Riceviamo dal Gruppo di Volpedo
(http://www.gruppodivolpedo.it/) e volentieri pubblichiamo
"Di fronte a tante emergenze del nostro Paese oggi non è realistico seguire la lezione di Epinay, ma occorre una maggioranza di unità nazionale che, per un limitato periodo di tempo, riscriva le regole con un largo consenso e chiuda questo ventennio perduto per aprire un capitolo nuovo della storia nazionale". -- Di seguito iltesto con la prima parte del discorso tenuto da Ugo Intini al convegno di Volpedo sul tema "Epinay". In questa parte del suo discorso l'ex vice-segretario del PSI affronta l'attualità politica. Nella seconda parte, che apparirà sul prossimo numero dell'ADL, ripercorrerà il tentativo di Bettino Craxi di far propria la lezione mitterrandiana ma anche le cause per cui nel nostro Paese quel tentativo risultò impraticabile.
INTERVENTO AL III CONVEGNO COORDINAMENTO DEI CIRCOLI SOCIALISTI "GRUPPO DI VOLPEDO" 10.9.2010
di Ugo Intini
È ormai tardi per imitare Epinay, perché mancano tutti i presupposti. Non c’è più un partito socialista, e nella stragrande maggioranza della sinistra non c’è neppure la volontà di ricostruirlo. Non c’è un leader. Non c’è un forte sindacato. Non c’è un programma. Anche il bipolarismo, necessario presupposto di Epinay, è ormai entrato in una crisi profonda. Ed è un bene, per la verità, perché questo “bipolarismo all’italiana” è alla base di quello che spesso definisco il ventennio perduto.
Per quasi un ventennio l’Italia, in mezzo a una sorta di guerra civile permanente, non ha affrontato uno solo dei grandi problemi irrisolti del Paese, non ha neppure avuto la stabilità normalmente garantita dal bipolarismo. Si è soltanto logorata affondando lentamente.
Naturalmente, ci si deve domandare perché il bipolarismo funzioni in altri Paesi e non in Italia. La risposta è semplice, quasi ovvia. Il bipolarismo funziona negli altri Paesi perché in ciascuno dei due Poli l’area dell’estremismo è assolutamente ininfluente. In Italia, al contrario, l’area dell’estremismo non solo non è ininfluente, è al contrario trainante: il giustizialismo dipietrista che mette in pericolo lo Stato di diritto da una parte; il localismo leghista che mette in pericolo lo Stato nazionale e la sua unità dall’altra. Così, il bipolarismo all’italiana è diventato un furibondo, interminabile scontro tra gli urlatori di due opposte tifoserie.
Soprattutto: il bipolarismo ormai è incompatibile con le due caratteristiche essenziali dell’Italia di oggi, che si chiamano unicità ed emergenza (l’una figlia dell’altra).
“Unicità”, perché l’Italia è un insieme impressionante di casi unici al mondo. L’unico Paese dove l’uomo più ricco sia nel contempo il capo del Governo. L’unico dove da decenni si trascini un conflitto tra due poteri dello Stato: il potere esecutivo e quello giudiziario. L’unico dove esista, per lo meno latente, un conflitto tra capo dello Stato e capo del Governo. L’unico dove un magistrato sia diventato capo di un partito. L’unico dove il leader di un partito separatista sieda nel governo e nello stesso tempo dichiari di disprezzare la bandiera nazionale. L’unico dove gli ex fascisti e gli ex comunisti hanno vinto e si sono affermati personalmente come il personale politico dirigente in entrambi gli schieramenti politici. L’unico Paese, quanto meno in Europa, dove in pratica non ci sono più i partiti, sostituiti da un confuso populismo.
In Italia i partiti non ci sono più, sono stati privati della loro tradizione, storia e cultura al punto tale che, sembra incredibile, la formazione parlamentare più antica d’Italia è ormai la Lega. Gli altri cambiano in continuo nome e simbolo. Cambiano nome e simbolo, ma i dirigenti restano sempre gli stessi. Al contrario di quanto avviene in Europa, dove i Partiti restano e i dirigenti vengono sostituiti. Il che non giova certo alla credibilità della nostra democrazia.
Le unicità (evidentemente tutte legate tra loro in un rapporto di causa ed effetto) portano con sé le emergenze (anch’esse legate tra loro).
