LA RELAZIONE DI FELICE BESOSTRI AL CONVEGNO su Eugenio Colorni
di Felice Besostri
Eugenio Colorni scriveva su L'Avvenire dei Lavoratori del 1° febbraio del 1944: «Socialismo, umanismo, federalismo, unità europea, sono le parole fondamentali del nostro programma politico.»
ADL del 1° febbraio 1944, p. 4, dettaglio del testo
“Rinascita del socialismo Italiano”, il Documento
del Centro Interno guidato da Eugenio Colorni
Vi era indubbiamente un certo clima politico culturale se l'idea di Unità Europea, legata sempre a programmi di riforma sociale, venivano da gruppi francesi come «Combat», «Franc Tireur» e «Liberté» ovvero come ricorda Silone dal Movimento del lavoro libero in Norvegia o dal Movimento Vrij Nederland in Olanda ed anche da sparsi gruppi di tedeschi antinazisti.
La collaborazione di Colorni alla redazione e soprattutto alla diffusione del Manifesto di Ventotene, a mio avviso, ne fa uno degli autori a ricordare al pari di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Sicuramente è un suo merito la diffusione nel mondo socialista Ignazio Silone, allora a capo del Centro Estero di Zurigo del PSI e dell'Avvenire dei Lavoratori ebbe già sentore del Manifesto di Ventotene nell'autunno del 1941 e più tardi ricevette un appello analogo, dal Movimento «Libérer et Fédérer» di Tolosa, nel quale militava Silvio Trentin, il padre di Bruno.
Sempre Colorni va considerato uno degli ispiratori del Socialismo federalista de L'Avvenire dei Lavoratori una delle componenti della conversione socialista di Ignazio Silone, che nella sua visione ebbe la stessa importanza dell'Internazionalismo del suo periodo comunista. Due sono gli articoli di Silone nei quali delinea la sua visione europea del socialismo, entrambi pubblicati sull'Avanti! di Roma. Il primo con il titolo “Prospettiva attuale del Socialismo Europeo”, il secondo sempre col titolo “Europa di Domani”.
Per Silone "l'Europa moderna ed il socialismo sono termini storici intimamente connessi. Il socialismo moderno infatti è nato in Europa nel corso del secolo passato, contemporaneamente all'Europa moderna. Le fasi di sviluppo e le crisi del socialismo moderno sono coincise con il progresso e le difficoltà dell'Europa".
Il dibattito fra i compagni socialisti sul futuro dell'Europa e sulle prospettive di ricostruzione per il Vecchio continente: dal federalismo europeista di Carlo Rosselli alla proposta di una «Costituente europea per la pace» lanciata da Giuseppe Emanuele Modigliani, all'europeismo di Angelo Tasca era già iniziato nell'esilio francese. Al dibattito partecipò anche Giuseppe Saragat quando si trasferì a Parigi, dopo aver trascorso un triennio in Austria, ove conobbe Otto Bauer e l'austromarxismo, ma la sua visione federalista, anche in seguito al Patto Ribbentrop-Molotov, si connotò sempre più come un europeismo democratico alternativo al totalitarismo.
Siamo tributari di Silone e Colorni della convinzione che non c'è prospettiva socialista se non c'è una chiara scelta federalista, cioè senza una dimensione internazionale della politica, al di là delle singole proposte, perché il destino del socialismo democratico e dell'Europa sono indissolubilmente legati. Questa intuizione non è stata perseguita con coerenza, avrebbe chiesto per esempio la creazione di un Partito Socialista transnazionale, cioè una visione internazionalista, di cui l'europeismo non poteva essere un surrogato, ma un'articolazione continentale. La costruzione europea si è fatta, invece, ponendo alla base la libera concorrenza ed il mercato, guidate da un centralismo burocratico senza effettivi contrappesi democratici. Non solo l'allargamento a Est della UE è stato un processo, che non si è distinto da quello della NATO, quando, nella visione socialista di Cole condivisa da Silone Soltanto il socialismo democratico avrebbe potuto unificare l'Europa e farla servire da mediatrice storica tra il continente sovietico e il continente americano. Una visione che si accompagnava al superamento delle ragioni storiche sella divisione tra socialisti e comunisti, questo lo si poteva pensare negli anni 1944 e 1945 quando si era uniti nella lotta al nazifascismo.
