martedì 26 ottobre 2010

I garantiti. E i paria

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Perché non convince il contratto unico di Ichino

di Renato Fioretti

La straordinaria facilità di accesso alle più svariate fonti d’informazione ci consente di seguire “in tempo reale” tutto ciò che accade all’altro capo del mondo, ma, contemporaneamente, l’enorme quantità di notizie disponibili, rende sempre più arduo selezionarne la qualità. In questo quadro, è molto alto il rischio che (anche) fatti e notizie, di grande rilevanza politica e sociale, risultino (sostanzialmente) “oscurati” o, solo marginalmente, rilevati. Questo è quanto, a mio parere, è accaduto rispetto ai contenuti del dibattito sul lavoro, sviluppatosi all’Assemblea nazionale del Pd, del 21 e 22 maggio scorso. Recuperando, quindi, l’interessante confronto, coglierò l’occasione per esprimere alcune considerazioni sul Ddl 1481, presentato al Senato da Pietro Ichino.

    Nei due giorni di discussioni, partendo da un denominatore comune - l’esigenza di ridurre lo squilibrio, in termini di diritti e tutele, prodottosi tra lavoratori “insider” e “outsider” - si fronteggiavano, in sostanza, due posizioni. In estrema sintesi, è possibile rilevare che la prima - a sostegno del documento presentato da Stefano Fassina, responsabile nazionale dell’economia - unitamente ad una serie di misure tese a condizionare il ricorso al lavoro a progetto e a tempo determinato, sosteneva la necessità di rendere più onerose le forme di lavoro “atipico”. Per disincentivarne l’uso e, contemporaneamente, promuovere il rapporto di lavoro “standard” (a tempo pieno e indeterminato). La proposta alternativa, sostenuta da Ichino, Nerozzi e numerosi altri esponenti, sosteneva, piuttosto, l’esigenza di una revisione dell’art. 2094 del c.c. Nel senso di pervenire alla definizione di “lavoratore economicamente dipendente”, nella quale comprendere anche alcune tipologie contrattuali “atipiche” in regime di “mono – committenza”. Alla nuova formula, ai fini di una sostanziale “unificazione” dei rapporti di lavoro, si accompagnava l’idea di graduare nel tempo le tutele oggi riconosciute a coloro che Ichino definisce “garantiti”. Alla conclusione dei lavori, il documento finale di Fassina ”Sviluppo, lavoro, welfare: il decalogo del Pd per il diritto unico del lavoro”, fu approvato con una cinquantina di voti favorevoli e ben quarantadue astensioni.

    Immagino che il sostanziale “pareggio” rappresentò una sorpresa solo per coloro i quali, evidentemente, ignoravano che, appena pochi mesi prima, molti tra i presenti avevano sottoscritto due disegni di legge - d’iniziativa dei senatori Ichino e Nerozzi - tesi a trasformare in norme di legge le proposte successivamente avanzate in sede di Assemblea nazionale.

    Rinviando l’esame della proposta Nerozzi a un successivo (eventuale) appuntamento, è utile riproporre all’attenzione del lettore il Ddl 1481, comunicato alla Presidenza del Senato il 25 marzo 2009. Esso presenta numerosi e interessanti elementi di riflessione e, nel rispetto della sintesi, proverò a illustrarne i contenuti ed evidenziarne i motivi di dissenso. Innanzi tutto, è opportuno rilevare che l’ipotesi Ichino di: “Uno standard minimo universale di protezione della continuità del lavoro e del reddito, a stabilità crescente”, può essere considerata una sorta di evoluzione darwiniana del c.d. “Contratto unico” di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, il cui progetto prevedeva - e tutte le occasioni sono buone per ribadirlo e riproporlo - ” Un sentiero a tappe verso la stabilità”.

    Rispetto alla proposta Boeri, che già fu oggetto di uno schietto e approfondito dibattito con Massimo Roccella, attraverso le pagine della versione cartacea di Micromega, quella di Ichino presenta, come già anticipato, alcuni elementi di novità. In primis, al fine di offrire tutte le informazioni possibili rispetto ai motivi del mio dissenso, è utile riportare l’incipit della relazione di accompagnamento al Ddl 1481. La stessa rileva la situazione “di vero e proprio apartheid che divide i 9 milioni di lavoratori protetti (dipendenti pubblici e dipendenti stabili da aziende private cui lo Statuto dei lavoratori del 1970 si applica nella sua interezza), dagli altri 9 milioni di lavoratori sostanzialmente dipendenti, che oggi portano tutto il peso della flessibilità di cui il sistema ha bisogno”. E ancora: “Un Paese moderno, attento alle comparazioni con le esperienze dei Paesi stranieri più civili, dove un simile fenomeno non si manifesta, non può rassegnarsi alla perpetuazione del modello del mercato del lavoro duale. Innanzitutto perché quel modello è iniquo: esso genera, infatti, da una parte posizioni di rendita, dall’altra situazioni di precarietà di lunga durata, per ragioni che hanno poco o nulla a che vedere con il merito delle persone interessate o con esigenze tecnico - produttive”. Nel merito della proposta, è opportuno evidenziare che la stessa, al pari del contratto unico, prevede la stipula di un contratto a tempo indeterminato, una durata della prova non superiore a sei mesi (tre mesi, nella versione Boeri), un periodo d’inserimento nel corso del quale - in deroga all’art. 18 dello Statuto - sarebbe possibile il licenziamento per motivi economici o organizzativi, un risarcimento economico all’atto del recesso, un contratto di “ricollocazione al lavoro” e una diversa modalità di gestione del preavviso. Rispetto al tipo di contratto, vale, per Ichino, quanto autorevolmente contestato da Roccella a Boeri. In effetti, piuttosto che di un contratto a tempo indeterminato “classico”, si tratterebbe di una sorta di contratto a termine “a scadenza variabile” nell’arco della sua vigenza. In sostanza, una nuova tipologia contrattuale da aggiungere alle tante già esistenti. In più, per tutta la sua durata, resterebbe sospesa la possibilità di ricorrere contro un licenziamento senza “giusta causa”. 

    Tra l’altro - e si tratta di un particolare di non trascurabile importanza - mentre Boeri prevede un c.d. “periodo d’inserimento” della durata massima di tre anni, la proposta di Ichino si candida a battere qualsiasi record. Infatti, la flessibilizzazione prevista dal Ddl 1481 si estende ai primi venti anni del rapporto; con pari durata della deroga all’art. 18! La tutela “reale”, prevista dalla vigente legislazione, sarebbe limitata al licenziamento disciplinare e a quello dettato da motivi discriminatori. Su questo punto, oltre ad evidenziare che, per un lavoratore, dimostrare di essere vittima di un licenziamento dettato da un motivo discriminatorio o “di mero capriccio”, è quasi impossibile - stante l’onere “della prova” a suo carico - è opportuno rilevare che il Ddl 1481prevede (anche) la possibilità che il giudice, in entrambi i casi - tenuto conto delle circostanze (?) - disponga la sola reintegrazione con azzeramento o riduzione del risarcimento del danno, oppure il solo risarcimento! Un altro punto, che ricalca quanto previsto dal contratto unico, è la previsione di un indennizzo a favore del lavoratore licenziato per motivi economici/organizzativi. Lo stesso è pari a tanti dodicesimi della retribuzione lorda quanti sono gli anni compiuti di anzianità di servizio. A solo titolo di curiosità, vale la pena rilevare che la versione Boeri prevede un ammontare del risarcimento pari al doppio di quanto indicato nel Ddl in esame.

    Un altro elemento di novità è rappresentato dal c.d. “Contratto di ricollocazione al lavoro”. Esso prevede che al lavoratore licenziato per motivi economici o non reintegrato, sia offerto, da parte di un’Agenzia all’uopo costituita (ennesimo Ente bilaterale “di scopo”): a) un trattamento economico complementare, a scalare nel tempo, per il periodo di disoccupazione; b) assistenza nella ricerca di una nuova occupazione; c) iniziative di formazione professionale. A ben vedere, però, la novità non è poi tale. A parte la previsione di un nuovo “ammortizzatore sociale” (finanziato dalle aziende), resterebbero funzioni di “politiche attive del lavoro” già ampiamente previste (e in gran parte disattese) dalla famigerata “riforma del collocamento”!

    Rappresenta, al contrario, un’ipotesi assolutamente inedita la possibilità che, all’atto della comunicazione del preavviso di licenziamento - pari a tanti mesi quanti sono gli anni di anzianità in azienda, con un massimo di dodici - il lavoratore abbia la facoltà di scegliere tra la cessazione immediata del rapporto (con conseguente godimento della prevista indennità economica) e la prosecuzione della prestazione lavorativa fino alla scadenza dello stesso. Anche qui, contrariamente a quanto si possa presupporre, ritengo si tratti di un’opzione solo apparentemente favorevole. Personalmente, nel considerare un più o meno lungo periodo di “preavviso lavorato”, in alternativa all’immediato recesso, la scelta prevedibilmente operata dalla stragrande maggioranza dei lavoratori, immagino il conseguente “stato di soggezione” cui sarebbe costretto il “licenziando” nei confronti di un datore di lavoro che - se disponibile, e a certe condizioni - potrebbe, in un arco di tempo lungo fino a dodici mesi, anche revocare il provvedimento. Potenzialmente, in aggiunta al licenziamento per giustificati motivi oggettivi e a quello per esigenze economico-produttive, si tratterebbe di una vera e propria “spada di Damocle” strategicamente sospesa sul capo di tutti i lavoratori. Uno straordinario (e ulteriore) deterrente a disposizione dei datori di lavoro poco affidabili.

    Relativamente ai lavoratori “atipici”, Ichino prevede di comprendere tra i lavoratori dipendenti “I prestatori d’opera personale a carattere continuativo che dovessero trarre più di due terzi del proprio reddito complessivo dal rapporto con l’azienda medesima”. Salvo il caso in cui “La prestazione lavorativa sia svolta in condizione di autonomia e ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) retribuzione annua lorda superiore a 40 mila euro; b) iscrizione del lavoratore all’ordine degli avvocati o altro ordine o albo professionale incompatibile con la posizione di lavoratore dipendente”.

