lunedì 27 giugno 2011

Il berlusconismo è finito. Il populismo no.

Dopo il refrendum e le amministrative

da L'Avanti della Domenica


Inalterato, in qualche caso aggravato, il quadro politico ed economico del Paese. L'Economist: "Sarebbe ora che l'Italia smettesse di incolpare i morti per i suoi problemi".

 

di Bobo Craxi

 

Sembrano arrivare al pettine i nodi inestricati dell'ennesima legislatura che giunge al suo ultimo giro di boa e che lascia inalterato, in qualche caso aggravato, il quadro politico ed economico del Paese.

    D'altronde, lo rileva anche De Rita , una politica che si fonda sugli slogan facili, sulla volatilità dei sondaggi o sull'affidabilità delle opinioni dei cittadini in Rete impedisce a qualsiasi democrazia di affrontare con efficacia le questioni di fondo che la impegnano sapendo fare "sistema" sulle grandi e impegnative scelte.

    L'impressione è che sia fallita la cosiddetta opzione del "berlusconismo", ma non è affatto finita la sua spinta populistica che non a caso sembra aver preso in ostaggio la Politica nel senso più profondo del suo significato.

    E' il rivendicazionismo "à la carte " quello che sembra essere la cifra politica di movimenti e partiti politici (ne abbiamo avuto una riprova plastica anche a Pontida) che , perduto il senso e lo spirito di chi intende promuovere gli interessi generali, in tempi di crisi economica globale si affida ad estemporanei obiettivi perlopiù dettati da esigenze elettoralistiche di corto respiro.

    D'altronde per la finanza di cartastraccia l'aggressione ai Paesi indebitati e contendibili sul piano economico diventa un gioco da ragazzi in queste settimane, e soltanto la coesione politica nazionale può determinare le condizioni migliori per respingere l'assalto alla diligenza evitando ulteriori svendite sottocosto del patrimonio pubblico, ingenti tagli non solo di costi sociali ritenuti superflui, ma ulteriore ricorso a sforbiciate occupazionali nei settori pubblici più improduttivi.

    La logica mercatista di questa fase continua a prevalere nonostante sia stata la fonte dei disastri economici che a catena hannoinfluenzato prima la caduta e l'annientamento di Istituti bancari ed affini e di conseguenza stanno determinando il collasso di economie fragili e le conseguenti scomparse di regimi, certamente a-democratici, di Paesi che viaggiavano su ritmi di crescita importanti in aree di tradizionale sottosviluppo.

    Gli elementi di criticità del caso italiano sono a tutti noti e presenti, L'Italia sembra essere un Paese a disagio nel mondo, paurosa della globalizzazione e della conseguente immigrazione che comporta, avversa la competizione e discrimina la forza-lavoro più giovane, non riesce ad innovare le proprie istituzioni ed è paralizzata dallo scontro permanente fra la politica, la magistratura, i mezzi d'informazione e le imprese. Ed è costantemente logorata dall'intreccio dei conflitti d'interesse di questi quattro poteri che stentano a trovare e mantenere un equilibrio per realizzare un progetto ed un programma comune.

    Certamente la destra e Berlusconi hanno aggravato questo stato di cose, ma non bisogna illudersi che l'insieme dei fattori di crisi e paralisi possano essere superati in un sol colpo con un cambio di maggioranza parlamentare senza una svolta di sistema che restituisca anche alla politica lo scettro del comando delle decisioni utili ed indispensabili. D'altronde l'Italia non è all'anno zero e la forza che può trarre anche dal suo confuso e disordinato progresso può determinare spinte di cambiamento verso l'alto, purché a dettare ed orientare le politiche di sviluppo e di contenimento dei deficit non siano forze politiche demagogiche e guidate da fini differenti da quelli che in questo momento sono considerati i bisogni reali del Paese.

    Lo spirito per affrontare le sfide che verranno deve essere fondato non soltanto sulla consapevolezza che sia possibile far concludere il ciclo della destra e sconfiggere il suo leader, ma deve essere improntato su un nuovo e più convincente richiamo alla fiducia ed all'ottimismo. In questo senso i risultati referendari devono richiamare alla memoria la svolta degli anni settanta che aprì le porte alla fiducia del decennio successivo e il malinconico trionfo di Segni che avviò il ventennio horribilis della democrazia italiana; Anche se  commentatori e leader politici nella sinistra non sembrano così convinti che il ciclo che si può aprire possa rigenerare lo spirito migliore degli anni 80'.

    Infatti su una questione in questi anni i protagonisti della Seconda Repubblica sono sembrati andar d'accordo e cioè che non vi era dubbio che i fattori scatenanti degli elementi di crisi esistenziale del Paese fossero le pesanti eredità lasciate dai partiti di governo della Prima Repubblica.

    Le parole di Economist su questo punto sono persino illuminanti : "Sarebbe ora che l'Italia smettesse di incolpare i morti per i suoi problemi e si desse una svegliata bevendo una tazza del suo buon caffè".