martedì 29 ottobre 2013

Weimar al rallentatore

SAGGIO

 

Weimar al rallentatore

Chi percepisce la crisi della democrazia in questo nostro ultimo ventennio italiano come "una Weimar al rallentatore" troverà interessante la lettura della Critica della ragion cinica, opera prima di Peter Sloterdijk, uscita nel 1983 e salutata da Juergen Habermas come un capolavoro della letteratura filosofica.

Va subito detto che la Critica di Sloterdijk getta le sue radici nell'esame condotto dall’allora giovane studioso su decine di migliaia di pagine – di storici, filosofi, letterati o semplici “autobiografi” – risalenti alla Germania degli anni Venti. Dalla riflessione sulla letteratura weimariana Sloterdijk ha tratto la categoria di "cinismo", inteso come la malafede polemica intrinseca alle strutture della nostra umana coscienza nel suo stadio di coscienza "prebellica". Giunto a questo stadio il "cinismo" si dissemina allora in mille narrazioni ideologiche incessantemente tendenti ad alimentare la dinamica psicosociale dello "scatenamento".

 

Con la scoperta del cinismo in quanto categoria universale, è capitato a Peter Sloterdjik, negli anni Ottanta, qualcosa di analogo a quanto era già accaduto a René Girard vent'anni prima, quando dallo studio della letteratura romantica (e del teatro shakespeariano) egli enucleò l'idea fondamentale di desiderio mimetico.

Oggi, dopo vent'anni dall'uscita in Italia della prima edizione della Critica sloterdijkiana, curata da chi scrive insieme a Mario Perniola, pensatore straordinario e vero maestro, è bello vedere come l'Editore Raffaello Cortina abbia voluto ripubblicare questo libro, da tempo esaurito, nel quadro di un ampio progetto editoriale riguardante le opere di Peter Sloterdijk, molte delle quali sono ormai tradotte in italiano, e altre seguiranno.

Nel cercare di fornire ai lettori dell'ADL un saggio, necessariamente minimo, della Critica della ragion cinica ci è parso opportuno proporre quattro brevi brani dedicati alla sindrome weimariana. Pagine come queste possono aiutarci a focalizzare alcuni tratti del cinismo elementare di cui si alimenta la crisi in cui attualmente versa il nostro disgraziato Paese. (A.E.)

 


 

SEI PASSAGGI CRITICI

 

1. C’era una volta in Germania

« C’era una volta in Germania un’epoca in cui “succedevano cose”, in cui cultura e politica, con progressi repentini e altrettanto repentini regressi, si dipanavano in modo turbinoso, vitale e drammatico: era come se la teatralità fosse divenuta il minimo comun denominatore della vita sociale in ogni suo manifestarsi, dall’espressionismo alle gambe spettacolari di Marlene “Angelo Azzurro” Dietrich, dalla sanguinaria farsa golpista inscenata da Hitler nel 1923 fino all’Opera da tre soldi, dagli imponenti funerali di Rathenau nel 1922 fino a quel canagliesco gioco delle parti che fu l’incendio del Reichstag nel 1933. Il permanente stato di crisi, di cui tutti a quei tempi parlavano, si dimostrò buon regista, abile nei colpi di scena. Ecco, accanto alla nostalgia di queste rimembranze vi è poi un rimpianto, forte soprattutto à la gauche: ah, la Repubblica di Weimar! Paradiso della cultura politica: il liberal-progressismo di Tucholsky, Ossietzky, Kästner, Heinrich Mann ecc. I simpatizzanti della socialdemocrazia e del comunismo, i radicali, gli anarchici... Per non parlare poi dei marxisti “cani sciolti” stile Benjamin-Korsch-Brecht e della Kritische Theorie prima maniera. Insomma: un vero e proprio paradiso dei balocchi per lo storicismo di sinistra, il luogo ideale per esercitarsi finemente in prese di posizione ed engagements retroattivi, come se potesse essere di qualche utilità (o almeno di qualche danno!) sapere da che parte della barricata ci si sarebbe schierati...