    A questo punto, è d’obbligo il riferimento alla relazione di accompagnamento al Ddl 1481. Concordando con l’autore, circa il fatto che l’iniquità dei trattamenti rappresenta il motivo determinante della precarietà di lunga durata - per ragioni, per altro, che hanno poco a che vedere con le esigenze tecnico-produttive delle aziende - perché mai la condizione di apartheid andrebbe abbattuta solo ed esclusivamente a beneficio di poche centinaia di migliaia di lavoratori (prestatori d’opera a carattere continuativo, in regime di sostanziale mono - committenza)? E i restanti nove milioni di lavoratori, che lo stesso definisce sostanzialmente dipendenti?

    Si deve ritenere che coloro i quali offrono la loro prestazione attraverso (finte) associazioni in partecipazione (di solo lavoro), rapporti a termine (senza alcuna causale oggettiva e reiterati per anni), agenzie di somministrazione e ogni altra “diavoleria”, consentita da quel grande “supermarket delle tipologie contrattuali” rappresentato dal decreto legislativo 276/03, siano da considerare - per dirla alla Ichino - lavoratori “garantiti”? Infine, per concludere, è possibile condividere il principio secondo il quale ridurre le tutele - in termini di deroga ventennale all’art. 18 e sua profonda “manomissione” - a coloro che ne beneficiano, per ridurre il gap tra “garantiti” e “paria”, rappresenti un’opera di equità sociale?    

HA DA VENI' ER TICKET

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dialogo immaginario, ma non troppo, dopo la mega-manifestazione della FIOM

di Riccardo Orioles
www.ucuntu.org

- Eh, va là! Sessantotto!”.

- Che ti devo dire. Anche allora mica la tv se l'aspettava. Intanto...

- E chi sarebbe il capo di 'sto sessantotto? Vendola? Beppe Grillo? Di Pietro?

- Beh, mica facile fare il sessantottino se perdi tempo con un partitino intestato al tuo nome. E allora son stati proprio i capi, come li chiami tu, a sfasciare tutto. Stavolta magari se ne fa a meno.

- Vabbe', le solite fantasie. E intanto Berlusconi...

- Ma intanto ridendo e scherzando ci abbiamo guadagnato un'opposizione. Prima non c'era e ora da sabato c'è.

- Ma dai!

- Mica lo dico io. Il Corriere lo dice. Leggi qua: “La Fiom si fa partito”., E il Corriere, quando sente guai, se ne intende...

- E il piddì? E Bersani? Che fine fanno?

- Bersani è uno serio, e a quest'ora s'è già accordato con Vendola per fare il ticket.

- Il ticket! Te lo ricordi quando c'era Prodi e Veltroni? Il vecchio e il giovane, l'Emilia solida e la città futura, i conti in ordine e la poesia...

- E dai, Veltroni... Tocco palle a solo pensarci.

- Anch'io, e difatti Veltroni ha fatto la fine che ha fatto. Ha accoltellato il povero Prodi fra l'altro. Ma Vendola è un'altra cosa. Vendola non tradisce. Bersani tiene su la baracca, e lui la spinge avanti.       


Riceviamo e volentieri pubblichiamo

EUROPA SOCIALE, LA PAROLA ALLA RETE

Come dovrebbero essere gestiti i beni pubblici essenziali come l’acqua, gli alimenti, l’ambiente e quale ruolo dovrebbero avere Stato e privati? Quali regole imporre alla finanza selvaggia e come costruire rapidamente una societa’ della conoscenza e dell’innovazione aperta a tutti? Che ne pensi delle politiche del lavoro e dei sindacati, dei partiti europei, della necessita’ di disegnare un nuovo welfare e  della globalizzazione?

    L’Europabarcamp sull’Europa sociale sta partendo sulla Rete. Sul sito www.europabarcamp.it si trovano gia’ le tesi che fanno da spunto al dibattito e alle quali ciascuno puo' gia’ aggiungere liberamente riflessioni e proposte. Promossa dal vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella e dal preside della Facolta' di Scienze della Comunicazione della Sapienza, Mario Morcellini, in collaborazione con il gruppo parlamentare a Strasburgo dei Socialisti e dei Democratici e delle fondazioni Mezzogiorno Europa,

    Italianieuropei e Zefiro, questa seconda iniziativa dell'Europabarcamp e' aperta a tutti coloro che vogliono partecipare a un dibattito libero, aperto e senza censure. L'iniziativa si propone di costruire insieme e dal basso proposte e idee per indirizzare l'azione del sistema-paese in sede Ue. L'appuntamento finale e'  fissato per l’11 novembre a Roma con inizio alle ore 15, alla facolta’ di Comunicazione della Sapienza, dove si ritroveranno in tanti per continuare a discutere in diretta Internet e televisiva, fianco a fianco con i maggiori esperti e opinion makers in politiche sociali e dove si emendera' e votera' quanto e' emerso nel confronto sulla Rete.

    Che cos’e’ un ‘’BarCamp’’. – Il BarCamp è una non-conferenza collaborativa, dove chiunque può “salire in cattedra”, proporre un argomento e parlarne agli altri, con lo scopo di favorire il libero pensiero, la curiosità, la divulgazione e la diffusione dei temi lanciati sul Web. Una riunione in cui la discussione è guidata dai partecipanti piuttosto che prestabilito in anticipo dagli organizzatori, una riunione aperta i cui contenuti vengono proposti dai partecipanti stessi.

Guarda il video: http://www.youtube.com/watch?v=nJuv1s3UA1s&feature=player_embedded    

Ci vuole una tassa sui grandi patrimoni

LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it


“Sull’esito del tavolo convocato oggi dal ministro Tremonti sui temi del fisco con le parti sociali, sono prudente. È comunque l’occasione per una discussione trasparente. E in questo paese diventa una notizia, quando in realtà dovrebbe essere una cosa normale”. Lo ha dichiarato ai microfoni di RadioArticolo1 Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil, ospite della trasmissione Italiaparla.

    “Nel merito vedremo quello che accadrà. Noi andiamo a quel tavolo con opinioni molto precise. Ma non penso che ci sia un cambiamento sostanziale di metodo da parte di questo governo: ora che è più debole è semplicemente costretto ad accettare il confronto. Non può continuare con la stessa unilateralità che sfoggiava un tempo. Non ne ha più la forza”.

    Nel merito del tema fiscale, per Barbi “i redditi fissi pagano troppo, più di quello che dovrebbero e i grandi patrimoni sono tassati meno di quanto dovrebbero. Ne risentono anche i consumi. Per questo i profitti e i capitali si indirizzano verso le rendite e le posizioni parassitarie di speculazione e meno verso gli investimenti su imprese e produzione. Un altro elemento fondamentale è la lotta all’evasione fiscale: gli strumenti per portarla avanti ci sono. Pensiamo alla tracciabilità dei patrimoni. Ma il governo non si muove”.

    Per Barbi “nelle proposte avanzate ci sono molti elementi che ci uniscono con Cisl e  Uil: la lotta all’evasione e lo spostamento del peso fiscale dal lavoro dipendente ai grandi patrimoni. Ci sono anche punti che ci differenziano: la Cgil insiste sulla questione dei grandi patrimoni e avanza la proposta di una tassa patrimoniale per i redditi superiori ad 800 mila euro, simile a quella francese. Abbiamo già annunciato, anche su questi temi, un’altra grande manifestazione nazionale il 27 novembre dal titolo: “dare un futuro al paese, al lavoro, ai giovani”, ha concluso il segretario confederale della Cgil.

Per riascoltare la trasmissione
http://www.radioarticolo1.it/audio/2010/10/20/6204/fisco-equo-battaglia-di-tutti-interviene-danilo-barbi-segreteria-cgil       

Lodo Alfano, Napolitano dice no

IPSE DIXIT

Fase predatoria - «Il socialismo è il tentativo dell’umanità di superare e lasciarsi alle spalle la fase predatoria dello sviluppo umano».

Albert Einstein

Sistema di predazione - «Qualunque mercato, anche un mercato socialista, è un sistema di predazione. Fino a questo momento il nostro tentativo di superare i rapporti di predazione è fallito. Ma non è detto che la giusta conclusione sia arrenderci».

Jerry Cohen

Compito - «Contribuire a superare “la fase predatoria dello sviluppo umano” resta il compito fondamentale di coloro che temono le tendenze del presente, affermate dal dominio dell’oligarchia capitalista e della sua morale, della sua capacità di corrompere o annichilire».

Goffredo Fofi

Politica e giustizia

Lodo Alfano, Napolitano dice no

Il Presidente della Repubblica esprime "forti perplessità" sulla normativa che dovrebbe proteggere le alte cariche dello Stato, tra cui anche la sua, da qualsiasi tipo di processo. Una legge simile, dice, "ridurrebbe l'indipendenza del Quirinale".

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano prende una chiara posizione sul cosidetto Lodo Alfano. In una lettera indirizzata al senatore Carlo Vizzini, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, presso la quale in corso l'esame della proposta di legge costituzionale, Napolitano esprime infatti "profonde perplessità" sulla norma che prevede "la sospensione dei processi penali anche per il presidente della Repubblica".

    "Visto l'esito della discussione svoltasi sulla proposta di legge costituzionale 2180/S e nell'imminenza della conclusione dell'esame referente - scrive Napolitano -, ritengo di dover esprimere profonde perplessità sulla conferma da parte della Commissione della scelta d'innovare la normativa vigente prevedendo che la sospensione dei processi penali riguardi anche il Presidente della Repubblica. Questa previsione non era del resto contenuta nella legge Alfano da me promulgata il 23 luglio 2008".

    "Non posso peraltro fare a meno di rilevare - conclude la prima carica dello Stato - che la decisione assunta dalla Commissione da lei presieduta incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del Presidente della Repubblica riducendone l'indipendenza nell'esercizio delle sue funzioni".

