mercoledì 10 novembre 2010

Autonoma, socialista, laica

IPSE DIXIT

Fonte amara - «Mi fabbricai da me un villaggio, col materiale degli amari ricordi.» – Ignazio Silone

Amare il proprio paese - «Esiste un modo di amare il proprio paese che consiste nel non volerlo ingiusto, e nel dirglielo.» – Albert Camus     

SUSANNA CAMUSSO ALLA GUIDA DELLA CGIL

Autonoma, socialista, laica

Susanna Camusso è la nuova segretaria generale della CGIL. È la prima donna ad assumere la leadership del maggiore sindacato italiano: "Non siamo il signornò", ha chiarito subito dopo la sua elezione, definendo l'unità sindacale "un bene irrinunciabile". Quanto alla Fiom ha però puntualizzato: "Non la lasceremo mai sola, mai".

    Milanese, 55 anni e una figlia di 21, comincia la sua attività sindacale nel 1975 coordinando le politiche di formazione di base per la FLM di Milano, la categoria unitaria dei metalmeccanici CGIL, CISL, Dal 1977 dirige la FIOM, la categoria dei metalmeccanici della CGIL, in unaUIL. zona di Milano per poi cominciare a seguire le politiche del Gruppo Ansaldo. Nel 1980, entra nella segreteria FIOM di Milano, e nel 1986 in quella regionale della Lombardia. Dal settembre del 1993 alla fine del 1997 è in Segreteria Nazionale della FIOM con la responsabilità del settore auto prima e in seguito della siderurgia. Nel Dicembre '97 viene eletta Segretario Generale della FLAI Lombardia, incarico che ricopre fino all'elezione a Segretario Generale della CGIL Lombardia nel luglio del 2001.

    Nel novembre del 2005 dà vita, insieme ad un gruppo di altre femministe, al movimento di donne "Usciamo dal silenzio" che organizza il 14 gennaio 2006 una grande manifestazione che porta a Milano da tutta Italia oltre 200mila donne e uomini in difesa della libertà femminile, della legge sull'interruzione volontaria della gravidanza e delle conquiste civili.

    Nel 2008 entra nella Segreteria Confederale nazionale della CGIL, con responsabilità su settori molto diversi: politiche dei settori produttivi, cooperazione, artigianato e agricoltura. L'8 giugno 2010 viene eletta vicesegretario generale vicario della CGIL.

    Il 3 novembre 2010 è eletta segretario generale della Cgil con il 79,1% dei voti, succedendo a Guglielmo Epifani (insieme a lei nella foto qui sotto),al quale lo accouna una rigorosa formazione socialista-riformista.

Il movimento operaio italiano deve molto alle donne, alle molte grandi figure di dirigenti storiche, alle miriadi di quadri intermedi, ai milioni di compagne e lavoratrici costanti, ferme e determinate nel difendere i diritti operai.

    Da un secolo e più la CGIL è la maggiore organizzazione sociale progressista del nostro Paese. Dal vuoto politico nasce un rischio per il sindacato: "Sostituirci alla politica, farci partito, sarebbe il nostro più grande errore. Noi difenderemo sempre la nostra autonomia", ha detto la Camusso e ha ragione da vendere nel tener fermo a questo punto. Perché oggi la CGIL è, infatti, praticamente l'unico punto di riferimento per il "popolo di sinistra", rimasto orfano dopo gli tzunami abbattutisi vent'anni fa sui partiti storici del movimento operaio e dopo la lunga fuga valoriale di un'intera generazione di politici spaventati.

    Abbiamo assistito in vent'anni a giganteschi trasformismi (per lo più contrari a ogni buon senso oltre che al senso di responsabilità).

    L'ultimo di questi trasformismi è stato consumato con lo scioglimento dei DS nel PD. L'avventura veltroniana seguitane, disastrosissima quant'altre mai, ha comportato la caduta del governo Prodi, la lacerazione dell'intero tessuto del centro-sinistra italiano, la sconfitta alle elezioni politiche del 2008 e il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi, le batoste a Roma, in Sardegna ecc., il crollo dei consensi dello stesso PD dal 33% al 23%.