Lo sviluppo nel dopoguerra andò in tutt'altra direzione: nei paesi conquistati dall'Armata Rossa si compì l'unificazione forzata dei partiti socialisti e comunisti, con la scomparsa politica dei primi, anche quando il nome del Partito non divenne formalmente comunista come il POUP (Partito Operaio Unificato Polacco) o mantenne il riferimento socialista come nei casi del Partito Operaio Socialista Ungherese e della SED (Partito di Unità Socialista della Germania). In Occidente la Guerra Fredda portò i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti ad una scelta di campo occidentale, con la sola eccezione, fino alla rivoluzione ungherese del 1956, del PSI. Socialisti e democristiani sono la grande maggioranza dei padri fondatori dell'Europa, con l'eccezione di Altiero Spinelli, che in Italia collaborò con socialisti e comunisti. Nel 1999 fu l'anno della predominanza socialista in Europa, cioè nella UE a 15, con 11 primi ministri socialisti, che sarebbero stati 12 se nel 1996 Aznar non avesse sostituito Felipe Gonzalez.
La presenza contestuale di Blair, Schröder, Jospin e D'Alema per non parlare che dei grandi paesi non ha impresso un corso nuovo all'Europa della UE, ma a farlo è stata piuttosto la Commissione Prodi dal 16 settembre 1999 fino al 31 ottobre 2004 con proroga al 21 novembre dello stesso anno con la scelta dell'allargamento a Est. Nel contempo a sinistra del PSE la denuncia dell'Europa, come l'Europa dei capitalisti e dei banchieri, è stato un bell'alibi per i partiti della sinistra per non impegnarsi nella costruzione di un'altra Europa, finché il nome non diventò un'insegna elettorale nel 2014 grazie al successo di Tsipras e di Syriza, che non superò le contraddizioni del Partito della Sinistra Europea, che comprende partiti, con scarso peso nel Parlamento Europeo e in quelli nazionali della UE fatta eccezione per la LINKE e Sinistra Italiana, e di cui non fanno parte formazioni di sinistra di successo come Podemos di Iglesias o la France Insoumise di Mélenchon
Il problema più grave è che le grosse perdite socialiste non si trasferiscono massicciamente alla loro sinistra e spesso vi sono perdite dell'intero schieramento teoricamente alternativo comprendente anche i Verdi e in generale gli ecologisti.
In nessun paese europeo, ad eccezione della Gran Bretagna, ora in fuoriuscita dall'UE, la sinistra è rappresentata da un solo partito che possa aspirare al governo. Formalmente vi è una Grande Coalizione PPE-PSE, ma il PPE ha una posizione centrale ed è riuscita la trasformazione da Partito Democristiano e Socialcristiano in partito di centro conservatore, in armonia con i cosiddetti poteri forti di cui il Presidente della Commissione, Juncker, è un vassallo. Per togliere ogni dubbio il suo partito non è più il PPCS (Partito Popolare Cristiano Sociale), ma semplicemente il PD affiliato al PPE, per non confondersi con il PD affiliato al PSE. Il PSE non ha, invece, un'identità precisa e un programma alternativo all'austerità e su dossier delicati come i fenomeni migratori posizione differenziate.
Il quadro europeo è ancora instabile mancano i risultati delle legislative francesi di giugno 2017, delle britanniche dello stesso mese e soprattutto di quelle tedesche del 24 settembre, per non parlare di quelle italiane oscillanti tra la fine del 2017 e l'inizio 2018, a dio piacendo e al Presidente Mattarella. Riuscirà la sinistra in senso lato a compiere quella riflessione auspicata da Colorni e Silone nel 1944? Alla sinistra necessiterebbe la capacità di legare il proprio destino a quello di un processo di integrazione europea, che abbia come centro la Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE, le cui norme hanno lo stesso valore giuridico dei Trattati per l'art. 6 TUE. E occorrerebbe una politica economica che salvaguardi la coesione sociale e le conquiste del welfare state perseguendo con coerenza una politica di pace e cooperazione per uno sviluppo economico equo e solidale.