    Una immediata reazione alle parole del Capo dello Stato arriva dai banchi dell'opposizione parlamentare. "Il centrodestra ritiri immediatamente il Lodo Alfano costituzionale. Se neanche di fronte alle fondate osservazioni del Quirinale Berlusconi si arrende significa che siamo di fronte a un tentativo di golpe", Ha detto il presidente dei senatori dell'Italia dei Valori, Felice Belisario. "Il Capo dello Stato chiede chiaramente di non essere coperto da uno scudo incompatibile con l'ordinamento costituzionale e di non essere trascinato nelle trame oscure del premier che, pur di non farsi processare, non esita - conclude Belisario - a coinvolgere anche la più alta carica dello Stato".

    Mentre la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti afferma: "Dopo un atto così rigoroso e di estremo equilibrio, il governo e la maggioranza si fermino e ritirino definitivamente quel mostro giuridico del lodo Alfano che mira allo stravolgimento delle basi della nostra Costituzione repubblicana".    

IN BREVE
a cura di rassegna.it 



Francia & pensioni: appuntamento al 26 ottobre

Il voto definitivo sulla legge francese di riforma delle pensioni della Commissione mista Assemblea-Senato avrà luogo martedì, due giorni prima di quanto inizialmente previsto: lo ha reso noto il ministro per i rapporti con il Parlamento, Henri de Raincourt.

    I sindacati francesi hanno proclamato due nuove giornate di sciopero, il 28 ottobre (data iniziale per la riunione della Commissione mista) e il 6 novembre, giorno in cui è previsto la firma della legge all'Eliseo



Alitalia, nuovo sciopero il 26 novembre 

Venerdì 26 novembre sarà sciopero di 4 ore per piloti ed assistenti di volo di Alitalia, proclamato dalla Filt Cgil e dalle associazioni professionali Ipa ed Avia.

    "La nuova proclamazione - spiegano le tre sigle sindacali e professionali - è stata presa a seguito dell'impegno aziendale, esplicitato formalmente al Ministero dei Trasporti, a riprendere un confronto costruttivo per la risoluzione delle vertenze irrisolte che riguardano piloti ed assistenti di volo".

    "Alla luce degli incontri in sede aziendale - sottolineano ancora Filt Cgil, Ipa e Avia - che riprenderanno la prossima settimana e che ci vedranno effettivamente coinvolti, si farà un effettivo bilancio delle soluzioni individuate e dell'atteggiamento aziendale".



Rifiuti a Terzigno
Berlusconi: "Sistemo tutto in 10 giorni"

Vertice straordinario a Palazzo Chigi., Il premier: "Non serve un piano d'emergenza". Situazione nelle mani della Protezione civile. Tensione alle stelle, trovate 10 molotov vicino alla discarica. Le scritte sugli striscioni "Berlusconi hai perso il Sud".

mercoledì 20 ottobre 2010

Senza il consenso delle persone che ci lavorano, le fabbriche non funzionano

IPSE DIXIT

Le fabbriche - «Senza il consenso delle persone che ci lavorano, le fabbriche non funzionano.» – Maurizio Landini      

LAVORO E DIRITTI - 2
a cura di rassegna.it

Fiom, Landini: "Garantire sicurezza spetta a ministero"

"È un errore alimentare un clima mediatico che cerca di modificare il senso e le ragioni della manifestazione del 16 ottobre"

"È sbagliato e pericoloso alimentare un clima mediatico che cerca di modificare il senso e le ragioni della manifestazione del 16 ottobre". Lo afferma in una nota il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, riferendosi all'allarme sicurezza lanciato dal ministro Maroni in merito ai cortei organizzati dal sindacato a Roma.

    "Garantire la sicurezza e l’ordine pubblico nel paese - osserva Landini - è un compito e una responsabilità istituzionale del ministero degli Interni. Ciò è ancor più vero se il ministro Maroni e i servizi parlano di possibili infiltrazioni di gruppi stranieri che, com’è noto, non sono metalmeccanici, né tantomeno sono stati invitati al corteo. Sabato a Roma - conclude la nota - la manifestazione indetta dalla Fiom si svolgerà in modo pacifico, democratico e non violento per il Contratto nazionale, il lavoro, i diritti, le democrazia e la legalità e siamo certi che avrà una grande partecipazione".       

L'Europa compie un passo avanti verso il Corridoio 24

G O T T H A R D    2 . 0

Narducci (PD): "Completamento galleria di base
del Gottardo passo importante per tutta l’Europa"

"Oggi, dopo 11 anni di lavoro, cui hanno partecipato maestranze di varia provenienza nazionale" – ha dichiarato l’on. Franco Narducci commentando la caduta dell’ultimo diaframma del Gottardo – "l’Europa intera ha raggiunto un traguardo importante completando la galleria di base del San Gottardo, che con i suoi 57 km raggiunge il primato mondiale. La realizzazione di questa galleria è un passo fondamentale per l'intero progetto della Nuova ferrovia transalpina, parte essenziale del Corridoio 24, il progetto europeo che consentirà di effettuare trasporti di merci e passeggeri ad alta velocità da Rotterdam a Genova con una considerevole riduzione d’impatto ambientale”.

       
IN BREVE - a cura di rassegna.it 



Bce: ripresa lenta, servono correzioni

Allarme lanciato nel bollettino mensile di Francoforte. Segnalata "una moderazione nella seconda metà dell'anno sia nell'area euro sia su scala mondiale". Cresce il ruolo delle economie emergenti. In Italia "sistema industriale in ritardo".



Atene, guerriglia sull'Acropoli

I reparti antisommossa della polizia ellenica irrompono nel sito archeologico occupato da due giorni da un gruppo di lavoratori precari che protesta contro tagli e licenziamenti. Gli agenti hanno lanciato bombe lacrimogene. Ci sono dei feriti



Incidenti lavoro, muore saldatore nel Trevigiano

Un saldatore di 59 anni è morto oggi in seguito a un'esplosione all'interno di un caseificio a Motta di Livenza (Treviso). L'operaio, saldatore esperto, stava lavorando sull'esterno di un contenitore cilindrico del diametro di circa tre metri che, per cause da accertare, sarebbe improvvisamente scoppiato, proiettando i rottami a una distanza di una cinquantina di metri, oltre la recinzione dell'azienda.



Maroni, rischio infiltrazioni a manifestazione Fiom 

Ci sono "elevati rischi di infiltrazioni" di gruppi violenti, "anche stranieri" alla manifestazione organizzata dalla Fiom a Roma per sabato prossimo. A dirlo è il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. La risposta di Landini, segretario Fiom: "Garantire la sicurezza è compito del Viminale, un errore alimentare clima mediatico".



Gelmini dimettiti
Migliaia in presidio a Montecitorio

Sit-in organizzato da studenti ricercatori e professori contro il disegno di legge di riforma dell'Università. L'Udu: "Il ministro è stato abbandonato anche da Tremonti". Un centinaio di manifestanti si poi è spostato in corteo sul Lungotevere.



Manovra, via libera del Cdm tra le polemiche

L'esecutivo approva la legge di stabilità e autorizza a porre la questione di fiducia. Il ministro dell'Economia Tremonti smentisce i contrasti, ma il titolare dell'Agricoltura, Giancarlo Galan protesta: "Non ci sono soldi". Il Partito democratico attacca: "Ignorato il Parlamento"



Tutti salvi i minatori cileni, l'incubo è finito

Luis Urzua, il "capitano" del gruppo, è l'ultimo dei 33 ad uscire: "Ho fatto un turno un po' troppo lungo", scherza appena fuori. Il Cile esplode di gioia per la fine di un'odissea durata 70 giorni. Mai nessuno era stato così a lungo sottoterra. La decisione di protagonista: i proventi della interviste a una fondazione per le famiglie in difficoltà.

       

Lettera aperta al Pd sull'immigrazione


Virtù e vantaggi dell 'immigrazione

Un documento del Pd sull'immigrazione dovrebbe iniziare elencando le virtù e i vantaggi sociali, non i pericoli e le minacce dell'immigrazione. Le quote sono inadeguate. Le proposte del centrosinistra non possono "scimmiottare" quelle della destra

di Guido Melis, Luigi Manconi, Gianclaudio Bressa,
Paolo Corsini, Lino Duilio, Eugenio Mazzarella

Le parole non sono neutre. L'ordine col quale sono impiegate, il contesto nel quale sono inserite, il senso generale del loro stare insieme non è mai puramente casuale e decide, anche oltre le intenzioni di chi le usa, il senso percepito delle cose dette, che può anche essere quello non voluto. Speriamo che qualcosa del genere sia accaduto agli estensori del documento-mozione intitolato "Comunità più forti, frontiere più sicure, più accoglienza per chi ha bisogno di aiuto umanitario, una politica selettiva funzionale alla crescita della società". Lo leggiamo perplessi, e non lo condividiamo. E non apprezziamo che abbia costituito la base di un voto quasi unanime dell'Assemblea nazionale e che venga riecheggiato all'interno del documento del forum Immigrazione.

    Cominciamo col dire che già l'attacco della mozione ("Comprendiamo le preoccupazioni della gente sull'immigrazione") è equivoco e in definitiva sbagliato. Si gioca in difesa, puntando allo zero a zero.

    Un documento del Pd sull'immigrazione dovrebbe iniziare (per fortuna la risoluzione finale del Forum lo fa) elencando le virtù e i vantaggi sociali, non i pericoli e le minacce dell'immigrazione. Dovrebbe dire subito che: a) in un Paese come il nostro, caratterizzato da un drammatico fermo demografico, c'è necessità oggettiva di risorse umane giovani, sia per alimentare il mercato del lavoro, sia per garantire le pensioni a quella società di vecchi che stiamo diventando; b) nel mondo della globalizzazione l'immigrazione, cioè la mobilità degli individui e dei gruppi, è un dato ineliminabile, ed è un'illusione della destra pensare di poterla bloccare erigendo muraglie di norme e politiche di respingimento; c) già oggi interi settori dell'economia italiana vivono grazie al lavoro degli immigrati, lavoro che non è sottratto agli italiani (come documenta per esempio uno studio recente della Banca d'Italia: della Banca d'Italia, non della Caritas).