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 281]

 

2. Si enumerano “i perché e i percome”

« Il secondo paradigma pone Weimar nella prospettiva storica che condurrà al fascismo e al dominio nazionalsocialista. L’interesse, in questo caso, è quasi totalmente apologetico e didattico; si enumerano “i perché e i percome”: “perché e percome” questa o quella persona o organizzazione politica “doveva” comportarsi nel tal e tal altro modo; “perché e percome” il nazionalsocialismo era inarrestabile, oppure “perché e percome” si sarebbe potuto impedirne l’ascesa al potere; “perché e percome” tutto fu così terribile, come effettivamente fu. Weimar, in tale prospettiva, ci appare il terminus post quem del fascismo tedesco, l’“epoca prehitleriana”. La mole di codesta letteratura del “Come-fu-mai-possibile-tutto-ciò?” è ormai tale da riempire intere biblioteche

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 282]

 

3. Nel segno dell’angoscia rabbiosa

« Il “pensiero antidemocratico nella Repubblica di Weimar”, indagato da Sontheimer e altri, è solo la punta d’iceberg di un diffuso scetticismo sociale e di particolarismi antipolitici. In ciò vi era una quota di buone ragioni che non sono nemmeno oggi trascurabili. Mai, in nessun’epoca, una qualche volontà politica (il cosiddetto “mandato degli elettori”) è stata trasmessa a livello esecutivo in modo tale da permettere che tra elettori ed eletti si rinsaldasse un rapporto leale, di fiducia reciproca. [Ma a Weimar] la “politicizzazione” delle masse era accompagnata sul piano subliminale da sentimenti antipolitici, nel segno della delusione, dello sconcerto, del risentimento e dell’angoscia rabbiosa, nonché in quello di una profonda scissione tra spirito costituzionale liberaldemocratico e apparato statale reazionario. Presa continuamente frammezzo a ricatti extrapolitici e radicalismi extraparlamentari, la Repubblica scivolò in uno stato di astenia e non-rispettabilità permanente.»

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 327]

 

4. Oggi non abbiamo idea della spessa caligine

« Oggi, dopo decenni di appianamento e sobrietà, non abbiamo più alcuna idea della spessa caligine ideologica che gravava negli anni Venti sulla sovrastruttura politico-metafisica tedesca. Una coltre ottenebrante in cui ebbe luogo, in modo oggi per noi quasi inafferrabile, il vero psicodramma sociale della Repubblica di Weimar, dipanatosi lungo il fronte subliminale eppure realissimo che opponeva affermatori e negatori, eclettici e temperamentosi, cinici e conseguenzialisti, pragmatici e idealisti. Forse il mistero trionfale dei fascisti consistette nell’essere riusciti a spezzare questo discrimine psicologico-politico inventando un idealismo cinico, un eclettismo coerente, un temperamentoso andar in gregge e un “Sì” nichilista. Il successo del nichilismo razzial-nazionale gettava le sue radici non da ultimo nell’imbroglio seduttorio di propinare alla gran massa di renitenti, infelici e negatori la magica illusione che invece li dipingeva come fossero loro i veri realisti, i chiamati e gli eletti, gli edificatori di un ordine nuovo, grandiosamente semplificato.

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 328]

 

5. L’uomo del fine settimana

« Con l’emergere delle civiltà impiegatizie metropolitane (la cui esistenza è particolarmente ben esemplificata dalla Berlino anni Venti) ha inizio di fatto un’era social-psicologica nuova. I suoi tratti inconfondibili sono quelli dell’americanismo. La sua creazione più gravida di conseguenze è l’uomo del fine settimana, ovvero l’individuo del tempo libero, che ha scoperto la comodità dell’alienazione, il comfort della doppia vita. »

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 330]

 

6. Diciamo basta al disperante parlamentarismo!

« I suoi contemporanei percepirono Hitler come un grande retore anche perché costui iniziò la sua carriera col denunciare, nel tono deciso del “nudo realismo”, quel che all’“animo tedesco” non andava da un pezzo né su né giù, e che, perciò, conformemente alle narcisistiche e brutali idee di ordine di quell’“animo”, doveva essere “liquidato”: diciamo basta una buona volta a questo disperante parlamentarismo weimariano, basta all’infame trattato di Versailles ecc.; e poi facciamola finita anche con i “colpevoli” di tutto ciò: gli scomodi socialisti, i comunisti, i sindacalisti, gli anarchici, gli artisti degenerati, gli zingari, i pervertiti. Ma, soprattutto, basta agli ebrei (…) Invero il fascista, questo signor Nessuno pompato a dimensioni eroiche, di fronte a nessuno doveva sentirsi nudo come davanti agli ebrei, i quali quasi per natura, in forza delle loro dolorose tradizioni, rappresentano l’ironia avversa a ogni strapotere. Le figure di spicco del fascismo tedesco intuivano probabilmente come il loro arrogante regno millenario mai avrebbe potuto credere a se stesso fintanto che in un angolo di coscienza fosse sopravvissuta anche solo una vaga rimembranza del carattere meramente scenografico di tali mene.

[Peter Sloterdjik, Critica della ragion cinica, Milano, © Cortina, 2013, p. 165]