mercoledì 24 marzo 2010

DIRITTI UMANI - In Italia la tortura non è reato

Sono passati più di vent'anni da quando il nostro Paese ha ratificato la convenzione Onu del 1987 che vieta la tortura, ma da allora non è ancora stata tradotta in legge e i tribunali non possono perseguire adeguatamente i colpevoli. Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante

“In Italia la tortura non è reato. Sono passati più di vent'anni da quando il nostro Paese ha ratificato la convenzione Onu del 1987 che vieta la tortura, ma da allora non è ancora stata tradotta in legge e i tribunali non possono perseguire adeguatamente i colpevoli. Un vuoto legislativo che ci colloca agli ultimi posti in Europa. Un buco nero che torna alla ribalta con l’inquietante dossier presentato da Amnesty International secondo il quale cinque aziende italiane sarebbero implicate in un commercio internazionale di strumenti di tortura che coinvolge diverse società dell'Ue. Si tratta di un commercio indegno di un Paese civile e democratico, un business della sofferenza e del dolore su cui va fatta chiarezza urgentemente, e per il quale richiedo l’interessamento e l’intervento del ministro dell’Interno”. Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante, preannunciando in merito un’interrogazione parlamentare urgente.

    “L’assenza del reato di tortura nel nostro ordinamento - prosegue ferrante - è una mancanza gravissima, perché sebbene possa sembrare una pratica da paese dittatoriale sudamericano l’Italia non ne è purtroppo immune, e i famigerati fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001 ne sono una drammatica testimonianza. In quel caso i magistrati elencarono le pesanti vessazioni cui furono sottoposti i manifestanti, ma l’unica fattispecie di reato applicabile fu quella dell’abuso d’ufficio. Se fosse confermata la presenza in Italia di aziende che producono strumenti di tortura sarebbe un fatto gravissimo, sul quale – conclude Ferrante -  occorre che sia avviata rapidamente un’indagine, in modo che si spazzi via ogni traccia di questa pratica ripugnante”.