    Noialtri, per quel che vale, ci siamo opposti per anni alla "deriva degli spaventati": il PCI-PDS-DS aveva dichiarato solennemente a Firenze nel 1998 di voler costruire anche in Italia un grande partito del socialismo europeo capace di candidarsi al governo del Paese; e quindi non avrebbe potuto abbandonare questo progetto originario, provocando l'ennesima spaccatura all'interno della sinistra italiana e internazionale. Pensavamo che ciò non sarebbe stato possibile senza causare più o meno questi tre effetti: a) un notevole spostamento a destra dell'asse politico in Italia; b) un sensibile spostamento a destra dell'asse politico europeo; c) un lieve spostamento a destra dell'asse terrestre. Pensavamo che non avrebbero fatto una cosa così stupida e dannosa. Invece no. E speriamo che sia finita qui. Vediamo ora se Bersani riesce a recuperare, almeno in parte, il danno.

    Nel nostro piccolo, noialtri, per quel che vale, l'avevamo detto e ripetuto. Per anni. Nel giugno del 2006 i compagni Belli Paci, Besostri e Pollio Salimbeni promossero a Milano un convegno nel quale, ancora una volta, illustrammo le ragioni per cui era meglio fermarsi prima del disastro. C'erano Mussi, Salvadori, Spini e altra gente seria.

    Anche Susanna Camusso intervenne quella sera nella sua Milano. E quando prese lei la parola, tutti, all'Auditorium San Carlo, anche quelli che ancora non la conoscevano, compresero che quella donna incarnava una speranza per la gente dell'intero paese.

    Insieme ai nostri più fervidi e sinceri auguri di buon lavoro a Susanna Camusso, riproponiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori il testo di quell'intervento, che ci sembra molto istruttivo.


Testo dell'intervento al convegno: Sinistra come in Europa. Autonoma, socialista, laica (Milano, 20 giugno 2006)

di Susanna Camusso

Ci sono in questa discussione molte cose già dette e vorrei evitare il rischio di ripetersi. Provo a introdurne due, con l'ottica del luogo in cui siamo, non solo una discussione nazionale, ma una discussione fatta a Milano, in Lombardia, cioè dove si sono perse tre elezioni di fila. Ritengo un bene partire anche dai dati concreti.

    Abbiamo sentito, subito dopo questa sequenza di sconfitte elettorali, che alcuni estimatori e autori di sondaggi che riscoprono la classe operaia; il termine devo dire ogni volta mi suscita qualche reazione, perché è in contraddizione con quanto continuo a sentirmi dire ovvero che la classe operaia non c'è più, perché siamo in pieno post-fordismo, ecc. poi leggo le analisi elettorali e ricompare la classe operaia.

    Questa strana cosa che è la classe operaia, reinventata dai sondaggi, ha votato il centro-destra, mentre, si dice, i lavoratori pubblici invece hanno votato a sinistra. Questo dovrebbe far riflettere il governo.

    Le donne si sono suddivise in gran parte per titolo di studio e tra chi ha attività professionale e chi è casalinga.

    Interessante diventa quella traslazione per cui, se abbiamo perso le elezioni, il problema sono i lavoratori, immagino quindi anche il sindacato, allora cambiamo referente, infatti un secondo dopo inizia una teoria che dice: il problema è l'imprenditore e la micro-impresa, la frantumazione dell'impresa, il piccolo imprenditore sta peggio del lavoratore; non si capisce perché, ma questo è l'assioma che viene utilizzato, quindi l'attenzione e suppongo la base elettorale di riferimento devono diventare l'imprenditore e le micro-imprese. Come strategia per la globalizzazione è geniale, la competizione in Europa così è garantita, siccome il nostro competitor principale si chiama Germania, e la Germania non ha paura a far crescere la grande impresa, noi abbiamo il problema di organizzare la piccolissima impresa.

    Vorrei segnalare agli estimatori di questa linea che lo stesso presidente di Confindustria ieri ha spiegato che il problema dell'assenza di competitività è la micro-impresa, che bisognerà far crescere l'impresa. Come si fa a fare questa operazione? Azzerando sistematicamente la memoria? Con uno sforzo si può invece ricordare che nel 1994 il collegio di Mirafiori votò uno psicologo di Forza Italia. Fu scandalo per 12 giorni e poi ce ne si è dimenticati. Adesso siamo esattamente nello stesso schema di allora e le analisi utilizzano lo stesso schema di allora.