    Detto questo si sarebbe dovuto affermare con altrettanta chiarezza che l'immigrazione, fenomeno ricco di potenzialità, deve essere governata.

    Ma come fare?
    Anche qui sbaglia, a nostro avviso, chi ritiene che si possa adottare anche in Italia la soluzione Canada (o Gran Bretagna, o Danimarca) delle quote, prefigurando l'ingresso sulla base di una domanda programmata del mercato del lavoro, alla quale far corrispondere autoritativamente l'offerta di lavoro proveniente dall'estero.

    Ora, a parte che questa soluzione vale per gli extra-comunitari ma non è applicabile ai comunitari (salvo mettere in discussione tutto l'impianto della costruzione europea), siamo sicuri che questa ricetta – alla luce dell'esperienza italiana, lunga almeno dodici anni – sia tuttora applicabile al nostro paese? O, piuttosto, non sia una – tra le altre e non la principale – delle politiche da adottare?d'altra parte, in quei paesi dove già la si adotta, la soluzione delle quote si basa sul fatto che il mercato del lavoro vuole selezionare lavoratori istruiti e specializzati, da inserire in settori di punta a livelli retributivi medio-alti che presumibilmente sono pronti ad accoglierli. Il mercato del lavoro italiano invece oggi attinge agli stranieri chiedendo esattamente il contrario: manodopera generica da inserire in settori bassi del sistema economico a seconda delle emergenze produttive del giorno per giorno. Così accade nel Nord-Est (dove il lavoro straniero è particolarmente prezioso nella piccola industria), così nel Sud (in agricoltura, ad esempio), così in tutto il territorio nazionale indistintamente (operai edili, badanti, colf, camerieri ecc.). Dunque attivare oggi un meccanismo per quote rischierebbe di tagliar fuori tutta l'immigrazione di prima generazione, con efficacia pressoché nulla e gravi conseguenze sull'attuale offerta di lavoro. Farebbe male, non bene all'economia del Paese.

    Ma a parte l'errore di strabismo che la proposta delle quote rappresenta, il tema ha una portata più generale. E consiste nel domandarsi se possa essere questo l'approccio di una grande forza progressista al tema cruciale dell'immigrazione. Le politiche di sicurezza sono, è vero, la grande bandiera delle destre europee, ma non è detto che per questo noi dobbiamo inseguirle sul loro terreno, cercando di scimmiottarne atteggiamenti e soluzioni pratiche con l'effetto di apparire comunque una seconda scelta rispetto a quelle collaudate politiche, tutte giocate sulla paura del nuovo e dell'estraneo.

    Il centrosinistra dovrebbe viceversa avere una "sua" politica dell'immigrazione, visibile, coerente coi suoi principi, alternativa a quella della destra. Questa politica del centrosinistra dovrebbe innanzitutto valorizzare l'immigrazione, puntando a realizzare sui territori politiche di "alleanza" sociale e culturale, che coinvolgano le comunità straniere in Italia, le inducano a partecipare ai processi comuni di integrazione e disinneschino gli inevitabili conflitti che la loro presenza suscita (del resto è successo così anche a noi italiani, in tutti i paesi dove siamo stati a nostra volta immigrati; e anche questa memoria non dovrebbe essere cancellata ma semmai coltivata "pedagogicamente"). Occorrerebbero proposte intelligenti e concrete di integrazione: cittadinanza subito ai nativi e prima possibile a chi la vuole; voto alle elezioni amministrative; appositi piani di sviluppo urbani locali; più servizi, più scuola, più assistenza e una burocrazia "umana".

    Bisognerebbe individuare soluzioni pratiche – convincenti e indirizzate alla convivenza e allo scambio - rispetto a un conflitto che è fisiologico, ma non mollare mai sul tema dei diritti degli immigrati e al tempo stesso neppure su quello dei loro doveri (il dovere, innanzitutto, di integrarsi al meglio, rispettando le tradizioni dei paesi dove chiedono di inserirsi). Tutto ciò viene definito "buonismo" dai cattivisti di destra e di sinistra. Ma anche su questo va fatta chiarezza, perché c'è una sfera di diritti, sanciti dalla nostra Costituzione e dai principi dell'Europa democratica, che non può mai essere discussa. Ma, dato per concesso che dobbiamo distinguerci da atteggiamenti puramente "sentimentali", si ragioni allora numeri alla mano sui bisogni dell'economia e sulla necessità che in Italia si trasferiscano consistenti flussi di lavoratori immigrati.

    Non crediamo, francamente, che il sistema dell'ammissione a punti (e poi, chi li dovrebbe attribuire e togliere questi punti? Il prefetto? Il Ministero? Il sindaco leghista sul territorio?) rappresenti una soluzione adeguata del problema. Faremmo meglio a lasciarla da parte: almeno fino a quando una amministrazione efficiente ed equa non sia in grado di garantire, senza sperequazioni e abusi, l'applicazione saggia e razionale di una simile procedura. Nel frattempo, faremmo meglio a lavorare di più nell'immigrazione. E a essere noi stessi. Se faremo così, le parole per dirlo non ci mancheranno.   

Lettera aperta del Gruppo Volpedo al SEL

A Firenze per un nuovo inizio

LETTERA APERTA DEL GRUPPO DI VOLPEDO A SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' IN OCCASIONE DEL SUO PRIMO CONGRESSO (FIRENZE 22-24 OTTOBRE 2010)

Care compagne e cari compagni di Sinistra Ecologia Libertà ,  il Gruppo di Volpedo saluta il vostro Congresso, e desidera porgervi i più sinceri auguri di proficuo e buon lavoro.

    Il Gruppo di Volpedo è una rete di associazioni; ovvero un coordinamento di circoli di ispirazione socialista e libertaria dell’area del Nord Ovest d'Italia.

    Il nome del Gruppo deriva dal fatto di avere scelto come propria sede sociale e come luogo di riferimento il paese dei colli tortonesi, Volpedo appunto, ove nacque, operò e morì il pittore Giuseppe Pellizza (alias Pellizza da Volpedo), l'autore dei celeberrimi quadri “Quarto Stato” e “La Fiumana”, icone mondialmente conosciute del Socialismo e del movimento dei lavoratori.

    Nelle associazioni, che fanno del Gruppo, militano e lavorano compagne e compagni non iscritti ad alcun partito, accanto ad altri iscritti al PD, al PSI e a SEL, e insieme con attivisti sindacali e semplici cittadini interessati ad un lavoro di elaborazione e di impegno politico-culturale.

    Uno degli aspetti precipui del Gruppo – così come si può ricavare dall’Appello di Volpedo del 2008 e dal Manifesto del Gruppo di Volpedo del 2009 – risiede in ogni caso nell’individuazione del Socialismo Europeo come una prospettiva, cui doversi necessariamente riferire e rapportare.

    Questo convincimento nasce essenzialmente da due considerazioni: la prima è che l’Europa costituisce ormai un orizzonte politico imprescindibile, per cui si rende sempre più necessario, ed anzi indispensabile, immaginare forme di iniziativa politica che superino la dimensione prettamente nazionale. I tempi ci pongono, infatti, sempre più nitidamente alle prese con problemi economici, sociali e ambientali che non possono più trovare una soluzione soltanto all’interno dei singoli Stati, ma richiedono viceversa lo sforzo di mettere in atto politiche di più ampia portata. Da qui nasce una duplice esigenza : da un lato quella di dare un forte impulso alla costruzione di un’Europa dei cittadini, con un vigoroso potenziamento degli istituti democratici comunitari, e la creazione di un vero Stato federale Europeo, e dall’altro quella di dover pensare necessariamente anche a forme e contenitori politici di dimensione non più soltanto nazionale, e dunque alla creazione di veri e propri partiti europei.

    In Europa le forze di Sinistra democratica e riformatrice si riconoscono principalmente nel Socialismo europeo e nel PSE.  Se in anni passati diversi partiti socialisti, laburisti e socialdemocratici europei hanno, in effetti, indugiato, talora anche con eccessiva baldanza, verso suggestioni di impronta neo-liberista, oggi è in corso un rapido processo di riposizionamento.

    Il Congresso di Praga del PSE dello scorso anno ne ha dato un primo evidente segnale, al quale hanno fatto seguito la svolta a Sinistra della SPD e l’importante documento congiunto SPD-PSF, dello scorso luglio per non parlare della recente Conferenza dei Laburisti inglesi.

    La Sinistra italiana dovrebbe impegnarsi a partecipare e contribuire a questa evoluzione politica, e invece sembra optare per non decidere, quasi fosse prigioniera in una sorta di alterigia autoreferenziale.

    Noi del Gruppo di Volpedo pensiamo che per la Sinistra italiana vi sia la necessità di rapportarsi al Socialismo europeo, non come momento burocratico e formale di adesione al PSE, ma come scelta di un rapporto politico con esso e con i suoi partiti.

    Per una sinistra italiana degna di questo nome, che voglia essere forza di governo e, quindi, intervenire  sugli assetti e le politiche europee diventano prioritari il confronto e la collaborazione con il Socialismo Europeo, (anche se non esclusivamente con esso), per prendere parte e contribuire ai fermenti che in esso si stanno manifestando.

    Ci sembrerebbe importante se queste valutazioni fossero condivise anche da SEL o che, comunque si aprisse un confronto sul punto, affinché il vostro Congresso riuscisse a prendere su questo tema delle posizioni chiare di apertura al dialogo.

    La Sinistra italiana, peraltro, appare, in questo momento, indiscutibilmente come la più debole d'Europa. Questa condizione di debolezza – che coinvolge in realtà anche le altre forze d’opposizione - è tanto più preoccupante perché l'avversario non è una normale Destra conservatrice, che non ponga problemi di affidabilità democratica, ma è viceversa un populismo becero, con tratti xenofobi e intolleranti, e con un leader svincolato da ogni lealtà costituzionale ogni volta che sente minacciato il suo potere e i suoi personali e materiali interessi, Così, mentre gli interessi generali del Paese, quelli delle parti più svantaggiate e deboli della società e quelli relativi ai diritti individuali e collettivi sono sostanzialmente ignorati o calpestati, dilagano inquietanti pulsioni intolleranti e razziste, si diffonde un clericalismo, che in forme così vistose non si era mai manifestato nella storia dell’Italia unita, e proliferano l’affarismo e i poteri criminali.