C’è un’emergenza democratica, perché la distruzione dei partiti si accompagna a un paradosso. I partiti non ci sono più, e comunque non hanno più democrazia interna e hanno raggiunto il minimo della loro credibilità. Tuttavia i partiti giunti “al minimo”, hanno il massimo del potere mai avuto in Italia e in qualunque normale sistema democratico. I partiti in Italia hanno oggi il potere non di eleggere, ma di nominare i parlamentari. Così si spiega l’abbassamento di livello dei parlamentari stessi, la presenza di tanti portaborse e veline nelle due Camere, di tanti signori nessuno. Con il danno enorme che ne nasce, perché il Parlamento perde autorevolezza.
C’è un’emergenza democratica per effetto del sistema elettorale che riguarda la scelta dei parlamentari ma anche,peggio ancora, per il modo con cui si stabilisce la maggioranza parlamentare. Al punto che ormai si può dubitare del fatto che le istituzioni abbiano un vero consenso. Guardiamo non le percentuali dei voti espressi, ma le cifre vere. Un 30 per cento di cittadini ormai non va più a votare. Attenzione:non sono, come nei Paesi normali,quelli disinteressati alla politica. Spesso sono quelli anche troppo interessati e sofisticati,che non si vogliono assoggettare a un meccanismo che impone di stare di qua e di là(o mangi questa pessima minestra,o mangi questa ancora peggiore,oppure salti dalla finestra). Un altro dieci per cento è costituito da schede bianche (o dove i cittadini scrivono insulti). Un altro dieci per cento di elettori non è rappresentato nelle istituzioni,perché vota per partiti che non superano la soglia di sbarramento. Poi ci sono i voti espressi per il terzo polo,per chi non sta né con il principale schieramento di destra né con il principale schieramento di sinistra. In conclusione, può vincere e conquistare un enorme premio di maggioranza che assicura il completo dominio del Parlamento un partito il quale abbia il consenso di un quarto -un quinto dell’elettorato. Francamente una situazione al di là dei limiti di guardia per la esiguità del consenso.
C’è una emergenza democratica anche provocata dalla mancanza di credibilità dell’informazione. Perché i media (o per il peso della proprietà, o per la loro faziosità) sono diventati non osservatori passabilmente sereni della realtà, ma manipolatori della realtà stessa e furibondi protagonisti dello scontro politico (anzi, aizzatori a uno scontro di cui non amano assumere poi alcuna responsabilità).
C’è, poi anche, un’emergenza economica, perché da un decennio l’Italia è il paese che cresce di meno in Europa e che continuamente perde in competitività.
C’è, ancora, un’emergenza morale, perché i dirigenti politici rubano ormai per sé, senza nemmeno più l’alibi di finanziare il partito. E si muovono con una sostanziale impunità, perché si è passati da un eccesso all’eccesso opposto: dallo strapotere della magistratura a un meccanismo di sostanziale, arrogante impunità.
C’è un’emergenza criminale, perché ormai intere aree del Paese sono in mano alla malavita organizzata.
C’è un’emergenza politica che in queste settimane è sotto gli occhi di tutti, accompagnata da un degrado totale della lotta politica stessa, fatta non di scontro tra idee, ma di ricatti e insinuazioni su famiglie, mogli e amanti.
C’è infine l’emergenza più grave, che riguarda l’identità nazionale stessa. E’ il tema centrale del mio ultimo libro: Un bambino e la storia (www.unbambinoelastoria.com).
Non vi si pensa, ma l’Italia è l’unico grande Paese moderno che non abbia una storia condivisa. Tutti, magari con qualche forzatura sulla realtà e qualche artificio, hanno saputo costruirsi una storia condivisa che faccia da cemento per la Nazione. L’Italia no. Anzi, la situazione si aggrava in continuo. La ferita della guerra civile 1943-45 non è mai stata sanata e al contrario si fa più profonda. Una ferita nuova si è creata molto più avanti nel tempo, perché il Paese si divide ormai con violenza su Mani Pulite e sul periodo 1992-1994 che ha dato origine alla seconda Repubblica (o meglio, che ha distrutto la prima Repubblica senza saper costruire la seconda).
Una ferita, la più grave, si è creata alla base stessa della Nazione, minandola in modo sciagurato, perché ormai non tutti gli italiani (certamente non i leghisti) si riconoscono nei valori del Risorgimento, della bandiera e dell’unità nazionale.
E’ amaro dirlo, ma paradossalmente persino durante la guerra civile 1943-45, fascisti e partigiani si scannavano, sì, ma entrambi si riconoscevano nel tricolore, in Garibaldi e Mazzini. Oggi non più, nemmeno all’interno della stessa maggioranza di governo.
