La decisione del Consiglio dei ministri: "Figura emblematica nella lotta alla mafia". La decisione è stata comunicata dal sottosegretario Antonio Catricalà al segretario del Psi, on. Riccardo Nencini. "Deliberati i funerali di stato per Placido Rizzotto" faceva eco un tweet del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Paolo Peluffo. Il riconoscimento in favore del sindacalista ucciso dalla mafia il 10 marzo del 1948, i cui resti sono stati rivenuti solo pochi giorni fa, era stato chiesto da un vasto gruppo di personalità. La proposta è stata avanzata in Cdm dal presidente del Consiglio, Mario Monti. L'esecutivo ha deciso "l'assunzione a carico dello Stato delle spese per i funerali del sindacalista Placido Rizzotto, figura emblematica della lotta contro la mafia". E' quanto si legge nella nota. I funerali si terranno "una volta terminati gli accertamenti tecnici sui resti recuperati". I resti erano stati rinvenuti nel settembre del 2009 a Rocca Busambra, nelle campagne di Corleone (Palermo). L'identità è stata accertata da esami di laboratorio eseguiti dal Gabinetto della Polizia Scientifica di Palermo, comparando i resti con il Dna di un parente di Rizzotto morto per per cause naturali. Così è stato possibile risalire all'identità del partigiano e sindacalista, dopo 64 anni dalla morte. |
Per Placido Rizzotto Il 9 Marzo scorso è arrivata la conferma, dopo 64 anni sono stati identificati i resti mortali di Placido Rizzotto, sindacalista socialista ucciso dalla mafia di Corleone il 10 marzo del 1948. di Giuseppe Biasco *)
Non basta uccidere, la morte deve parlare a quelli che rimangono, deve essere un messaggio di terrore inequivocabile. La barbarie della delinquenza organizzata si esprime con questa pratica esercitata senza nessuna pietà. La morte viene erogata attraverso modalità diverse, mai in maniera casuale, frutto di un momento di rabbia o di follia. La morte dei nemici è sempre l'esecuzione di una sentenza assunta con freddezza ed eseguita con spietata precisione. Il controllo della morte è alla base dell'esercizio del potere. In questa logica anche far scomparire un corpo ha il suo preciso significato. Far sciogliere un corpo nell'acido, cementarlo in un pilastro, seppellirlo in un luogo sconosciuto, affondarlo in acque profonde, bruciarlo o renderlo irriconoscibile, ha una particolare importanza per la mafia. Quando la mafia uccide con fragore e grande dispendio di mezzi, è per dimostrare il proprio inarrestabile potere, a cui nessuno si può sottrarre. I "Corleonesi" sono stati tra gli interpreti più feroci di questa pratica, proprio per la concezione esasperata che avevano del potere. Il potere non era dato solo dai soldi che si era in grado di razziare, ma dalla capacità di uccidere senza pietà chiunque fosse contrario alle mire della organizzazione senza fermarsi di fronte a niente e nessuno. La stessa fine di Michele Navarra, l'indiscusso capo mafia di Corleone dal 1943 al 1958 e mandante dell'omicidio di Placido Rizzotto, avvenne secondo il metodo nuovo inaugurato proprio in quell'occasione da parte di Liggio e dei suoi giovani picciotti: Provenzano e Riina. Navarra fu ucciso mentre rientrava a Corleone su una Fiat 1100, insieme a un suo giovane collega, massacrato innocente insieme a lui. Sul suo corpo furono contate ben 92 ferite, provocate da altrettanti colpi d'arma da fuoco. Da allora la ferocia dei "Corleonesi" non ebbe freno, alternando stragi, agguati e scomparse, furono protagonisti di una lunga vicenda di sangue e malaffare, che arrivò a colpire lo Stato, la grande finanza e determinò le sorti dello sviluppo negato alla Sicilia Dalla "strage di Viale Lazio" a Palermo nel 1969, in cui morirono 6 persone, ad opera di Riina e Provenzano, passando per l'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa fino ad arrivare a Falcone e Borsellino: questo è il modo di parlare del potere mafioso che sfida lo Stato. Ma i Corleonesi sono anche quelli delle centinaia di persone uccise e scomparse, di cui non si doveva mai più parlare. Persone scomparse e finite nel nulla come le decine di poveri contadini che avevano osato levarsi contro i grandi feudatari e che con la battaglia della "occupazione delle terre", avevano messo in discussione gli assetti secolari della proprietà agraria in Sicilia. Il motivo per cui un corpo non doveva essere mai più ritrovato era, da una parte non fornire prove alla Magistratura inquirente, ritardarne l'azione, inquinare prove; e dall'altra parte procedere a una campagna di denigrazione nei