Riceviamo e volentieri pubblichiamo
L'Italia è pronta a partecipare con mezzi, basi e uomini per la soluzione della crisi in Libia. Questa l'indicazione che emerge dal Consiglio dei ministri straordinario di ieri (18 marzo). Bobo Craxi (responsabile esteri del PSI) ha commentato: "Qualsiasi cambio repentino di posizione politica dovrebbe essere assunto con un voto parlamentare, tanto più se esso cancellasse lo status quo ante nei rapporti con la Libia".
“Nella diversificazione del voto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla vicenda libica sono emersi tutti i limiti della politica estera degli europei”. E’ quanto afferma il responsabile esteri del Psi, Bobo Craxi.
“La prudenza tedesca e il piglio interventista anglo-francese”, spiega Craxi, sono la fotografia di questa divisione, che non è altro che una diversa interpretazione dei moti che stanno scuotendo il Nord Africa. La posizione italiana, mi auguro si mantenga in una giusta e corretta via di mezzo: qualsiasi cambio repentino di posizione politica dovrebbe essere assunta con un voto parlamentare, tanto più se essa cancella lo ‘status quo ante’ nei rapporti con la Libia. Si tratta di non venir meno ai nostri doveri nei confronti delle Nazioni Unite e, al contempo, di non apparire, in questa fase, più ‘realisti del Re’: sarebbe disprezzabile. La nostra attuale debolezza internazionale non giustifica un’assenza di protagonismo politico sulla vicenda mediterranea: essa non si riconquista soltanto con la concessione delle basi”, conclude Craxi, “ma con una concreta iniziativa di carattere politico”. Starà poi a Gheddafi evitare il peggio.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Superare la crisi. Ora!
L'Europa continua a dimostrare grandi difficoltà nel mettersi alle spalle la crisi finanziaria ed economica
di Gianni Pittella *)
L'Europa continua a dimostrare grandi difficoltà nel mettersi alle spalle la crisi finanziaria ed economica. Se la risposta in termini di regolamentazione e supervisione finanziaria, come dimostrato dalla recente creazione delle 3 autorità europee di supervisione finanziaria, bancaria e assicurativa, é stata all'altezza della situazione non si può dire lo stesso per le risposte offerte in termini di rilancio economico.
Questa schizofrenia nella risposta europea alla crisi che vede da un lato le istituzioni europee impegnate nella ridefinizione delle regole per i mercati finanziari e per la disciplina finanziaria degli Stati membri e dall’altro la quasi totale assenza di proposte e strumenti per la definizione di politiche sociali, diventa sempre più stridente perché ingiusta ed inadeguata allo stesso tempo. Ingiusta perché i tagli alle politiche sociali significano far pagare due volte la crisi a quei cittadini, a quei lavoratori e a quelle piccole imprese che hanno già subito le conseguenze economiche della recessione ed inadeguata perché non in grado di rispondere in modo sostenibile agli obiettivi di crescita di lungo termine, di creazione di occupazione, di inclusione e coesione sociale.
Questa debolezza rischia di allontanare i cittadini dal grande progetto dell'integrazione europea. Vi è il rischio che si saldino dinamiche di un ritorno a protezionismi nazionalistici con dinamiche di localismi miopi, allontanando l'Europa non solo dal nobile processo della sua integrazione e del suo allargamento, ma soprattutto dalla necessità della costruzione un sistema economico sociale giusto inclusivo e competitivo che sappia rispondere alle sfide della globalizzazione, dell’immigrazione e dell’invecchiamento demografico.
Per avere un quadro chiaro rispetto a questa dinamica divergente delle risposte che l'UE sta dando nel tentativo di uscire dalla crisi può essere utile fare una rapida panoramica degli strumenti e delle politiche più rilevanti attualmente in via di definizione - riforma della governance economica e strategia EU2020 - con l'obiettivo di individuarne i limiti e le potenzialità.
La Governance economica parte con un pregiudizio di base, quello della necessità del consolidamento finanziario come obiettivo primario e separato rispetto a quello dello sviluppo, della crescita e dell’occupazione. Il nuovo patto di stabilità con i meccanismi correttivi automatici non offre alcun riferimento alla necessità di un'analisi della qualità della spesa pubblica, di una distinzione tra spese per investimenti produttivi e protezione sociale – che dovrebbero essere valutati a parte o "contabilizzati" in modo differente - e la spesa corrente o improduttiva. Questo è chiaramente un limite grave per le conseguenze potranno prodursi nel tempo.