    Perché si fa questo? Credo che questo sia uno dei problemi fondamentali, anche qui in Regione. Penso che il veleno del leghismo e di una serie di parole d'ordine sia ormai un veleno diffuso e si ragiona a partire da lì e da ciò che si vuole essere. Potrei apparire retrò, ma io penso che non si può ragionare di come si cambia un partito, se non si parte dal sapere che cosa è, come è radicato e quali problemi ha.

    Penso che la sconfitta elettorale in Lombardia alle regionali, alle comunali e alle politiche è figlia dell'assenza di un radicamento.

    Qualcuno di voi si ricorda che un minuto dopo il 9-10 aprile in base alle proiezioni avevano perso sindaci di centrosinistra in Lombardia. Non aveva perso la politica, avevano perso i sindaci perché, la vulgata dice che se in quel luogo governato dal centro-sinistra si perdono voti, non è la proposta politica del centro-sinistra, ma è quel sindaco lì che ha perso!

    È la conseguenza del partito leggero? Del partito degli amministratori che diventa il partito di quello che c'è in quel momento, e scompare l'idea del territorio, il suo senso del radicamento.

    Invece bisognerebbe ricordarsi che la Lega e Forza Italia non sono partiti leggeri, non sono solo il partito televisivo, sono anche radicati nel territorio. Forse quando si perde, si perde in ragione del fatto che questo radicamento non c'è.

    Poi si dice, sempre per stare al nord, ma noi non facciamo, non abbiamo in mente un partito nazionale, abbiamo in mente un partito federale. Si parla già del responsabile del partito federato democratico del nord. Allora una domanda, perché bisogna fare il partito federale? Perché ci pare in linea con l'idea della devolution? Perché abbiamo politiche così radicalmente diverse che non hanno una conduzione nazionale? Penso che le ragioni per cui ci si iscriva ad un partito o si sta in un partito sono difficilmente delle ragioni così diverse da una regione all'altra e che le articolazioni siano cose diverse. Ma fin qui sono i contenitori e le basi di riferimento poi ci sono i problemi di merito. In gran parte li ha ricordati Aurelio Mancuso prima, li cito per titoli: etica, lavoro, socialismo, sono i tre temi.

    Voglio provare a utilizzare un esempio al contrario. Una delle ragioni per cui si sostiene il partito democratico è il bisogno di consolidare Prodi e di favorire la tenuta del governo.

    La domanda diventa: è un governo solido quello che si divide perché giustamente il ministro Mussi decide di togliere il veto sulla ricerca in Europa? È un governo solido quello che quando la ministra Barbara Pollastrini manda una lettera al Gay Pride, scatena la bagarre? Ma se non c'è la politica che media sui grandi temi, tutto questo si scaricherà giorno per giorno sul governo.

    Allora ho la sensazione che si sta facendo un'operazione non di rafforzamento di Prodi, ma che lo indebolisce e insieme si mette in discussione un tratto fondamentale: ci si iscrive ad un partito in ragione di una carta dei valori condivisa e di un'idea di rappresentanza di interessi condivisa. Se non c'è una carta dei valori e un'idea di quali interessi si vogliono rappresentare, è complicatissimo fare un partito.

    Chiudo dicendo che fare: qui mi rivolgo in particolare ai compagni dei DS; so che c'è una grande discussione che propone di "andare rapidamente al congresso e lì decidere". Non sono assolutamente d'accordo. L'idea di invocare rapidamente il congresso è un'idea che chiude la discussione, non la apre. È un'idea che porta alla conta e penso anche a una deriva complicata. Siccome penso, anche questa sala lo dimostra, che in realtà dentro la Margherita come dentro ai DS, il dibattito sia molto più complicato di quello che qualche gruppo dirigente vuole far credere; allora la missione vera, se si vuole avere come obiettivo quello dell'esistenza di un partito di sinistra che guarda ai valori della laicità, del lavoro e del socialismo europeo, magari anche un po' internazionale, non solo europeo, la scelta è di continuare ad allargare la discussione e pretendere che la discussione si cominci e non si proponga di chiuderla, e non la si chiuda né coi direttori né con le primarie, perché né l'uno né l'altro strumento rappresentano la costruzione della carta dei valori.