confronti dello scomparso. Con questo sistema s'impediva anche di dare degna sepoltura alla vittima. S'impediva di fornire un martire civile ai poveri e ai disperati. S'impediva che la vittima potesse un giorno diventare l'eroe di una nuova lotta, di una vendetta, di una richiesta di giustizia. Il potere mafioso, secondo questa barbara impostazione, doveva essere totale, doveva andare anche dopo e oltre la morte. Il doppio metodo di uccidere della mafia, quello eclatante e quello silenzioso fu inaugurato nel primo dopoguerra, nel pieno della lotta per la terra e della nascita del movimento contadino: la strage di Portella della Ginestra a opera della banda di Salvatore Giuliano e lo stesso omicidio di Placido Rizzotto, sono i due avvenimenti che segnano l'inizio di una storia infinita di sangue e ferocia. Placido Rizzotto, fu un giovane combattente della seconda guerra mondiale che dopo l'8 settembre del 1943, insieme a tanti altri, entrò nella Resistenza combattendo contro i nazifascisti nell'Italia del Nord occupato. Alla fine della guerra, tornato al suo povero paese sulle Madonie, Corleone, a 57 Km da Palermo, si dedicò alla lotta per il riscatto della terra e dei contadini poveri e dei braccianti oppressi. Socialista per convinzione profonda, Rizzotto fu il primo segretario della Camera del Lavoro di Corleone e sviluppò una lotta senza quartiere ai proprietari terrieri e alla mafia dei Navarra e dei Luciano Liggio. La risposta fu feroce e inesorabile: rapito nella serata del 10 marzo 1948, mentre si recava da alcuni compagni di partito, fu ucciso. Il pastorello Giuseppe Letizia assistette al suo omicidio di nascosto e vide in faccia gli assassini: per questo venne assassinato con un'iniezione letale fattagli dal medico-boss Michele Navarra, mandante del delitto Rizzotto. Le indagini sull'omicidio furono condotte dall'allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sulla base degli elementi raccolti dagli inquirenti, vennero arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammisero di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio. Grazie alla testimonianza di Collura fu possibile ritrovare alcune tracce del sindacalista ma non il corpo, gettato da Liggio nelle foibe di Rocca Busambra, presso Corleone. Criscione e Collura, insieme a Liggio che rimase latitante fino al 1964, furono assolti in appello dopo una condanna all'ergastolo, per insufficienza di prove, dopo aver ritrattato la loro confessione in sede processuale. In quel periodo il giovane capitano Dalla Chiesa si dovette occupare di ben 74 omicidi di contadini e braccianti che avevano partecipato al movimento dell'occupazione delle terre. La settimana prima della scomparsa di Placido Rizzotto, era stato assassinato il capolega Epifanio Li Puma. Meno di un mese dopo, a Camporeale, verrà ucciso Calogero Cangelosi. Come afferma Michele Pantaleone nel suo famoso libro Mafia e Politica, in quelle settimane s'indirizzò anche in questo modo il voto dei poveri braccianti verso la Democrazia Cristiana, che uscirà vincitrice dalle urne del 18 Aprile del 1948. Il 9 marzo 2012 l'esame del DNA, comparato con quello estratto dal padre Carmelo Rizzotto, morto da tempo e riesumato per questo scopo, ha confermato che i resti trovati il 7 settembre 2009 presso le foibe di Rocca Busambra presso Corleone appartengono a Placido. Dopo 64 anni dalla sua scomparsa, abbiamo la certezza di aver finalmente recuperato i resti di Placido Rizzotto! Finalmente potremo dare sepoltura a un martire della lotta contro i proprietari terrieri e la mafia. Da tempo Riina e Provenzano sono in carcere. Placido Rizzotto vivrà nella nostra memoria. Sconfitta due volte la Mafia. E se il socialismo italiano ripartisse proprio dal ricordare l'esempio e la morte di Placido Rizzotto? E se il 10 Marzo fosse la giornata della memoria dei caduti nella lotta per il riscatto sociale nel nostro Paese? *) Giuseppe Biasco, ha 63 anni, è un non vedente, iscritto all'ordine dei giornalisti di Napoli, laureato in Storia Contemporanea e specialista in Storia Economica. È stato dipendente dell'Alfa Romeo di Pomigliano d'Arco, sindacalista metalmeccanico, segretario della Uil Campania con Giorgio Benvenuto. Socialista, assessore della Provincia di Napoli alle politiche europee, come laburista "ai tempi di Valdo Spini". Attualmente, si occupa di ricerca sociale, collabora con l'Ires Campania e dedica gran parte del suo tempo ai disabili, in particolare a quelli visivi. |
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