    Proprio per questo bisogna che la sinistra italiana apra una stagione di dialogo al suo interno per ripristinare legalità, laicità dello stato, modello di economia mista, difesa di stato sociale e beni e servizi pubblici.

    SEL celebra dunque il proprio Congresso in uno dei periodi più difficili e instabili del nostro sistema politico. Le degenerazioni sono sotto gli occhi di tutti, ed evidenti sono i rischi di una crescita esponenziale dell'antipolitica e di disaffezione verso le istituzioni e le procedure democratiche. Né meno vistose appaiono le insufficienze ed i limiti delle opposizioni parlamentari, il che pone con tanta più urgenza il problema di una ridefinizione e di un rilancio della Sinistra.

    SEL è certamente uno dei soggetti politici (anche se non può presumere di essere il solo a nostro modo di vedere) su cui incombe l’onere di farsi carico di tale rilancio.

    E’ un compito non facile, per quanto concerne SEL, soprattutto in considerazione del fatto che ad esso si aggiunge evidentemente anche la sfida di dover amalgamare le storie diverse dei soggetti costituenti di Sinistra Ecologia e Libertà.

    Tra questi soggetti non si riconosce, però, a differenza della Linke tedesca, una consistente componente socialista, e in questo a noi pare di cogliere un limite serio.

    Sinistra e Libertà, quell’alleanza plurale che si era immaginata in occasione delle elezioni Europee del 2009, si era in effetti proposta come il possibile embrione di un innovativo soggetto politico della Sinistra italiana. Era l’idea, a nostro avviso feconda, di una Sinistra, nuova, ampia, aperta e plurale.

    Quel progetto non è purtroppo decollato, come hanno poi dimostrato, nel loro complesso, le vicende delle elezioni regionali di appena un anno dopo.

    Il fatto che quell’idea sia stata abbandonata non può essere un dato di cui rallegrarsi, poiché l’appannarsi della prospettiva di un’aggregazione di quel tipo ci pare abbia costituito un’occasione perduta (l’ennesima occasione perduta nella storia della Sinistra italiana).

    Oggi, è certamente possibile andare alla ricerca delle responsabilità maggiori o minori di questa o di quella componente, o di questo o quel gruppo dirigente. Farlo sarebbe forse un opportuno lavoro di chiarezza.  Sarebbe, tuttavia a nostro avviso, anche un esercizio di critica politica in definitiva piuttosto sterile. e nella situazione attuale non essenziale.  A noi sembrerebbe viceversa prioritario che ciascuno facesse la propria parte per creare una nuova occasione da non mancare.

    Si dovrebbe cioè fare uno sforzo comune per realizzare le condizioni e i presupposti, perché anche in Italia, così come nella maggioranza dei paesi europei, possa affermarsi una forza di Sinistra in grado di competere per la guida del paese con propri uomini e donne, e con propri programmi, democraticamente legittimati in libere competizioni elettorali.

    La scelta di Firenze, come sede di questo Congresso, ci pare da questo punto di vista altamente simbolica. Firenze è la città in cui nel 1998 si tennero gli Stati Generali della Sinistra, che avrebbero dovuto dar vita ad un partito del Socialismo Europeo anche in Italia.  Purtroppo è stata anche la città in cui tale progetto è stato di fatto seppellito, dopo che l'ultimo Congresso dei DS sancì la fine di quel partito ed il suo scioglimento nel PD. Ora Firenze potrebbe forse essere il luogo di una ripartenza o di “un nuovo inizio”.

    Certo, Socialisti e Comunisti non sono più, oggi, le uniche componenti della Sinistra italiana e, forse, se si guarda ai risultati elettorali dei partiti, che nel loro nome o logo  espressamente si richiamano a quelle esperienze, non sono neppure le due realtà più importanti. Socialisti e Comunisti incarnano, però, indiscutibilmente due tradizioni politiche assai significative e cariche di storia, dalle quali non si  dovrebbe prescindere..

    Sono tradizioni che nel corso del Novecento si sono anche aspramente contrapposte, ma che proprio per questo richiedono - oggi - di poter essere superate. Finché cioè si useranno le parole “Comunista” e “Socialdemocratico” come epiteti reciprocamente ingiuriosi, finché non si farà uno sforzo intenso e profondo di aggiornamento culturale, non si faranno in realtà passi avanti, perché alle già grosse difficoltà politiche e programmatiche si aggiungeranno gli strascichi di un improduttivo arroccamento identitario.

    Il superamento delle antiche contrapposizioni della Sinistra del secolo XX appare dunque un obiettivo necessario per costruire una Sinistra che sia davvero all’altezza delle sfide del secolo XXI.

    Naturalmente, superare le divisioni del Novecento, non significa dimenticarne o rimuoverne le ragioni di fondo.
    Sarebbe difficile ad esempio negare che  il Comunismo, come sistema politico, e come modello economico-sociale, che pretendeva di proporsi come un Socialismo realizzato anzi l’unico realmente esistente, sia sostanzialmente fallito, anche in paesi come Cuba, che pure avevano suscitato tante speranze e avevano inizialmente lasciato presagire un diverso esito. La stessa constatazione non si può certo estendere in modo altrettanto radicale al Socialismo Democratico, che ha avuto certamente dei limiti e delle insufficienze, ma che nel contempo ha dato corso a grandi realizzazioni sul piano della creazione di avanzati sistemi di welfare, della riduzione delle diseguaglianze e della redistribuzione delle ricchezze, senza mai rinunciare alla democrazia e senza intaccare le grandi conquiste delle libertà “liberali”. Semmai ai partiti socialisti democratici europei si può rimproverare di non essersi sempre attenuti ai loro principi, quindi una critica politica anche dura, per la loro arrendevolezza nei confronti della deriva liberista dell'ultimo ventennio, ma non certamente una critica di principio all'esperienza di coniugare welfare, libertà e democrazia.

    Nel ricomporre le lacerazioni del XX secolo si tratta dunque, evidentemente, anche di soppesare e valutare con ponderatezza ciò che la storia del Novecento ha ripetutamente proposto e dimostrato.

    Soprattutto si tratta di operare un profondo aggiornamento e arricchimento culturale e progettuale, che muova dall’assunzione piena e consapevole di altri più recenti filoni ideali: dall'ambientalismo al femminismo, dal pacifismo alle lotte per l'estensione dei diritti civili e umani, politici e sindacali, per non parlare dell'apporto del liberalismo democratico e progressista (radicale in politica ed anti-monopolista in economia).

    E’ questa una sfida che riguarda l’intero Socialismo Europeo, ma è anche una sfida che investe appieno la Sinistra italiana e che dunque investe direttamente anche il vostro congresso.

    L’auspicio che si formula è che SEL dunque sappia cogliere quest’opportunità, e che questo Congresso non diventi un altro momento di autoreferenzialità identitaria, ma segni  viceversa l’inizio di un percorso di costruzione di quella Sinistra ampia, rinnovata e plurale di cui si avverte indubbiamente il bisogno. Una sinistra unitaria e plurale non può essere una sinistra senza aggettivi, anzi deve averne molti, per raccogliere donne e uomini, di diversa provenienza e esperienza, che decidono di diventare compagne e compagni perché ritengono, che un mondo migliore è possibile, un mondo dove ogni cosa, compresi i sentimenti, non sia ridotta a merce, ed ogni comportamento non sia dettato dal profitto o dall’interesse personale. Per noi questa società diversa, di là dei nominalismi, è il socialismo: un socialismo da definire insieme senza dogmi e preconcetti.

martedì 12 ottobre 2010

RASSEGNA

 - a cura di rassegna.it 

Federalismo fiscale, via libera dal governo 
Il Cdm ha approvato il decreto attuativo su tributi delle Regioni e costi standard della sanità. Dal 2013 possibili aumenti progressivi dell'Irpef fino al 3%, ma non per le fasce a basso reddito. Calderoli spiega "l'invarianza fiscale".



Crisi, Napolitano chiede confronto in Parlamento
"L'importante adesso è cogliere l'occasione della presentazione della legge di bilancio e della cosiddetta legge di stabilità per un confronto in Parlamento sulle misure da prendere e anche sul programma nazionale di riforme che tutti i Paesi europei devono prendere e a cui ha fatto riferimento il ministro Tremonti". Lo chiede il capo dello Stato Giorgio Napolitano.



Scuola, ai precari anche lo stipendio estivo
Sentenza storica della Corte di appello di Brescia che accoglie il ricorso di una insegnante contro il Ministero della Pubblica Istruzione. E' illegittimo assumere con contratti a tempo se c'è "uno schema organizzativo che si ripete".



Università, crescela protesta dei ricercatori
In molte facoltà del paese i precari stanno attuando contro il disegno di legge della Gelmini il blocco della (propria) attività didattica. Insieme a loro, docenti, personale tecnico e studenti. All'ateneo di Bologna la funzione di traino.



Marcegaglia minacciata, perquisito Il Giornale di Berlusconi
Nel mirino dei pm di Napoli ci sarebbero le presunte minacce e un dossier contro la presidente di Confindustria. L'operazione sarebbe scattata dopo le critiche al governo. Indagati il direttore del quotidiano milanese Sallusti e il suo vice Porro.



Fiom, atti inaccettabili contro sedi Cisl
La mobilitazione del prossimo 16 ottobre indetta dalla Fiom "si basa sulla condivisione e l’assunzione della pratica della democrazia". Anche a partire da tali argomentazioni, la segreteria nazionale della sigla dei metalmeccanici Cgil "esprime la più netta contrarietà agli episodi di intolleranza che hanno interessato le sedi della Cisl, considerandoli atti sbagliati e inaccettabili".



