Forse  (dico forse) i socialisti dovrebbero dire o proporre qualcosa sulla questione  sollevata da Napolitano, ricordando Giolitti, intorno alla "alternativa  praticabile"
di Alberto  Benzoni  
Ricordando Antonio Giolitti, il Capo dello Stato ha riproposto la  versione che lo stesso Giolitti dava dell'alternativa, come proposta "credibile,  affidabile e praticabile"; questo per sottolineare, neanche troppo  implicitamente, che il discorso politico, in particolare del Pd, da molti anni a  questa parte non soddisfaceva per nulla a questi  requisiti.
    Il rilievo è incontrovertibile; e basti  ripercorrere gli eventi più recenti. Questi dimostrano, al di là di ogni  possibile dubbio, che, quando il Pd si deve scontrare con il "berlusconismo allo  stato brado", dà il meglio di sé; mentre quando si misura con i problemi - che  riguardino la Fiat, la riforma della giustizia o la Libia - annaspa e si  contraddice, spesso in modo plateale. In questo senso l'"antiberlusconismo  primario" costituisce non già la causa delle sue debolezze, ma un possibile  rimedio alle medesime; rimedio che potrebbe funzionare solo nel caso che il  Cavaliere determinasse una crisi istituzionale grave e tale da provocare  elezioni anticipate. Uno scenario che chi scrive ritiene tuttora probabile; ma  non fino al punto di farci totale affidamento. Perché, se lo stesso Cavaliere  riuscisse ad arrivare senza strappi al 2013, in una elezione normale, la  sinistra dovrebbe esibire le sue carte; e, in mancanza di carte credibili  sarebbe condannata ad un'ulteriore sconfitta.
    Ciò, doverosamente, premesso, perché mai la  sinistra Pd non riesce ad essere un'alternativa  credibile?
    La spiegazione più accreditata (anche perché,  attenzione, costantemente proposta e dal centro-destra e dal terzo polo)  contesta ai "comunisti" il fatto di essere, in qualche modo, prigionieri del  proprio passato; e, quindi, di essere tuttora condizionati da estremismi,  ideologismi, conservatorismi di ogni tipo.
    Ora questo condizionamento esiste, ma riguarda  il cosiddetto "popolo di sinistra" assai più che la sua classe dirigente. Nel  suo caso, anzi, il difetto d'origine è opposto; perché non sta nell'essere  prigionieri del passato ma piuttosto nell'averlo frettolosamente liquidato;  gettando via il bambino assieme alla (magari tanta) acqua sporca. Per dirla in  parole povere, il Pci di fine anni novanta poteva, anzi doveva, diventare un  partito socialdemocratico, ma non l'ha fatto, anzi si è mosso in una direzione  esattamente opposta.
    Tutto nasce dalla lettura de "combinato  disposto" della caduta del muro di Berlino e della immediatamente successiva  crisi di Tangentopoli. L'allora Pds interpreta la prima in termini di caduta di  ogni prospettiva di tipo socialista e vede la seconda come legittima rivolta  della cosiddetta "società civile" contro il "troppo Stato, troppa politica,  troppi partiti" che avrebbero caratterizzato la prima repubblica. Il meno che si  possa dire è che le cose potevano essere viste in tutt'altro modo: la fine del  "socialismo reale" come spazio per il socialismo possibile e la rivoluzione di  Tangentopoli come sdoganamento di una cultura di destra condannata  all'emarginazione nei decenni precedenti.
     "Ma c'era Craxi che ci annebbiava la  vista", ripetono ancor oggi gli amici del Pd; meglio non replicare per non farsi  altro cattivo sangue
    Il punto che qui c'interessa è poi un altro; il  fatto che la quèrelle tra i "nuovisti" (impersonati, tanto per capirci, da  Veltroni) e gli "aspiranti socialdemocratici" (vedi Bersani) non si è affatto  sciolta nel corso del tempo; anzi non è mai venuta alla luce in un vero  confronto politico.
    Il risultato è un partito che oscilla  penosamente tra la Cgil e Marchionne ( oggetto, tra l'altro, di un appoggio  senza se e senza ma); tra quanti vogliono un partito e quanti sognano una  nebulosa indistinta amministrata dalle primarie; tra nostalgici della  proporzionale e cultori dell'uninominale secco; tra quanti ritengono necessario  un ritorno del ruolo dello Stato e quanti vogliono scavalcare Berlusconi  all'insegna di una "rivoluzione liberale" da completare e potremmo continuare  all'infinito.
    Il risultato di tutto questo è l'assenza di ogni  politica o, peggio ancora, l'immagine di un partito in cui il povero Bersani  tenta di proporre qualcosa per essere oggetto di un immediato dileggio da parte  della "Rottamatori s.p.a.".


 mercoledì, maggio 25, 2011
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 Avvenire dei Lavoratori
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