Ho trovato interessante, ben scritto e spesso acuto “Ricordati di vivere”, il libro autobiografico di Claudio Martelli appena uscito da Bompiani,.
di Vittorio Emiliani
Martelli è il primo e il solo, per ora, degli esponenti della classe dirigente al potere nel Psi e nel Paese fra 1976 e 1993 (Craxi, Signorile, Cicchitto, De Michelis, Amato, ecc.) a scrivere un’ampia testimonianza, anche politica, su quella complessa, importante e, alla fine, drammatica vicenda.
Intrigante è anche un altro libro, quello di Valdo Spini (“La buona politica. Riflessioni di un socialista”, Marsilio), ma Valdo non fu mai craxiano, né ebbe responsabilità dirette nella involuzione del Psi.
Martelli pone molti problemi, molte spine critiche, in modo incisivo anche. Dipinge un Craxi, dal quale alla fine dissentirà, che confida di accrescere i consensi socialisti detenendo il potere e, alla fine, al potere si acconcia con Andreotti e Forlani, senza più spinta riformatrice. Testimonianza interessante, da cogliere come spunto per una discussione più ampia. E però forse troppo indulgente verso se stesso e verso quella classe di governo che, soprattutto nel partito, non portò le novità indispensabili rispetto alla deriva clientelare dell’ultima gestione demartiniana.
“Tutto il partito sta sulle mie spalle”, denunciò Craxi nel 1990 (se non erro). Purtroppo ad un quindicennio dal Midas poco o nulla era cambiato nel Psi, l’autoriforma non c’era stata, il radicamento nel potere locale e nazionale aveva diffuso e potenziato corruzione e arricchimenti personali, come denunciò Enzo Mattina al Comitato Centrale del 15 luglio 1982, tre mesi dopo la promettente Conferenza Programmatica di Rimini, come aveva denunciato ancor prima Giorgio Ruffolo al Congresso di Rimini del 1987 invocando “pulizia”.
Eravamo insieme Giuseppe Tamburrano e io fuori dalla sede congressuale riminese e ci passavano davanti flotte di auto blu di ministri, sottosegretari, presidenti e assessori regionali, presidenti di banche, casse di risparmio, aziende a partecipazione statale, ecc. “Noi con le nostre macchinette, caro Giuseppe”, gli dissi, “siamo proprio fuori, di un altro mondo”.
Pensavano che il Paese avrebbe perdonato ai socialisti i “peccati” di sottogoverno che da decenni perdonava alla Dc. Si sbagliavano: la Dc aveva salvato il Paese dal comunismo e milioni di italiani le erano riconoscenti. Dal Psi – che aveva avuto dei padri onesti e appassionati – si aspettavano altro e furono delusi.
Finì molto male. Col deserto attorno ai socialisti. Grazie anche ad un Pci che allora guardava ai socialismi europei come a dei nemici o a dei partiti “inferiori”.