giovedì 12 novembre 2009

Vent'anni dopo - 1 / L'OCCASIONE MANCATA DELLA SINISTRA ITALIANA

Nel nostro Paese il crollo del muro di Berlino non ha portato alla costruzione di una grande sinistra socialdemocratica, come nel resto d’Europa, bensì alla distruzione della sinistra e alla crescita smisurata dell'anomalia italiana.

di Ugo Intini 

www.sinistraeliberta.it

Per celebrare i venti anni dal crollo del muro, tutto è stato scritto. E’ inutile ripetere, ma può essere utile ricordare qualcosa che riguarda i socialisti italiani e che non è stato ancora detto.

    La guerra fredda non è mai stata concepita per essere veramente guerreggiata, ma come un conflitto "virtuale", una lunga partita a scacchi dove sulla tastiera si muovevano divisioni corazzate, basi navali e testate nucleari. Nella quale lo scacco matto, con tutti i vantaggi politici ed economici per il vincitore, sarebbe giunto nel momento in cui lo sconfitto si fosse trovato in irrimediabile condizione di inferiorità militare, con le spalle al muro. Nella seconda metà degli anni ‘70, secondo questa logica, l’Unione Sovietica, di fronte a una crisi economica ormai strutturale, tentò una mossa tanto disperata quanto decisiva. Dispiegò e puntò verso l’Europa occidentale i micidiali nuovi missili SS-20, a testata plurima, che avrebbero dovuto tenere sotto ricatto e intimidire i governi a ovest del muro, separarli dalla lontana Washington, piegarli a una cooperazione economica tale da risanare l’economia russa e colmarne l’arretratezza tecnologica. Il cancelliere socialdemocratico tedesco Schmidt intuì subito che, se non si reagiva, la scacco matto sarebbe stato inevitabile e chiese alla Alleanza Atlantica il dispiegamento di missili che pareggiassero di nuovo la bilancia delle forze in Europa. Si decise la installazione dei Pershing e Cruise, che doveva però essere ratificata e praticamente realizzata dai singoli Paesi europei. A questo punto, la partita divenne propagandistica e psicologica. I tedeschi, con accanto il muro di Berlino e una opinione pubblica in parte attratta dallo slogan "meglio rossi che morti", chiarirono che, se un solo grande Paese avesse vacillato e negato l’installazione dei missili, la Germania si sarebbe tirata indietro e quindi non se ne sarebbe fatto nulla. Milioni di manifestanti pacifisti, in tutte le piazze europee, si mobilitarono contro i Pershing e Cruise. Il leader socialista francese Mitterrand commentò: "strano, i missili stanno a Est e i pacifisti a Ovest".

    L’Italia fu subito vista come l’anello debole, il "grande Paese europeo" che avrebbe potuto dire di no. Il compromesso storico tra DC e PCI era ancora una ipotesi percorribile. Il mondo cattolico (basti ricordare la tradizionale marcia di Assisi) era naturalmente portato al pacifismo. Il Partito Comunista di Berlinguer, all’apice della sua ascesa, parlava sì di quella araba fenice definita "eurocomunismo", che mai si è materializzato e di cui mai si sono comprese le caratteristiche ideologiche, politiche e culturali. Ma nel contempo scatenava contro i missili (esattamente secondo le esigenze di Mosca) tutto il suo peso propagandistico e organizzativo. La Repubblica e la stessa La Stampa di Torino seminavano o dubbi o incoraggiamenti verso i pacifisti. D’altronde, per i proprietari del quotidiano di Torino e di quello di Scalfari, la Russia era o poteva diventare l’affare del secolo: Agnelli la aveva infatti "motorizzata" con Togliattigrad e De Benedetti sperava di "informatizzarla" attraverso la sua Olivetti. Il giorno dopo la più grande manifestazione contro i missili mai avvenuta, nel 1981, La Repubblica titolava "Addio alle armi" (quelle occidentali, naturalmente). E persino Norberto Bobbio, in un fondo su La Stampa dal titolo "Atene e Sparta", poneva sostanzialmente sullo stesso piano Washington e Mosca. L’anello debole dell’Alleanza Atlantica, l’Italia, era vicino a spezzarsi e si sarebbe spezzato senza la resistenza imprevista, testarda e durissima condotta dal Partito Socialista di Craxi. L’Italia alla fine installò i missili e così fecero pertanto tutti i Paesi europei. La mossa disperatamente tentata con i missili SS-20 dalle "mummie meccaniche del Cremlino", come le chiamava Enzo Bettiza, mancò lo scacco matto e a quel punto la guerra fredda scivolò definitivamente verso la vittoria dell’Occidente: dimostratasi impossibile la forzatura sul piano militare, la partita si risolse su quello economico, dove il ritardo sovietico era ormai diventato irrecuperabile. Molti anni dopo, Brezinski, l’ex segretario di Stato di Carter, mi fece un riconoscimento che non avrei mai dimenticato. "Senza i missili Pershing e Cruise in Europa -ragionò- la guerra fredda non sarebbe stata vinta; senza la decisione di installarli in Italia, quei missili in Europa non ci sarebbero stati; senza il PSI di Craxi la decisione dell’Italia non sarebbe stata presa. Il Partito Socialista italiano è stato dunque un protagonista piccolo, ma assolutamente determinante, in un momento decisivo. Anche solo per questo passerà alla storia".

