giovedì 3 marzo 2011

E intanto a Catania, capitale di una certa Italia...

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

di Riccardo Orioles

“Buffone! Farai la fine di Ceaucescu!”. Bah. Intanto, Gheddafi rischia di farla davvero, la fine di Ceaucescu. Chi gliel' avrebbe detto quest'estate, ai tempi delle tende beduine (a Roma) e del bungabunga?

    Io, che sono un uomo prudente, al posto di Berlusconi mi fionderei nella più vicina caserma dei carabinieri, mi chiuderei in cella da me e come favore personale chiederei di essere messo nella camera di sicurezza più interna: non si sa mai. Ma lui è un tipo avventuroso, come Ceaucescu e come Gheddafi.

    Speriamo che, a differenza di Gheddafi, non sia anche – quando verrà il momento suo – un pazzo sanguinario, di quelli che buttano bombe sulla folla. Di noi tutto sommato si usa poco: Brescia, piazza Fontana, Italicus, Bologna... ma erano altri tempi, si dice, è cambiato tutto; persino al G8 di Genova, dove pure c'era da stangare un bel po' di sovversivi, un po' di torture magari, ma di bombe niente.

    In compenso siamo azionisti di un bel po' delle bombe di Gheddafi:
    Fiat, Berlusconi, Unicredit, Eni, Ansaldo, Impregilo, hanno tiranneggiato la Libia (e i poveri emigranti che ci passavano) con Gheddafi. Non a caso in queste ore a Milano la borsa trema. Ma che importa: domani è un altro giorno.

    Obama ricostruisce l'America, cerca di riportarla, di riffe e di raffe, dalla parte dei popoli, dov'era un tempo. Perché Obama è un patriota, al suo paese ci tiene. Qua, per salvare l'Italia – di cui onestamente non ce ne frega  niente -  ci affidiamo non dico a Fini ma a Luca Barbareschi.

    Va bene. Gli operai non esistevano, e invece ci sono eccome, e nelle piazze s'è visto. Non c'erano le donne, buonine fra tv e chiesa, e invece sono state proprio loro a dare il primo scossone decisivo.

    Nemmeno  il popolo c'è più, contanò solo i mille Vip che “Io so' io e voi nun siete un cazzo”.
    Vedremo. Lo vedremo il giorno dello sciopero generale.
    Ché ormai la strada chiarissimamente è  questa: bloccare ogni trattativa (bene Flores e Camilleri: fermare il Parlamento) e fare, come la Cgil farà, lo sciopero generale.

    Contro Mubarak (cioè Berlusconi), contro i suoi finanzieri (cioè Marchionne), contro i suoi sgherri e mercenari, cioè i mafiosi. Questo non è più regime di massa, nessuno dei suoi gerarchi è più un interlocutore. E' una dittatura di minoranza, sempre più impaurita:

trattiamola come tale.

* * *

Torniamo a Catania, che io la naja la faccio qui e guai se mi beccano a non fare bene la sentinella. Nel caso Catania – di cui sapete ormai tutto – c'è una novità importante e forse decisiva. Mentre dieci giorni fa eravamo ancora alle polemiche, alle denunce e alle giustificazioni, adesso siamo alla fase degli attacchi personali e violenti, senza mediazioni.

    In soldoni: il giudice A accusa il giudice B di essersi soverchiamente intrattenuto con mafiosi. Porta prove e argomenti, e infine saltano fuori pure le foto. Ma perchè A ce l'ha tanto con B? Per fatto personale, ovviamente. E donde viene questo fatto personale? Perché lui, giudice A, in realtà è un immorale, un vizioso, un mostro; l'ha detto un conoscente di un tale che l'ha sentito dire da un talaltro; ed ecco perché  attacca  B inventandosi Catanie, casi Catania, giudici e mafiosi.

    Bene. E chi lo dice (in linguaggio forbito, convenevole e professionale, poche bellissime righe da scuola di giornalismo)? Il giornale di Feltri o quello di Belpietro? No: direttamente Repubblica.

    Che ha una tradizione bellissima, di lotta per la libertà e la democrazia, in Italia, e anche contro la mafia a Palermo; ma a Catania ha una tradizione precisa di accordi - di contenuti e d'affari - con padron Ciancio. Queste sono notizie, amici miei, e come tali le diamo.

    Immaginate che a Milano nel 1946 il Corriere  avesse attaccato - non politicamente, ma insinuandogli qualche delitto comune - Ferruccio Parri, e avrete un'idea di cosa stiamo vivento, in questi giorni, noi dell'antimafia a Catania e quanto siamo incazzati e quanto determinati a fare  i conti.

* * *

Perché a Catania, e in Sicilia, e in Italia, e dappertutto, l'antimafia esiste, non è una barzelletta. Non “una certa antimafia”, non l'”antimafia di carriera”, ma l'antimafia mia,  di Scidà o dei militanti del Gapa -  vent'anni di dedizione totale e di battaglie, dando tutto se stessi. E anche, porco diavolo, l'antimafia “autoreferenziale e inutile” dei ragazzi di Palazzolo, di Modica, di Ucuntu, ai quali è stato autorevolmente e recentemente spiegato, da qualche genio, che in realtà non servono a un cazzo.

    Va bene, impariamo anche questo, ragazzi. Nel mondo c'è anche 'sta gente ciarliera: a volte fa qualcosa di buono, ma raramente, e te lo fa pagare con una tonnellata di cazzate per ogni grammo di cose buone.

    Voi non v'impressionate, tenetevi stretto quel grammo (se riuscite a trovarlo) e per il resto fregatevene e andate avanti.

* * *

Le righe che restano le dedichiamo volentieri  (ma senza gridare al
lupo) alla solidarietà, in questo caso a Condorelli. Buon giornalista, perbene, alle volte un po' ingenuo (come quando s'è lasciato usare contro l'antimafia cioè, qui e ora, contro Scidà), ma bravo certamente, uno che prima o poi avremo accanto; è stato licenziato ingiustamente e noi, non per la prima volta nè perchè qualcuno ce lo chieda,  stiamo con lui.  Ma senza confonderci con le “solidarietà” d'occasione di chi, in passato, s'è rifiutato per esempio di solidarizzare con un Marco Benanti.

    Noi, giornalisti sempre e non solo quando ci conviene, questa solidarietà l'abbiamo data in passato a Benanti, a Finocchiaro, a Giustolisi, a Mirone, a Savoca, a Rizzo, a Lavenia, a  Scapellato – e chiediamo perdono a quelli che stiamo dimenticando ora, ma che certo non abbiamo dimenticato quando ce n'era bisogno.

    Raramente ne abbiamo ricevuta noi, e mai nessuno dei nostri ragazzi.
nisti dell'antimafia, fa parte del nostro mestiere.
Ma questo, per noi “professionisti dell'antimafia, fa parte del nostro mestiere.

23 febbraio 2011

www.ucuntu.org