Bisogna, dunque, ricostruire sino a che si è in tempo una storia condivisa, porre fine a questa guerra civile strisciante. Di fronte a tante emergenze non è realistico seguire la lezione di Epinay, ma occorre una maggioranza di unità nazionale, che per un limitato periodo di tempo riscriva le regole con un largo consenso, chiuda un capitolo nero che si trascina durante questo “ventennio perduto” e apra un capitolo nuovo.
L’ho detto al congresso del PSI di Montecatini nel luglio 2008, quando la proposta era assolutamente isolata e appariva una pazzia velleitaria. Insisto oggi, dopo che finalmente anche altri (da Casini a Pisanu) a tanti esponenti della società civile dicono la stessa cosa.
Ciò conviene all’Italia, come si è visto. Conviene ai socialisti, che nello schema bipolare attuale non si riconoscono, tanto che votano un po’ di qua e un po’ di là. E conviene alla sinistra; perché, diciamo la verità, con lo schema bipolare attuale la sinistra non vincerà mai, essendo strutturalmente minoritaria. La ragione è semplice. Da una parte il dipietrismo e il grillismo sono cresciuti elettoralmente troppo, non si può più farne a meno. Dall’altra, con la palla al piede del dipietrismo e del giustizialismo, la sinistra non attirerà mai gli elettori moderati del centro senza i quali è impossibile vincere. E’ curioso, ma i nipoti di Togliatti hanno dimenticato la lezione di uno che aveva certo tante colpe, ma capiva le cose. Togliatti, giustamente, raccomandava sempre ai suoi comunisti di non spaventare la gente. Incredibilmente, gli ex comunisti se ne sono dimenticati e, con il dipietrismo, fanno “paura”.
Concludo. Mai le nostre generazioni hanno visto per l’Italia un periodo così buio. Nel buio, abbiamo soltanto due luci e due fari. L’Europa e il socialismo democratico, che ci riempiono di orgoglio e ci danno speranza.
L’Europa. Per la quale dobbiamo insistere: si è realizzata l’unità monetaria, adesso bisogna realizzare la sua naturale conseguenza, che è l’unità nella politica economica e bisogna infine realizzare l’unità politica.
Il socialismo democratico, che ha vinto sul piano culturale ed economico dopo il ventennio dell’egemonia liberista. Un ventennio che ci ha portato al disastro. La catastrofe economica provocata dal liberismo senza freni è sotto gli occhi di tutti e, non dimentichiamolo, dimostra che avevamo ragione noi.
Nel 2001 ho scritto un libro che si intitolava La privatizzazione della politica. Ripetevo, allora, che il “Blair, Blair” invocato da tanti a sinistra mi sembrava un “bla, bla”. Lamentavo che troppi “ex”, forse per far dimenticare di essere stati comunisti, erano diventati più liberisti dei liberisti.
Mi si rimproverò di essere un “vetero socialista”. Scrivevo, in quel libro: “La barca dell’economia mondiale procede squilibrata, ma non soltanto. Ha a bordo un elefante che si muove disordinatamente e rischia continuamente di capovolgerla. L’elefante si chiama finanza globale, sta sostituendo l’economia reale con una virtuale: con una economia di carta, anzi di bit elettronici… Come un tessuto canceroso, questa economia di carta raddoppia di volume ogni due anni, rischiando di soffocare l’economia reale, anche perché alla carta non corrisponde la sostanza... Mantenere la stabilità dei mercati finanziari dovrebbe essere l’obbiettivo esplicito del potere politico. Esiste tuttavia su questo punto una forte opposizione da parte dei fondamentalisti del libero mercato, i quali sono contrari a ogni intervento pubblico, specialmente da parte di una organizzazione internazionale. Richiederà perciò un cambio di mentalità condurre i Parlamenti, i Governi e i mercati a riconoscere che essi hanno una comune responsabilità per la sopravvivenza del sistema. L’unica questione è se questo cambio di mentalità avverrà prima o dopo il crollo del sistema stesso”.
Il crollo è avvenuto, il cambio è seguito (sempreché sia seguito davvero, e sarebbe lecito dubitarlo).
Queste cose, io le scrivevo non perché fossi un profeta, ma perché ero un (modesto) propagandista delle idee socialiste. Le idee che hanno storicamente vinto ancora una volta. (1/2 - continua)