Parliamo di socialismo
a cura della Fondazione Pietro Nenni
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"Ecco il socialismo nel quale avrei potuto militare anch’io, se avessi avuto abbastanza altruismo e abbastanza umiltà, e di cui l’attuale società denuncia paurosamente la mancanza". – In occasione dell’uscita del volume Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita di Indro Montanelli, Rizzoli 2012, pubblichiamo la risposta data a Tamburrano da Montanelli nella sua Stanza quotidiana sul Corriere della Sera del 4.7. 2001. Fu l'ultimo intervento pubblico del grande giornalista e un pezzo importante del suo testamento morale.
di Giuseppe Tamburrano
Caro Montanelli, se dovessi scriverti tutte le volte che sono d’accordo con te diventerei uno scocciatore.
Ma i tuoi due pezzi su su Turati e lo scissionismo della sinistra hanno travolto la mia riservatezza. Grazie per il tuo giudizio su Turati, che era peraltro antiscissionista e amava ripetere: “Preferisco avere torto nel mio partito che ragione fuori” e ruppe col Psi nell’ottobre 1922 perché di fatto ne fu buttato fuori.
Non c’è tra i sedicenti socialisti residui nessuno che difenda i valori del socialismo come fai tu: dunque ancora grazie. E vengo ad un altro socialista che tu hai difeso con fermezza. In un recente libro, che tu hai, ho dato insieme a due ricercatori (Granati e Isinelli) la prova documentale della innocenza di Silone.
Forse ti divertirà sapere – se non lo sai già - che hanno dato credito alla mie tesi soprattutto due giornali: l’Unità del 28 aprile 2001 col titolo su tutta la pagina Silone innocente e il Secolo d’Italia del 7 giugno col titolo su sei colonne, In difesa di Ignazio Silone.
E’ singolare! Questi giornali appartengono in un certo modo ad un’area politico-ideologica che Silone ha combattuto duramente. Giornali, giornalisti, intellettuali che dovrebbero riconoscersi negli ideali antitotalitari di Silone hanno un diverso atteggiamento. Anche questo nel suo piccolo è un segno dell’anomalia italiana. (G.T.)
La risposta di Montanelli
La tua affettuosa lettera, giuntami nel momento in cui anch’io, come tutti i mortali, debbo procedere alla revisione e alla chiusura dei conti col passato, mi ha fatto un infinito piacere. Per vari motivi.
Il primo di questi motivi è che tu sei il primo e – mi pare – l’unico socialista ad essersi accorto che io non sono mai stato un nemico del socialismo (dico “socialismo”, non “partito socialista”), e quando questo si è sbandato sotto i colpi di tangentopoli ho preso il lutto in una lettera aperta a uno sconosciuto “compagno” della mia giovinezza incoraggiandolo a rialzare dalla polvere la sua bandiera e a richiamare intorno ad essa i fedeli, fra i quali – sia chiaro – io non avevo mai militato e non milito.
Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c’è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una giungla che conduce pari pari a Carlo Marx.
Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra storia, Giolitti, che sempre cercò l’accordo con Turati, a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Ma non sono soltanto questi motivi di alchimia politica che ispirano i miei sentimenti verso il socialismo quanto il ricordo dell’opera missionaria da voi svolta presso le classi più umili dai vostri (perché ce ne furono parecchi) Massarenti, le cooperative, le scuole serali per la lotta all’analfabetismo.
Ecco il socialismo nel quale avrei potuto militare anch’io, se avessi avuto abbastanza altruismo e abbastanza umiltà, e di cui l’attuale società denuncia paurosamente la mancanza. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell’attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di sé stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me.
Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: il socialismo di Turati e di Massarenti?
L’altro motivo che mi ha reso gradita la tua lettera è l’epilogo della vicenda Silone. Io non vi ho alcun merito. La mia reazione ai tentativi d’imbrattarne il nome e il ricordo fu istintivo, ma senza apporto di prove e documenti. Siete stati tu e i tuoi due compagni a compiere quest’opera meritoria, e che a riconoscerla tale siano due giornali come l’Unità e il Secolo d’Italia, eredi di due partiti che, sia pure per ragioni opposte, avrebbero avuto tutto l’interesse a discreditare il loro comune avversario, è cosa che fa onore anche ai due giornali.
Bene, caro Tamburrano. Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito ritroverà . . .
“Sono un disordinato assolutamente refrattario al lavoro di team e animato da uno spirito d’indipendenza che spesso sconfina nella riottosità: non conosco remore di cautela e di diplomazia; non credo che riuscirei a imporre la disciplina per il semplice motivo che non l’ho mai rispettata io stesso.” Così scriveva Indro Montanelli in una lettera del 1967, pochi anni prima di fondare “il Giornale”. Per tutta la vita il grande giornalista ha tenuto una fitta corrispondenza, pubblica e privata, con i protagonisti della politica, della cultura e del giornalismo, da Andreotti a Cossiga, da Nenni a Pertini, da Buzzati a Prezzolini, a Longanesi e Guareschi, ma anche con la prima moglie, gli amici, i familiari. Dalla lettera al suo professore di liceo, in cui un Montanelli ventenne rivela le sue aspirazioni di giornalista, a quelle inviate ai genitori dal fronte africano nel 1935 e dal carcere nel 1944. E naturalmente i lunghi anni al “Corriere”, quelli al “Giornale” fino allo scontro con Berlusconi. Questi testi inediti, nella freschezza del dialogo e nell’immediatezza delle emozioni raccolte, ci rivelano il lato più intimo di Montanelli, ricostruendone l’intera parabola esistenziale attraverso la sua viva voce. Il risultato è un’autobiografia postuma che completa le note dei suoi diari, offrendo ai lettori il ritratto sorprendente di un uomo che a novant’anni dichiara “So di avere scritto sull’acqua. Ma ciò non mi ha impedito di continuare a scrivere, impegnandomi tutto in quello che scrivo”.
Indro Montanelli (Fucecchio, 22 aprile 1909 – Milano, 22 luglio 2001), è stato uno tra i maggiori giornalisti italiani del Novecento, inviato speciale del “Corriere della Sera”, fondatore del “Giornale nuovo” (1974) e della “Voce” (1994). Dal 1995 nuovamente al “Corriere” come editorialista.