Incidenti lavoro: trattori killer, 143 morti da gennaio
Settembre tragico per gli incidenti con i trattori agricoli. Lo comunica l'osservatorio dell'Asaps (Associazione sostenitori amici polizia stradale) che ha registrato un forte aumento degli eventi complessivi e delle vittime rispetto al mese di agosto. Dall'inizio dell'anno le vittime dei trattori sono 143 fra agricoltori e terzi coinvolti.



Grecia, paese fermo per sciopero contro austerity 
Migliaia di statali in piazza per l'ottava volta ad Atene e in altre città della Grecia contro il piano di austerità e i tagli del governo. Chiusi uffici, scuole, amministrazioni locali, poste e dogane, ospedali limitati al servizio di pronto soccorso, aerei fermi per quattro ore per l'adesione degli uomini radar. "Il piano di risanamento è quasi a metà del guado", ha detto il premier Papandreou davanti ai deputati del Pasok.  

Sempre colpa della Fiom ?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La Fiat perde quote di mercato in Europa a favore di aziende dove gli operai sono pagati di più e lavorano di meno, ma, naturalmente è tutta colpa della Fiom.  

di Giorgio Cremaschi

Le esternazioni di Marchionne sono come le barzellette di Berlusconi. Sono reazionarie, non fanno ridere nessuno, ma servono a coprire la realtà.

    Oramai gli attacchi di Marchionne alla Fiom hanno una corrispondenza pressoché millimetrica con i risultati produttivi della Fiat. Tutte le volte che vengono dati i risultati delle vendite in Italia e in Europa, ci si deve aspettare un attacco alla Fiom.

    Un anno fa la Fiat aveva dichiarato che la quota di sicurezza nel mercato italiano doveva essere superiore al 30% delle vendite, oggi è al 28. In Europa le quote Fiat stanno crollando sotto il 7%, quando l'obiettivo era arrivare a 10.

    Nello stesso tempo la Volkswagen, i cui operai prendono 2500 euro netti al mese, e che ha sì l'orario flessibile, ma nel senso che quando va male si fanno 28 ore alla settimana e quando ci sono picchi produttivi se ne fanno 40, restando l'orario medio a 35 ore, nel frattempo la Volkswagen vende sempre più macchine.

    La Fiat perde quote di mercato in Europa a favore di aziende dove gli operai sono pagati di più e lavorano di meno, ma, naturalmente è tutta colpa della Fiom.

    Anche il rappresentante degli industriali progressisti, Luca di Montezemolo si sta marchionnizzando. Alla Ferrari si è messo a insultare i sindacati e le Rsu, perché fanno sciopero dopo due anni che non rinnova l'accordo aziendale e vuole imporre orari non contrattati.

    La musica è sempre quella, peggio vanno le cose, peggio devono andare per i lavoratori e per quei sindacati che non accettano semplicemente di arrendersi.

    Le esternazioni di Marchionne sono in realtà l'emblema della crisi italiana. La crisi di un Paese che dovrebbe fare investimenti nel lavoro e nelle politiche industriali, nella tecnologia e nell'innovazione e che invece regredisce chiedendo ai lavoratori di pagare tutto.



Tutti con la Fiom
in piazza il 16 ottobre

Il videoappello di Andrea Camilleri

http://temi.repubblica.it/micromega-online/video-appello-di-andrea-camilleri-tutti-in-piazza-con-la-fiom-il-16-ottobre/

Il PSI di Craxi e la sfida di Epinay

IPSE DIXIT

Solidarietà con il mondo sindacale - «Solo mettendo al centro il tema del lavoro la politica può esprimere una vera solidarietà con il mondo sindacale».

Peppino Caldarola

Alla casa di cui Luca (LC 19, 46) - «Prima della visita di Ratzinger a Palermo solerti funzionari del governo del bestemmiatore e del celtico hanno fatto sequestrare uno striscione con una frase del vangelo: “La mia casa è casa di preghiera ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri”».

Paolo Flores D'Arcais

Riceviamo dal Gruppo di Volpedo
http://www.gruppodivolpedo.it/
e volentieri pubblichiamo

Il PSI di Craxi e la sfida di Epinay

Seconda parte del discorso tenuto da Ugo Intini al convegno di Volpedo sul tema "Epinay". In questa parte del suo discorso l'ex vice-segretario del PSI riflette sul contesto storico in cui ebbe luogo il tentativo di Bettino Craxi di far propria la lezione mitterrandiana.

INTERVENTO AL III CONVEGNO COORDINAMENTO DEI CIRCOLI SOCIALISTI "GRUPPO DI VOLPEDO" 10.9.2010

di Ugo Intini

La lezione di Epinay, in effetti, fu recepita dai socialisti italiani, trent’anni fa’. Craxi e il PSI, come è noto, lanciarono l’idea di una grande riforma delle istituzioni nel 1979. Pensavano all’elezione diretta del presidente della Repubblica, come in Francia, e quindi a uno schema bipolare. In questo schema, Craxi immaginava che il candidato della sinistra potenzialmente vincente potesse essere soltanto un candidato collocato più verso il centro, e quindi lui stesso. Pensava a un riequilibrio all’interno della sinistra tra comunisti e socialisti a vantaggio di questi ultimi e in sostanza allo schema Mitterrand, che era il nostro mito.

    Forse, nel 1989 si sarebbe potuto realizzare quest’obiettivo, dopo il crollo del muro di Berlino? C’è una teoria: che i socialisti, sciaguratamente, abbiano compiuto le scelte sbagliate esattamente nei due momenti epocali in cui il mondo stava cambiando.

    Nel 1948, iniziò la guerra fredda, il mondo fu diviso in due dalla cortina di ferro. E Nenni cosa fece? Si alleò con i comunisti, collocandosi dalla parte sbagliata nel momento decisivo. Il che spiega come mai i socialisti italiani siano rimasti poi irreparabilmente in una condizione di inferiorità.

    Nel 1989, la guerra fredda finì con la sconfitta del comunismo e la cortina di ferro cadde. In questo secondo momento epocale, Craxi avrebbe dovuto fare la scelta opposta a quella di Nenni: questa volta, si’, avrebbe dovuto allearsi con i comunisti (anzi, con gli ex-comunisti) e invece rimase alleato con la Democrazia Cristiana.

    Un seme di verità abita in tutto questo, ma soltanto un seme. Perché si dimenticano alcuni elementi importanti. Craxi aveva davvero nel 1989 l’obiettivo strategico di allearsi con gli ex comunisti e diventare il leader di uno schieramento di sinistra vincente. Ma fu ostacolato da alcune circostanze che gli fecero perdere una finestra di opportunità decisiva, sino a che, con l’esplosione di Mani Pulite, la finestra si chiuse.

    Per allearsi elettoralmente con gli ex comunisti, bisognava imporre le elezioni politiche anticipate prima della scadenza naturale del 1992, e tutti erano contrari a questa prospettiva, in particolare i media, che scatenarono una campagna terribile contro il partito “irresponsabile” delle elezioni. Il riequilibrio di forze tra ex comunisti e PSI non c’era ancora stato e quindi una sinistra a prevalente peso comunista sarebbe stata sicuramente perdente.

    Infine, si manifestò un avvenimento decisivo, oggi troppo facilmente dimenticato: la preparazione della prima guerra contro l’Iraq, che esplose nel 1991. In quest’occasione, l’ex PCI si schierò contro la guerra e contro l’Occidente, con manifestazioni durissime. Contro l’Occidente, e anche contro i governi europei a guida socialista, che a questo primo intervento in Iraq furono assolutamente favorevoli, perché si trattava di liberare il Kuwait e quindi di una causa giusta (situazione molto diversa da quella della sciagurata seconda guerra, voluta da Bush figlio).

    Incredibilmente, l’ex PCI, sia pure per breve tempo, si schierò ancora una volta dalla parte sbagliata nonostante la caduta del Muro di Berlino e resuscitò ancora una volta quel “vincolo internazionale” che ne aveva reso impossibile per decenni la partecipazione al governo. (2/2 – fine)    

martedì 5 ottobre 2010

IN BREVE - Rassegna

IN BREVE
a cura di rassegna.it 

Governo
Fiducia al Senato con 174 sì
Il Senato vota la fiducia al governo con 174 sì e 129 no. Presenti 305 senatori, votanti 303, la maggioranza richiesta era di 152 ma non c'erano rischi per il governo perché Pdl e Lega hanno da soli quota 152. Berlusconi ripete la lista dei 5 punti e ostenta sicurezza. E Bossi cambia idea: non si va al voto.



Istat
Un giovane su tre lavora durante gli studi
Secondo l'Istituto di statistica, 4 milioni e mezzo di giovani partecipano a stage o svolgono un lavoro prima di concludere il percorso formativo. Per molti serve a mantenersi agli studi. La quota scende al Sud, dove aumenta l'abbandono scolastico.


Inflazione
A settembre stabile all'1,6%
È lo stesso livello segnato nel mese precedente. Registrato invece un calo dello 0,2% rispetto ad agosto. Lo comunica l'Istat nelle stime preliminari, precisando che il dato congiunturale è il primo negativo dal settembre del 2009. Si tratta di una discesa dovuta al comparto dei servizi.



Firema, operai sul tetto
"Lottiamo per salvarci"
Parla uno di loro, Giovanni Ianniello, 48 anni. "Siamo anche in sciopero della fame, quassù è dura". Ma non si arrendono. "Questa fabbrica può ripartire, abbiamo commesse per 25 milioni di euro. Il lavoro c'è, i problemi sono soltanto finanziari". Intanto l'incontro al ministero dello Sviluppo economico slitta a data da destinarsi.



Fincantieri
Resta l'incertezza
Nell'incontro del 27 settembre l'azienda si è impegnata a mantenere siti e livelli occupazionali. La crisi del settore, tuttavia, è ancora molto pesante e il governo è assente e inadempiente. L'1 ottobre è sciopero e manifestazione nazionale a Roma. Un operaio dell'indotto, licenziato l'anno scorso, si suicida.