Il sistema della governance economica, tutto centrato sul consolidamento finanziario e la disciplina di bilancio trova il suo contraltare nella Strategia EU 2020 che dovrebbe costituire il percorso tracciato dall’Europa e gli Stati membri per creare crescita sostenibile e occupazione. Notiamo subito pero che, mentre il pacchetto della governance è basato su meccanismi vincolanti e sanzioni severe, la strategia per lo sviluppo economico è basata su un semplice sistema di coordinamento non vincolante tra gli Stati membri e, soprattutto, senza specifiche adeguate risorse finanziarie. Invece a livello europeo cosi come a livello nazionale e territoriale gli obiettivi fissati dalla strategia EU2020, dovrebbero ricevere un attenzione molto maggiore.
Non dimentichiamo infatti che la strategia EU2020 resta il perno più avanzato su cui far leva per spingere la Commissione europea, il Consiglio e i governi nazionali verso delle politiche economiche e sociali più equilibrate, che possano costituire un alternativa a politiche di risanamento e consolidamento finanziario cosi rigide da impedire ogni possibilità di investimenti e crescita facilitando dinamiche quasi recessive con bassi livelli di reddito e consumo che renderanno ancora più difficile per gli Stati membri far fronte alla crisi dei debiti sovrani e ripagare il loro debito pubblico. Il compito del Parlamento europeo é proprio quello di sottolineare questo errore di impostazione e visione politica e modificare il cammino.
*) Europarlamentare (Gruppo "Socialisti e Democratici"), Vicepresidente vicario del Parlamento Europeo
LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it
Cgil, riparte la corsa della cassa integrazione
L’allarme del sindacato: a febbraio 400mila dipendenti in ferie forzate, +17% su gennaio. Cresce sia la cig straordinaria sia quella in deroga. Effetti sulla busta paga, -1.258 euro. "Urgono interventi straordinari di riconversione industriale"
Dopo un primo flebile calo registrato a gennaio, la cassa integrazione ha ripreso a crescere, mettendo a segno a febbraio un aumento congiunturale del +17,2% con aumenti pesanti sia per la cassa straordinaria sia per quella in deroga. Dietro questi dati ci sono 400mila lavoratori coinvolti dai processi di cassa, con oltre 123mila in cassa in deroga, che nei soli primi due mesi dell’anno hanno già perso poco più di 500milioni di euro, pari a 1.258 euro netti in meno in busta paga. È quanto emerge dalle elaborazioni dei dati Inps da parte diffuse il 17 marzo dall’osservatorio cig del dipartimento Settori produttivi della Cgil. Il rapporto del sindacato fa parte di un dossier sulle ragioni dello sciopero generale del 6 maggio incentrato proprio sui temi del fisco e del lavoro.
“Archiviati i primi segnali di ripresa, evidentemente non rappresentativi di una inversione di tendenza, occorre urgentemente far ripartire il volano della crescita”, rileva il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, rilanciando le proposte del sindacato alla base dello sciopero del prossimo 6 maggio. “Servono interventi sui redditi da lavoro e da pensione così come è necessario far uscire dalla crisi le migliaia di aziende in cassa integrazione straordinaria e le centinaia che si trovano in amministrazione straordinaria, perché non vi siano licenziamenti”.
Alla luce dei dati di febbraio della cig, inoltre, “tornano di attualità, come un macigno, i numeri sull’occupazione maturati nella crisi del 2010, dove solo attraverso la cig ci sono stati oltre due milioni di lavoratori parzialmente sospesi, senza contare quelli in mobilità o in disoccupazione ordinaria e ridotta”. La Cgil chiede quindi al governo “un intervento straordinario per favorire i processi di riconversione industriale sostenendo e incentivando le innovazioni, a partire da un passo indietro del governo sulle rinnovabili per evitare rischi certi sulle imprese e sull’occupazione”.
In ordine di “gravità”, gli aumenti anno su anno da riportare riguardano i settori: commercio (+27,2%), legno (+22,2%), trasformazioni minerali (+74,5%), alimentare (+96,1%), edilizia (+197%), metallurgico (+58,1%), estrazioni minerali (+259,5%). I settori che presentano un maggiore volume di ricorso alla cigd sono quello del commercio (11.70.459 ore) e il meccanico (12.292.143 ore) che resta il settore con il maggiore ricorso. Le regioni maggiormente esposte con la cigd da inizio anno sono la Lombardia con 8.036.769 ore, il Veneto con 6.081.561 ore e l’Emilia Romagna con 3.439.384 ore. Ma anche nelle regioni meridionali si segnano forti aumenti, la richiesta di cigd in Basilicata incrementa sui primi due mesi dello scorso anno del +7.695,8% mentre la Calabria del +2.738%. Tornano ad aumentare i contratti di solidarietà (+15,5%) che rappresentano il 18,6% del totale dei decreti.