato alla fuoriuscita dal capitalismo.
E qui si tocca con mano l'ambivalenza organica della "via italiana al socialismo " . In essa , erano compresenti il riformismo di stampo socialdemocratico e il totalitarismo di stampo bolscevico. E si tocca con mano anche la debolezza della tesi centrale del libro di Macaluso. Non fu solo il "gelo della Guerra Fredda " ciò che impedì al Pci di essere coerentemente riformista; fu – anche e soprattutto – quello che Filippo Turati, nel memorabile discorso di Livorno, chiamò "il feticcio di Mosca". Un feticcio che Togliatti contribuì a rafforzare . Una cosa che non poteva non produrre ciò che di fatto ha prodotto: l'eternizzazione della Democrazia cristiana al potere e , di conseguenza, il funzionamento anomalo della vita politica nazionale. Talché i contributi che il Pci ha dato alla costruzione e allo sviluppo della nostra democrazia – la partecipazione all'elaborazione della Carta costituzionale, l'alfabetizzazione politica di milioni di cittadini , l'energica difesa dei diritti dei lavoratori – sono stati tutti sotto il segno dell'ambiguità, Né avrebbe potuto essere diversamente, visto che il sistema che definiva se stesso "socialismo realizzato" era la più spietata forma di regime rivoluzionario mai apparsa sulla faccia della terra.