Unicredit
Ghizzoni nuovo ad
Lo ha nominato il Cda, che ha invece indicato il direttore generale. "Il gruppo è molto forte, continuiamo così come abbiamo fatto fino ad ora'. Queste le sue prime parole. "Siamo soddisfatti per la nomina e non saliremo nel capitale di Unicredit, resteremo al livello attuale", ha affermato il vicepresidente del gruppo, nonché governatore della Banca Centrale libica, Farhat Omar Bengdara.



Campania
Per la sanità solo tagli
Il piano sanitario della giunta Caldoro rischia di eliminare servizi essenziali. "E' fatto unicamente di tagli, premiate le cliniche private". Blocco della vendita diretta dei farmaci mutuabili, stipendi non pagati negli ospedali e nelle Asl.



Scuola
Adro, aggredita militante Cgil 
Romana Gandossi, delegata di zona dello Spi, stava accompagnando la nipote nella tanto discussa scuola Gianfranco Miglio, quando alcune donne si sono avvicinate minacciosamente e l'hanno aggredita: "E' tutta colpa tua, tu non puoi entrare". Lei: "Aggressione montata dal sindaco, cercano un capro espiatorio".



Birmania
Suu Kyi sarà liberata
La dissidente birmana Aung San Suu Kyi sarà liberata poco dopo le elezioni del 7 novembre, le prime in 20 anni. Lo hanno detto fonti ufficiali birmane 

La recessione aggrava il clima sociale

IPSE DIXIT

Sulle apparenze - «Il cielo sta diventando più chiaro, in distanza qualcuno solleva una saracinesca. . . ci sono persino rondini che volano attorno agli alberi di fronte, come se dovesse succedere qualcosa.

Poi campane in distanza. Chi suona le campane? Chi solleva la saracinesca?
Non lontano c’è un quartiere di palazzoni nuovi a forma di torri, dove regna il silenzio. La cabina telefonica all’angolo. Qualcuno mette in moto una macchina e parte. . . la commedia delle apparenze continua sempre là fuori, non si ferma mai.»

Gianni Celati



LAVORO E DIRITTI
a cura di rassegna.it

La recessione aggrava il clima sociale

Il persistere della "recessione dei mercati del lavoro" sta aggravando il clima sociale in numerosi paesi. E' l'allarme lanciato dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), nel suo nuovo studio del "World of Work Report 2010-from one crisis to the next?". Per l'ILO "si registrano sempre nuove tensioni sociali dovute al persistere della crisi dei mercati del lavoro. I governi non scelgano tra esigenze dei mercati e bisogni dei cittadini".

A dire il vero, nello studio l'Ilo riconosce che, dopo oltre due anni di crisi, l'economia globale ha ricominciato a crescere e che in alcuni paesi, in particolare nelle economie emergenti di Asia e America Latina, si assiste ad incoraggianti segnali di ripresa del mercato del lavoro. Tuttavia, il Rapporto dell'International Institute for Labour Studies dell'Ilo avverte: "Nonostante questi significativi risultati, nuove nubi sono apparse all'orizzonte e le prospettive dell'occupazione sono notevolmente peggiorate in numerosi paesi".

L'Organizzazione internazionale segnala infatti che, se le attuali politiche persistono, la situazione occupazionale delle economie avanzate ritornerà ai livelli antecedenti la crisi non prima del 2015 e non più, come previsto un anno fa, entro il 2013. Allo stesso tempo, afferma il Rapporto, nei paesi emergenti e in via di sviluppo, nonostante l'occupazione abbia iniziato a riprendersi, sono ancora necessari oltre 8 milioni di nuovi posti di lavoro per ritornare ai livelli pre-crisi.

"Più lunga sarà la recessione del mercato del lavoro, maggiori saranno le difficoltà di trovare un nuovo impiego per le persone in cerca di lavoro", si legge nel testo. "Nei 35 paesi per cui sono disponibili dati, circa il 40 per cento delle persone in cerca di lavoro è disoccupato da più di un anno e rischia di demoralizzarsi, perdere stima in se stesso e avere problemi psicologici. E' importante segnalare che i giovani sono stati i più duramente colpiti dalla disoccupazione".

"L'equità - ha affermato Juan Somavia, direttore generale dell'Ilo - deve essere la bussola che ci conduce fuori da questa crisi. La gente può comprendere e accettare delle scelte difficili solo se percepisce che tutti si stanno assumendo il proprio carico di responsabilità. I governi non dovrebbero dover scegliere tra le esigenze dei mercati finanziari e i bisogni dei propri cittadini. La stabilità finanziaria e la stabilità sociale devono andare di pari passo. In caso contrario, non sarà solo l'economia mondiale ad essere in pericolo ma anche la coesione sociale".

Dallo studio, in particolare, emergono casi di tensioni sociali legate alla crisi economica e finanziaria che sono state registrati in almeno 25 paesi, molti dei quali avanzati. Anche in alcune economie emergenti sono state riscontrate tensioni sociali legate ai livelli salariali e alle condizioni di lavoro. Numerosi paesi che alla fine del 2009 avevano registrato una crescita occupazionale positiva, in effetti, stanno ora assistendo ad un rallentamento della ripresa del mercato del lavoro. Allo stesso tempo, il rapporto segnala che nel 2009, nei paesi per cui sono disponibili dati, oltre 4 milioni di persone che erano alla ricerca di un lavoro hanno smesso di cercarlo attivamente.

In oltre i tre quarti degli 82 paesi per cui sono disponibili dati, nel 2009 la popolazione ha percepito un peggioramento della propria qualità di vita e delle proprie condizioni di esistenza, in rapporto a quanto rilevato nel 2006. Anche tra i lavoratori il livello di soddisfazione professionale è diminuito significativamente e il senso di ingiustizia è aumentato in 46 degli 83 paesi. In 36 dei 72 paesi, si legge ancora nel Rapporto, oggi le persone hanno meno fiducia nei propri governi rispetto al periodo precedente alla crisi.

Nello studio si legge ancora: "La coesistenza fra una crescita trainata dal debito in alcuni paesi industrializzati e una crescita guidata dalle esportazioni nelle maggiori economie emergenti ha dimostrato di essere il tallone d'Achille dell'economia mondiale". La ripresa dunque continuerà ad essere fragile finché i salari continueranno a crescere meno velocemente rispetto agli aumenti di produttività e finché il sistema finanziario continuerà ad avere delle disfunzioni.

L'Ilo propone quindi una triplice ricetta per uscire dalla crisi, un approccio che stimolerebbe la creazione di posti di lavoro nel breve periodo e una crescita economica di migliore qualità in futuro. Questo approccio prevede: il rafforzamento delle politiche incentrate sul lavoro volte a ridurre il rischio di una crescente disoccupazione di lungo periodo; la promozione di un più stretto collegamento tra i livelli salariali e gli aumenti di produttività nei paesi eccedentari; la realizzazione di una reale riforma finanziaria che consenta di incanalare i risparmi in investimenti più produttivi e nella creazione di posti di lavoro più stabili.     

Occorre un governo di unità nazionale

       
Riceviamo dal Gruppo di Volpedo

(http://www.gruppodivolpedo.it/) e volentieri pubblichiamo


"Di fronte a tante emergenze del nostro Paese oggi non è realistico seguire la lezione di Epinay, ma occorre una maggioranza di unità nazionale che, per un limitato periodo di tempo, riscriva le regole con un largo consenso e chiuda questo ventennio perduto per aprire un capitolo nuovo della storia nazionale". -- Di seguito iltesto con la prima parte del discorso tenuto da Ugo Intini al convegno di Volpedo sul tema "Epinay". In questa parte del suo discorso l'ex vice-segretario del PSI affronta l'attualità politica. Nella seconda parte, che apparirà sul prossimo numero dell'ADL, ripercorrerà il tentativo di Bettino Craxi di far propria la lezione mitterrandiana ma anche le cause per cui nel nostro Paese quel tentativo risultò impraticabile.

INTERVENTO AL III CONVEGNO COORDINAMENTO DEI CIRCOLI SOCIALISTI "GRUPPO DI VOLPEDO" 10.9.2010

di Ugo Intini

È ormai tardi per imitare Epinay, perché mancano tutti i presupposti. Non c’è più un partito socialista, e nella stragrande maggioranza della sinistra non c’è neppure la volontà di ricostruirlo. Non c’è un leader. Non c’è un forte sindacato. Non c’è un programma. Anche il bipolarismo, necessario presupposto di Epinay, è ormai entrato in una crisi profonda. Ed è un bene, per la verità, perché questo “bipolarismo all’italiana” è alla base di quello che spesso definisco il ventennio perduto.

    Per quasi un ventennio l’Italia, in mezzo a una sorta di guerra civile permanente, non ha affrontato uno solo dei grandi problemi irrisolti del Paese, non ha neppure avuto la stabilità normalmente garantita dal bipolarismo. Si è soltanto logorata affondando lentamente.

    Naturalmente, ci si deve domandare perché il bipolarismo funzioni in altri Paesi e non in Italia. La risposta è semplice, quasi ovvia. Il bipolarismo funziona negli altri Paesi perché in ciascuno dei due Poli l’area dell’estremismo è assolutamente ininfluente. In Italia, al contrario, l’area dell’estremismo non solo non è ininfluente, è al contrario trainante: il giustizialismo dipietrista che mette in pericolo lo Stato di diritto da una parte; il localismo leghista che mette in pericolo lo Stato nazionale e la sua unità dall’altra. Così, il bipolarismo all’italiana è diventato un furibondo, interminabile scontro tra gli urlatori di due opposte tifoserie.

    Soprattutto: il bipolarismo ormai è incompatibile con le due caratteristiche essenziali dell’Italia di oggi, che si chiamano unicità ed emergenza (l’una figlia dell’altra).