    I socialisti italiani condussero una politica coraggiosa verso l’Est europeo, ma anche difficile, perché spesso isolata a sinistra. Non solo in Italia, per la presenza incombente del PCI, ma anche in Europa, perché le grandi socialdemocrazie non furono necessariamente più lungimiranti o generose del modesto PSI. Craxi appoggiava apertamente gli oppositori frontali del sistema comunista: Sacharov e la moglie Helena (che venne spesso nostra ospite) in URSS, Geremek e Adam Michnik in Polonia, Pelikan in Cecoslovacchia. Ma Pelikan, ad esempio, che parlava perfettamente tedesco, dopo il crollo della primavera di Praga e l’esilio, cercò aiuto innanzitutto in Germania, e solo di fronte alla freddezza incontrata a Bonn ripiegò sull’Italia. Come mai? Voglio raccontare la verità, anche se può non giovare al mito di un leader, come Willy Brandt, verso il quale ancora nutro una grande ammirazione. I socialdemocratici europei coltivavano la realpolitik, quelli tedeschi pensavano soprattutto alla Germania orientale, mentre noi, piccoli socialisti italiani, facevamo semplicemente ciò che ci sembrava moralmente giusto. Un giorno Brandt disse esplicito a Craxi: "Sbagliate ad appoggiare i nemici dei partiti comunisti dell’Europa orientale. Non si deve puntare su di loro che, contrapponendosi frontalmente al sistema, non vinceranno mai. Ciò è addirittura controproducente. Si devono invece appoggiare le componenti moderate e pragmatiche all’interno dei partiti comunisti di governo, così da attirarli a poco a poco verso posizioni riformiste e utili alla distensione".

    Infine, una ultima osservazione, che riguarda più da vicino l’attualità politica italiana. Quando il muro crollò, la nostra sinistra bruciò una grande possibilità e mancò una occasione storica, perché non riuscì a unirsi in tempi brevi sotto la bandiera socialdemocratica, superando finalmente la scissione del 1921 a Livorno. Il mio amico Villetti ripete spesso che incredibilmente il PSI ripeté, di segno opposto, lo stesso catastrofico errore storico del 1947-48. Mentre la cortina di ferro calava sull’Europa, i socialisti di Nenni avrebbero dovuto stare a Occidente, con i partiti democratici e la DC. Invece, in nome dell’unità della sinistra, stettero a Oriente, con Stalin e il PCI. Nel 1989, al contrario, crollata la cortina di ferro, i socialisti di Craxi, allievo e successore di Nenni, avrebbero dovuto costruire con l’ex PCI l’unità della sinistra, non più ostacolata dall’insormontabile impedimento internazionale che la aveva bloccata per decenni. Invece, si trovarono ancora una volta, nel momento storico decisivo, come con Nenni nel 1948, dalla parte sbagliata: questa volta, non contro, ma con la Democrazia cristiana; non con, ma contro il PCI. E’ in parte vero. In parte, perché i tempi (spesso decisivi nella storia) non quadrarono per una non trascurabile circostanza pratica. Craxi aveva sempre perseguito, come obbiettivo di lungo termine, la strategia dell’alternativa di sinistra con il PCI. Ma sempre sottolineava che la alternativa era raggiungibile soltanto dopo il riequilibrio elettorale tra PSI e PCI (o almeno dopo il bilanciamento della situazione che vedeva i comunisti con il doppio dei voti socialisti e quindi egemoni). Il ribaltamento o il bilanciamento tra PSI e PCI erano indispensabili non per una ambizione socialista, ma perché obbiettivamente una sinistra a maggioranza e guida comunista mai e poi mai avrebbe potuto attirare i voti del centro necessari a vincere le elezioni in uno schema bipolare. Diciamo la verità. Il bilanciamento nel 1989-90 non c’era e non era prevedibile in tempi brevi. Uno schieramento "PSI più ex PCI" in elezioni anticipate sarebbe risultato perdente e avrebbe consegnato il Paese alla DC.

    I tempi non quadrarono dunque, e anzi portarono al disastro, per errori certo anche nostri. Si affacciò infatti la prospettiva di Mani Pulite e l’ex PCI pensò di risolvere tutti i suoi problemi non affrontando la questione socialista. Bensì, più semplicemente, avvantaggiandosi della distruzione del Partito Socialista. In quel momento, prevalse la facile tentazione di sottintendere che sia il comunismo sia il socialismo democratico avevano fallito, che si poteva non fare i conti con la storia, non sanare la lacerazione del 1921 a Livorno, ma correre oltre, verso l’indistinto "nuovismo" di un Partito Democratico senza passato e senza memoria. Magari cavalcando le mode del momento, la anti "partitocrazia" e addirittura la anti politica, la personalizzazione, il populismo. Così, sul terreno di un indistinto nuovismo, priva dell’ancoraggio saldo all’unica realtà internazionale esistente, quella socialista, è naufragata, insieme al Partito Democratico, la sinistra italiana. Il crollo del muro di Berlino, paradossalmente, non ha portato alla costruzione, come nel resto d’Europa, di una grande sinistra socialdemocratica, che cancellasse finalmente la anomalia italiana, bensì alla distruzione della sinistra e alla crescita smisurata della anomalia italiana stessa.