    “Unicità”, perché l’Italia è un insieme impressionante di casi unici al mondo. L’unico Paese dove l’uomo più ricco sia nel contempo il capo del Governo. L’unico dove da decenni si trascini un conflitto tra due poteri dello Stato: il potere esecutivo e quello giudiziario. L’unico dove esista, per lo meno latente, un conflitto tra capo dello Stato e capo del Governo. L’unico dove un magistrato sia diventato capo di un partito. L’unico dove il leader di un partito separatista sieda nel governo e nello stesso tempo dichiari di disprezzare la bandiera nazionale. L’unico dove gli ex fascisti e gli ex comunisti hanno vinto e si sono affermati personalmente come il personale politico dirigente in entrambi gli schieramenti politici. L’unico Paese, quanto meno in Europa, dove in pratica non ci sono più i partiti, sostituiti da un confuso populismo.

    In Italia i partiti non ci sono più, sono stati privati della loro tradizione, storia e cultura al punto tale che, sembra incredibile, la formazione parlamentare più antica d’Italia è ormai la Lega. Gli altri cambiano in continuo nome e simbolo. Cambiano nome e simbolo, ma i dirigenti restano sempre gli stessi. Al contrario di quanto avviene in Europa, dove i Partiti restano e i dirigenti vengono sostituiti. Il che non giova certo alla credibilità della nostra democrazia.

    Le unicità (evidentemente tutte legate tra loro in un rapporto di causa ed effetto) portano con sé le emergenze (anch’esse legate tra loro).

    C’è un’emergenza democratica, perché la distruzione dei partiti si accompagna a un paradosso. I partiti non ci sono più, e comunque non hanno più democrazia interna e hanno raggiunto il minimo della loro credibilità. Tuttavia i partiti giunti “al minimo”, hanno il massimo del potere mai avuto in Italia e in qualunque normale sistema democratico. I partiti in Italia hanno oggi il potere non di eleggere, ma di nominare i parlamentari. Così si spiega l’abbassamento di livello dei parlamentari stessi, la presenza di tanti portaborse e veline nelle due Camere, di tanti signori nessuno. Con il danno enorme che ne nasce, perché il Parlamento perde autorevolezza.

    C’è un’emergenza democratica per effetto del sistema elettorale che riguarda la scelta dei parlamentari ma anche,peggio ancora, per il modo con cui si stabilisce la maggioranza parlamentare. Al punto che ormai si può dubitare del fatto che le istituzioni abbiano un vero consenso. Guardiamo non le percentuali dei voti espressi, ma le cifre vere. Un 30 per cento di cittadini ormai non va più a votare. Attenzione:non sono, come nei Paesi normali,quelli disinteressati alla politica. Spesso sono quelli anche troppo interessati e sofisticati,che non si vogliono assoggettare a un meccanismo che impone di stare di qua e di là(o mangi questa pessima minestra,o mangi questa ancora peggiore,oppure salti dalla finestra). Un altro dieci per cento è costituito da schede bianche (o dove i cittadini scrivono insulti). Un altro dieci per cento di elettori non è rappresentato nelle istituzioni,perché vota per partiti che non superano la soglia di sbarramento. Poi ci sono i voti espressi per il terzo polo,per chi non sta né con il principale schieramento di destra né con il principale schieramento di sinistra. In conclusione, può vincere e conquistare un enorme premio di maggioranza che assicura il completo dominio del Parlamento un partito il quale abbia il consenso di un quarto -un quinto dell’elettorato. Francamente una situazione al di là dei limiti di guardia per la esiguità del consenso.

    C’è una emergenza democratica anche provocata dalla mancanza di credibilità dell’informazione. Perché i media (o per il peso della proprietà, o per la loro faziosità) sono diventati non osservatori passabilmente sereni della realtà, ma manipolatori della realtà stessa e furibondi protagonisti dello scontro politico (anzi, aizzatori a uno scontro di cui non amano assumere poi alcuna responsabilità).

    C’è, poi anche, un’emergenza economica, perché da un decennio l’Italia è il paese che cresce di meno in Europa e che continuamente perde in competitività.

    C’è, ancora, un’emergenza morale, perché i dirigenti politici rubano ormai per sé, senza nemmeno più l’alibi di finanziare il partito. E si muovono con una sostanziale impunità, perché si è passati da un eccesso all’eccesso opposto: dallo strapotere della magistratura a un meccanismo di sostanziale, arrogante impunità.

    C’è un’emergenza criminale, perché ormai intere aree del Paese sono in mano alla malavita organizzata.
    C’è un’emergenza politica che in queste settimane è sotto gli occhi di tutti, accompagnata da un degrado totale della lotta politica stessa, fatta non di scontro tra idee, ma di ricatti e insinuazioni su famiglie, mogli e amanti.

    C’è infine l’emergenza più grave, che riguarda l’identità nazionale stessa. E’ il tema centrale del mio ultimo libro: Un bambino e la storia (www.unbambinoelastoria.com).

    Non vi si pensa, ma l’Italia è l’unico grande Paese moderno che non abbia una storia condivisa. Tutti, magari con qualche forzatura sulla realtà e qualche artificio, hanno saputo costruirsi una storia condivisa che faccia da cemento per la Nazione. L’Italia no. Anzi, la situazione si aggrava in continuo. La ferita della guerra civile 1943-45 non è mai stata sanata e al contrario si fa più profonda. Una ferita nuova si è creata molto più avanti nel tempo, perché il Paese si divide ormai con violenza su Mani Pulite e sul periodo 1992-1994 che ha dato origine alla seconda Repubblica (o meglio, che ha distrutto la prima Repubblica senza saper costruire la seconda).

    Una ferita, la più grave, si è creata alla base stessa della Nazione, minandola in modo sciagurato, perché ormai non tutti gli italiani (certamente non i leghisti) si riconoscono nei valori del Risorgimento, della bandiera e dell’unità nazionale.

    E’ amaro dirlo, ma paradossalmente persino durante la guerra civile 1943-45, fascisti e partigiani si scannavano, sì, ma entrambi si riconoscevano nel tricolore, in Garibaldi e Mazzini. Oggi non più, nemmeno all’interno della stessa maggioranza di governo.

    Bisogna, dunque, ricostruire sino a che si è in tempo una storia condivisa, porre fine a questa guerra civile strisciante. Di fronte a tante emergenze non è realistico seguire la lezione di Epinay, ma occorre una maggioranza di unità nazionale, che per un limitato periodo di tempo riscriva le regole con un largo consenso, chiuda un capitolo nero che si trascina durante questo “ventennio perduto” e apra un capitolo nuovo.

    L’ho detto al congresso del PSI di Montecatini nel luglio 2008, quando la proposta era assolutamente isolata e appariva una pazzia velleitaria. Insisto oggi, dopo che finalmente anche altri (da Casini a Pisanu) a tanti esponenti della società civile dicono la stessa cosa.

    Ciò conviene all’Italia, come si è visto. Conviene ai socialisti, che nello schema bipolare attuale non si riconoscono, tanto che votano un po’ di qua e un po’ di là. E conviene alla sinistra; perché, diciamo la verità, con lo schema bipolare attuale la sinistra non vincerà mai, essendo strutturalmente minoritaria. La ragione è semplice. Da una parte il dipietrismo e il grillismo sono cresciuti elettoralmente troppo, non si può più farne a meno. Dall’altra, con la palla al piede del dipietrismo e del giustizialismo, la sinistra non attirerà mai gli elettori moderati del centro senza i quali è impossibile vincere. E’ curioso, ma i nipoti di Togliatti hanno dimenticato la lezione di uno che aveva certo tante colpe, ma capiva le cose. Togliatti, giustamente, raccomandava sempre ai suoi comunisti di non spaventare la gente. Incredibilmente, gli ex comunisti se ne sono dimenticati e, con il dipietrismo, fanno “paura”.

    Concludo. Mai le nostre generazioni hanno visto per l’Italia un periodo così buio. Nel buio, abbiamo soltanto due luci e due fari. L’Europa e il socialismo democratico, che ci riempiono di orgoglio e ci danno speranza.

    L’Europa. Per la quale dobbiamo insistere: si è realizzata l’unità monetaria, adesso bisogna realizzare la sua naturale conseguenza, che è l’unità nella politica economica e bisogna infine realizzare l’unità politica.

    Il socialismo democratico, che ha vinto sul piano culturale ed economico dopo il ventennio dell’egemonia liberista. Un ventennio che ci ha portato al disastro. La catastrofe economica provocata dal liberismo senza freni è sotto gli occhi di tutti e, non dimentichiamolo, dimostra che avevamo ragione noi.

    Nel 2001 ho scritto un libro che si intitolava La privatizzazione della politica. Ripetevo, allora, che il “Blair, Blair” invocato da tanti a sinistra mi sembrava un “bla, bla”. Lamentavo che troppi “ex”, forse per far dimenticare di essere stati comunisti, erano diventati più liberisti dei liberisti.

    Mi si rimproverò di essere un “vetero socialista”. Scrivevo, in quel libro: “La barca dell’economia mondiale procede squilibrata, ma non soltanto. Ha a bordo un elefante che si muove disordinatamente e rischia continuamente di capovolgerla. L’elefante si chiama finanza globale, sta sostituendo l’economia reale con una virtuale: con una economia di carta, anzi di bit elettronici… Come un tessuto canceroso, questa economia di carta raddoppia di volume ogni due anni, rischiando di soffocare l’economia reale, anche perché alla carta non corrisponde la sostanza... Mantenere la stabilità dei mercati finanziari dovrebbe essere l’obbiettivo esplicito del potere politico. Esiste tuttavia su questo punto una forte opposizione da parte dei fondamentalisti del libero mercato, i quali sono contrari a ogni intervento pubblico, specialmente da parte di una organizzazione internazionale. Richiederà perciò un cambio di mentalità condurre i Parlamenti, i Governi e i mercati a riconoscere che essi hanno una comune responsabilità per la sopravvivenza del sistema. L’unica questione è se questo cambio di mentalità avverrà prima o dopo il crollo del sistema stesso”.

    Il crollo è avvenuto, il cambio è seguito (sempreché sia seguito davvero, e sarebbe lecito dubitarlo).
    Queste cose, io le scrivevo non perché fossi un profeta, ma perché ero un (modesto) propagandista delle idee socialiste. Le idee che hanno storicamente vinto ancora una volta. (1/2 - continua)